sabato 26 novembre 2022

Sabato 26 novembre 2022: Contro la violenza sulle donne: ieri, oggi, ancora...

Non scrivo su questo argomento già trattato ieri, ampiamente e intensamente, da tanti amici poeti. Mi limito, pertanto, a mettere insieme le loro voci perché il nostro grido sia un urlo di dolore e ribellione, nonché di ri-costruzione di ogni “IO” ferito, offeso, mutilato ma mai distrutto o annientato. Si può e si deve sempre ri-nascere.

E parto dalla splendida silloge poetica, ancora inedita, di Roberta Lipparini dal titolo La lavanda dell’orco, decisamente in tema: Quando lui morirà (il mio mostro, l’aguzzino) cosa accadrà al mio cuore?/ Cosa rimarrà di me, che di quell'orrore mi sono data forma e nome?/ Si spegnerà la mia anima?/  Cesseranno le grida, le parole tenerissime, gli insulti strazianti?/  A che nuovo tempo mi potrò battezzare? A quale senso?/

Quanta parte di me si porterà via?/  Di quale vuoto mi lascerà orfana?/ Cosa accadrà quando morirà il mio orco?/  Il mio grande dolore, il mio fiato/ il mio sangue versato, il mio perpetuo addio/ il mio passo malato, il mio essere... io

Ed ecco gli intensissimi versi di Mattia Cattaneo, di cui conosciamo la sensibilità e la grande forza aggregante (“Contro la violenza sulle donne”):

con i tessuti slegati/ e la polvere sui gomiti/ una barca rissa in mezzo/ all’oceano del pianto// non sono una delle tante/ una di quelle che ha fatto le scale con il mento/ ma sono una e per ognuna/ a cui è stato schiaffeggiato il disprezzo/ le mani a forma di fendente// il corridoio l’ho visto tutto e ho sentito il peso inutile di un bacio malato/ un’intera costellazione di spine/ sulla quale stendere un velo bianco/ davanti alle tue menzogne// la finestra sbatte/ ho chiuso i conti col dolore:/ mi rimane un po’ di tempo per appoggiare/ le mani/sugli occhi che conoscevo

Di Anna Mininno ecco un alternarsi di prose e di poesie di questi ultimi anni. Segno di una tematica che le sta profondamente a cuore:

Sfumature/ piccole cose/ a latere/ dicono che/ non muti il tiro/ - retaggio/ incastonato/ nella testa tua/ ancestrale -/ Ma nel baillamme/ del tuo cuore/ sarò io/ la scheggia tua/ costante/ che chiamerai Impazzita (25 novembre 2018)

Una giornata scomoda per molti, semmai si riuscisse a pensare che il male è sempre a monte. Cerchiamo di non intasare il tutto di luoghi comuni, o di sterile retorica, ed educhiamo educhiamo educhiamo, dal concepimento in avanti senza sosta o deroghe, che non esiste differenza di genere ma solo di ruoli, che il rispetto è doveroso verso tutti e chiunque e che esso non comporta l’annullamento del sé. Più che i geni o gli ancestrali convincimenti valgono molto di più gli esempi e l’educazione. Ma spesso capita di dimenticarsene! (25 novembre 2019)   

Penso ci sia un difetto di interpretazione. È la donna che con l’uomo genera albe future, unendosi e moltiplicandosi. Ogni deviazione è vilipendio di strafottente e disumana onnipotenza che il mondo deve cancellare. Occhio, dunque, a chi ama possedendo, a chi ha il mal di donna, a chi non sa di rispetto e gentilezza. Occhio a chi non ha e non riconosce amore. Occhio alla vita, diritto inalienabile che Caino non può e non deve toccare (25 novembre 2021)

Giù le mani, voglio crederci ancora!/ *// avanzo di te il senso/ dei giorni già passati/ e lo scotto/ del gioco mai giocato// avanzo di te tutto/ avanzo io di te// avanzo di te i sogni/ in urna di cristallo/ e le carezze/ di fantasie scolpite// avanzo di te// avanzo di te l’aurora/ che porta al tramonto/ per amore/ e solo per amore// in cambio io di te (25 novembre 2022)

Di Maria Concetta Giorgi due poesie molto intense “Finirono” e “Rosso”, anticipate da una breve prosa, molto significativa, che vale la pena leggere:

Per tutte le donne, per tutte quelle che combattono perché sono donne. Per una domanda così banale che non dovremmo farcela: “Perché le donne devono combattere per essere donne?”. Siamo un ostacolo per chi?

Rosso

Sangue sul palmo delle mani/ sui muri dipinti dal sangue./ Rosso di un tempo deciso/ dalla divisa di un combattente./ Rosso aspro, brillante e porpora/ rosso violento in una roccia carsica./ Rosso che se duro/ in un giorno di dolore./ Rosso che scolora/ quando al tramonto il sole/ perde e piange/ di rosso.

Finirono

Finirono quei giorni/ finì tutto/ non sapevamo più chi fossero gli uomini/ eravamo il capriccio dei senza senso/ il tempo dei finiti/ volevamo rubare le ore/ correre l’amore/ volevamo i passi./ Non c’erano storie a concludere i nostri pensieri/ c’era quello che non avremmo mai voluto/ la solitudine insopportabile/ la perdita dei confini sui muretti a secco/ la divinità spenta dei nostri corpi. (25 novembre 2022)

Di Angela Strippoli una poesia molto amara, molto vera, molto sua. Imperdibile:

Tutti i giorni/ Io non ti perdono//Non posso// Non voglio// Se quel giorno/ Se quel giorno avessi urlato/ Forse/ Avrei potuto// Se avesse urlato mia madre/ Forse/ Ti avrei perdonato// Ci saremmo salvati insieme// Se urlasse oggi, mia figlia/ Se si ribellasse allo schifo/ Piuttosto che sguazzarci dentro/ Forse ti perdonerei// Forse// Da queste ceneri/ non perdono/ Non c’è stella in questo universo che perdona// Non posso/ Non voglio// Sono il fantasma che toglie il sonno/ Sono la stella che vola alto/ Sono gravida di tutte le donne morte/ Sono incinta di mia madre, di mia figlia e di me, pure// Sono morta che avevo cinque, sei anni/ Mio fratello pure/ e mia figlia è nata vittima/Poi/ Carnefice/ Mia madre, non è mai nata// Non perdono/ Non posso// Offenderei Dio

Di Mariateresa Bari “La terra chinavi”, intrisa di dolcezza e di sogno fino al triste risveglio dell’alba:

Quando sui tuoi petali/ fiatavo sublime/ capolavori immaginavo per te/ altezze da difendere/ chiome da accarezzare// Tu ramificavi nel grave/ il suono del tuo dolore/ plumbeo il latte/ al seno della mia notte// E la terra chinavi al silenzio

Di Raffaella Leone una poesia mista a prosa poetica: stupende nella loro amara intensa verità:

Zitta zitta devi stare zitta// Ferma ferma devi stare ferma mentre ti divoro il cuore ti sego le ali interrompo la tua corsa spacco il tuo respiro pugnalo il tuo pensiero// Non gridare nessuno ti sente mentre ti uccido per sempre.// Resta immobile sull’asfalto laveranno il tuo sangue e dimenticheranno.// Io verrò a piangere dietro la tua porta avrò le mani di rose e tornerò di nuovo e di nuovo ancora perché tu non gridi, stai zitta, pieghi la testa, stai ferma, mentre io ho ancora tempo per divorarti il cuore.// Mai più zitte// Mai più ferme// Mai più in silenzio

 Come è facile notare è soprattutto sulla pelle delle donne che striscia il dolore come serpe velenosa e crudele. Gli uomini sono pochi e sono quelli che hanno una sensibilità femminile che li connota nella veste di poeti e di artisti a tutto tondo. Per fortuna, esistono. E sono la nostra luce. Il nostro conforto. Io mi fermo qui per oggi. Depositando queste testimonianze tra le mani di tutte le donne tradite da “malato amore”, ma anche di tutte le donne che sanno apprezzare i loro uomini che hanno la forza e il coraggio di amare. Eccone almeno tre: Mattia, Michele e Giovanni, ma sono sicuramente molti di più. Ricordiamocelo! Io potrei citare mio figlio Giuliano Leone, e i miei generi: Peppino Piacente e Riccardo Pinna.

