lunedì 30 novembre 2020

La magia delle FINESTRE nel “retino delle parole”: lunedì 30 novembre 2020

Dopo il secondo incontro.


Riprendo il discorso di ieri, passando in rassegna le Arti riconducibili alla creatività umana: 
In Architettura, ogni architetto ha la sua porta e la sua finestra per soluzioni funzionali ed estetiche. E forse non ci sarebbero finestre oggi senza gli architetti che vanno in giro per il mondo a cercare soluzioni pratiche e geniali per ogni ambiente morfologico, fisico, antropologico, sociale, culturale. Valgano per tutti alcuni architetti del Novecento e di questo nuovo secolo: Ernst May, Walter Gropius, Peter Oud, Le Corbusier, il nostro Renzo Piano. 
In Pittura, è facile il riferimento ai tantissimi pittori che hanno dipinto le finestre, soprattutto dall’Ottocento in poi, ma non sono pochi i luminosi esempi del passato. Caravaggio e Vermeer, i pittori della luce, hanno dipinto finestre che catturano la luminosità dell’ambiente esterno per farla riverberare all’interno sugli oggetti e sui volti dipinti. E, più vicini a noi, Munch, Dalì, Picasso… Dal Novecento fino ai nostri giorni, Edward Hopper e le sue finestre sulla solitudine e l’incomunicabilità. Giorgio De Chirico e le sue finestre metafisiche ed enigmatiche. Magritte e le sue finestre surrealiste fino a diventare una ossessione, legata allo sguardo che vede e viene visto. Marcel Duchamp e le finestre oscure ed ermetiche, provocatorie, misteriose e ingannevoli. Boccioni e il mondo esterno complesso e caotico che riempie lo sguardo, i sensi e i pensieri della donna (sua madre?), che osserva la strada, affacciata al balcone e diventa un tutt’uno tra immobilità e movimento, tipici del fervore di vita lungo le strade cittadine.
In Fotografia, si pensi al nostro Giovanni Gastel con le ultime foto delle finestre al tempo della prima ondata del coronavirus, gettando una sfida ai giovani fotografi per occupare creativamente il lungo tempo della clausura.
Nella Musica e nel Canto le finestre hanno un posto privilegiato: da “Fenesta ca lucivi”, attribuita a Vincenzo Bellini a Fenesta vascia, una canzone molto antica di ignoto napoletano, cantata teneramente da Roberto Murolo. E, a proposito di Fenesta ca lucivi, vi voglio confessare una simpatica amenità per farci due risate insieme: era il mio cavallo di battaglia dell’adolescenza e prima giovinezza. Ero una ragazzina canterina (l’“uccellino della casa”, mi definiva mio nonno) e, quando aiutavo mamma nelle faccende domestiche, ero solita accompagnare i miei languidi e morbidi movimenti (non sono cambiata molto nel tempo) con le canzoni più lacrimevoli del mio romantico repertorio, tra cui proprio Fenesta. E così, disperata per un amore quasi sempre lontano, io impiegavo tempi interminabili per riuscire nella semplice impresa di mantenere pulita la casa. Mamma pazientava a lungo, ma alla fine, sistematicamente, mortificata e dispiaciuta per tanta mia inspiegabile e inconsolabile pena, mi sollecitava a fare più in fretta dicendomi: e, figlia mia, ma che ti è capitato di così straziante? Non puoi scegliere un repertorio più allegro? Se ne avvantaggerebbero la casa, l’umore e la salute.
Mia sorella Anna Maria, a quel punto, si sentiva chiamata in causa, pur essendo più piccola di me di cinque anni. In un baleno, spostando mobili anche pesanti quasi fossero fuscelli, metteva a lucido tutto l’appartamento. Con grande sollievo di mamma. E gratitudine da parte mia per avermi risparmiato una fatica a cui mi sottoponevo per amore, ma molto malvolentieri. 
Ma tornando alla Musica e alle Canzoni, non posso non citare i tanti nostri cantautori: da Modugno a Finardi, da Jovanotti a Baglioni, da De Gregori a Lucio Dalla, da Arisa ad Emma Marrone e così via, per le loro più o meno famose canzoni ispirate alle finestre.
In Teatro: da Aristofane al nostro Eduardo De Filippo le finestre non mancano mai e spesso fanno da sfondo alle numerose, allegre o tristi, vicende umane.
Al Cinema: valga per tutte La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock. Indimenticabile capolavoro.
Per la Fotografia, il Cinema, la Televisione, il Teatro vale la pena di ricordare cosa afferma il fotografo Luigi Ghirri, parlando di finestre che per lui sono “confine tra l’interno, quello che pensiamo, quello che vediamo, quello che possiamo vedere, quello che dobbiamo vedere e quello che vediamo nella realtà cioè all’esterno”. Questo punto di equilibrio tra il mondo immaginato e quello reale viene identificato con l’“inquadratura”. Ma anche in letteratura tutto ciò non sarebbe male. A questo proposito, ci sono altre considerazioni da fare, secondo me molto interessanti soprattutto per chi ama l’Arte in ogni sua espressione e, quindi, anche per chi desidera scrivere o scrive in prosa e in versi. Come si sa, si dovrebbe partire soprattutto dall’osservare la realtà che ci circonda e quella che “sentiamo dentro”. 
A mercoledì 2 dicembre, dopo il III incontro di domani. Serena settimana a tutti. Ciao

