Ieri è stata una bruttissima giornata di vento e di pioggia.
Con conseguente mal di testa feroce che ha detto stop alle mie consuete
elucubrazioni e farneticazioni visionarie che si traducono in bisogno
compulsivo di scrivere. Mi sono data così del tempo “vuoto” da riempire a tempo
debito. Ma ecco che mi raggiungono dei messaggi di buona domenica da
allargarmi/allagarmi il cuore. E questa “corrispondenza di amorosi sensi” mi
sembra bellissima. Mi suggerisce la meravigliosa possibilità di una interazione
con voi che seguite il mio “retino” e il mio blog, di cui di volta in volta
farete parte perché insieme avrà più senso catturare con il “nostro retino”,
dalle finestre spalancate, le parole.
E comincio col proporre alcuni messaggi stupendi che mi sono
giunti ieri.
Carissima Angela, buona domenica a te, a tutti coloro che
ti circondano con il loro affetto, e che ti seguono non come pesci all'amo ma
inseguendo il flusso di luce che rischiara e coinvolge proveniente da te. Hai
il dono della parola che ri-crea. Una parola che ri-crea la coscienza della
parola. Anche la parola ha una coscienza. La coscienza avvolge la parola. Tu
rendi disponibile la coscienza della parola alla parola. Così la parola
ri-creata con la sua coscienza ci riporta alla luce che crea con la parola
anche la coscienza della parola. Il Logos illumina tutte le coscienze dalla
cellula più piccola del nostro corpo, con la sua particolare coscienza, alla
più semplice parola che tu pronunci. Siamo tutti presenti alla coscienza del
Logos che illumina. Ognuno di noi percepisce questa coscienza come luce intensa
dorata che illumina, guarisce, o ri-crea, o ri-vive collegandoci al primo
istante in cui fu creata la vita. Ogni parola ha la sua coscienza e la poesia
la trasmette creando la relazione universale che ri-parte dal poeta ricollegandoci
tutti e con tutto il creato. La parola guarisce tutti gli acciacchi ..., i
problemi esistenziali ..., i limiti di ogni genere ... Infatti, posso scriverti
mentre ti parlo accanto a me. Ben vivere, Peppe
Grazie, infinitamente grazie, Peppe carissimo, per questo
messaggio che ha messo in fuga notte insonne, mal di testa, scoramento. Mi sono
sentita gratificata, è inutile nasconderlo, ma soprattutto ho avvertito subito
la necessità di fare tesoro delle tue profondissime riflessioni sulla
“coscienza delle parole”. Logos si identifica, come sappiamo, sia col pensiero
che con la parola, ma per Eraclito, il “filosofo oscuro”, ha anche il
significato più ampio di “discorso dotato di senso” nel “dinamico divenire”,
che incontra continuamente “i suoi opposti” e li supera. Solo dopo possiamo
comprendere ogni singola parola, ogni singolo punto di vista, ogni situazione
particolare e universalizzarli, riuscendo così a sentirci parte del tutto, come
appunto ci suggerisce Peppe. Nel superamento di ogni egoismo e narcisismo.
Nella comunanza che ci affratella e ci fa assaporare il senso dell’infinito è
pacificante. La coscienza “che avvolge la parola” si traduce allora in poesia
perché le offre quella illuminazione divina, di cui parla Paul Valery, per il
quale le parole danzano con la nostra anima. Immagine meravigliosa, che
potremmo benissimo condividere.
Ma Giuseppe Sblano , andando un po’ a ritroso, ha
commentato così su "La magia delle FINESTRE nel "Retino delle
parole": giovedì 3 dicembre 2020": Carissima Angela,
ieri, dopo la lettura, ho dovuto abbassare il "finestrino" e dare
spazio ad altre "suggestioni". Le tue sono intatte. La prima veniva
dalla "finestrella" di "E lucean le stelle...". La seconda
entrava con la tua luce accompagnata dall'ineliminabile anamorfosi. Un
abbraccio, Peppe
Come non tener conto di quest’altro suggerimento che appunto
ingloba la musica e il canto, mentre il tutto si slarga e si definisce alla
luce del “prisma” borgesiano?
Puccini e la sua Tosca di disperato rimpianto e Luciano
Pavarotti e il Teatro e i ricordi dell’amore dei nostri nonni per l’opera
lirica e la Cassa armonica in piazza nei giorni della festa del Santo Patrono o
delle Feste natalizie con tanta gente vestita a festa e con il cuore esultante
per le varie “Arie” imparate a memoria nel corso degli anni. È anche tutto
questo “anamorfosi”? penso proprio di sì.
E Giuseppe Sblano ha
commentato su "La magia delle FINESTRE nel “Retino delle parole”:
mercoledì 2 dicembre 2020": Carissima Angela, e una
finestrella per la pace possiamo aprirla? Una finestra di acqua sorgiva.
Zampillando risuscita! Un abbraccio, Peppe
E ancora prima su "La magia delle FINESTRE
nel “retino delle parole”:1 dic 2020:
Una "fra le tante finestre" tratte da «Le mie
prigioni» di un certo Silvio Pellico. «La stanza era a pian terreno e metteva
sul cortile. Carceri di qua, carceri di là, carceri di sopra, carceri di rimpetto.