Mi ritengo davvero fortunata. Sono loro che, al di là del 25 novembre, mi danno la forza di non recriminare su ciò che mi manca, ma di apprezzare immensamente quello che ho ricevuto in dono dalla vita…

Assumerò sogni disoccupati/ voragini di presenze/ per averti al mio fianco sempre (Michele Carniel)

Mio fiore, piccola luce. Ti scrivo da questa malinconica pioggia che cade su tutte le cose vive e dentro il mio cuore, anche l’acqua si aggrappa al cielo disperatamente e io sento quel pianto così vicino, quasi dentro i tuoi occhi. Stasera, mio fiore, tra il fumo e le risate, fai aggiungere una sedia, prossima alla tua luce, al tuo odore irrequieto, mia piccola luce. A quanti chiederanno, tu di’ che l’amore è un posto lasciato a chi ci abita l’anima. qualcuno riderà, qualcun altro non farà caso alla luce intorno alle tue parole. Ti scrivo, piccola luce, così tu possa sentire la mia voce percorrere la tua, come il rumore dell’acqua la sete. (28/5)

Altrove è tutti i posti dove ho deciso di attenderti

Noi è la prima persona del verbo amare. (Giovanni Sepe).

Alla prossima. Angela

lunedì 21 novembre 2022

Lunedì 21 novembre 2022: Giornata Mondiale dei Diritti dell'Infanzia e dell'Albero: qualche altra riflessione...

Riprendo da quanto scritto o riportato ieri: Certo, è una bella responsabilità farsi carico del proprio talento, appunto perché non lo scegliamo. Non è un’attitudine, è una dote. Da Platone a Hillman, in molti hanno parlato di “daimon”, una specie di spirito guida, un compagno invisibile portatore del nostro destino, che è la nostra componente originaria, il nostro codice da decifrare, attuare e onorare.

La penso esattamente come Simone. Desidero aggiungere, però, che oggi è il 21 novembre, “Giornata dell’Albero”. È una giornata che mi piace molto perché segna il nostro contatto con il mondo naturale. Bellissimo è il rito di piantare gli alberi, di cui si fanno carico la Scuola dell’Infanzia e la Scuola primaria per educare i piccoli e i ragazzi all’amore per le piante e gli animali, al rispetto per i generosi alberi che danno tutto di sé senza nulla chiedere in cambio se non un minimo di cura per non appassire. Ritengo, infatti, che per tutte le cose occorra partire dalle origini, dalla natura, che è la madre primaria della nostra esistenza, fonte del nostro quotidiano sostentamento. Se poi nella natura vediamo tutte le Creature di un Creato voluto da un Creatore, allora anche in un albero potremmo vedere l’immaginaria fonte dei nostri talenti: le radici che affondano nell’humus della terra; il tronco che cresce verso l’alto e mette rami e foglie e germogli per dare i suoi frutti in base al suo codice, che fa di un albero quell’albero e non un altro. Albero, che verdeggia e fa ombra o dà i frutti non per sé stesso ma per gli altri in una continua offerta di sé per il benessere di tutti. E i rami più alti sembrano forare il cielo alla ricerca, non sempre vana o illusoria, della carezza rassicurante di Dio. L’importante è crederci. La fede ci salva sempre. Anche dal razionalismo, dall’agnosticismo, dal materialismo e persino dal nichilismo. Almeno io credo! E mi piace concludere con due voci complementari: … Siamo un corpo energetico, ogni molecola del corpo umano in realtà è una vibrazione di energia. L’atomo, quando cambia stato, sta assorbendo ed emettendo frequenze elettromagnetiche. Oggi si sa già che diversi stati di emozione, percezione e sentimenti si traducono in diverse frequenze elettromagnetiche. (…). Così lavora l’universo, perché riporta in restituzione ciò che emettiamo. Elimina dalla tua vita l’abitudine di guardare il lato cattivo delle persone e delle situazioni. È possibile che oggi veda i tuoi ostacoli e sia diventato esperto nel lamentarti e non nel ringraziare. Per questo non puoi fare a meno di parlare della crisi finanziaria, delle persone che la provocano, delle situazioni che ti feriscono e delle frustrazioni della vita. (…). Siamo rimasti intrappolati dalla vibrazione della nostra energia negativa. Anche se intorno a noi sembra che ci siano mille motivi per lamentarsi, dobbiamo guardare da un altro focus e trovare così motivi per essere grati. La gratitudine è uno degli strumenti più potenti per aumentare la vibrazione che puoi praticare. Un esercizio fondamentale per la tua crescita è essere grati alle persone e alle situazioni della tua vita che ti fanno andare fuori di testa ed arrabbiare. Scopri così perché sono tutti così arrabbiati intorno a te. Considera la possibilità che agiscano come uno specchio per mostrarti aspetti di te che devi cambiare. Quello che dobbiamo sapere è che tutti abbiamo il talento, l’energia e la capacità di essere felici. Ma dobbiamo dare i comandi giusti alla nostra mente, in modo che possa attivare i nostri talenti più appropriati in ogni situazione rendendoci al top di quello che possiamo realizzare di noi. Uno degli ingredienti principali della felicità è essere grati per tutto quello che abbiamo e per le persone che arricchiscono la nostra vita. Thic Nhan Thahn, poeta e pensatore Zen, volato di recente tra le stelle.

Ma, in questo periodo di lacrime e di violenze a livello mondiale, chi ci esorta a non perdere la Speranza e a essere Felici è il Papa dei poveri, degli oppressi, dei perseguitati, dei bambini calpestati in un mare di sangue e delle madri aggrappate alla croce del loro dolore. Papa Francesco. Tanti sono i suoi scritti in questi giorni di lutti e di pianto: Rileggere la propria vita educa lo sguardo, lo affina, consente di notare i piccoli miracoli che il buon Dio compie per noi ogni giorno; L’amore è inquieto. L’amore non tollera l’indifferenza. L’amore ha compassione. Compassione significa mettere il cuore in gioco, significa misericordia. Giocare il proprio cuore verso gli altri: è questo l’amore. L’amore è mettere il cuore in gioco per gli altri. È, infatti, l’amore il veicolo trainante verso la felicità e Papa Francesco scrive ancora: Ricorda che essere felici non è avere un cielo senza tempesta, una strada senza incidenti, un lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni. Essere felici è smettere di sentirsi una vittima e diventare autore del proprio destino. È attraversare i deserti, ma essere in grado di trovare un’oasi nel profondo dell’anima, e ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita. È baciare i tuoi figli, coccolare i tuoi genitori, vivere momenti felici con gli amici anche quando ti feriscono. Essere felici è lasciare vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice. È avere la maturità per poter dire: “Ho fatto degli errori”. È il coraggio di dire: “Mi dispiace”. È avere la sensibilità di dire: “Ho bisogno di te”. È avere la capacità di dire: “Ti amo”. Possa la tua vita diventare un giardino di opportunità per la felicità… che in primavera possa essere un amante della gioia e in inverno un amante della saggezza. E quando commetti un errore ricomincia da capo. Perché solo allora sarai innamorato della vita. Scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta. Ma usa le lacrime per irrigare la tolleranza. Usa le tue sconfitte per addestrare la pazienza. Usa i tuoi errori con la serenità dello scultore (…) soprattutto non mollare mai le persone che ti amano. Non rinunciare mai alla felicità perché la vita è uno spettacolo incredibile.

