lunedì 16 ottobre 2017

Malinconia d’autunno (da "Il vento il fuoco e le azzurre acque")


Arance castagne melograni
in forma di foglie danzano
volano sognano girandolano
con lento vortice di vento
al pulviscolo dorato
del frammentato sole d’ottobre
Lacrima mestizia
agli occhi della siepe ingiallita
un autunno
che ha sapore di ricordi
e si perde nelle brume mattutine
ancora calde di progetti residui
Sorpresa e pentimento
ignorare nelle mie stanze di fatica
questo cielo ancora terso ai lucernari
corrucciato stanco rossastro
ma inviolato ancora
da nuvole e piogge e albe di brina
che s’affacceranno ai freddi cieli
d’inverno dopo tanta arsura
e un grondare di sogni feriti
nel grigiore

di uno spleen simile al pianto

(anche noi si sta
in attesa pavida dell’ultima stagione)


venerdì 13 ottobre 2017

SINTESI DELLA PREFAZIONE a IL GIOCO DEGLI ANGELI di LJILJANA HABJANOVIC DJUROVIC

gioco-degli-angeli

Sono in partenza per la Serbia. A Belgrado devo presentare la mia nuova raccolta di poesie Il vento il fuoco e le azzurre acque, tradotto da Dragan Mraovic e pubblicato dall'Associazione degli Scrittori Serbi. A Belgrado incontrerò i miei amici scrittori e poeti di lungo percorso letterario insieme. Sono felicissima di tornare a riabbracciarli nella loro patria che sento anche come mia seconda patria. Tante affinità e tanto affetto ci legano.
Per questo, desidero fare un omaggio alla mia amica Ljiljana Habjanovic Djurovic, postando qui una sintesi del primo suo romanzo, per il quale ho scritto la Prefazione e ho fatto l'adattamento alla nostra lingua su traduzione di Dragan Mraovic, altro mio carissimo amico e grande poeta, scrittore e traduttore serbo.
Ecco perché, prima ancora di parlare del romanzo, Il gioco degli angeli, mi piace presentare ai nuovi lettori la sua autrice, la scrittrice “più amata” in Serbia, la più letta ed apprezzata, la più premiata, e non soltanto nella sua terra, Ljiljana Habjanovic Djurovic, perché dovranno a lei le forti emozioni, le insolite riflessioni, i profondi percorsi interiori, che li accompagneranno nel loro straordinario viaggio tra le pagine di questo libro. Ljiljana affascina innanzi tutto con la sua scrittura, caratterizzata da un procedere molto particolare, attraverso il susseguirsi di frasi spesso lunghe e ben articolate ma, ancor più spesso, minime, costituite persino da una sola parola, nel fluire, quasi in continua sospensione, che è poi una continua puntualizzazione, di pensieri, situazioni, incontri, scontri tra la protagonista e i numerosi altri personaggi, spesso co-protagonisti nelle vicende della sua vita. Una scrittura quasi sempre fratta, dunque, ma proprio per questo molto originale, suggestiva, catturante, incisiva. Una sola parola spesso racconta il non detto, il non esplicitato, persino il silenzio, uno stato d’animo, una illuminazione. La frase breve e brevissima è più incisiva perché scarna ed essenziale, ma quanto più profonda e onnicomprensiva della frase dilatata, che rischia di diluire concetti ed emozioni o il contenuto della storia stessa. Contenuto, che ha le caratteristiche del romanzo misto di storia e fantasia di manzoniana memoria, ma anche della più recente connotazione letteraria, che ama la commistione di vari generi, fusi nell’arte di un nuovo raccontare ricco di più ampie suggestioni.
Il romanzo narra la vita di Miliza, la principessa serba del quarto secolo dopo Cristo, discendente della santa dinastia dei Nemanidi, che tanta parte ebbe nelle vicende dell’impero serbo nel Medioevo, e il suo continuo intrecciarsi con l’intervento soprannaturale degli angeli e soprattutto dell’ Angelo Custode. Ed è proprio l’Angelo Custode di Miliza la voce narrante: altra originale peculiarità del romanzo. Ma, accanto a lui, vivono ed intervengono, con più dettagliati chiarimenti sulla vicenda umana e regale della protagonista e, in particolar modo, sui compiti delle gerarchie angeliche, i sette Arcangeli. E tutti e sette hanno una loro “finestra”, per affacciarsi sul mondo degli uomini e tra i Cieli di Dio e disquisire di vicende umane e di volontà divina. Insieme, queste sette voci narranti, creano reiteratamente nel libro una sorta di coro greco che fa da sfondo a tutta la storia. Non è possibile, allora, leggere Il gioco degli angeli e non rimanerne catturati fino all’ultima pagina, per il dipanarsi di questa storia avvincente, che l’autrice propone con una straordinaria “sapientia cordis” e con un’abilità letteraria fuori del comune.
Si tratta di due mondi paralleli, l’uno visibile e reale, l’altro invisibile e immaginario, ma altrettanto vero nella mente e nel cuore della scrittrice, che si sfiorano e si contaminano a vicenda.
Nel romanzo é possibile soprattutto leggere il profondo amore della scrittrice per il suo Paese: la Serbia, dunque. Ma anche Krusevac, suo paese natio. Belgrado, nuova meravigliosa capitale. E il Kosovo, di cui offre uno spaccato di storia tra i più toccanti e veri.
Tutti i personaggi, inoltre, sembrano scolpiti. Mirabilmente caratterizzati dall’autrice in tutte le loro peculiarità fisiche, psicologiche, comportamentali. Ma la eccezionale statura letteraria della scrittrice si rivela e si evidenzia soprattutto nella sua profonda capacità di penetrare nel cuore degli uomini e descriverne le lacerazioni, i contrasti, i chiaroscuri dei pensieri; i desideri e le rinunce, i rifiuti e le attese, i progetti e le delusioni o le realizzazioni, i ricordi e le ansie per il futuro, i dubbi e la ricerca vana della verità e l’incontro con le verità, negli inevitabili conflitti esistenziali.
L’autrice racconta in modo mirabile tutto questo, facendo del suo romanzo un ricamo di storie nella storia, in cui vivono personaggi storici con tutte le loro ambizioni, passioni, illusioni; con le vittorie e le sconfitte; con tutto il bagaglio della loro umana esperienza, fatta per lo più di errori e di pentimenti, di rammarichi e di nostalgie, nella dolente rappresentazione di una umanità, incapace di vivere il proprio tempo nella pienezza del presente perché sempre rivolta al passato o proiettata nel futuro, decretando così il proprio fallimento e la propria infelicità. 
È probabilmente anche il romanzo del dolore, di una sofferenza dell’anima che spaventa e fa male, ma è anche il romanzo della salvezza, grazie alla Grazia divina e, forse, anche agli Angeli Custodi, che guidano, aiutano nelle scelte, proteggono dalle forze del male.
È, pertanto, anche un inno alla preghiera. La preghiera ci redime e ci salva.

