E riprendo con quanto il mio carissimo amico Mario Sicolo (Apulo Scriba) ha postato oggi sulla sua pagina FB. Sorprendentemente sembra la perfetta continuazione della poesia di Antonella Coletti: “l’ultimo bocciolo reciso dal vento di una notte d’inverno”. Metafora dell’ultimo tratto di vita vissuto come rosa, i cui petali vengono sparsi dal vento che non perdona rughe e passi malfermi. Si attaglia in modo ammirabile con la terza età e, cioè, con gli anni che m’appartengono. Quanta reciprocità sul “viale del tramonto” tra Carla e Francesca fino a diventare, per un osservatore sensibile e attento come Mario, interscambiabili. E condivido parola per parola, tanto mi sento parte viva, per fortuna ancora VIVA, delle strade attraversate dal nostro autore e dai protagonisti di questa tenera storia di un tempo non ripercorribile se non al passato quando anche il cielo grigio s’illuminava della “luce della giovinezza, la leggerezza dell’ironia, la forza delle difficoltà superate insieme, il sogno di una vita condivisa: tutto finito…”. E potrei condividere anche la conclusione. Ma, al di là dell’amore per e della “rosa sfiorita” ci sono altri esempi di amori che asciugano il pianto. È bene ascoltare anche queste voci per sentirci ancora in viaggio su strade lastricate di buone possibilità di vincere il male con la forza che proviene dall’essere in due. Rubo dalla pagina di Miryam Procacci su FB una bella riflessione che ignoro di chi sia, ma che avvalora le scelte d’amore di Luciana e Federico, i due carissimi amici, di cui ho parlato la volta scorsa: “Ho capito che amare, nel suo punto più profondo, significa soprattutto fare pace - dentro di sé - con gli aspetti dell’altro che sono più diversi ed estremamente distanti dal proprio modo di essere. Non è affatto difficile apprezzare i lati positivi. È quello che viene più immediato nell’innamoramento. Ma la prova dell’amore è riuscire a percepire come domestici e accettabili proprio quegli aspetti che, agli occhi degli altri, sono “difetti”. Se non siete in grado di trasformare questo esercizio, che inizialmente è pura pratica quotidiana, in uno slancio naturale, vi sconsiglio di immaginare una vita a due.” A tutti coloro che credono. Che credono, anche, nell’amore. E mi piace sottolineare l’importanza dell’inciso “anche”, inserito nelle scarne ma incisive parole di Miryam, perché penso che stiano a sottolineare che sia fondamentale per ogni essere umano credere in qualcuno o qualcosa e che ci si possa incontrare e scegliere di amarsi, nel rispetto reciproco delle diverse identità. Mi piacerebbe che, con Miryam, mi deste una voce su questa mia interpretazione. Poi, m’imbatto per caso in questo meraviglioso racconto di Maria Concetta Giorgi, la cui scrittura è decisamente unica e catturante, rimango commossa e senza parole. Qui si tratta di altra reciprocità e altro amore, ma è quasi Natale e allora ben venga questo canto d’AMORE e di ATTESA. Grazie dal profondo del cuore, mia dolcissima amica: “Natale durante la guerra”.
Il silenzio della neve arrivò a fare rumore, picchiettava una neve fresca sul tetto di casa Zanella.
Un lieve e impercettibile ticchettio.
Maria che ormai aveva tanti anni, uscì per strada per guardare che il tetto non si riempisse troppo.
Era freddissimo, le mani si gelavano dentro alle tasche del cappotto.
Tornò in casa vicino al fuoco del vecchio camino.
Aggiunse un grosso ceppo. Sulla stufa bolliva un po’ di minestra, non c’era tanto in casa, la guerra aveva portato via tutto.
Aveva sulle ginocchia una coperta in lana grezza di colore verde, si sentiva felice perché poteva scaldarsi.
Sentì bussare alla porta.
Un uomo tutto bagnato dalla neve, chiese di entrare, aveva solo un maglione e calzoni molto consumati, le scarpe erano avvolte di stracci perché ormai non avevano più la suola.
Lo fece entrare a scaldarsi, un uomo in casa poteva essere una benedizione…
Attilio aveva solo vent’anni e una tristezza in viso che lo rendeva più vecchio.
Una tenerezza infinita colse Maria che guardando quel giovane pensò a quando aveva conosciuto Augusto, al loro amore e a quel figlio che avevano perduto…
Si misero a tavola in silenzio, la minestra era calda, Attilio mangiò voracemente, era tanto che non aveva avuto un pasto caldo.
Maria lo fece sedere vicino al camino, poi gli accarezzò i capelli ancora bagnati. Le venne in mente che dentro la scatola dei suoi poveri ricordi aveva ancora un sigaro di Augusto e che nella vecchia credenza era rimasto del rosolio.
Era la sera di Natale di un anno di guerra e forse era arrivato il momento di festeggiare.
La neve continuava a cadere, guardando dalla finestra Maria si accorse che in lontananza, in alto, luccicava qualcosa.
Non era facile vedere, la neve schiariva l’oscurità, ma il buio faceva da padrone.
Chiamò Attilio, che con il bicchierino di rosolio in mano, si avvicinò ai vetri.
Sembrava la scia di una stella a brillare.
Ma come poteva essere che sotto un cielo da neve si vedesse una stella?
Immersi nei propri pensieri continuarono a fissare quella cosa luminosa, era la notte di Natale e qualcosa era accaduto.
Attilio mise il capo sulle ginocchia di Maria e si addormentò.
Si addormentarono tutti e due. I dolori erano passati, la guerra per una notte era uscita da quella casa.
Fu una notte di Natale senza paura, al calore di un camino, con una coperta grezza che copriva tutti e due.
Maria aveva ritrovato un figlio, non c’era nient’altro che potesse desiderare.
…
Con questo piccolo racconto auguro a tutti gli amici un Buon Natale. La storia di quel bimbo che nasce, si ripete ogni qualvolta ci siano persone pronte a donare non l’effimero dello sfarzo, ma la profondità della condivisione. Qualcosa da dividere alla luce di una straordinaria visione, un faro che illumina nel buio di ogni periodo difficile e che afferma con meravigliosa intensità, la nascita di Gesù.
(mcg)
E vorrei concludere con Roberta Lipparini e la sua dolcissima poesia “DONI DI NATALE” che magnificamente completa il racconto di Maria Concetta: In questa notte fredda/ d'un freddo che fa male/ sto incartando per te/ i miei doni di Natale./ Il ritmo quieto
di una marea infinita/ un tratto leggero/ lieve, a matita./ Il perdono/ per ogni tuo errore/ conforto dal buio/ riparo dal dolore./ La certezza/ che ti verrò a cercare/ anche se mi sfuggi/ se ti perderai nel mare./
La fiducia/ che nel tuo volo/ non ti fermerà/ la paura di esser solo./ Incarterò i tuoi doni/ questa notte/ mio amore/ poi verrò da te/ te li poserò nel cuore. Quanto amore oblativo nella reciprocità del donarsi in doni/DONO…
E Natale è ormai alle porte. La prossima volta, gli auguri? In reciprocità…
Ho creato questo blog perché mi piace incontrare gli altri sul filo della poesia e della scrittura in genere. Ascolto, reciprocità, confronto, comprensione, condivisione...