Lo credo anch’io, soprattutto in riferimento ai nostri bambini e adolescenti che meritano di vivere in un mondo migliore di quello che gli stiamo lasciando in eredità. Riempiamoci di pensieri positivi e di Speranza se vogliamo accarezzare l’utopia di un futuro mondo di PACE. A cominciare da oggi. Domani potrebbe essere molto tardi, perché già ai nostri giorni regna sovrano il culto del brutto, della volgarità e della violenza; la paura della guerra nucleare; il bisogno di immergersi tra la folla ritrovata quasi che il Covid 19 sia un lontano ricordo e non una minaccia sempre incombente, date le sue continue mutazioni. Ma desidero cercare e trovare un valido appiglio di Speranza soprattutto facendo riferimento alla Generazione Z di fine millennio e inizio nuovo millennio. Generazione, che è padrona della tecnologia digitale e ha nuove modalità di approccio al mondo virtuale e reale; è  più consapevole e responsabile dei pro e dei contro dei nuovi sofisticatissimi strumenti di informazione e comunicazione a livello planetario e interplanetario. Oppure ai Ragazzi “Indaco” e “Cristallo”, che lasciano ben sperare in una nuova spiritualità, fatta di riscoperta del Cristianesimo e di un nuovo Umanesimo. Sono, questi ultimi, ragazzi dotati anche di straordinaria memoria, chiaroveggenza, sensibilità artistica, attitudini paranormali, sensitività, telepatia, talento nelle sue molteplici applicazioni. E di AMORE nel sommo grado del PERDONO. Come vado leggendo su riviste culturali, scientifiche e non.

 Saranno questi nuovi nati tra i due millenni a favorire un cambiamento di rotta a livello mondiale e a scongiurare le guerre in atto e la distruzione del nostro pianeta?

Io spero nelle loro “ribellioni” positive e propositive e spero anche nelle loro parole nuove a tenerci compagnia durante il viaggio dell’anima in cerca di possibili rive di felicità. Occorre munirsi di ricordi. Approdare all’infanzia del mondo, alla nostra infanzia, a quella dei nuovi nati per scoprire quanto diverso sia stato e sia il modo di essere bambini nello scorrere del tempo.

Ai primordi dell’umanità era appunto la “non conoscenza” a colmare gli occhi di “curiosità” per scoprire il mondo e farselo amico, in mezzo a enormi difficoltà di “adattamento reattivo” alla realtà circostante.

La nostra infanzia ha avuto sapore di grandi scoperte e di enormi perdite di riferimenti valoriali da recuperare.

Oggi c’è tanta conoscenza e tanta realtà virtuale da confrontare con quella reale sempre più filtrata, spesso negativamente, dai nuovissimi strumenti di informazione e comunicazione.

Rimane la fiducia nei nuovi bambini e nella possibilità di una rinata Umanità. Angela

 

  

domenica 20 novembre 2022

Domenica 20 novembre 2022: Giornata Mondiale dei Diritti dell'Infanzia: qualcosa da ricordare...

È un novembre caldo/freddo/caldo/freddo con acquazzoni fittissimi e folate di vento in un turbinio di foglie da capogiro. Siamo tutti raffreddati in casa e fuori. Nel giardino ci sono ancora foglie calde di sole che si staccano dai rami dorati e vanno a coprire pavimentazione e terreno. Un soffio di vento le solleva di nuovo. Ora danzano le ore del mattino per farmi compagnia. Dalla finestrella del mio incanto vedo la magnolia oscillare, il pettirosso beccarsi il petto per togliere quella macchia di sangue che sa di ferita e tormento, la volpe in agguato lo mangerebbe volentieri, ma non si azzarda a rincorrerlo perché sa che nel volo avrà la peggio, deve escogitare qualche inganno. I gatti acciambellati fanno le fusa e mamma e papà proteggono il piccolo nato dall’ingorda volpe e dai suoi pensieri cattivi… due scriccioli ignari cercano cibo e si attardano senza la presenza di una mamma a prendersi cura di vederli volare per vivere. Guardo il mio “piccolo mondo antico” oltre la vetrata della casa ancora addormentata e mi ritornano alla mente i bambini che circa vent’anni fa l’hanno abitata: i miei adorati nipotini. Oggi sono adulti e seguono già la loro strada di studio e di lavoro con un pizzico di determinazione, coraggio e talento in tutto quello che fanno e realizzano, rendendomi fiera e felice... E oggi, guarda caso, è la Giornata Mondiale dei Diritti dell’Infanzia, voluta dalla Convenzione ONU e approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989. Ma già 120 anni fa, la scrittrice svedese Ellen Key scrisse Il secolo del bambino che condusse alla scoperta dell’infanzia (dopo l’antesignano Rousseau che aveva pubblicato Emilio o dell’educazione - 1762 - romanzo pedagogico di grande importanza per la scoperta dei bisogni infantili) da parte di psicologi, pedagogisti, insegnanti, genitori. Sappiamo, comunque, che a distanza di oltre un secolo tali diritti non ancora sono stati raggiunti neppure in Italia, men che mai a livello mondiale. Eppure il Novecento fu dichiarato proprio “il secolo del bambino”. Oltre 200 anni di storia non sono bastati a dare ai piccoli le fondamentali risposte politico-socio-culturali ai loro reali bisogni di crescita e autoaffermazione personale in vista di un futuro da vivere da protagonisti e mai più come esseri invisibili, ignorati o molto più spesso vittime sacrificali della violenza degli adulti (dallo spartano monte Taigeto alla romana rupe Tarpea fino al parricidio di Vetralla dei nostri giorni). Vi chiederete: cosa c’entra tutto questo con pettirossi, scriccioli, gatti, volpi, nipotini e la parola “talento”? Credo sia il giusto preambolo a quanto vado analizzando da un po’ di tempo, seguendo il libro di Simone Cristicchi Alla ricerca della felicità. Ebbene Simone, al riguardo, scrive: 

Ci sono cose che non si possono comprare. Sono inacquistabili addirittura nell’attuale mondo mercificato, fuori dalla portata dei miliardari e delle carte di credito placcate. Semplicemente non sono in vendita: le puoi avere solo se le conquisti, non se le acquisti. Con i soldi puoi comprare una casa, ma non una famiglia. Puoi comprare un letto, ma non il sonno. Puoi comprare un orologio, ma non il tempo. Puoi comprare un libro, ma non la saggezza. Puoi comprare una posizione sociale, ma non il rispetto. Puoi pagare un medico, ma non la salute. Puoi comprare il sesso, ma non l’amore. Puoi comprare il successo, e spesso anche chi te lo riconosce, ma non il talento.