Di qui l’importanza di un romanzo come questo. Da leggere e da “mangiare”come “pane quotidiano” per provare a diventare migliori.

lunedì 9 ottobre 2017

Le Donne rese immortali dall'anima e dalla macchina fotografica di Giovanni Gastel




Ritengo banale scrivere: “splendida foto per una splendida donna”. Scontato.
Mi piace, in realtà, incantarmi a guardare questa Galleria superba della Femminilità, filtrata attraverso l'anima di Giovanni Gastel e la sua macchina fotografica. Meraviglioso strumento che tale rimarrebbe se non prendesse respiro palpitante nelle mani dell'Artista. Mi chiedo: ma una donna è sempre la stessa donna se viene raccontata da un uomo? Credo di no. Anzi, ne sono convinta. Siamo due universi distanti, anche se forse complementari. L'intuito femminile è diverso dalla razionalità maschile. E, se una donna nota maggiormente nella luce degli occhi o nella piega delle labbra di un'altra donna il suo mondo interiore e i suoi misteri, un uomo nota quel volto nel suo insieme di bellezza fisica o di seduttività. Se, però, quell'uomo è impastato di sensibilità creativa e poetica, allora quel volto di donna si fa poesia: ha in sé la luce del divino che dimora nell'opera d'Arte.
Non tutte le donne fotografate possono vantare questo soffio, sul loro volto, che è accadimento e prodigio. A quante sono stati negati la certezza del volto, lo stupore dell'accadimento? Quante hanno potuto emozionarsi specchiandosi in una foto ed emozionare lo sguardo di chi le ha sfiorate oppure osservate?
Con Giovanni Gastel accade.
E quel volto o quella figura femminile si trasfigura e diventa altro e altro ancora: si fa ricciolo di oscuro desiderio, di velluto e sogno, o cascata di grano nel campo di nessuno; sorriso d'anguria o ombra di occhi che temono la luce e luce di sguardo che percorre vallate e sale sui monti e si veste di cielo per riflettersi nel mare e guadagnare orizzonti mai esplorati. Oppure è corpo che si fa volo e ali di farfalla, gomitolo di lana o fiore che si dischiude alla vita. Spavalderia di gambe incrociate, esibite, in attesa, oppure coraggiose gazzelle, frementi d'avventura nell'andare; e seni nascosti, svelati, timidi, audaci che invitano mani e occhi e una passione che pulsa di un attimo appena e poi si spegne come cerino troppo breve per durare.
Ed è come scoprirsi in una Galleria buia che a tratti s'illumina di un bagliore: un lampo, uno squarcio. Un occhio divino su cornici vuote che le animano. Che si animano. Ed ecco il Volto. Di Donna. Ha due occhi che feriscono. Buio. Luce. Un altro Volto. Ha labbra-papavero che accendono il cielo di un sorriso. Buio. Lampo: quella donna non ha né labbra né occhi, solo un mistero che vuole celare. O svelare a chi sa leggere e vuole leggere in quel mistero. Buio. Squarcio. E il nero si fa ala di corvo, notte di rimpianto, urlo di due lacrime non piante sul pallore del viso. Luna sorpresa di solitudine e d'abbandono. Poi ecco l'oro di un volto sontuoso nella sua altera fissità bizantina di icona lontana che veste di preziosa antichità i monasteri del Kosovo e quello serbo di Kilandari.
Buio. Luce. Per Donne donne fiore donne erba donne prato donne sogno donne nuvola donne volo donne mare e maree. Donne svettanti come vittorie a lungo sognate e rincorse e afferrate. Donne protagoniste di una storia, di mille storie. E Donne che hanno scritto la storia della Moda, dell'Arte, del Cinema e del Teatro. Donne integrate nel loro tempo e spazio vitale o sbalzate come un bassorilievo oltre il tempo e lo spazio.
Rese immortali da quel lampo di luce che è talento più che tecnica, genialità più che immagine, sensibilità più che angolazione di ombre, amore più che posa o inquadratura.