lunedì 20 dicembre 2021
20 dicembre 2021: altre testimonianze sull’AMORE che vince il DOLORE…
sabato 18 dicembre 2021
Sabato 18 dicembre 2021: il dolore si supera con l’amore? Proviamo a scoprirlo insieme…
Il dolore! Quanto è presente nella nostra vita! E come mai ne facciamo memoria più della gioia o della felicità? Alcuni anni fa scrissi una riflessione al riguardo che avrei voluto riportare qui, ma ho perso un giorno in ricerche varie, ma niente da fare. Riscrivo quello che più o meno ricordo di quanto detto in passato perché mi sembra un passaggio essenziale per comprendere il perdurare del dolore dopo anni e forse per tutta la vita. Ebbene, non così il ricordo della gioia. Quest’ultimo è effimero perché, dopo l’esplosione delle braccia alzate in segno di giubilo e di vittoria per qualcosa di bello che ci è capitato e ci capita (Hannah Arendt parla della visibilità immediata della gioia perché tutto il corpo si distende ed è come se mettesse le ali, mentre, nel provare il dolore muto, si raggomitola su sé stesso e si chiude quasi a riccio, rendendolo invisibile e impenetrabile), subentra una sorta di dimenticanza di quella pienezza di noi che non può durare, assaliti subito come siamo da inevitabili problemi di vita quotidiana. Il dolore, invece, si ripropone alla mente più e più volte perché ci procura un vuoto che non riusciamo a colmare in quanto ci viene a mancare proprio ciò di cui prima eravamo pieni: la salute, l’assenza di sofferenza e, quindi, presenza di benessere del nostro corpo che si risolveva anche in benessere della nostra mente (“mens sana in corpore sano”: locuzione di Giovenale). Il dolore allora si protrae. Non trova rimedi immediati e a portata di mano. Soprattutto quando esso ci strangola in seguito a una perdita che è per sempre. E qui non ci possono essere rimedi di sorta. E c’è anche il dolore meno drammatico ma ugualmente reale, che non ottiene rimedio o consolazione dagli altri perché è un dolore “guardato”, ma non “vissuto”. Spesso il dolore guardato e non vissuto non viene percepito e sentito nella sua reale portata. Può essere solo intuito dalla mimica del volto sofferente. Dalla postura sbagliata, dalla difficoltà del respiro o di un movimento, ma l’intensità del tormento fisico e la resistenza alla sofferenza sono appannaggio solo di chi le prova e fa immediatamente i conti con sé stesso. La condivisione si rivela difficile, la compenetrazione rara e altrettanto rara la consolazione, per cui il dolore intimo e muto permane più a lungo di quanto si possa immaginare. Quello poi di una irrimediabile perdita è talmente devastante da richiedere anni di metabolizzazione, senza più risorse interiori per innalzare palizzate su terrapieni che, come sabbie mobili, cedono. E noi, per non dare mai un addio definitivo alla persona amata e perduta, riaccendiamo all’infinito il dolore per riattualizzare la sua presenza, celebrandone il ricordo. Eppure una pozione magica esiste per ogni tipo di dolore, di ogni forma e dimensione, e avvertito anche nelle varie età della vita ed è l’AMORE, in tutte le più suggestive forme di oblatività. L’amore dato senza riserve. Difficilissimo da vivere, ma quando accade assistiamo al miracolo della cancellazione del dolore. Si pensi al bimbo che piange e che smette non appena la mamma con amore lo prende tra le braccia; al ragazzino che teme il castigo dei genitori per qualche marachella di troppo, e piange e si dispera dentro di sé perché ha bisogno di comprensione e non di punizione, ha bisogno di sentirsi avvolto dall’amore e non dal giudizio o pregiudizio dei suoi cari; al giovane innamorato e incompreso nella profondità dei propri sentimenti. L’amore levigherebbe ferite e incomprensioni. Molto spesso queste ultime nascono proprio in famiglia. Ci sembra assurdo e paradossale eppure accade più spesso di quanto si possa immaginare e accettare: anche tra genitori e figli o i diversi componenti della costellazione familiare. Anche qui basterebbe l’amore. Dubbi, incertezze, incomprensioni si nutrono di amore malato e di non-amore. Chi ama davvero non dubita, non ha incertezze, non nutre illusioni né si rammarica delle delusioni. A volte, si tratta semplicemente di superficialità più che di indifferenza o cattiveria. E può accadere anche quando pensiamo che le nostre parole o gesti siano dettati dall’amore (non mollare non lasciarti vincere dallo scoramento di passi che non t’appartengono e che prendono altre vie illuminate da neon e dimentiche di stelle… non mollare stringi i denti risali la china non mollare…), ma non vengono recepiti come tali. Come si può essere così superficiali, anche quando le nostre parole sono dettate dall’amore? Anche quando sono dettate soltanto dalla preoccupazione di alleviare le sofferenze di chi amiamo? Evidentemente si può. Ma oggi mi chiedo: sappiamo veramente cosa sia giusto dire e cosa evitare? Quante incomprensioni in un atto di amore… Eppure accade. Sì, accade. Siamo incapaci di totale comprensione di ogni altro da noi. Fosse pure nostra madre. C’è qualcosa in noi di veramente unico e irripetibile, che è solo ed esclusivamente nostro, che ci impedisce di comprendere appieno l’altro e di farci comprendere pienamente dagli altri. Si salva la nostra individualità ma non la nostra socialità, la nostra affettività. Siamo miliardi e miliardi di stelle, ognuna col suo nome, la sua costellazione, la sua distanza anni-luce dall’altra. Di qui la difficoltà di ogni comunicazione. Di superare il vuoto che ci separa, pur vivendo spesso nella stessa galassia. Si tratta, a mio parere, di una strana inevitabile condizione di imperfezione della natura umana. Nostro malgrado. A questo proposito, mi sembra calzante una poesia inviatami, con un commento, due giorni fa, qui sul blog, da Mariateresa Bari, cara a noi tutti: "Il dolore ritorna e ritorna ancora, come l’alta marea, come la risacca alla battigia, come il pianto del bimbo nella culla"... Quanta dolce poesia in queste tue riflessioni, Angela! Perché gioia e sofferenza sono la trama e l'ordito di quella splendida tela che è la nostra esistenza! Ti lascio alcuni versi nati la scorsa notte e ti abbraccio grata 💓 “Frana il dolore”: Schianto di neve incandescente/ una stilla di tramonto/ che incendia lanterne all'orizzonte/ Frana in un riverbero di parole il dolore/ e travolge il cuore/ Si offusca l'ora di lacrime. Sì, spesso “il dolore frana in un riverbero di parole”, ma anche l’amore spesso frana in un riverbero di parole che non sono quasi mai quelle giuste da dire, da ascoltare per poterle ricambiare nel loro giusto senso e significato, che l’altro/a da noi si aspetta. È come il cane che si morde la coda. Eppure è proprio l’amore l’unico rimedio. Come? Quando? Per dare una risposta, torno indietro di tre giorni, quando, nel Liceo Artistico di Corato (Bari), città del Sud dove abito da vent’anni, c’è stata la presentazione di un libro SECOP, nella collana editoriale “PARALLELI POETICI” con un canto a due voci.