Ma cos’è effettivamente il TALENTO?

Leggo dalla Treccani che etimologicamente Talento deriva dal greco “tàlanton” che significa “piatto della bilancia, peso, somma di denaro”. Poi scopro da altre fonti (vocabolari, riviste di psicologia e cultura generale, ecc…) che ha assunto, nel tempo, il significato di “inclinazione” (dal piatto della bilancia appunto) e, infine, di “talento”, secondo il significato evangelico (dalla parabola dei talenti del Vangelo di Matteo: parabola, che a me piace molto perché anche molto esplicativa e formativa). Dunque, talento come inclinazione, dote innata, propensione a fare facilmente alcune cose che ad altri risultano difficili; genialità, vocazione, necessità, e così via.

I genetisti affermano che è innato ed ereditario; gli ambientalisti sostengono il ruolo primario dell’ambiente nella sua scoperta e nel suo potenziamento. Ritengo che entrambi abbiano ragione. Ma probabilmente il talento è anche molto di più.

Simone continua: Il talento è gratis, te lo regalano, nasce insieme a te.

Ecco l’attinenza con i bambini e l’infanzia. I bambini sono dei creativi e “visionari” per eccellenza (“la scopa che diventa cavallo” - “l’amico immaginario”…). Bisogna scoprire per tempo i loro talenti e aiutarli a potenziarli e a utilizzarli per fare grandi cose in un solo o in più campi. Non è un caso che questo dono immenso, più della stessa vita, come andrò a chiarire secondo il mio punto di vista, ci sia stato misteriosamente e prodigiosamente dato. A chi più, a chi meno. Probabilmente chi lo ha ricevuto in piccola misura è chiamato alle scelte quotidiane della vita; chi lo possiede in grande misura è destinato a perseguire un fine nobile per quanti lo circondano o per l’intera umanità.

Sono personalmente convinta che la vita senza creatività potrebbe scorrere in maniera banale, sempre uguale e persino piena di sofferenza e insoddisfazione perché ritenuta, a torto, immodificabile. La creatività ci permette di modificarla a nostro piacimento, magari colorandola solo col pensiero, in quanto è quella qualità della mente che ci fa “rinascere infinite volte” (Fromm). Se essa poi si identifica con il talento in uno o più campi della nostra operatività esistenziale, allora possiamo veramente ritenerci dei privilegiati.

Cristicchi scrive ancora: È un’app già installata nel nostro sistema operativo, va solo trovata la password. C’è chi impiega una vita a scovarlo e chi muore senza neanche averlo cercato. Altri ancora dimenticano di possederlo, come capita alle anatre domestiche: non volano, eppure potrebbero.

Esempio diretto alle generazioni della comunicazione virtuale, propria del nostro tempo. Molto calzante anche l’esempio delle anatre domestiche, che non riescono più a volare pur essendo dotate di ali. Come dargli torto? L’esempio opposto è quello dell’albatro di baudelairiana memoria che è goffo sulla terra, ma invincibile nell’eleganza e nell’altezza del volo. Una tenera via di mezzo la troviamo nella gabbianella a cui un gatto insegnò a volare del mitico Luis Sepùlveda.

Occorre favorire per tempo la scoperta del talento. L’analisi delle “intelligenze multiple” di Howard Gardner (visuo-spaziale, linguistica, interpersonale, musicale, corporeo-cinestetica, intrapersonale, logico-matematica, naturalistica, esistenziale…) ci dovrebbe aiutare, partendo dall’assunto fondamentale che “l’intelligenza è la capacità di comprendere il mondo in cui viviamo e di risolvere i problemi ambientali, sociali e culturali che ci vengono posti in ogni momento della nostra esistenza”.

Quanto tempo perso in tentativi ed errori nell’apprendimento si eviterebbe se per tempo dessimo ai nostri bambini gli strumenti per scoprire l’area principale del proprio talento per avviarsi più speditamente verso la conoscenza di sé stessi e del mondo circostante! Quanti momenti bui di disistima, scoramento, rifiuto di apprendere e fuga dalla scuola e dalla vita (in casi estremi ma non rari) eviteremmo ai nostri bambini e adolescenti, se li aiutassimo a comprendere per tempo il proprio potenziale intellettivo e a far leva su quanto più desti in loro interesse e la forte motivazione ad apprendere “operativamente”. Facendo, cioè, leva sulla capacità/volontà di scoprire il sapere, attraverso la personale ricerca, poggiandosi anche sulla “transitività cognitiva” che permette agevolmente di passare da una conoscenza all’altra senza intoppi. Quando, invece, noi perdiamo di vista le nostre potenzialità, quando ci infiliamo nel gregge, nel flusso modaiolo, nell’andamento generale, noi rinunciamo a volare…, sostiene ancora Simone. Ed io aggiungo: rinunciamo a noi stessi. Ad ESSERE, ad ESSERCI! (continua)

 

 

venerdì 11 novembre 2022

Venerdì 11 novembre 2022: San Martino: un friccico di sole a rinnovare la leggenda...

Oggi mi conforta una quasi certezza: c'è un raggio di sole a rinnovare la leggenda di San Martino. basta solo questo per renderci felici? Se la ricerca della felicità passa attraverso l’amore soprattutto degli altri e per gli altri, quale sentimento individuale e universale ci rende più forti o più umili di cuore se non l’amore? Ricordo che circa un anno fa, il giorno di San Martino, 11 novembre scrissi proprio qualcosa al riguardo e, per alcune riflessioni, partii, ancora una volta, da Alla ricerca della felicità di Simone Cristicchi e dalle sue due prime parole, su cui soffermarci per cercare e scoprire il bandolo della ingarbugliata matassa della nostra vita: “attenzione” e “lentezza”. E, quel giorno, mi sembrò proprio il caso di ricordarle in quanto si festeggiava appunto San Martino, il santo del mantello diviso per donarlo a chi ne era sprovvisto.

La leggenda narra che un giorno d’autunno - molto probabilmente l’11 novembre - mentre usciva a cavallo da una delle porte della città di Amiens, in Francia, Martino s’imbatté in un uomo molto povero, nudo e infreddolito. In quel giorno, in cui era proprio il maltempo a farla da padrone, San Martino s’impietosì e decise di aiutare il povero. Senza pensarci due volte tagliò il suo mantello di lana per donargliene metà. Di fronte a quel nobile gesto, la pioggia dopo pochi istanti smise di cadere, il cielo si aprì e spuntò il sole, facendo diventare la temperatura subito più mite. Martino quella notte sognò Gesù che gli rivelò di essere lui il mendicante al quale aveva donato il mantello. Quindi leggenda vuole che, ogni anno, ci sia un’interruzione della morsa del freddo per commemorare quanto aveva fatto quell’11 novembre”.