 

 

  

domenica 29 novembre 2020

La magia delle FINESTRE

 5 minuti con poesia: II incontro: le finestre. Ho tentato di parlarne venerdì scorso. Ma come si fa a parlare di magiche emozioni, con la voglia di comunicarle e condividerle, in soli cinque minuti? Proprio quando avevo cominciato a farlo il trillino mi ha dato il segnale di STOP, che naturalmente non sono riuscita a rispettare…

Allora continuo a parlare qui della magia delle mie FINESTRE, magia di cui abbiamo bisogno oggi più che mai. Per alleggerire il cuore oppresso da tanto dolore, angoscia, paura per un virus pandemico che sta sconvolgendo tragicamente questo nostro corrucciato e indifeso pianeta. Come è facile notare, io ho bisogno di tempi lunghi e di “parole distese” per comunicare i miei pensieri.

Dunque, dicevamo. Le finestre, così semplicemente quotidiane e necessarie alla nostra vita conservano il mistero di buona parte della nostra vita: le apriamo di buon mattino per fare respirare la nostra casa col farvi entrare aria pura (almeno dovrebbe esserlo!) e luce e il mondo con le sue voci e suoni e rumori di strade e piazze e case che si risvegliano. Ma per me è quotidiano stupore notare come la luce penetri nelle nostre casa a illuminarle, dissipando il buio, come neve al sole. Mentre non   una sola ombra vola verso l’esterno ad oscurare il cielo. La casa conserva, non dissipa; trattiene, non caccia via. La stessa luce, se l’accendiamo la sera nella nostra casa non esce dalle finestre, si fermano dietro i vetri e, anche se le spalanchiamo, la luce rimane dentro, non si espande per le strade. Ditemi se questa non è magia! Solo noi possiamo entrare e uscire da casa, ma dipende da noi umani (compresi gli animali): è un atto di libertà e di volontà che appartiene a ciascuno di noi, a meno che non ci siano delle costrizioni o degli impedimenti a vietarcelo. Ma per entrare ed uscire abbiamo bisogno di un varco: la porta con una soglia che facilmente attraversiamo perché i nostri passi possano andare alla conquista del nostro piccolo mondo quotidiano o molto più lontano, magari non più a piedi ma con i tantissimi mezzi di locomozione che il secolo scorso ha conquistato per noi. Persino per farci andare alla conquista dello spazio: la “casta diva” luna o Marte, il pianeta che rosseggia, e via via sempre più su fino a sfidare le stelle.

Fuori dalla nostra casa lo spazio si fa infinito e noi rischiamo di disperderci.

Lo scrittore Antonio Tabucchi, che amo tanto, scrive: “La vastità del reale è incomprensibile, per capirlo bisogna chiuderlo in un rettangolo, la geometria si oppone al caos, per questo gli uomini hanno inventato le finestre”. E Emily Dickinson: “Un vuoto, la finestra, che può essere metafora dell’infinito”. Non è magia anche questa?