Raffaella Leone, PR della Secop, e coordinatrice della serata, ha introdotto i due autori, Luciana De Palma e Federico Lotito (già con altre individuali pubblicazioni alle spalle con la nostra Casa editrice) e i relatori Mariella Medea Sivo e Alberto Tarantini, entrambi carissimi amici dei protagonisti, elencando in più punti la straordinaria preziosità del libro-conchiglia perlescente, con il titolo sottolineato da sfumature di indaco, il colore spirituale per eccellenza, che racchiude in sé la bellezza della poesia, e dell’amore che di quella poesia si alimenta. L’originale quanto significativo titolo della raccolta è Istanteternità. La parola doppia, che ossimoricamente si fonde in una sola parola, avente un fonema in comune, definisce il suggestivo momento puro del loro incontro a comprendere l’infinito: un consegnarsi in un solo istante all’eternità. E non c’è niente che possa uguagliare lo splendore di questo neologismo, spiegato molto bene da Mariella Sivo in uno dei suoi acuti e dettagliati interventi. Forse ne parleremo anche dopo. Ora mi preme sottolineare il momento “giusto” dell’incontro: momento è sinonimo di “istante” e riguarda ciò che avviene in un battito di ciglia. Ma qual è il “momento giusto”? Né prima né dopo! Di cosa? Non prima di aver rivisitato tutto il passato, con la discesa nell’abisso del dolore vissuto, e con i voli della gioia provata. E non dopo aver compreso il senso della “reciprocità”, come ho detto proprio l’altra sera, visualizzando le bracciate in andata e ritorno di Federico nel mare da entrambi amato, per testimoniare il suo amore a Luciana, facendosi carico di alleviare la sua sofferenza, dovuta alla perdita del suo adorato papà quando era ancora bambina. Quel movimento descrisse ai miei occhi l’immagine della necessaria “reciprocità” in amore. E la reciprocità consiste nel “prendersi cura” l’uno dell’altra con la stessa intensità e generosità. Quanto importante è il prendersi cura in una qualsiasi relazione affettiva. Indispensabile in un rapporto d’amore. La reciprocità nel prendersi cura (chi non conosce la meravigliosa canzone “La Cura” di Franco Battiato? Mi viene la tentazione di trascriverla tanto è bella, anche perché riguarda il corpo il cuore e l’anima - in una mirabile fusione - della persona amata) comporta per i due innamorati entrare nel cerchio che disegna una curva senza soluzione di continuità che porta all’infinito dentro e fuori, nella convergenza di sogni, bisogni, certezza di essere in due. Il cerchio magico della volontà di appartenersi nel rispetto della reciproca identità e libertà. Divergere, invece, significa aprirsi ad altri orizzonti, ad altri incontri, ad altre intese col rischio di perdersi e di non ritrovarsi mai più (come due parentesi aperte con orizzonti opposti che non s’incontrano mai. Come ho avuto modo di dire nel mio intervento). Ed ecco, a conferma di quanto detto sin qui, le parole di Federico e Luciana all’unisono: F. “se non fossi stato capace di piangere,/ non sarei stato capace di farti ridere . L. “si sgrana una nuvola e un improvviso bagliore appare. E compari tu ”. E ancora, seguendo il percorso tracciato in precedenza: dal dolore alla gioia attraverso l’amore, al momento giusto, nel posto giusto e con le giuste parole. (Quanto importanti anche le parole!). L. “Speronando la mia oscurità/ Irrompesti come una cometa nel buio/ E di una sola breve scia ti servisti/ Per condurmi a te // Fosti come il crepitio nel ghiaccio/ Infrangendo la mia luce immobile/ E con irrefrenabili tumultuosi boati/ Arrivasti a me ” . F. “mi affacciai ai tuoi occhi,/ nel buio della mia notte/ indicarono l’uscita./ resistevo per il giorno che si fa/ e scaccia rinunce. / nessuna forza, nessuna speranza / t’infilasti nello spazio socchiuso./ - prendi quello che da sempre/ è la mia solitudine - dico./ ti affacciasti ai miei occhi,/ nel buio della tua notte faticai/ a detergere il sudore della ruga profonda./ avevi parole da darmi, avevi paura./ - riusciremo a sentire una canzone? - dici/ forse vinci! sicuramente vinciamo - dico/ e spiegammo liberi / i nostri sudari ”. E ancora F. “dentro ho ancora una manciata/ di allegria, il passo è malfermo/ tuttavia ci credo e tutto ho di te in me./ parlo, dico, canto, rimpiazzo volgarità,/ sostituisco fondamenta marce,/ comprendo i miei disastri e sento/ la fortuna di averti. / sicuro è il tuo sguardo, / forte come le tue braccia il tuo arrivo,/ audaci le tue labbra, / il tuo sapore, il tuo odore. / proverò ad amarti / avrà senso il futuro. ”. L. “ Alle spirali del tempo / Concedemmo di tenerci stretti/ finché l’universo non ci avesse/ Richiamati all’unica eternità / Che rende gli amori perfetti ”. Ed è giusto che si chiuda qui il cerchio del mio percorso intorno al dolore che, grazie all’AMORE, ripropone un futuro che rende persino la speranza un universo felice di eternità. Le poesie a specchio continuano con numerose riflessioni sul darsi e ricevere AMORE in ugual misura senza più paure e ripensamenti, ma col cuore libero di volare in cerchi concentrici di voluttuoso ritorno. Eppure, alle spalle ormai, quanta sofferenza raccontata e ascoltata. E compresa. Quanta accettazione di sé nella comprensione dell’altro/a. Quanta solitudine comunicata e vinta dall’essere in due, in una reciprocità senza più inizio né fine. E vorrei scrivere un trattato su ogni parola di rimando, ogni spazio dilatato, ogni istante vissuto con una nuova certezza nel cuore. Ma è giusto e salutare dare spazio anche all’intervento mordace, autoironico e sciabolante di Alberto Tarantini, che spiazza tutti con una domanda, che è nelle sue corde: “essendo un eterno perdente in amore, dopo numerose imprese finite male per vari motivi, come accorgersi dell’incontro giusto, quale preludio all’amore eterno?”. Più o meno questa la domanda a cui ho risposto più o meno con quanto detto sin qui. Ma altrettanto giusto e inconfutabile è stato l’intervento del nostro comune amico, nonché altro autore di qualità, firmata Secop, Zaccaria Gallo: “La mancanza”. Senti che è AMORE quando una persona ti manca sempre e in ogni circostanza del giorno e della notte, nei momenti di veglia”. Più o meno così. In sostanza l’assenza crea un vuoto che genera il senso della mancanza. Il desiderio, l’attesa. Bellissimo. Chi non ricorda le canzoni di Vecchioni, Concato, Venditti, ecc. su un reiterato e accorato “mi manchi”? Sì, è un ottimo metro di misura, ma non sempre ci regala la certezza del vero amore, a mio parere. È una possibilità, che potrebbe anche rivelarsi egoistica ossessione di possesso da parte dell’altro/a. Mariella Sivo, intanto, dispiaciuta di non poter intervenire opportunamente con le sue domande che avrebbero potuto dare ulteriori apporti sulla veridicità dell’amore con garanzie di eternità (e con la mia cara Mariella mi scuso tantissimo per la mia interferenza fuori tempo!), ha rivolto una domanda sapida e catturante sul desiderio fisico, sulla passione erotica che tiene ben saldo l’amore. Certo, neppure questo aspetto è da sottovalutare, anzi! Spesso è proprio il collante che tiene fortemente unite le giovani coppie, o le coppie formatesi da poco, purché si sia pronti, col passare degli anni, all’inevitabile cambiamento che, se sorretto da vero amore, si trasforma in godibile, consolante, vivificante e, dunque, rigenerante “tenerezza”, di cui tutti alla fine abbiamo estremo bisogno. E su questo tema così delicato e importante, a mio parere, concludo con la profonda e metaforica poesia della sensibilissima poetessa Antonella Coletti: Si sfogliò l’anima come una rosa/ nel gelo incauto dell’inverno,/ reclinò il capo quando il vento/ le recise l’ultimo bocciolo./ Non emise lamento, si nascose/ sotto le folte occhiaie/ dell’edera cupa./ Nessuno la vide piangere/ o chiedere aiuto./ Nessuno le prestò attenzione!/ Nemmeno tu, tu che ne eri “responsabile!”. Ed ogni parola delle tante metafore “a cometa” di questa splendida poesia meriterebbe di essere evidenziata per farne insieme tesoro. Farsi carico, con “responsabilità”, dell’altro/a è anche AMORE. E ora il mio caro Alberto non avrà più dubbi! Potrà scrivere un sapido e realistico trattato sul vero amore. Una sfida? Grazie a tutti per la pazienza e il coraggio di leggere una pagina moltiplicata per… 3 e mezzo. Alla prossima. Ancora con tante altre testimonianze.
martedì 14 dicembre 2021
14 dicembre 2021: "Ho conosciuto il dolore": vogliamo parlarne?
giovedì 9 dicembre 2021
Mercoledì 8 dicembre 2021: E la MAMMA CELESTE io canto...