Sta di fatto che Martino da Tours, di nobile famiglia, nato nel IV secolo dopo Cristo, da militare divenne vescovo di Tours e poi santo. Ma non è solo una storia/leggenda cristiana; essa appartiene a tutte le religioni che festeggiano i santi. C’è anche una spiegazione scientifica, che sarebbe troppo lungo qui approfondire. A noi basta fare riferimento all’“attenzione” che sicuramente il santo ebbe nei riguardi del mendicante, e alla “lentezza” con cui andava a cavallo, altrimenti neppure si sarebbe accorto della presenza dell’uomo, “nudo e infreddolito”. Sono tutte queste le “ben più ampie prospettive” che si dischiudono ad ogni scoperta di nuovi orizzonti e nuovi mondi? Ritengo proprio di sì, ma usando sapienza e umiltà, senza mai l’arroganza di essere detentori di assolute verità. Soprattutto "umiltà" è la meravigliosa parola che il nostro cantautore-attore-poeta “rapina” a Pier Paolo Pasolini e al suo film-documentario “Comizi d’amore” del 1963. Alla parola umiltà Cristicchi premette, tra l’altro, come esergo, una riflessione del geniale scienziato Albert Einstein:

Chiunque faccia scienza si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo, davanti a cui noi, con la nostra umana debolezza, non possiamo che essere umili.   

L’umiltà è, dunque, una dote necessaria all’uomo di fronte al mistero del Creato. Non se ne può fare a meno. Solo la nostra arroganza ci fa dimenticare questa necessità. A questo proposito, mi piace riproporre la poesia molto profonda di Giovanni Gastel: Questo giardino/ potrebbe essere solo/ un bosco di persone/ agitate e complicate dal vento./ Ma non cerco la differenza stasera/ voglio con me il dubbio di non essere diverso/ da questi fiori da queste piante./ Senza più sangue pulsante/ ma verde linfa che scivola dentro di me./ Torna immenso Pan/ a confermarmi che sono ancora parte del tutto/ come era un tempo/ prima della paura e dell’arroganza. E non servono parole. Solo un’ammirazione muta per tanta bellezza e verità. Ed ecco una prosa che ritengo di profonda umiltà. È del nostro amico, professore, scrittore e poeta David la MantìaÈ quando senti che il tempo comincia a mancare che più chiare ti appaiono le cose. È allora che avere la possibilità di scegliere un’ultima volta diventa un privilegio, una fortuna enorme. Ecco, io so bene cosa devo fare ancora per il tempo che mi resta: aiutare animali in difficoltà, ascoltare i miei allievi, ascoltare tutti quelli che posso, raccontare storie, dormire dopo aver salutato gli affetti. Vorrei sottolineare, a questo punto, l’importanza dell’umiltà dell’ascolto. Ascoltare significa fare spazio all’altro. “Chi impara ad ascoltare si apre al tu e al noi,” superando il proprio egocentrismo, solipsismo e narcisismo, impara a conoscere sé stesso, conoscendo e riconoscendo l’altro. Con umiltà e discernimento. “L’aprirsi all’ascolto, dunque, equivale ad ammettere la propria finitezza, presuppone un sapere di non sapere, un essere coscienti della perfettibilità delle proprie conoscenze, è mettersi comunque in discussione, un riconoscere nell’altro una persona che è portatrice di ragioni che non devono essere sottovalutate, ma appunto valutate (…) offrirsi al dialogo e all’ascolto comporta la decisione di correre dei rischi, comporta la messa in discussione delle proprie tesi e l’eventuale loro revisione o il totale abbandono” (R. Arnheim, Il potere del centro, Abscondita, Milano 2016). E umiltà, amore e ascolto scopro nei seguenti brani in prosa e poesia. Il primo è opera di Mario Sicolo, poeta, scrittore, giornalista e direttore di un Quotidiano on line, molto seguito nel mio paese di origine, il daBitonto. IL brano riguarda il ricordo del suo amatissimo padre: … è un papà. Ed è subito una tempesta di ricordi che vibra nel cuore. La voce soave che contava favole sul ciglio del letto e ti insegnava a sognare. Lo sguardo verdazzurro che illuminava il sentiero dei giorni e tu non avevi più paura di nulla. Il sorriso lieve che splendeva d’aurora, vincendo tutte le tenebre del mondo. L’amorevole cura nel sollevare silenziosamente un lembo del lenzuolo per ripararti la spalla dal freddo della vita. Le strambe crosticine che nascevano sulla pelle senza un perché, come cicatrici di antichi dolori. E poi ti chiedono: perché leggi? Per rannicchiarmi dentro la pelle dell’anima, quando si fa sera, e perdermi dentro un labirinto di parole senza più sperare di ritrovarmi… Quanta umiltà nei gesti quotidiani di amore e di tenerezza di un papà che non si risparmiava mai, nell’arco dell’intero giorno, dall’alba alla notte, nel dialogo sempre acceso con i suoi figli. Un dialogo spentosi troppo presto per non lasciare dolore e rimpianto. Di qui il rannicchiarsi di Mario “dentro la pelle dell’anima”, gesto tenerissimo di umiltà e di insostituibile amore, senza il quale persino nell’abito consueto alla lettura, per rifugiarsi nelle parole, Mario non riesce più “a ritrovarsi”. E di Mario scopro solo alcuni giorni fa su FB la seguente poesia, postata dalla generosità di Mariateresa Bari, dal titolo “A chi non c’è più”: So che ti manca/ quel libro che parlava di dolore/la mano che sapeva le rughe del cuore/ la spalla da coprire con amore// Ma so pure che ci sei/ nella voce roca del vento/ nel tremito lontano delle stelle/ nel ramo che piange la foglia// Nella culla dei ricordi/ dorme/ l’ultimo battito/ che non si è perduto

Il destinatario è sé stesso, quasi avesse timore Mario di dissacrare per un attimo la immensa figura di umile amore quotidiano di suo padre, ma “chi non c’è più” è proprio l’amatissimo papà di cui vengono rievocati i gesti di grande tenerezza e “l’ultimo battito/ che non si è perduto”. E che dire dell’umiltà di Roberta Lipparini, che è cara al cuore di tutti noi per l’assoluta sincerità dei suoi meravigliosi versi? Qui si tratta di incommensurabile amore materno nei riguardi della giovanissima figlia per risarcirla di tutto il dolore vissuto negli anni insieme: Ha vent’anni ed io, di nascosto, le preparo il calendario dell’avvento. 24 sacchettini marroni, quelli del pane, attaccati al muro del corridoio con il nastro di carta. Sul sacchetto un numero, disegnato grande con il pennarello. Dentro il sacchetto un piccolo pensiero. A vent’anni, sì     Perché un gesto di madre in 24 risvegli io lo pagherei oro     Perché chi ha avuto dalla vita tanti doni di dolore, merita minuscole ricompense, tutte quelle che io posso offrire     Perché chi al mattino deve cercare dentro di sé la forza di alzarsi, un dono bambino è una piccola spinta che fa leva sul cuore     Perché io invecchio e non sarò sempre al suo fianco, ma nei gesti d’amore compiuti non svanirò mai     Perché in questa casa fatiscente che avrebbe bisogno di una mano di vernice, un corridoio pieno di sacchetti di pane è un paesaggio dell’anima     Perché so che a volte l’amore degli altri non lo sentiamo se non abbiamo un velo di malinconia dentro e i piccoli gesti ce lo fanno più facilmente scorgere     Perché la bellezza del dare mi ripaga di ciò che non ho ricevuto