La nostra casa, dunque, è la risposta rassicurante dell’uomo alla sua ansia d’infinito e alla sua paura dell’infinito. È il nostro punto di ritorno, il nostro rifugio sicuro, la nostra protezione. Ma anche, come dicevo venerdì, la nostra segregazione, che ben presto ci rende insofferenti a quel nostro mondo asfittico che limita i nostri passi e le nostre esperienze da vivere. Ed ecco la finestra venire incontro a questo nostro bisogno/desiderio: guardare fuori, riappropriarci dello spazio, dell’orizzonte oltre le case, dei campi oltre il paese, del respiro del cielo, stando però nei limiti di quel rettangolo che ci salva dall’infinito sperdimento. La finestra ha un davanzale a cui appoggiarci o un balcone da cui affacciarci. E, altra magia, parla di noi e per noi con gli altri; dei nostri modi di essere. Ci definisce meglio agli occhi di chi è curioso di conoscerci. Comunica in silenzio le nostre intenzioni: può essere chiusa, semichiusa, spalancata, aperta, oscurata, serrata, rotta. Per queste caratteristiche è ambiguamente simbolica: si apre e si chiude, unisce e separa, permette di vedere e di essere visti, ma anche di nascondere e nascondersi. Indica dunque un atteggiamento e diventa metafora psicologica della vita stessa.

(Cfr. Monica Mazzolini, Appunti d’Arte, blogspot.com, 23 novembre 2020)

Dipende dalla nostra capacità di comunicare con gli altri o meno. Dall’ottimismo e dalla diffidenza, dall’indifferenza o dalla curiosità verso il mondo esterno. Dal bisogno di aprirci o di chiuderci agli altri.

Può fare da sfondo o essere l’oggetto principale di osservazione.

Eterna dualità della natura materica e umana.

Ed è su tale dualità che si gioca appunto la nostra vita: la dialettica costante tra la soggettività dell’IO e l’oggettività del MONDO. Il vano/davanzale della finestra abbraccia l’una e l’altra. Ed è in tale abbraccio l’illuminazione poetica! Dovuta, come sostiene il filosofo Bergson, all’“intelligenza”, che osserva le cose dall’esterno, e l’“intuizione”, che sente il “reale” dall’interno, e si identifica con esso.

Ed è questa, secondo me, la magia più grande a cui non può sottrarsi chi è amante del linguaggio poetico. Ma non solo. Nelle diverse declinazioni della creatività umana, tutti gli Artisti sono stati illuminati dalla magia della finestra.

Ma questo altro respiro d’infinito ve lo racconto domani. Buona domenica.

mercoledì 25 novembre 2020

Emozioni del giorno prima e riflessioni del giorno dopo - Blog “la poetologa”

5 minuti con poesia: “Il retino delle parole” - I incontro: reti e retino.