Due anni fa, sul nostro blog, così il mio caro amico Beppe scriveva parlando della Immacolata Concezione: Non è forse l'Immacolata la parola della casa più splendente che sia apparsa nel mondo? E’ appena morto un tempo annuale e sta sorgendo un nuovo tempo nella casa dell'Immacolata. (…). Un tempo finisce, inizia un nuovo tempo. (…). Abbandona tutta te stessa al passato e vai incontro al nuovo che è racchiuso in una sola parola: «CRISTO». L'Immacolata giunge a te con il battesimo che è morte nell'acqua dalla quale risorgere immacolata invocando una sola parola: «CRISTO». (…). <Io, Signore, mi rivolgo a te, entro nella tua sfera, che mi assorbe e riplasma la mia coscienza. Tu, Signore, sei la mia Nuova Umanità, In te, Signore, io sono in piena comunione con Dio, col mio Principio, nella mia piena libertà, Donami, Signore, il tuo Spirito. In questa comunione, Signore, io sento la mia vera identità, la mia integrità, Sento i miei veri desideri: io voglio restare qui, con te, in questo Eterno Gioco che è la Creazione. . . . Questo è l'amore: essere una cosa sola con te e con il Padre. Essere uno con tutti: circolazione di vita è il vero Mondo: Gioco senza fine e gioia Nell'Eternità, che ora esplode e adesso mi risana. Amen> (di Marco Guzzi in Non ego, Cristus). Poi, la pandemia ha fatto dimenticare anche a me queste parole che riprendo volentieri perché in quel “CRISTO” reiterato c’è tutta la maternità dolente e coraggiosa di Maria, dal primo “fiat” fino ai piedi della croce e alla sua Assunzione nei Cieli gloriosi, dove ogni dolore si spegne alla Luce della visione di Dio. Ogni credente non può fare a meno di cantare questa evidente verità, innalzando un canto d’Amore a Maria, Madre di tutte le madri. Ed ecco il mio canto:
Immacolata Concezione
Vieni in punta di
piedi
e lasci continue orme
di sole
sul mio cammino di
neve
con mani colme
delle tue infinite
stelle
alla mia disattenta
preghiera
(mia fanciulla di
Nazareth
voce soave
dei miei giorni andati
e mani
di cura ancora
presenti
a carezzare il mio
pianto).
Signora dorata
adorata Patrona del
tempo
innocente di bambina.
Solo frammenti di
cuore
ti lascio in cambio
dei tuoi innumerevoli
prodigi
(mollichine di
speranza
su passi lievi
che attendono ritorni)
E tingi di rosa e
turchese
i veli dell'attesa.
A te innalzo il mio
canto,
Madre di tutte le
meraviglie
mia eterna nostalgia
- Bella tu sei qual
sole
Bianca come la luna
e le stelle le più
belle
non son belle
al par di Teee... -
(e tornano antiche
voci
a riscaldare i doni
della nuova alba)
Con una sintonia del cuore, Anna Mininno, la mia amica sempre presente, ha
postato una bella immagine della Vergine di bianco vestita, col mantello di
cielo e una corona di stelle intorno al capo e ha scritto: “Bella tu sei qual sole”, Santissima Maria
Immacolata Concezione! Con tanti cuoricini e… Auguri a chi ne porta il nome!
E contemporaneamente Arcangela Parrulli, altra cara amica di Gravina in Puglia
scrive: In occasione della festa di Maria
Immacolata, vi presento una mia poesia intitolata “T’INVOCO REGINA”… per
chiedere il suo aiuto affinché il mondo segua le vie indicate da Suo Figlio, Gesù!!!:
Il tuo diadema emana/ bagliori di stelle/ lucciole impazzite/ che avvolgono il
mondo che muore.// Si combatte in più parti…/ sfollano genti dolenti/ a cercare
una patri/ chiamata Pace.// Nessuno sa dove sia/ ora che i bimbi imploranti/
accendono fuochi d’orrore/ nelle alcove di belve umanizzate…// … o che
scomparsi nel nulla/ rimpinguano avide tasche/ di truci commercianti di
organi.// Io t’invoco Regina/ vessillo d’amore e di purezza/ traguardo estremo
di salvezza/ Madre amorosa! Madre Luminosa! Con amaro realismo descrive le
brutture e le violenze del mondo contemporaneo pe chiedere alla “Madre amorosa e luminosa”, in ossimorico
contrasto, la salvezza di questa nostra umanità dolente e senza più una sola
luce a vincere il buio di questa devastante disumanizzazione. Fa da piacevole contraltare il post di
Cettina Fazio Bonina, altra dolcissima amica che ieri ha festeggiato il suo
onomastico con la sua bella famiglia. Cettina scrive: Amore, calore, amicizia, famiglia, casa, semplicità hanno reso speciale
la giornata di ieri in un periodo non facile per il mondo intero, ma un gesto,
ina parole possono darti il sostegno per affrontare al meglio le difficoltà!
Sono parole che allargano il cuore, dandoci la dimensione dei valori antichi
che, se rimangono scritti a caratteri cubitali nell’anima, non possono morire
nella nebbia dei ricordi di un passato che sembra del tutto dimenticato e che invece
vive perché l’anima, essendo immortale, li attualizza continuamente e li
restituisce all’Infinito. E non è l’otto rovesciato simbolo d’infinito? Basta
solo girare un po’ il suo simbolo numerico per ottenere un richiamo mistico e
misterico… e tutto riprende a volare e a diventate inno alla Vergine che
infiamma i cuori d’amore e accende il buio del mondo e della nostra stessa
anima desertificata con le sue luminose stelle! E farne prati fioriti d’attesa
e di speranza per tutti gli uomini “di buona volontà” in cammino verso la Luce
di una Stella Cometa… E, a proposito di Stella Cometa e del Santo Natale,
Assunta Braì, speciale amica salentina, propone l’ironica poesia di Trilussa: Ve ringrazio de core, brava gente,/ pé ‘sti
presepi che mi preparate,/ ma chi ve li fa fà? Si poi v’odiate,/ si de st’amore
non capite gnente…// Pé st’amore so nato
e ce so morto,/ da secoli lo spargo dalla croce,/ ma la parola mia pare ‘na
voce/ sperduta ner deserto, senza ascolto.// La gente fa er presepe e nun me
sente;/ cerca sempre de fallo più sfarzoso,/ però cià er core freddo e
indifferente/ e nun capisce che senza l’amore/ è cianfrusaja che nun cià
valore. Grazie Assunta per avercelo ricordato con i taglienti versi di
Trilussa. Ecco è solo e sempre questione d’amore! E vorrei concludere con le
parole del nostro beneamato sindaco Corrado De Benedittis: Ritrovarmi con la Confraternita dell’Immacolata, ai piedi dell’antica
statua, tanto venerata dalla pietà popolare, è stato come tornare a casa
abbracciato e protetto, dopo giorni così amari e tristi. A Lei, ho affidato la città
e soprattutto chi, in questi giorni, vive la desolazione, lo smarrimento, la
perdita. Quanto amore nelle sue parole! Già la “pietà popolare” è sinonimo
d’amore (da pietas = amore, appunto), ma anche il suo “tornare a casa” e sentirsi
“abbracciato e protetto” dall’Immacolata, a cui ha affidato l’intera città e
soprattutto “chi, in questi giorni, vive la desolazione, lo smarrimento, la
perdita. Grazie, sindaco. Il riferimento di grande appassionata condivisione
merita una nuova pagina su questo blog in tempi molto brevi. E sarà davvero un
Santo Natale!
venerdì 3 dicembre 2021
Venerdì 3 dicembre 2021: Poesia è un lungo canto per una sola Donna: mia MADRE...
(Mahmud Darwish, stralcio della poesia “A mia madre”)
E desidero dedicare a lei quanto tempo fa scrissi sulla maternità e sulla paternità per dare origine a una vita, attraversando tutti gli stati d’animo di una madre prima di stringere tra le braccia il suo bambino. Stati d’animo anche da me attraversati come figlia e come madre:
La VITA si mantiene in vita grazie alla donna. Il miracolo dell’eternità nel suo grembo. E nel cuore che batte di un bimbo, che non sa ancora la luce.