Quanti gesti di umiltà, dettati dall’amore, si intrecciano in queste tre pagine: una di un padre, docente, uomo che fa i conti con il tempo che gli rimane per donarsi agli altri; una di un figlio alla ricerca delle parole per ritrovare quelle del padre perduto alla fisicità ma immensamente vivo nel cuore; una di una madre che si dona con tanti piccoli grandi doni alla sua figliola, a cui offre oblativamente l’amore mai ricevuto. Ed ecco una poesia “umile” rapinata alla Pagina FB di un grande poeta, attore e traduttore, Rino Bizzarro, mio caro amico di penna di antichissima data: … Fra un sopruso e un inganno/ non sono più tanto bianche le mani…/ … e mi ostinavo a volerle pulite/ tanto tempo fa,/ quando eravamo giovani,/ quando eravamo poeti…/ “Un orco camminava per le strade/ portando sulle spalle due bisacce;/ rubava bimbi belli e bimbi brutti/ e poi se li mangiava tutti tutti…”/ era la ninna nanna di mia madre:/ Tu eri tanto bella/perché così apparivi agli occhi miei;/ io ero intelligente, il più sensibile,/ il migliore, soltanto perché tu/ mi volesti così nel grande abbaglio./ … Forse non eri tu poi tanto belle;/ forse che non ero che uno sciocco, io…/ “Dormi rino dormi; deh non guardar la mamma;/ chiudi gli occhietti belli; fai la ninna nanna…”

 La ninna nanna antica, la voce della mamma che ritorna e ritorna a regalare a Rino frammenti di ricordi e di emozioni, le paure e le illusioni di un tempo, “quando si era giovani e poeti”, e tutto ci sembrava bello e eterno. Poi, con gli anni abbiamo dovuto ridimensionare tutto: valori, etica, scelte, l’amore nelle vesti della fanciulla bella come il sole e nella personale convinzione/illusione di essere stato scelto da lei perché il migliore… E, invece, di un amico di nuovissima data, Luca Crastolla, ecco brevi ma essenziali versi. Minimalisti ma non troppo. Profondissimi: i carillon della melanconia/ le giostrine della nostalgia/ il canto del cigno senza armistizio/ li muove quel che fu e che avvenne.// Di più di quel che qualcosa/ o qualcuno intravide o promise

I ricordi legati alle meraviglie dell’infanzia hanno spesso, da adulti, un malinconico, nostalgico, inevitabile ridimensionamento. Un “canto del cigno senza armistizio”. Un qualcosa di atteso e di non accaduto. E non si sa mai chi o che cosa ne impedì l’accadimento.

Buon San Martino a tutti con umiltà, generosità, purezza di cuore. Per continuare a credere nei miracoli… Angela

domenica 6 novembre 2022

Domenica 6 novembre 2022: una riflessione (a latere): non sempre i miracoli sono vissuti come tali...

Evito ormai da qualche tempo di guardare il telegiornale per molti motivi. La violenza in tutte le sue svariate e smodate forme mi fa stare male. I reportage raccapriccianti di guerra e i vari “ritrovamenti”, peggio. Ammetto di essere codarda e di non sopportarne la visione devastante della crudeltà feroce degli uomini che di umano non hanno più niente, neppure il rimorso. Per aver seminato e per continuare a seminare il terrore. Fosse stata paura, forse avrei accettato di guardarla in faccia, ma il terrore proprio no. E tento di spiegarne il perché. Penso che in guerra, e purtroppo siamo in guerra, perennemente in guerra, anche nelle nostre piccole o grandi guerre personali, persino nelle battaglie quotidiane, una delle poche possibilità di difesa sia proprio la paura. Sì, è la paura che spesso ci salva dal baratro di una situazione che sembra senza via di scampo e che mette in azione tutte le energie residue quali ancore di salvezza. Il terrore, invece, blocca la persona in un “timor panico” che ne impedisce ogni reazione. La immobilizza e la sconfigge del tutto. Ben venga, quindi, la paura a salvarci nei momenti difficili. Ricordo benissimo la terribile sensazione di disperata e disperante impotenza che provai il giorno in cui, in una bellissima estate nel Salento, che ci vide tutti coabitare nella villa dei miei suoceri a due passi dal mare, vidi Raffaella, la mia prima nata, a poco più di due anni, se non ricordo male, sparire d’improvviso sotto un’onda anomale, più alta delle altre. Eravamo semplicemente a riva. Ad un passo dal bagnasciuga. Io ad un passo da lei. Rimasi immobile, terrorizzata da quanto stava accadendo sotto i miei occhi. Fu mia cognata Nella di parecchi anni più giovane di me, e solo ad un passo dietro di me, che, con tutta la paura che le percepii addosso (solo molto tempo dopo però), corse ad afferrarla per il culetto e a riportarla a riva, tra le mie braccia inerti fino al suo pianto e ai suoi insistenti colpi di tosse. Solo allora mi scossi e fui in grado di mescolare le mie lacrime alle sue. Se non ci fosse stata la reazione istantanea di mia cognata alla paura di quella scena tragica, oggi non avrei con me mia figlia, con cui ci colmiamo di reciproco amore, ma moltissimi rimorsi, di cui non mi sarei mai liberata. Non avrei potuto ricordare con la forza del miracolo la leggerezza di quel bikini rosa sulle sue gambette malferme e sempre in movimento. Tutto questo preambolo mi serve per parlare, ancora una volta, dei miracoli che chiamiamo coincidenze solo perché non sappiamo vederli e decodificarli come tali. Ma non sempre essi sono gratuiti. Spesso ci chiedono un risarcimento fatto di sofferenze e di numerose “pietre d’inciampo” difficili da sostenere e superare. Occorre molto coraggio e determinazione a non lasciarsi abbattere per continuare ad andare avanti, e VIVERE. Certo, “nessuno si salva da solo”, come ci ha insegnato la scrittrice Margaret Mazzantini in un suo libro del 2015. Parole riprese anche da Papa Francesco durante la Quaresima di quest’anno, ribadendo che “Nessuno si salva da solo, perché siamo tutti nella stessa barca tra le tempeste della storia…”, ma occorre che ci sia Qualcuno che ci salvi, oltre i pochi o i tanti che potrebbero tenderci una mano per attenzione, amore, prontezza di riflessi, carità cristiana. Ecco perché, a mio parere, occorre imparare a “fare rete”, avere anche la forza di chiedere aiuto, di raccontare e raccontarsi perché gli altri possano sapere, capire, confrontarsi e prodigarsi in una reciprocità che è il cuore della fratellanza e della riscoperta della nostra stessa umanità.

