sabato 14 agosto 2021

Sabato 14 agosto 2021: si conclude questo lungo ciclo di incontri poetici su nostro blog in attesa di...

E vorrei concludere questo lungo ciclo di incontri letterari, poetici, culturali sul nostro blog per un salutare riposo estivo di almeno una settimana. Prima, però, desidero dare un saluto accorato a Gino Strada, altro faro luminoso di coraggio, generosità, umanità, determinazione al fare più che al dire, che ci lascia una scia da seguire, un ideale da perseguire, un percorso da affrontare quotidianamente per… riumanizzarci. La sua morte sotto questo infuocato cielo di agosto mi fa pensare alle stelle cadenti che pare si perdano nello spazio siderale e invece lasciano a noi un appiglio generoso per “de-sidera-re” che un sogno si avveri. E queste sono ancora le notti di San Lorenzo e delle sue lacrime per tanto “ardente” martirio. Poeticamente è bello crederlo. Ma scientificamente?  Mi aiuta Google: “Stanno per arrivare le serate migliori per osservare le più note e spettacolari stelle cadenti dell’anno: le Perseidi. Attenzione, però: le stelle cadenti non c’entrano nulla con le stelle vere e proprie. Sono infatti polveri minuscole, di pochi millimetri, che entrano nell’atmosfera della Terra a decine di migliaia di chilometri orari e sviluppano per attrito una scia luminosa che illumina il cielo. il granellino in arrivo verso il nostro pianeta viene chiamato dagli scienziati meteoroide, mentre la scia di luce è la meteora, quella che popolarmente viene detta stella cadente (…) Ci sono periodi in cui si verificano gli “sciami” (o piogge) e se ne vedono molte più della media. Questo dipende dal fatto che, in quelle notti particolari, la Terra, orbitando attorno al Sole, attraversa una regione di spazio in cui queste particelle sono addensate, in genere perché “lasciate giù” da una cometa. Le Perseidi, in particolare, sono associate alle polveri della cometa 109P/Swift-Tuttle, che ripassa da queste parti ogni 133 anni circa. Il nome delle Perseidi deriva dal fatto che sembrano irradiarsi da un punto del cielo che si trova nella costellazione di Perseo. Avrei potuto fare riferimento anche al carissimo amico Franco Leone, che ha grande competenza in questo campo e spesso ci delizia con dovizia di particolari, facendo dell’astronomia un’arte di straordinaria bellezza e poesia. In questi ultimi anni ha cantato in endecasillabi dappertutto, in Italia e all’estero, ricevendo riconoscimenti importantissimi, le opere di Caravaggio in Caravaggio Poesia della Luce (SECOP edizioni 2018). Rubo dalla sua Pagina un minuscolo stralcio, sicura di fargli cosa gradita: Sotto lo sfavillio delle Perseidi, le meravigliose stelle cadenti di agosto che accendono d’incanto le notti dell’estate, il Campo di Mare celebra Caravaggio con le opere di cinque artisti e con i versi di Franco Leone in un evento culturale che resterà nella storia di questa zona del Lazio, ove sbarcò Caravaggio prima di morire… Dunque, sono le Perseidi a illuminare le magiche notti di Ferragosto. E avviene ogni 133 anni circa. Dunque, è un privilegio a noi riservato e noi ci siamo! Ci siamo anche con le nostre stelle, i nostri desideri, le nostre poesie. Maria Pia Latorre mi scrive in riferimento al blog di due giorni fa: Angela, grazie per questa tessitura che dal dolore individuale (Maria Teresa) si allarga a quello collettivo. Ringrazio Vito Tricarico per la partecipazione al mio sentire. Vorrei qui postare la mia ultima San Lorenzo. Ho notato che molti hanno composto la loro personale San Lorenzo. C’è da osservare che da sempre questo suggestivo fenomeno ha ispirato stati di poeticità. Vorrei conoscere il tuo parere e quello degli altri fruitori del tuo blog. “San Lorenzo”: Voglio dirti la luce/ di