Maternità: un lievitare di cellule vestite di speranza. L’amore che bussa all’esistenza e chiede di nascere e rinascere. Dal non essere all’essere: questo il miracolo della vita. Deflagrazione di un inizio che prorompe in miliardi di possibilità, in altrettanti possibili percorsi con trame infinite di incontri, di scontri.
Il bene e il male, concentrati nell’attimo in cui si origina una vita. E nello spazio di un agglomerato di cellule, un feto, fragile e indifeso, ma pur determinato a nascere, a crescere, a vivere: a farsi bambino, fanciullo, ragazzo, giovane, uomo. E andare incontro alla vita.
La sua avventura esistenziale è un’ansia negli occhi chiusi di sua madre su un antico sgomento che lei non osa dire: “come sarà mio figlio? Cosa ne sarà di lui?”.
Endimione sopravvisse alla realtà perché per trent’anni, sul monte Latmos, tenne gli occhi chiusi e continuò a sognare.
La madre sogna che il suo bambino non scopra mai la realtà. E la realtà è solo un pensiero d’amore sgomento negli occhi chiusi di sua madre: “nascerà sano mio figlio? Saprò prendermi cura di lui e preservarlo da ogni male? Saprò indicargli la giusta via dell’amore e della tenerezza perché sia un vero uomo nella libertà di piangere, di ridere, d’amare?”.
E il piccolo nasce. Prima strilla, poi si acquieta tra le braccia d’amore di sua madre.
E la realtà è solo un sogno/bisogno negli occhi grandi del bambino a cercare il volto materno, l’unico tra tanti volti. Il solo a dargli sicurezza. Nei loro occhi di abbandono condiviso la vita che sa la vita e la vita che ignora la vita. La mamma sa ma preferisce ignorarla. Il bambino la ignora ma desidera scoprirla, giorno dopo giorno, nei giochi di conquista delle sue mani bambine, nei giochi di scoperta dei suoi incerti piedini.
Sogno-realtà: il doppio volto della vita nei suoi incastri tra progetti e ricordi.
Sul ponte del presente: il passato e il futuro intrecciano incontri e sentimenti. Positivi. Negativi. Controversi. Ambigui. Con mille dubbi e poche certezze. E nessuna verità. O forse tantissime verità apparenti e una sola vera Verità. Spesso ignorata.
E il padre? Ha posto in questa diade, “involucro d’amore” (E. H. Erikson), il padre?
Certo, anche la presenza del padre è importante per la tensione che lo sostiene a realizzare per suo figlio una realtà migliore senza troppo indugiare nel sogno. Per proteggerlo e dargli sicurezza. Per difenderlo e incoraggiarlo. Per sollecitarlo ad accettare e a rispettare le regole. Per guidarlo a muovere passi più concreti e fattivi nella giungla del mondo. Con forza e coraggio.
La madre è penombra di mistero con una tenerezza di luce fra le sue carezze. Testimonianza di sorriso che illumina e riscalda il cuore. La dolcezza del canto e dell’incanto.
Il padre è il giorno certo, la via maestra da seguire, l’audacia della scoperta di orizzonti sempre più lontani. Il viaggio senza canto, ma con piedi lesti che vanno e sanno dove andare e quali ostacoli superare, i nemici da affrontare.
Testimonianza di lealtà e dignità nella forza delle braccia e nella chiarezza delle mete.
E la Vita procede con le sue luci e le sue ombre mentre le generazioni passano...
Emozione inesprimibile per l’incanto e lo stupore della vita che rinnova la vita: meraviglia degli universi che si rigenerano anche attraverso un uomo e una donna. Il loro amore.
Oltre l’oblio, solo l’AMORE resta a fare spazio alla memoria…
Ed è memoria ancora e sempre di te, Madre mia. Certo, occorre cominciare dal primo giorno, seguendo il cammino di chi ci ha atteso e guidato fino a quando si diventa in grado di camminare da soli. Poi si ricomincia. E ogni nuova generazione prova con impetuosa curiosità a superare la linea tracciata da quella che l’ha preceduta per andare oltre. E la preghiera dei vecchi, come ben sai, è che i giovani non perdano mai la buona stella che vince il buio. Che quella luce rischiari ogni inevitabile notte del cuore e della vita. E in ogni inevitabile notte del cuore e della vita tu ci sei. Mi rimane, però, di te feroce questo tormento e il rimorso di aver per anni rimandato all’infinito i nostri rari incontri: per un lavoro ingrato/amato che mi attanagliava, logorando/divorando i miei giorni. Non avevo tempo neppure per te e sistematicamente deludevo la tua ansia di vedermi. Mi riprende anche oggi lo sconforto di aver ignorato i tuoi giorni di solitudine. E di attesa dei miei passi a confortarti di un ritorno. Mi rimangono le carezze alla tua mano, quando un soffio di tempo e di nostalgia mi riportavano da te in una fretta di minuti che ignoravano le ore. “Avremo tempo”, ti dicevo, tra lacrime non piante. Non c’è stato più il tempo. Solo il ricordo. Presente come la tua anima ai miei giorni.
E chiudo qui. Sulla mia pagina di FB la poesia che ti ho dedicato, Mamma, sintesi di questi miei ricordi. Di tutto il mio rimpianto. Per questo io ancora ti canto…
lunedì 29 novembre 2021
Lunedì 29 novembre 2021: la poesia è anche un lungo canto/grido contro la violenza sulle donne...
E riprendo con le poesie e le prose prese da FB o rapinate
ad alcuni amici. Ed ecco quanto scrive la mia amatissima Natalizia Carone,
grande soprano e Presidente del Festival Opera de Mari Festival Lab (spero di
aver dato una informazione corretta!): Un pensiero a tutte le Donne
vittime di violenza…, affinché anche la musica possa rompere il silenzio. // 25
novembre/ L’amore non lascia lividi./ L’amore non è un’offesa./ L’amore non è
una minaccia./ L’amore cura dal male, ma non ne fa./ L’amore non alza le mani,
ma ti prende per mano…/ L’AMORE NON E’ VIOLENZA!
E di Angela Aniello, mia conterranea, scrittrice e poetessa,
meritatamente pluripremiata, e mia tenera amica: Oggi condivido il
frammento di un mio racconto “LA VIOLENZA! Ah, come ingarbuglia la matassa del
mondo! All’improvviso contemplavo una maglia nelle calze a rete più larga delle
altre. Una voragine di cuore e corpo. Puntellava la coscia mentre l’inguine
bruciava ancora. E che fatica riprendere a respirare! Glielo avevo detto che io
non lo volevo. Il suo mondo era una prigione. Lui voleva che mi appartenesse a
tutti i costi. Non urlai, non piansi. Quel dono giunse sgradito e non cercato.
Io che il mio mondo me l’ero costruito dentro cucendovi i sogni. Adesso
masticavo lentezza e cicatrici. Come una chiocciola inchiodata al terreno senza
la minima intenzione di ripartire. Ad una voce sola il mondo non funzionava
più! (Dal mio racconto “AD UNA VOCE SOLA”)
Poi, ecco la voce di un’altra mia carissima amica, raffinata
scrittrice e poetessa, padrona tra l’altro di molte lingue e di straordinaria
sensibilità artistica: Penso ci sia un difetto di interpretazione. È la
donna che con l’uomo genera albe future, unendosi e moltiplicandosi. Ogni
deviazione è vilipendio di strafottente e disumana onnipotenza che il mondo
deve cancellare. Occhio, dunque, a chi ama possedendo, a chi ha il mal di
donna, a chi non sa di rispetto e gentilezza. Occhio a chi non ha e non conosce
amore. Occhio alla vita, diritto inalienabile che Caino non può e non deve
toccare. a. m. 25 novembre 2021
E di Francesca Palumbo leggete questa pagina e valutatela
voi. Io sono fiera di inserirla nel nostro blog: Buongiorno con i
colori dell’alba, un’alba dedicata a NOI tutte! Al valore che è dentro ognuna
di noi, al dire di parola, all’intima forza che ci lascia e torna, affaticata e
talvolta smemorata nella dimenticanza; a quel sé docile e guerriero senza ali
né peso; a quella bimba nascosta tra le piaghe del cuore che alza il pugno
fragile e potente. Agli incastri, alla musica, ai transiti. Agli inciampi (e
non solo quando stiamo sui tacchi), ai sorrisi che si sono spenti prima di
nascere ma anche alle strette di mano, agli abbracci, alla felicità di certe
giornate speziate e a quel vento prepotente che ci ha scompigliato i capelli.