M’appoggiai alla finestra e stetti qualche tempo ad ascoltare l’andare e venire
de’ carcerieri, ed il frenetico canto di parecchi de’ rinchiusi. Pensava: «Un
secolo fa, questo era un monastero: avrebbero mai le sante e penitenti vergini
che lo abitavano, immaginato che le loro celle suonerebbero oggi, non più di
femminei gemiti e d’inni divoti, ma di bestemmie e di canzoni invereconde, e
che conterrebbero uomini d’ogni fatta, e per lo più destinati agli ergastoli o
alle forche? E fra un secolo, chi respirerà in queste celle? Oh fugacità del
tempo! Oh mobilità perpetua delle cose! Può chi vi considera affliggersi, se
fortuna cessò di sorridergli, se vien sepolto in prigione, se gli si minaccia
il patibolo? Ieri, io era uno de’ più felici mortali del mondo: oggi non ho più
alcuna delle dolcezze che confortavano la mia vita; non più libertà, non più
consorzio d’amici, non più speranze! No; il lusingarsi sarebbe follia. Di qui
non uscirò se non per essere gettato ne’ più orribili covili, o consegnato al carnefice!
Ebbene, il giorno dopo la mia morte, sarà come s’io fossi spirato in un
palazzo, e portato alla sepoltura co’ più grandi onori». Così il riflettere
alla fugacità del tempo mi invigoriva l’animo. Ma mi risorsero alla mente il
padre, la madre, due fratelli, due sorelle, un’altra famiglia ch’io amava quasi
fosse la mia; ed i ragionamenti filosofici nulla più valsero. M’intenerii, e
piansi come un fanciullo.»
Tratto dalla più contemporanea opera «Il capitalismo
della sorveglianza» di Shoshana Zuboff. «Dalla finestra sulla scrivania osservo
le stagioni: prima il verde, poi il rosso e l’oro, poi il bianco, poi ancora il
verde. Quando gli amici mi vengono a trovare, sbirciano nel mio studio. Ci sono
libri e fogli impilati ovunque, anche sul pavimento. So che è una visione che
li travolge, e a volte ho la sensazione che mi compatiscano per la mia
devozione a questo lavoro, per come permetto che circoscriva i miei giorni. Non
penso che si rendano conto di quanto io sia libera. A dire il vero, non mi sono
mai sentita più libera di così. Com’è possibile?» Com'è possibile sentirsi
liberi, anche alle finestre con le sbarre? Un abbraccione, Peppe
Anche questa pagina mi sembra molto interessante e degna di
nota. Il primo riferimento è a Le mie prigioni di Silvio Pellico,
libro che, secondo le note parole di Cesare Balbo, fu all’Austria “nocivo più
di una battaglia perduta”. Ma quello che emerge di molto importante, a mio
parere, è il riferimento ad ogni mutamento col passare del tempo. Il “Panta
rhei”, attribuito ad Eraclito, anche nelle parole di Silvio Pellico, dunque. E
non solo: dopo la morte niente ha più importanza delle sovrastrutture con cui
impariamo a vivere i nostri giorni, complicandoci la vita stessa e rendendola
sempre più inautentica e lontana dalla realtà (dalla verità?). Nelle parole
della studiosa statunitense Shoshana Zuboff, invece, mi piace moltissimo il
senso della gioiosa libertà che si avverte nell’assecondare la passione dello
scrivere anche dietro vetri chiusi e sbarrati come ai nostri giorni. Carissimo
Peppe, hai inciso profondamente con queste parole la verità che appartiene a
tutti quelli che avvertono la scrittura come necessità di vivere, esprimersi,
comunicare, realizzare il sogno di sé. Tra i nostri libri, a questo proposito,
mi è facile ricordare di Zaccaria Gallo Sigillo di Necessità, un
titolo bellissimo che sottintende il segreto messaggio della “necessità della
parola”, quasi “sigillo”, parola antica e regale e, dunque, preziosa, su cui
ritorneremo. Come torneremo più e più volte sulla parola “Pace”, polla sorgiva
che potrebbe aiutarci davvero a ri-nascere e, quindi, a ri-sorgere, quasi canto
dell’aurora ai primi raggi del sole.
Altro messaggio di ieri mi è stato inviato dalle mie
carissime amiche Marisa e Liliana Carabellese, a cui va il mio affettuoso
grazie: Cara Angela, il tuo retino delle parole cattura sempre. Che
fascino ha quella clessidra che porta in su invece che in giù il suo magico
contenuto! Auguri al carissimo Nicola, e a tutti i tuoi Nicola. A te un
abbraccio grande da Liliana e da me, o, come dici tu, bacissimi! Marisa Altro
bellissimo suggerimento: la clessidra. Spero di poterne parlare insieme a lungo
perché il tempo è un altro topos caro a tutti i poeti e gli scrittori, ma anche
presente ad ogni persona nella semplice quotidiana riflessione sul trascorrere
inesorabile del tempo in ogni esistenziale esperienza.
E per oggi è tutto. Buona vigilia della Festa dell’Immacolata
con tutte le sue tradizioni e i suoi riti. Ma, a proposito di vigilia, parola
sottolineata dal carissimo Vito Di Chio nel suo splendido saggio Una
finestra aperta su i sogni, dedicato alla mia “opera omnia”. E qui ritorna
la finestra da cui non solo volano i sogni, ma anche tante parole da passare
sotto la lente d’ingrandimento… come non parlarne?
Vi abbraccio, augurandovi una serena e coraggiosa VIGILIA.
Ciao.
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RispondiEliminaAltissima e bianca la parola scavata nel fiume dei gigli
RispondiElimina- nulla è a caso nella scatola dei colori
sei fanciulla e cammini su fili di rose
tessi finestre alla luce
cerchi l'ombra, poi la allontani
Le stanze del respiro si allargano
nuove visioni chiedono asilo
si scuciono dalla tua bocca
e rapita dalla tua voce
le catturo piano
nel miotuo retino
Istantanea dedicata alla poetessa Angela De Leo, al suo spazio prezioso dal titolo "Il retino delle parole".