Ieri sera ho vissuto con inspiegabile emozione il primo incontro online con quanti hanno il piacere di leggere i miei libri e mi seguono su Facebook. Inspiegabile, perché non è la prima volta che mi capita di “andare in diretta”, eppure ieri ero proprio fuori fase ed ora, dopo una notte insonne, tento delle ipotesi: ieri pomeriggio mi si ruppe lo specchio mentre mi restauravo, per non sembrare una vecchia cariatide quale sono? Sempre ieri pomeriggio, un gatto nero con gli occhi gialli s’impossessò del giardino fissandomi a lungo con aria di sfida? Una cornacchia venne a gracidare sul muretto che separa il nostro spazio vitale da quello del vicino di casa?
Sarebbero dei validi punti di domanda se non fosse che non sono superstiziosa, che amo i gatti neri con gli occhi dorati e che le cornacchie mi mettono di buonumore per il loro grido roco di protesta perché il loro canto non allieta nessuno per quanti sforzi facciano poverine! E allora?
Provo a cambiare rotta. La verità è che mi sono lasciata prendere dall’“ansia da prestazione” perché, conoscendo la mia logorrea se vengo lasciata libera di parlare, avevo deciso di scrivere il mio primo intervento (cronometrato) per non andare oltre i 5 minuti concessimi. Abbiamo fatto anche più volte “le prove tecniche di trasmissione” (mancavano solo le pecorelle della TV 1956) per aggiustare, di volta in volta, il tiro con la pausa giusta, la giusta intonazione, il giusto ritmo per dire tanto in soli 5 minuti 5: io leggevo di “rete e retino” e Nicola, il mio amatissimo e pazientissimo nipote tuttofare, registrava con la clessidra rovesciata. E anche il suo pollice mi dava l’ok o lo stop. E così, prima di andare in onda, ho sistemato per bene i fogli sul tavolo, facendo, come si è sentito dopo, un fracasso del diavolo, mentre mi caricavo di ansia sempre più, sentendomi ingessata e imbavagliata da quei fogli che avrebbero dovuto darmi il tempo giusto. Che mi è sfuggito di mano come pure le parole sul foglio che vanamente inseguivo e non riuscivo più ad afferrare perché un minimo di benvenuto a modo mio dovevo pur darlo. Con un sorriso almeno. Una battuta estemporanea e tutte le cavolate che mi sono venute in mente senza più arginare, misurare, chiarire sinteticamente ma efficacemente il tutto. Un disastro, mentre Nicola mi faceva stringi stringi con il pugno che si apriva e chiudeva nel mio cervello in tilt. È andata così.
Ma la mia pervicacia non ha limiti quando devo difendere l’indifendibile. Quando devo chiarire posizioni scomode che segnano le mie sconfitte. In tutto ciò, infatti, ho a cuore quanto scritto su “rete e retino” per motivare a dovere la mia scelta per la rubrica “Il retino della parola”. E il tutto, se cronometrate, si riduce a 5 minuti 5.
Già ho motivato, nell’invito ad incontrarci, il significato di “rete” che è alla base della scelta del mio “retino”: La rete è un intreccio di fili annodati fra di loro a maglie più o meno fitte e richiama la funzione di catturare, ma si associa anche a quella di insidiare, nel senso di irretire, far cascare nella rete. Ed è, per estensione, anche qualsiasi intreccio di vario materiale con forma diversa, secondo lo scopo a cui è destinato. La rete di ferro dei letti antichi, per esempio. La rete di polietilene (plastica) della porta che un portiere deve difendere negli stadi. La rete di protezione di vario metallo a sostegno di siepi, che delimitano i parchi delle città o i giardini delle ville in periferia o in campagna.
E, purtroppo, mi viene in mente anche la rete con filo spinato a ingabbiare i circa 15.000 bambini ebrei, vittime della Shoah a Terezìn. O in Palestina, in terra di nessuno.
Ma essere in rete è oggi riferito pure al mondo della comunicazione multimediale: internet e i vari social, raggiungibili anche con il tablet o il semplice nostro cellulare. Qui la rete ha il senso bellissimo di navigazione, ma anche del perdersi in linguaggi poco praticati o praticati male, soprattutto da chi è anziano come me. Linguaggi, che bisogna imparare a conoscere per non ritrovarci irrimediabilmente confinati in un passato che non esiste più. I più giovani, invece, devono imparare a “dominarli” con discernimento.
Il retino, invece, ha maglie talmente fitte e spazi d’azione così brevi da potermi fare catturare, l’ESSENZIALE, quello che non può essere perduto, ciò che rimane e diventa importante: col retino, per esempio, posso inabissarmi nel mare delle parole per ritrovarmi a pelo d’acqua in un racconto o un romanzo; oppure posso perdermi nel bosco delle lucciole, che racchiudono le stelle di un cielo capovolto nelle siepi e tutto si fa poesia.
Ma oggi non si può andare al mare né ci possiamo perdere in un bosco a raccogliere lucciole. È tempo di covid e il mondo è talmente minaccioso da costringerci a guardarlo protetti dalla nostra casa, magari mai stanchi di osservarlo da dietro i vetri delle nostre finestre. E qui la solitudine ovattata e silenziosa ci fa catturare altre parole, altre stelle. Ci offre la possibilità di ripescarle nei ricordi, magari guardando vecchie fotografie conservate in alcuni album del tempo che fu o in cassetti più o meno dimenticati.
E allora, oggi, mi piace partire proprio da una parola che è rimasta bloccata nel mio retino: FINESTRA.
Sono tanti i nostri libri che si affacciano dalle finestre per prendere il volo…”.
Cronometrato? Ci stava tutto nei 5 minuti a ritmo sostenuto. Avrei sforato per dire ciao, a venerdì 27. E invece sapete come è andata. Beh, ci riprovo al prossimo incontro, dove parlerò appunto di FINESTRE. Ma senza più foglietti, andando a braccio perché credo presuntuosamente che mi riesca meglio. A venerdì, spero. Mi rimetto, senza più possibilità di presunzione, alla vostra clemenza e al vostro affetto… Ciao. 

venerdì 13 novembre 2020

PASSI D’AUTUNNO (seconda parte)

“Il turbante di van Eyck”

Svettante vessillo

di fiamma e di sogno

 tra pensieri di uccelli migratori

 verso cieli lontani

 l'ampio capello

 nella sontuosità di pieghe come onde

 a bruciare il mare.