All’esitazione, alla sospensione di giudizio. All’etica e all’impegno. Alla
luce, al buio, ai sensi, a quella stanchezza grata di una giornata valsa da
vivere. Alla pace, all’amore sconfinato nelle periferie e nel centro di
ciascuna, al per sempre di ogni cosa che, pur finendo, resta. A quello spazio
che si fa scheggia di luce quando ci diamo voce. Come dicevo proprio a NOI, a
NOI tutte! F.P. 25 novembre
Di Rina Sarcone, che non conosco, mi ha colpito questa
devastante e tenerissima poesia intitolata “Scarpette rosse”: Vuole
dimenticare/ tutte le volte/ che si trovava al buio.// Le mani che toccavano/
il suo corpo di bimba.// Non capiva l’ansimare e/ l’odore di alcool/ Solo la
luce delle lacrime/ lavavano lo sporco che/ l’aveva contaminata…// tutto torna/
nell’angoscia delle/ Scarpette Rosse.
E della mia carissima amica fiorentina ecco una splendida
“Elegia per Nadia Anjuman” intitolata “IO SONO DOMANI”: È stato un
saccheggio d’amore/ la risacca violenta che tutto ingoia/ e abbandona altrove./
Sono stata lasciata altrove/ e tu mi troverai tra i silenzi eloquenti/ negli
occhi neri dei volti coperti/ nella sabbia fra le dita nei sandali/ nel profumo
d’oriente e la rabbia/ del vento del nord./ E tu mi troverai nelle rosse labbra
della poesia/ e nel sole nascosto sangue e nel sogno custodito/ che mai muore,
mai/ nell’acqua al bordo del labbro/ nell’attimo prima e nel secondo dopo./
Sono di bianco sentiero e terra battuta/ sono di stelle cadute e della chiara/
aurora di Domani./ Io sono Domani. Lorella Rotondi (Firenze) in
memoria di Nadia Anjuman, poetessa venticinquenne afghana uccisa dal marito il
4 novembre 2005 (Carta e Penna editore, Torino, febbraio 2006). E mi
mancano le parole per commentare versi così belli e suggestivi, che mitigano
una realtà che innalza al Cielo il suo grido/canto di dolore nella
rivendicazione di anni così giovani, intrisi di immarcescibile poesia.
Ma non bisogna dimenticare altre forme di violenza in grado
di distruggere una vita. Ecco una dolente testimonianza della immensa Mia
Martini: “C’era gente che aveva paura di me, che per esempio rifiutava
di partecipare a manifestazioni nelle quali avrei dovuto esserci anch’io. Mi
ricordi che un menager mi scongiurò di non partecipare a un festival, perché
con me nessuna casa discografica avrebbe mandato i propri artisti. Eravamo
ormai arrivati all’assurdo, per cui decisi di ritirarmi. Gli anni
che mi hanno tolto li ho impiegati per crescere. Non cerco vendette, spero solo
che tutto questo tempo sia servito per meditare a chi ha voluto ferirmi e,
anche se porto le cicatrici di una crudeltà stupida, non sento più male” (da
QUOTIDIANO COMUNISTA - Michael Sardu). Sappiamo come sia andata a concludersi
tragicamente la vita della indimenticabile cantante, a cui le ferite
continuarono a sanguinare e a non rimarginarsi del tutto. La violenza di
qualsiasi genere devasta e distrugge: a volte, con eclatante violenza, altre
subdolamente, sottilmente, incidendo a lungo con coltelli invisibili ma
acuminati e ugualmente mortali. Ma, a proposito di indimenticabili cantanti e
canzoni, desidero proporre anche uno stralcio di una significativa quanto
straziante canzone di Fabrizio De Andrè intitolata “La collina”: … Dove
sono Ella e Kate/ morte entrambe per errore/ una di aborto, l’altra d’amore.//
E Maggie uccisa in un bordello/ dalle carezze di un animale/ ed Edith consumata
da uno strano male.// E Lizzie che inseguì la vita/ lontano, e dall’Inghilterra/
fu rioirtata in questo palmo di terra.// Dormomo, dormono sulla
collina/ dormono, dormono sulla collina… E ci viene incontro Edgar Lee
Masters con il suo capolavoro “Spoon River”. E quanti dormono sulla collina di
ogni perdita, ogni destino segnato.
E anche per oggi mi fermo qui. A ben presto ritrovarci…
giovedì 25 novembre 2021
Giovedì 25 novembre 2021: La violenza sulle donne, ancora una tragica realtà...
Solo testimonianze. Le mie parole sono superflue. E comincio con una poesia lieve che attutisce l’impatto feroce con una realtà che fa male a chi la vive e a chi resta a raccoglierne il pianto. Di Marco Zanchi una filastrocca per grandi e piccini dal titolo “Come ho fatto”: Come ho fatto a farti male/ Tu ferita io ero sale/ Sale sopra la ferita/ Sul tuo corpo le mie dita/ Chi è più forte può essere vile/ Ero lupo nell’ovile/ Ma potessi rimediare/ Tutto in baci trasformare/ Fare zucchero quel sale/ Nella notte essere sole/ Quanti anni dovrò stare/ Carcerato a pensare/ Come ho fatto a farti male Ed ora siamo pronti ad entrare nel dolore. Ecco “Bruma sonora” di Mariateresa Bari: Dolgono/ i lividi sulle mie illusioni/ bruma sonora è la prigione/ dell’inganno di smesse metafore// Guizzano/ le mutevoli radici del tempo/ dalle crepe sui muri// Nel saluto di un’ombra/ ingiallisce lo stormire del pianto. "Dolgono/ i lividi sulle mie illusioni" : contrasto enorme e devastante tra i lividi e le illusioni, come subito dopo notiamo anche in Mattia Cattaneo “STOP ALLA VIOLENZA SULLE DONNE”: Da questa finestra/ i segni lasciati dalle tue mani/ brucianti fuochi/ e una sera come tante// vene rotte/ di una follia impigliata/ nei respiri,/ lo svuotarsi/ lasciandoti andare alle urla// il canto muto delle stanze/ scendeva tra gli occhi/ pieni di spavento/ e io morivo da seduta// conosco il buio/ del non abitarsi più. “Conosco il buio/ del non abitarsi più”: meravigliosa sintesi della feroce violenza racchiusa in due versi lapidari, che mettono in crisi la nostra umanità. Di Francesca Petrucci “SILENZIO”: Laggiù./ Non un soffio/ Non un alito./ Solo un grande fragore di stelle.// Nell’aria, orecchie immobili ingoiano/ Tralci di lune spezzate./ O forse un’eco, una voce/ Che è stata, un cristallo, un sorriso vivo.// Ahi notte, perché non parli?/ Urla! Mordi! Azzanna/ Mani di ferro e cuori inesistenti.// Un monile là, a bruciare la terra/ Che sola arde di dolore. Fino allo spasimo ultimo,/ Fino all’istante del duro sogno./ All’istante dell’eternità.// Ahi, com’era sfuggito il tempo dei sospiri.// Una lama al posto del cuore/ Una lama al posto delle viscere/ Una lama al posto del petto,/ Dell’anima, del tuo sorriso/ Ormai di sangue rappreso.// Laggiù/ Ad accogliere lacrime/ Crude di silenzio/ Come carezza di una morte/ Che non ti vuole.