Giovanni Gastel, con la sua macchina fotografica, le guarda le donne per ascoltarle. Le ascolta per conoscerle. Per riconoscerle e raccontarle. Entrando nella loro anima per vivificarle di una ineffabilità che solo l'anima possiede.
E le Donne della sua meravigliosa Galleria si accendono di mille atmosfere, di luminose essenze, misteriose eppure vicine, in tutte le loro sfaccettature, quasi fossero in un prisma in cui sanno esse stesse conoscersi e riconoscersi per colmarsi di pienezza di sé, di autenticità, di LUCE...

E, immortalando, Giovanni Gastel si immortala. 

venerdì 6 ottobre 2017

Teatro Petruzzelli – Bari: “Art & Science 2017”

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Ho ancora negli occhi miliardi di stelle e galassie a rovesciarsi su di noi dal palco e dalla meravigliosa cupola del Petruzzelli, brulicante di antichi splendori. E nel cuore mi palpita una emozione senza fine per gli innumerevoli fiori di luce di cielo e di sole, esplosi dal genio artistico di un otorinolaringoiatra, Matteo Gelardi, che, osservando al microscopio semplici cellule nasali, affette da varie patologie, ha scoperto forme e colori da immortalare in quadri che hanno la magia delle tele di Pollok o di Kandinsky. Poi, ecco che prodigiosamente, con la bacchetta magica della giovane e originale stilista Giovanna Gelardi, gli stessi colori siderali si trasferiscono su fluttuanti abiti di tessuto leggero ed evanescente, e danzano su esili steli di donne-fiore, impalpabili farfalle con ali trasparenti e lievi che cedono passi di tenerezza e di passione a ballerini che hanno corpi fragili e forti e intrecci di onde e sogni di stelle e pensieri di luna a indicare il viaggio e la meta, che Pina Bausch inaugurò nella sua Berlino degli anni Settanta.
È il viaggio “dentro e fuori di noi” ad affascinarci e ad affascinare il numerosissimo pubblico accorso da ogni dove. Il Teatro è gremito, assiepato persino in Galleria.
E noi, nel palco 25, quasi a toccare con mano tanta meraviglia, ci esaltiamo alla visione dei palpiti ciliari che pulsano sull'ampio schermo, seguendo la guida coinvolgente dello stesso Fondatore della Accademia Nazionale della Citologia nasale e coraggioso Ideatore di questa commistione scientifico-artistica, culturale e letteraria senza precedenti, passando dalle fosse nasali agli spazi sconfinati dell'Universo con una lievità e profondità di linguaggio che potrebbe catturare anche gli occhi grandi di un bambino. Stupore!
Ma meraviglia delle meraviglie è l'immensità dei miliardi di miliardi di stelle che friccicano a inimmaginabili distanze di anni luce, ridotte però ai pochi passi, quasi una passeggiata divertita e divertente del vulcanico Astrofisico Fabio Peri che, da impareggiabile affabulatore, ci permette di quantificarle, queste enormi distanze, con un divertissement quasi fosse gioco di ragazzini in un campo di calcio a rincorrere il pallone.
Dietro le quinte un pullulare di artisti in attesa di venire alla ribalta con la musica, i canti, le danze, gli assoli prodigiosi, i commenti poetici, la gloria dei violini e dei piatti di una batteria avvolgente e inimitabile, che hanno colmato i nostri cuori di immagini di cielo con A. Parson, di luna con i Pink Floyd, di viaggio e di conquista con gli Europe e Evangelis...
Lacrime di commozione per “Guardastelle” di Tony Bungaro, nostro amico di vecchia data, nella stupenda e insolita interpretazione del violoncellista Nicola Fiorino e della cantante lirica Claudia Cusumano. Con stelle a migliaia nei nostri occhi incantati.
La serata si conclude con un middley di canzoni di Frank Sinatra per le sonorità vocali di Cosimo Mitrani.
Sono ancora incredula, stupita, estasiata e... insolitamente mi mancano le parole per dirlo.