 Forse ricordo forse nostalgia.
 Lame taglienti

 gli occhi che osano

 abbattere frontiere

 e fare preda d'incontro

 i sogni altrui sparsi 

 nello spazio-tempo di un richiamo

                muto

 E la mano è un pugno

 a bloccare il demone

 d'ogni possibile rimpianto.

(a Marisa Carabellese, autrice del ritratto)

 

IL SOLE TEMPESTOSO

 

Il sole tempestoso d’autunno

ha ruggito di leone

e cuore di miele

ad addolcire gli affanni

degli uomini,

tra foglie che cadono

in silenzioso pianto.

Esplode in un cielo di sangue

che non sa capire la tenerezza

l’amore.

E lapilli di odio e violenza

quasi magma

al centro della terra

distruggono alberi e case

e un sogno bambino che mai diverrà.

Volano uccelli migratori

incontro a un’alba di giorni lontani

quando è ancora atteso

il miracolo della vita…

 

 Questo cielo di novembre

È velo cilestrino                                                                                

questo cielo di novembre

ricamato a pizzo macramè

- nuvola leggera

velo di chiesa che deponevo

sui capelli arruffati d’autunno

all’ingresso della casa del Signore -.

Emozioni ritornano tra rami

di cedro scompigliati dal vento

più del vento nei riccioli scomposti

e respiro un Cielo tutto mio…

             (è domenica)

 

Passi d’autunno 2

Caduto è il vento

- che non si è fatto male -

Ripescato il mare

in un delirio d’azzurro

oltre la collina smerigliata

di sole stanco di lottare

con nuvole leggere e passi

d’autunno.

L’abete è un fremitare d’ali:

capini, code, ripicchi familiari

di voli di appena tentata libertà.

Brevi voli tra i rami:

i piccoli non sanno andare

lontano.

Simile è il mio desiderio di cielo

infilzato al primo palo della luce

(domani oserò raggiungere il secondo…).

 

Cielo grigio di novembre

Cielo grigio sui rami di novembre

tormentati dal vento

e una pioggia di solitudine mi assale

- la solitudine si deve fuggire

si deve fuggire,

sol con le compagne

si può gioire,

sol con le compagne

si può gioire…

Cerco una bimba

che sappia cantare

che sappia cantare.

Cerco una bimba

che sappia danzar… -

Mi torna in cuore

l’antico canto di noi

bambine

a vincere solitudine

e malinconia.

A far vincere ingenuità

e allegria.

E comincio a cantare       piano

mentre danzo danzo       danzo

sul verde prato

     assolato

che “nel pensier mi fingo”…

         (e sono salva…)

 

PEGASO E IL MIO SOGNO (ballata)

Cavallo alato

d’antica memoria

in volo fino alle stelle

ho incontrato

dove trovò dimora e notturno canto

il mio sogno di un mondo migliore.

Di cielo indaco e blu ha colore

questo mio fiore che si schiude

come preghiera

sul dolore degli uomini

e l’inascoltato cuore

di giovani madri in fuga

su mari di naufraghi e sirene,

dove l’approdo è solo una speranza

in questa danza

di onde alla deriva.

 

E la gente moriva moriva moriva

e la coscienza dormiva dormiva dormiva

in un mare d’indifferenza o di ostilità

senza l’antica umana pietà

ch’era fatta d’accoglienza

e di dolore per ogni assenza.

 

Al ristoro di giorni attesi,

che trascolorano di misfatti

e piangono ogni disperato naufragio

della nostra umanità,

ho dispiegato il mio canto

di rivolta e libertà

e cerco un azzurro sorriso

a rendere più terreno il Paradiso

 un volo più alto delle stelle

per accendere fari di approdo

a tanti miei fratelli disperati

che fuggono dalla guerra e dall’orrore

di anime e corpi mutilati

dove non si respira un briciolo d’amore

 dove ogni giorno gronda sangue

dove non è più facile la riva

 

E la gente moriva moriva moriva

e la coscienza dormiva dormiva dormiva

in un mare d’indifferenza o di ostilità

senza l’antica umana pietà

ch’era fatta d’accoglienza

e di dolore per ogni assenza.

 

(vorrei offrire un nido per ogni dolore

e poter ancora sognare un mondo migliore)

 

                                               Angela De Leo