//Laggiù/ A tessere ancora ghirlande di eterno/ Soffocata da un fragore/ Di stelle/ Che solo tu puoi sentire. Altri versi che sono talmente potenti da metterci di fronte alla scena di uno spettacolo perverso sotto un “fragore di stelle” e “tralci di lune spezzate”. E la reiterazione negli ultimi versi delle stesse stelle, che urlano al cielo l’avvenuto misfatto, ci mette brividi di dolente condivisione e di mai spenta speranza che tutto possa solo riguardare il passato e il presente, ma mai più il futuro. La speranza, comunque, deve muovere passi di rinnovata consapevolezza e di progetti di vita scritti in due. Poi di Antonia Montemurro raccolgo da FB il seguente messaggio: Quanta forza e coraggio per tutte le donne che combattono per ogni crepa e per ogni cicatrice che spacca il cuore e l’anima!! E sempre da FB di Sebastiano Nino Fezza ecco “25 Novembre. La storia di Marinella”. “… vivesti solo un giorno come le rose”… (Fabrizio De Andrè). Pare che sia la sintesi della risposta data in una intervista dallo stesso immenso cantautore a chi gli chiedeva notizie su chi o che cosa gli avesse ispirato la Storia di Marinella: Dedicata alle 100, 1.000, 100.000 Marinelle di cui nessuno parla, la speranza che non dovremo più piangere tutte le Marinelle scomparse.// Marinella, il suo nome era Maria Boccuzzi, una donna di origine calabrese che aveva lasciato il lavoro da operaia per entrare nel mondo dello spettacolo.// Ballerina col nome d’arte Mary Pirimpò, finì in un giro di prostituzione e fu uccisa. Questa la scarna cronaca di una storia troppo simile a tante altre che hanno lasciato e lasciano una lunghissima, e spesso ignorata o dimenticata, scia di sangue nel mondo oscuro della prostituzione. Ma la violenza contro la donna è molto più legata purtroppo anche al mondo familiare della propria casa, dell’uomo che la abita e che crede di avere il possesso fisico (e non solo) della propria compagna fino a usarle violenza ai confini delle estreme conseguenze. Occorre combattere le une e le altre con coraggio e determinazione per denunciare e trovare insieme soluzioni di difesa e salvaguardia della vita di tante povere vittime che non hanno avuto e non hanno ancora voce. De Andrè lo ha fatto con le sue immortali canzoni, i poeti con i loro versi, giornalisti e scrittori con i loro articoli, i loro romanzi. Ecco un’altra prosa di Titti Di Tommaso, che tanto stimo e ammiro per cultura, impegno, idee e ideali di umanità. Ho scoperto le sue parole stamattina su FB. Titolo: “25 novembre 2021”: Ho sempre pensato che dal modo in cui un uomo tratta una donna rivela tanto di se stesso… Oggi mi sento di dire grazie a tutti gli uomini, ancora capaci, non solo a parole, ma con l’agire quotidiano, di lottare per noi, di rispettarci e proteggerci… Questa è la vera forza per me, w gli uomini per bene che con il loro esempio danno un contributo a rendere migliore il mondo. Ecco una testimonianza che inverte la rotta e mette a fuoco l’orizzonte di uomini che sanno ancora amare e rispettare le donne. Applaudo anch’io! Ed ecco Non Inutilmente”, il mio piccolo contributo per questa grande causa: Mi feci inutilmente conchiglia/ per sussurrarti invano/ il richiamo del mare/ e una nostalgia di velieri/ a riportarti a riva/ Mi feci papavero da scoppiare/ tra le dita per un ti amo/ spaventato dal rumore del cuore/ a lasciare un segno rosso/ folle di sogni ubriaco d’amore/ Mi feci vela per farti scoprire/ tutto l’azzurro nella libertà d’andare/ ma tu t’incatenasti al porto sicuro del tuo “Ego”/ minaccioso/ crudele/ senza coraggio di amare/ Coltello scure fucile mitraglia/ contro la resa dell’anima/mai arresa/ E forse…/ (Rimane una luna di mare affogata/ un papavero lacerato tra le dita/ il silenzio di una vela stracciata)/ MA MI SALVAI!
E per oggi mi fermo qui. Ieri avevo letto altre testimonianze su FB che avrei voluto riportare sul blog (per esempio quella di Maria Concetta Giorgi), ma stamattina sembrano sparite nel nulla, almeno alla mia miope e frettolosa indagine per essere nei tempi improrogabili di questa giornata. Ma ci rifaremo. È un discorso aperto che dovrebbe renderci vigili e operativi 365 giorni all’anno. Sta a noi renderlo tale…
domenica 21 novembre 2021
Domenica 21 novembre 2021: IL TALENTO...
Ieri abbiamo ricordato la giornata dei Diritti
dell’Infanzia, voluta dalla Convenzione ONU e approvata dall’Assemblea delle
Nazioni Unite il 20 novembre 1989. Ma già 120 anni fa, la scrittrice svedese
Ellen Key scrisse Il secolo del bambino che condusse alla
scoperta dell’infanzia (dopo l’antesignano Rousseau che aveva pubblicato Emilio
o dell’educazione - 1762 - romanzo pedagogico di grande importanza per
la scoperta dei bisogni infantili) da parte di psicologi, pedagogisti,
insegnanti, genitori. Sappiamo, comunque, che a distanza di oltre un secolo
tali diritti non ancora sono stati raggiunti neppure in Italia, men che mai a
livello mondiale. Eppure il Novecento fu dichiarato proprio “il secolo del
bambino”. Oltre 200 anni di storia non sono bastati a dare ai piccoli le
fondamentali risposte politico-socio-culturali ai loro reali bisogni di
crescita e autoaffermazione personale in vista di un futuro da vivere da
protagonisti e mai più come esseri invisibili, ignorati o molto più spesso
vittime sacrificali della violenza degli adulti (dallo spartano monte Taigeto
alla romana rupe Tarpea fino al parricidio di Vetralla dei nostri giorni). Voi
mi chiederete: cosa c’entra tutto questo con la parola TALENTO, di cui dobbiamo
occuparci oggi? Credo che sia il giusto preambolo a quanto andremo ad
analizzare, sempre partendo dalle chiare e puntuali riflessioni del nostro
Simone Cristicchi che, a sua insaputa, ci sta facendo da guida e da maestro in
questo affascinante percorso alla ricerca della felicità. Ebbene Simone, al
riguardo, scrive: Ci sono cose che non si possono comprare. Sono
inacquistabili addirittura nell’attuale mondo mercificato, fuori dalla portata
dei miliardari e delle carte di credito placcate. Semplicemente non sono in
vendita: le puoi avere solo se le conquisti, non se le acquisti. Con i soldi
puoi comprare una casa, ma non una famiglia. Puoi comprare un letto, ma non il
sonno. Puoi comprare un orologio, ma non il tempo. Puoi comprare un libro, ma
non la saggezza. Puoi comprare una posizione sociale, ma non il rispetto. Puoi
pagare un medico, ma non la salute. Puoi comprare il sesso, ma non l’amore.