mercoledì 4 ottobre 2017

“NaturalMente”: Fiero del Libro 2017


Si è appena conclusa la settima edizione di Fiero del Libro. L'argomento di quest'anno ha riguardato l'ambiente, analizzato nei suoi quattro elementi: terra, acqua, fuoco, aria. In logica continuità con quello dello scorso anno. Un “Fiero del Libro”, dunque, di alberi e piante e radici; di aria e di cielo e di voli e di stelle; di mare e di fondali marini e di coste e di naufragi; di fuoco e vulcani e lave e incendi e passioni. E di poesia. Sì, tanta poesia, abbracciata da tanta musica e canzoni e canti e immagini.
Un ambiente pensato con la mente e vissuto con il cuore.
Nell'aria vibra ancora l'eco delle tante emozioni, vissute individualmente e coralmente, in una conchiglia di case dipinte di rosso che incorniciano il Teatro comunale di Corato, meraviglioso palco naturale per i nostri incontri-dibattiti, per le letture e le presentazioni dei libri, per i concerti e i cori.
Un mondo bellissimo, il nostro, devastato purtroppo da ogni tipo di violenza. Quella umana è la più pericolosa. Mentre potremmo realmente imparare ad abitarlo “poeticamente”. Ecco perché mi piace raccordare questo Festival a quello precedente.
Nella scorsa edizione ascoltammo, tra le altre, la testimonianza diretta e coinvolgente del noto poeta Franco Buffoni, che intervenne con delle riflessioni molto profonde sulla possibilità che abbia la poesia di essere veicolo di salvezza in un mondo devastato dalla violenza e dalla indifferenza e se sia ancora oggi possibile vivere in questo mondo con poesia. In quest'ultima edizione, si sono alternati diversi relatori, altrettanto noti e catturanti, che sarebbe troppo lungo elencare con il rischio anche di dimenticare qualcuno. Veri e propri esperti nel campo ecologico, hanno dialogato e si sono confrontati, rivolti al numeroso pubblico, tra cui parecchi giovani studenti, su tutte le possibilità che le vecchie pratiche e le nuove tecnologie ci offrono per realizzare concretamente il recupero, la difesa, il rispetto e la valorizzazione di questa natura così bella, che non ci appartiene e a cui noi apparteniamo. Il possesso crea avidità e scempio, l'appartenenza fa nascere il bisogno/desiderio di prendersene cura, sollecitando la premura, la tenerezza, l'amore. Ed ecco che, ancora una volta, il tema si sposta dalla natura alla poesia.
E, come scrissi l'anno scorso, “Abitare poeticamente la terra”, espressione attribuita al poeta tedesco Friedrich Holderlin e ripresa successivamente dal filosofo Martin Heidegger (il quale puntualizzò che l’avverbio “poeticamente” stava a significare “essere alla presenza degli Dei ed essere toccati dalla vicinanza dell’essenza delle cose”), consiste nell’illuminare di tenerezza il quotidiano, anche con la scrittura e le innumerevoli voci nascoste nei suoni, nei profumi, nella musica, sogno della terra e del cielo, nei fiori, nei prati, nelle acque, e nuvole, e onde, e mare…
E anche oggi, come un anno fa, mi sembra opportuno ripetere quanto affermai allora: è necessario ritornare ad ascoltare le voci della natura, come facevano gli uomini primitivi, quando la natura non era ancora “desacralizzata” (Carlo Sini).
Prendere, magari, a modello i bambini che, con naturalezza, abitano poeticamente la terra. Si stupiscono. Si meravigliano. Non programmano i loro giorni, ma li vivono solo giocando e nel gioco e con il gioco imparano a scoprire il mondo, giorno dopo giorno, conquista dopo conquista, abbandonandosi senza steccati e senza confini al fluire del tempo e della vita.