Le volte precedenti non ho avuto remore, infatti, a raccontare tutti i prodigi di cui è costellata la mia vita sino dalla nascita, ma ho anche parlato di tutte le mie fragilità, le mie “diversità”, le mie paure, i miei terrori, gli impedimenti, i condizionamenti, le incomprensioni, gli ambienti fisici e psicologici più volte persi e ritrovati. Durante l’infanzia e l’adolescenza. Persa io a me stessa, e persi i punti di riferimento valoriali e affettivi che ho dovuto a fatica recuperare per salvarmi. È stato un racconto abbastanza diverso da quello delle ultime pagine del blog, in cui dominanti sono stati i prodigi. Ho cominciato molto presto, in verità, a soffrire di “esaurimento nervoso”, come un tempo veniva definita la depressione, quel tunnel buio che ti attanaglia la gola, ti fa battere il cuore improvvisamente senza una ragione evidente, in una situazione che percepisci soggettivamente comunque angosciante. Mi venne a visitare la prima volta a 20 anni, in seguito alla morte, per aneurisma cerebrale, nell’arco di una notte, di una mia ex compagna di scuola. Eravamo entrambe all’università in facoltà diverse quando mi raggiunse la fucilata in pieno petto. Per due anni somatizzai tutti i sintomi dell’aneurisma fino al punto da non poter leggere o scrivere una sola riga senza che mi assalisse un drammatico mal di testa con gonfiori sparsi sul cuoio capelluto. Due anni senza poter sostenere un solo esame. Mi salvò l’amore dei nonni. Ma le ricadute furono frequenti e sempre più difficili da superare. Bastava un nonnulla. La morte mi terrorizzava. Un minimo riferimento mi procurava discese nell’inferno da cui bisognava risalire. Ed erano anni in cui la salute dei nonni divenne sempre più precaria e problematica. La lontananza da Primo che, a vent’anni, aveva vinto il Concorso Magistrale a cui io non avevo partecipato, e, dopo il primo anno d’insegnamento a Bari, dovette trasferirsi a Minervino Murge, costituì continue “battute d’arresto” per il mio equilibrio psicofisico instabile. L’attesa spasmodica delle sue lettere, e dei suoi ritorni, spesso procrastinati per il maltempo o qualche imprevisto, accendevano dubbi, che quotidianamente logoravano i miei nervi. Poi il mio amatissimo nonno ebbe una emiparesi che lo tenne tra la vita e la morte per un paio d’anni. Anche la nonna aveva problemi di salute sempre più seri e mamma dovette far ritorno a Bitonto per prendersi cura di entrambi i genitori. Non l’ho vista mai così stanca e spenta come in quel periodo. Tutto contribuiva a togliermi serenità e voglia di vivere. Anche se i miracoli accadevano ancora, eccome se accadevano (mio nonno ebbe la cancrena al lato destro immobile, con perdita di tutta la parte inferiore del piede e dolori atroci. Eppure, improvvisamente vedemmo la parte mancante ricrescere e farsi meno violenta la sofferenza), ma io non avevo più lo spirito giusto per saperli cogliere e farne preghiera. E sogni premonitori che mi spaventavano invece di portarmi luce e sollievo. Anche quando non erano incubi, ma semplicemente preavvisi di quanto sarebbe accaduto nelle settimane o nei giorni successivi. E tutto accadeva esattamente come avevo sognato ad occhi chiusi o “visto” ad occhi aperti. I vari shock anafilattici di mio marito, allergico agli antibiotici e alla penicillina, e dei miei figli Ombretta e Giuliano, in tempi diversi e per cause diverse, ma con le stesse allergie. Salvati per un niente che era un tutto: la vicina di casa che, invocata dalla mia mente, aveva sentito la mia silenziosa disperazione e aveva tempestivamente chiamato il nostro medico di famiglia, che aveva lo studio all’altro capo del paese; il dottore giunto miracolosamente in tempi brevissimi per scongiurarne la morte. La mia forza centuplicata nel trasportare tra le braccia mia figlia esanime, dal bagno al salone, per adagiarla suo divano in attesa dell’intervento tempestivo del nostro salvifico dr. Michele. E potrei continuare senza quasi soluzione di continuità tra gli episodi sognati e il loro accadimento alla lettera, ma mi occorrerebbe tanto spazio-tempo per raccontarli tutti e non è possibile approfittare della pazienza di chi mi segue sempre con tanta partecipazione e condivisione. Piano piano, però, le matasse saranno dipanate e troveremo sempre il bandolo per ricominciare. La narrazione non ha mai fine. Perché le storie da raccontare, mie e degli altri, sono, a saperle/poterle riportare alla memoria, i n f i n i t e, come infinito è il mistero che ci contiene tutti: il primo è l’Amore, il più grande miracolo che difficilmente riteniamo tale. Proprio per questo, prima di concludere desidero rendere omaggio a Giorgio Bàrberi Squarotti con una sua breve ma intensa poesia, sintesi perfetta della sua Persona come linguista, poeta, credente. Mio preziosissimo amico, in tutta la sua grandezza e la sua umiltà:

L’amore”

È certamente uno di loro (lui?)

per discrezione camuffato: appoggia

alla fine la mano sulla nostra

spalla, la scuote un poco, la sospinge

verso l’amore che la pietà vince

e il tempo, da quell’attimo di luce

vivo per sempre.

(Torino, 1 luglio 2015)

È l’unica poesia che esplicita con chiarezza la parola amore. E soprattutto l’amore di Dio, (lui?) in minuscolo. Pure si ha un inizio che ha in sé una certezza incontrovertibile (“È certamente”), anche se subito dopo sopravviene il dubbio allusivo (“(lui?)”), che è più di una conferma. E poi, via via, leggendo tutti gli altri versi: “per discrezione camuffato”: Dio non irrompe nella vita di ciascuno di noi, imponendo la sua presenza, ma lo fa con “discrezione”, spesso sotto mentite spoglie, che comunque Lo rivelano. “Appoggia/ alla fine la mano sulla nostra/ spalla, la scuote un poco, la sospinge…”: dunque, solo più tardi, fa sentire la sua amorevole presenza al nostro fianco, magari dandoci qualche segnale forte perché ci giunga il suo richiamo, ma poi continua a “sospingerci” con delicatezza verso la concretezza e la verità del suo amore, che tutto “vince”, originandosi “da quell’attimo di luce” di quando ci dette la vita. Attimo di luce che è “vivo per sempre”. È, infatti, quella Scintilla divina che si accende in ogni creatura, irradiandosi per sempre in tutto l’universo.

È questo il MISTERO IMMENSO DELLA VITA. “Quell’‘attimo di luce’ è pienezza in sé conchiusa. E la luce è, fu, e sarà. Come eterna Presenza che ci eterna, nonostante l’amara consapevolezza di un mondo dissacratorio e violento” che offende qualsiasi divinità, lo stesso respiro della nostra anima. Dio, invece, “è presente, testardamente presente, infinitamente presente”. Senza un legame visibile, che si fa tangibile “in ogni voce, ogni luogo, ogni volto. In ogni fremito di foglia. È nel cuore del poeta che pure, data la grande sensibilità, parla con pudore della Sua immanente trascendenza e della Sua divina immensità per il timore, tutto umano, che la segreta ansia di Lui, la sua segreta certezza possano essere violate dalla sua stessa narrazione. Dio è l’Inesprimibile. Più dell’amore e di ogni altro umano sentimento, sentito intensamente e intensamente vissuto nell’intimità della propria anima…” (cfr. A. De Leo, piccolo stralcio della Prefazione a Le voci e la vita di Giorgio Bàrberi Squarotti, SECOP edizioni, Corato-Bari 2015).

E non ci sono parole da aggiungere. Spero solo nei vostri commenti per confrontarci. Angela. 

martedì 1 novembre 2022

Martedì 1° novembre 2022: Festa di Ognissanti e del Cielo che si fa miracolo in terra...