Puoi comprare il successo, e spesso anche chi te lo riconosce, ma non il
talento. Ecco la parola magica. TALENTO! Cos’è i talento? Leggo dalla
Treccani che etimologicamente Talento deriva dal greco “tàlanton” che significa
“piatto della bilancia, peso, somma di denaro”. Poi scopro da altre fonti (vocabolari,
riviste di psicologia e cultura generale, ecc…) che ha assunto, nel tempo, il
significato di “inclinazione” (dal piatto della bilancia appunto) e, infine, di
“talento”, secondo il significato evangelico (dalla parabola dei talenti del
Vangelo di Matteo: parabola, che a me piace molto perché anche molto
esplicativa e formativa). Dunque, talento come inclinazione, dote innata,
propensione a fare facilmente alcune cose che ad altri risultano difficili,
genialità, vocazione, necessità, e così via. I genetisti affermano che è innato
ed ereditario; gli ambientalisti sostengono il ruolo primario dell’ambiente
nella sua scoperta e nel suo potenziamento. Ritengo che entrambi abbiano
ragione. Ma probabilmente il talento è anche molto di più. Simone continua: Il
talento è gratis, te lo regalano, nasce insieme a te. Ecco l’attinenza con
i bambini e l’infanzia. I bambini sono dei creativi e “visionari” per
eccellenza (“la scopa che diventa cavallo” - “l’amico immaginario”…). Bisogna
scoprire per tempo i loro talenti e aiutarli a potenziarli e a utilizzarli per
fare grandi cose in un solo o in più campi. Non è un caso che questo dono
immenso, più della stessa vita, come andrò a chiarire secondo il mio punto di
vista, ci sia stato misteriosamente e prodigiosamente dato. A chi più, a chi
meno. Probabilmente chi lo ha ricevuto in piccola misura è chiamato alle scelte
quotidiane della vita; chi lo possiede in grande misura è destinato a
perseguire un fine nobile per quanti lo circondano o per l’intera umanità. Sono
personalmente convinta che la vita senza creatività può scorrere in maniera
banale, sempre uguale e persino piena di sofferenza e insoddisfazione perché
ritenuta, a torto, immodificabile. La creatività ci permette di modificarla a
nostro piacimento, magari colorandola solo col pensiero, in quanto è quella
qualità della mente che ci fa “rinascere infinite volte” (Fromm). Se essa poi
si identifica con il talento in uno o più campi della nostra operatività
esistenziale, allora possiamo veramente ritenerci fortunati. Cristicchi scrive
ancora: È un’app già installata nel nostro sistema operativo, va solo
trovata la password. C’è chi impiega una vita a scovarlo e chi muore senza
neanche averlo cercato. Altri ancora dimenticano di possederlo, come capita
alle anatre domestiche: non volano, eppure potrebbero. Esempio diretto
alle generazioni della comunicazione virtuale, propria del nostro tempo. Molto
calzante anche l’esempio delle anatre domestiche, che non riescono più a volare
pur essendo dotate di ali. Come dargli torto? L’esempio opposto è quello
dell’albatro di baudelairiana memoria che è goffo sulla terra, ma invincibile
nell’eleganza e nell’altezza del volo. Una tenera via di mezzo la troviamo
nella gabbianella a cui un gatto insegnò a volare del mitico Luis Sepùlveda.
Occorre favorire per tempo la scoperta del talento. L’analisi delle
“intelligenze multiple” di Howard Gardner (visuo-spaziale, linguistica,
interpersonale, musicale, corporeo-cinestetica, intrapersonale,
logico-matematica, naturalistica, esistenziale…) ci dovrebbe aiutare, partendo
dall’assunto fondamentale che “l’intelligenza è la capacità di comprendere il
mondo in cui viviamo e di risolvere i problemi ambientali, sociali e culturali
che ci vengono posti in ogni momento della nostra esistenza” (Gardner). Ma
anche, da “intus legere”, l’intelligenza è prima di tutto la capacità della
mente umana di penetrare nelle cose, “leggere dentro” profondamente: in noi e
fuori di noi. Quanto tempo perso in tentativi ed errori nell’apprendimento si
eviterebbe se per tempo dessimo ai nostri bambini gli strumenti per scoprire
l’area principale del proprio talento per avviarsi più speditamente verso la
conoscenza di sé stessi e del mondo circostante! Quanti momenti bui di
disistima, scoramento, rifiuto di apprendere e fuga dalla scuola e dalla vita
(in casi estremi ma non rari) eviteremmo ai nostri bambini e adolescenti se li
aiutassimo a comprendere per tempo il proprio potenziale intellettivo e a far
leva su quanto più desta in loro interesse e la forte motivazione ad
apprendere “operativamente”, facendo cioè leva sulla capacità/volontà di
scoprire, attraverso la personale ricerca, il sapere, facendo leva anche sulla
“transitività cognitiva” che permette agevolmente di passare da una conoscenza
all’altra senza intoppi. quando, invece, noi perdiamo di vista le
nostre potenzialità, quando ci infiliamo nel gregge, nel flusso modaiolo,
nell’andamento generale, noi rinunciamo a volare, dice ancora Simone. Ed io
aggiungo rinunciamo a noi stessi. Ad ESSERE, ad ESSERCI! Certo, è una
bella responsabilità farsi carico del proprio talento, appunto perché non lo
scegliamo. Non è un’attitudine, è una dote. Da Platone a Hillman, in molti
hanno parlato di “daimon”, una specie di spirito guida, un compagno invisibile
portatore del nostro destino, che è la nostra componente originaria, il nostro
codice da decifrare, attuare e onorare.
Ho saccheggiato abbondantemente Simone Cristicchi perché la
penso esattamente come lui. E per oggi mi fermerei qui, ma desidero aggiungere
un piccolo riferimento a questa giornata, 21 novembre, “Giornata dell’Albero”.
È una giornata che mi piace molto perché segna il nostro contatto con la
natura, il rito di piantare gli alberi di cui si fanno carico la Scuola
dell’Infanzie e la Scuola primaria per educare i piccoli e i ragazzi all’amore
per la natura, al rispetto per i generosi alberi che danno tutto di sé senza
nulla chiedere in cambio se non un minimo di cura per non appassire. Ritengo
che per tutte le cose occorra partire dalle origini, dalla natura, che è la
madre primaria della nostra esistenza, fonte del nostro quotidiano
sostentamento. Se poi nella natura vediamo tutte le Creature di un Creato
voluto da un Creatore, allora anche in un albero potremmo vedere l’immaginaria
fonte dei nostri talenti: le radici che affondano nell’humus della terra; il
tronco che cresce verso l’alto e mette rami e foglie e germogli per dare i suoi
frutti in base al suo codice, che fa di un albero quell’albero e non un altro.
Albero, che verdeggia e fa ombra o dà i frutti non per sé stesso ma per gli
altri in una continua offerta di sé per il benessere di tutti. E i rami più
alti sembrano forare il cielo alla ricerca, non sempre vana o illusoria, della
carezza rassicurante di Dio. E, chiedendo scusa per l’autoreferenzialità,
chiudo con una mia, purtroppo lunga, poesia: Chi di rosa e d’azzurro/ a
mia insaputa/ ha dipinto il cielo/ di questo tramonto di fine novembre,/ quando
per i bimbi comincia/ l’attesa del Natale e delle fascinose/ luci che scaldano
il cuore/ a grandi e piccini?// Un raggio d’azione/ più ampio ha il sole/ al
perielio/ raffreddando i suoi raggi/ e il calore della Terra./ Rabbrividiscono/
i rami degli abeti/ e lunghe code d’uccelli/ vibrano al vento di tramontana.//
Chi lascia che il verde conforti/ tra farfalle di neve/ l’attesa e la
speranza?// Chi depone al mattino/ di quasi primavera/ sulla fogliolina di
prato/ una goccia che trema/ di rugiada?/ Chi colora il sole arancione/ sul
mare di miele/ in un tramonto d’estate/ e l’alba turchina/ coi suoi lunghi capelli/
a sfidare onde e maree/ e fiori di bosco e collina?/ Chi rivernicia il nero
notturno/ del mare/ di verde e d’azzurro/ con riflessi d’argento e di luna/ per
incantare gli occhi/ di mille amanti?// Chi bruciò sarmenti di porpora/ per il
sorriso acceso dei sogni/ di due ragazzi innamorati/ su distesi orizzonti/
persi d’infinito?/ Chi ha ricamato d’autunno/ i veli trasparenti di nuvole
leggere/ sull’altare di trepidanti spose/ di settembre?// Chi sollecitò ombre/
di rimpianto/ sul finire del tempo/ aggrappato ai ricordi/ testarda quercia/
culla di nidi/ in esplosione di nuova vita/ e urna di volti/ spariti nelle
nebbie/ di un passato acceso nell’anima?// Chi mi regalò/ un manto di stelle
lucenti/ più di mille diamanti/ a ridarmi gli anni perduti e mai dimenticati/
di mille prodigi/ tra lacrime e risate/ e un firmamento acceso/ contro il buio
di ogni tormento/ CHI?
E nuove testimonianze ci attendono…