Sarebbe bello, allora, formare delle cordate per aiutarci a vicenda e sentirci solidali, forti, felici. Ci riapproprieremmo così della semplicità della vita. Non vivono gli uccelli cantando e ricamando i cieli di voli senza l’ansia del cibo o di programmare il nido che a primavera riempiranno di pigolii e fremiti di ali? Ecco, anche gli uccelli come i bimbi vivono poeticamente il mondo. E così la natura tutta, quando segue il corso delle stagioni, le albe e i tramonti, lo sfolgorante mormorio delle stelle.
Lo so, la realtà, ha le sue leggi, le sue priorità, la sua arcigna faccia quotidiana. I suoi problemi, ma i poeti sono dei privilegiati per un dono assolutamente gratuito che li salva e li salverà sempre.
Come già scritto, non afferma Rilke che i versi sono esperienze che si vestono di stupore? Prima di scrivere un solo verso, egli afferma, bisogna aver visto molte città, aver conosciuto gli animali e le piante; sentito il volo degli uccelli e ascoltato il linguaggio dei fiori; ripensato ai sentieri percorsi e a quelli mai attraversati; ritornare all’infanzia; trascorrere i mattini davanti al mare e sognare tutti gli oceani. Più o meno così. Solo dopo aver vissuto, sofferto, gioito e pianto è possibile scrivere poesia. Ma possiamo tutti essere o diventare poeti della vita, anche se disponiamo di un tempo scandito da tutti gli orologi che distruggono il tempo della libertà e della creatività. La nostra stessa umanità.
Dobbiamo, allora, concederci un tempo senza tempo che si nutra di passioni della mente e del cuore in un contatto costante con la natura che è di per sé Poesia.
E la poesia per William Blake, come già sostenevo, è “vedere il mondo in un granello di sabbia/ e il cielo in un fiore di campo/ e l'eternità in un attimo”.
Siamo, purtroppo, solo dei naufraghi alla deriva di tutti gli oceani, come sosteneva fino ad alcuni anni fa Serge Latouche, ma per fortuna oggi lo stesso studioso ci suggerisce la possibilità di una “decrescita felice”! I primi segnali di rinascita ci sono. Si sta riscoprendo il piacere di leggere e di sollecitare a leggere i più piccoli, perché il futuro sarà nelle loro mani, a cominciare dal libro-giocattolo nella Scuola dell'Infanzia e dai tanti Laboratori di lettura animata nella Scuola Primaria e oltre.
In Fiero del Libro, poi, non ci sono le consuete presentazioni, ma viene attuata e diffusa la lettura partecipata: ogni nostro autore fondamentalmente legge i propri libri o quelli degli altri suoi “amici di cordata”, perché la lettura prevalga sul “racconto di sé”. E, così, avviene una generosa contaminazione.
E, con noi, anche i giovani hanno riscoperto l’impegno sociale e civile di essere “naturalMente” e “Poeticamente” sulle barricate in difesa dell'ambiente e di tanti altri diritti umani, senza mai dimenticare i sogni e l'utopia, che si alimentano anche attraverso le pagine di un buon libro.
Quest'anno più di ogni altro anno, abbiamo avuto tanti giovani con noi: un gruppo, proveniente dal Liceo Scientifico di Ruvo, per le ore di alternanza “scuola-lavoro”, impegnato in attività creative, costruttive, di marketing e di comunicazione; un altro del Liceo Classico di Corato che si è esibito nella rappresentazione scenica del Volo di Fetonte, nelle Metamorfosi di Ovidio, recitando in coro i magnifici versi nella lettura metrica in latino. Abbiamo volato anche noi (senza cadute di sorta) in un'atmosfera di commossa, antica consuetudine al bello e al canto.
Anche quest'anno, pertanto, è stata una esperienza che ci ha fatto riflettere e ci ha arricchito, all'insegna dei libri e dei lettori, dei dialoghi e dei confronti, della passione e della creatività, della bellezza e dell'Arte in tutte le sue varie e meravigliose forme.
Autenticamente. Poeticamente. NaturalMente.