È giorno di festa per tutti. Gli auguri ci permettono di ripercorrere il miracolo che lega la terra al Cielo. Certo, bisogna crederci e oggi è sempre più difficile. Ma scambiarci gli auguri come segno di fratellanza non nuoce, non porta iatture. Ci racconta una storia che è fatta di gioiosa benevolenza anche per attutire il dolore mai spento dei nostri cari che ci vivono nel cuore e che domani busseranno alla porta della nostra casa per sedersi alla nostra tavola e per raccontarsi ancora…  

E, del resto, è passato anche il mese di ottobre, mese di vendemmia e di foglie che raccolgono l’ultimo sole autunnale per poi accartocciarsi sulla nuda terra, ed io, nonostante questo anomalo prolungarsi del caldo estivo che ci porta, almeno con il pensiero, all’azzurrità del mare, non posso fare a meno di riandare con la mente al verso ungarettiano della poesia “Soldati” (inserita nella silloge Allegria di naufragi): si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. Breve e intenso, senza una virgola, una cesura. Quasi una scudisciata sulle rughe che devastano il viso, le mani, il corpo di quanti diventano, col passare degli anni, sempre più vigili sentinelle del proprio tempo, prima di sparire del tutto. “Ma si sparisce davvero del tutto?”, ci chiedono i nostri cari seduti alla nostra mensa per raccontarsi ancora. Io credo proprio di no. Se sono qui con noi e non soltanto il 2 novembre. È questo il miracolo dei sentimenti che attualizzano il passato. Ma da dove nascono i sentimenti? Come ci abitano dentro più forti del tempo che passa e “involve tutte cose l’obblio della sua notte…”? (Foscolo, I Sepolcri). E, infatti, “Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna”. Dunque, gli affetti durano oltre il tempo. E tutti noi ne sappiamo qualcosa. Potremmo parlare di miracolo anche in questo caso, se non fossimo così presi dal colpo d’occhio al cimitero: la tomba più curata, i fiori freschi, i ceri accesi. Certo hanno un loro indiscutibile valore: dimostrano l’affettuosa cura per la tomba del proprio defunto. Ma il miracolo, a mio parere, va oltre il cimitero. Ha un suo perché nell’antica bellissima denominazione dei nostri vecchi: “camposanto”. Dove era conservata la sacralità della vita e della morte.  La differenza tra il cimitero e il camposanto è proprio nella religiosità di quest’ultimo (non escludendo neppure la bellissima accezione di “legare”, “cingere”, far approdare” nella derivazione dal latino religo-religare: c’è in questi termini un legame forte di salvezza con gli altri defunti; un serto di spine da cingere, come corona che ricorda il nostro Salvatore; e, infine, un approdo nelle braccia di Dio, che tutti accoglie nella Sua infinita misericordia. E misericordia è bello farlo risalire a “miserere”= aver pietà, e a cor-cordis = con il cuore, usare il cuore. La pietà con il cuore ci riporta al “perdono”, di cui solo Dio può farci dono (per-dono). A noi è dato chiedere scusa, rammaricarci, provare tristezza, ma non è dato perdonare perché il perdono ci mette in una posizione di superiorità che non è giusto avere, dato che siamo tutti sullo stesso piano di fratellanza. Ecco perché solo Dio può.  È un mio modo di pensare. Ma per pensarla così sono approdata alla fede cristiana che avevo perso nel tempo e che ho ritrovato, in questi ultimi anni grazie ai tanti prodigi vissuti in prima persona, e non più in una età in cui è facile avere le idee confuse tra i tanti problemi da vivere per affermarsi nei vari ruoli e passaggi della vita, ma in una età in cui non si ha più nulla da perdere, nulla da chiedere e prendere e possedere, se non la inevitabile, consolatoria, confortevole richiesta di tanta cura e tanto amore, che, nel migliore dei casi, ci viene dato a piene mani. È il mio caso. Il corpo rivela i suoi “inciampi”, ma la mente vigila ancora per non cadere negli abissi delle pietre e dei dirupi. Anche questo amore è miracolo, questa cura gratuita perché non ho più niente da dare in termini di aiuto, guida, compagnia, per tutte le disabilità che sono sopravvenute con gli anni sempre più gravi da portare da sola. Sempre più ci accorgiamo di avere bisogno degli altri. dei nostri cari più giovani di noi, che conoscono le nostre difficoltà che non possiamo più sostenere da soli, superare. Occorre molto coraggio e determinazione per non lasciarsi abbattere e per continuare ad andare avanti con la consapevolezza di una linea all’orizzonte che va sempre più assottigliandosi. Allora occorre Resistere per VIVERE e non per sopravvivere a noi stessi. Insieme si può. “Nessuno si salva da solo”, come ci ha insegnato la scrittrice Margaret Mazzantini in un suo libro del 2015. Parole riprese anche da Papa Francesco durante la Quaresima di quest’anno, ribadendo che “Nessuno si salva da solo, perché siamo tutti nella stessa barca tra le tempeste della storia…”, per cui occorre “fare rete”, avere anche la forza di chiedere aiuto, di raccontare e raccontarsi perché gli altri possano sapere, capire, confrontarsi e prodigarsi in una reciprocità che è il cuore della fratellanza e della riscoperta della nostra stessa umanità…

Tutto questo mi suggeriscono oggi la festa di tutti i Santi e soprattutto il Camposanto, che visitavamo con i nonni con nel cuore la fede certa che ci trasmettevano senza parole e senza più lacrime, solo con la segreta preghiera della Speranza…

E vorrei chiudere con una domanda sotto forma di poesia (scritta appena un anno fa) che forse esige una risposta. O forse no, tanto è impressa nella nostra anima. Basta saperla, volerla leggere:

Chi di rosa e d’azzurro/ a mia insaputa/ ha dipinto il cielo/ di questo tramonto di fine novembre,/ quando per i bimbi comincia/ l’attesa del Natale e delle fascinose/ luci che scaldano il cuore/ a grandi e piccini?// Un raggio d’azione/ più ampio ha il sole/ al perielio/ raffreddando i suoi raggi/ e il calore della Terra./ Rabbrividiscono/ i rami degli abeti/ e lunghe code d’uccelli/ vibrano al vento di tramontana.// Chi lascia che il verde conforti/ tra farfalle di neve/ l’attesa e la speranza?// Chi depone al mattino/ di quasi primavera/ sulla fogliolina di prato/ una goccia che trema/ di rugiada?/ Chi colora il sole arancione/ sul mare di miele/ in un tramonto d’estate/ e l’alba turchina/ coi suoi lunghi capelli/ a sfidare onde e maree/ e fiori di bosco e collina?/ Chi rivernicia il nero notturno/ del mare/ di verde e d’azzurro/ con riflessi d’argento e di luna/ per incantare gli occhi/ di mille amanti?// Chi bruciò sarmenti di porpora/ per il sorriso acceso dei sogni/ di due ragazzi innamorati/ su distesi orizzonti/ persi d’infinito?/ Chi ha ricamato d’autunno/ i veli trasparenti di nuvole leggere/ sull’altare di trepidanti spose/ di settembre?// Chi sollecitò ombre/ di rimpianto/ sul finire del tempo/ aggrappato ai ricordi/ testarda quercia/ culla di nidi/ in esplosione di nuova vita/ e urna di volti/ spariti nelle nebbie/ di un passato acceso nell’anima?// Chi mi regalò/ un manto di stelle lucenti/ più di mille diamanti/ a ridarmi gli anni perduti e mai dimenticati/ di mille prodigi/ tra lacrime e risate/ e un firmamento acceso/ contro il buio di ogni tormento/ CHI? (a.d.l.)