stelle/ perché tu indovini i/ pensieri coperti/ della notte/ Ti darò una matita di fuoco/ per congiungerne i punti/ nel cielo/ e non darti pena se/ apparirà inaspettato/ il tuo disegno/ rimosso Certo, è una notte di San Lorenzo la tua breve ma intensa poesia proprio come la scia luminosa di una stella cadente. Il tempo di raccontare il tuo desiderio al misterioso interlocutore “perché tu indovini i/ pensieri coperti/ della notte”. Sono versi brevissimi ma pieni di chi occupa tutto lo spazio possibile nei pensieri nascosti dal profondo buio della notte, che si riempie di luce grazie alle stelle. Sarà una notte di dono: una matita   ardente del fuoco che palpita dentro e incendia nel silenzio quanto sia già accaduto perché quel “tu” invisibile, ma conosciuto molto bene, possa, congiungendo i vari punti luminosi degli astri nel cielo, ricomporre il disegno che, inaspettato, “apparirà” pur essendo stato da tempo “rimosso”. Dono che sintetizza magnificamente il desiderio di un recupero, di un tempo restituito alla memoria e al cuore nella magia di una notte che sa il prodigio di attualizzare il sogno e renderlo visibile, ma non più condivisibile. E spero che Vito Tricarico (che, due giorni fa, riferendosi alla poesia “Io sono Sardegna” ha scritto: molto struggenti, realistici, attuali, in questa estate torrida e di fuoco, i versi di Maria Pia Latorre) scriva ancora e Mariateresa e Gianni Brattoli e tutti gli altri che ci seguono nel blog ci diano riflessioni che possano concordare con le mie, ma anche dissentire per un dibattito ampio e costruttivo. E, intanto, rubo da Ginevra DellaNotte questa poesia: Com’è bella la notte dei monti che si parlano/echi stanchi di chi ha spento le luci/ i grilli finalmente possono gioire/ le stelle unirsi ai morti/ il silenzio che avanza/ per chi deve restare vivo (“Parole” Ginevra DellaNotte Ph da web Gran Sasso di notte). Qui le stelle si uniscono ai morti. Cambia significato e senso la notte delle lacrime di San Lorenzo sul Gran Sasso ad un passo dalle stelle che cadono mentre le anime salgono al Cielo… in un “silenzio che avanza/ per chi deve restare vivo”. E quel “deve” mi cattura, mi imprigiona, mi spinge a pensare al destino, al Karma, alla fatalità. Alla frazione di secondo, simile alla luce che si accende per un attimo nel buio del cielo ferragostano, per decidere la sorte di un uomo: se vivere o morire. A sua totale insaputa. O forse sì? Attendo i vostri commenti, gli interventi, le riflessioni, le poesie. Da riproporre appena il nostro blog avrà ancora la gioia di ascoltare le nostre voci. E concludo con un augurio fatto di pioggia di stelle tra le nostre mani d’estate. Buoni desideri, buoni sogni, buone vacanze a noi tutti…

 

 

 

  

mercoledì 11 agosto 2021

Mercoledì 11 agosto 2021: commenti, riflessioni, poesie ancora su "CENERE"...

Nelle ultime puntate ho presentato e commentato il poemetto CENERE di Gianni Brattoli per avere con tutti voi un confronto su temi molto difficili e controversi legati all’esistenza di un Dio creatore; alla presenza del Male nel mondo; alla possibilità di esercitare il libero arbitrio in presenza di leggi morali che incatenano di fatto la libertà individuale; alla pre-esistenza degli angeli e ai loro compiti presso Dio e presso gli uomini; alla loro gerarchia; all’assenza e l’indifferenza di Dio nelle immani tragedie della nostra esperienza terrena; al nichilismo e alla possibilità di dare un senso alla vita e alle nostre azioni per salvare l’umanità alla deriva. Sono stati temi molto impegnativi che hanno avuto preziose risposte da parte vostra. Ne voglio citare alcune. La puntualizzazione sugli angeli di Caterina De Fusco, per esempio: Angela, gli angeli hanno dei precisi compiti e le schiere angeliche - 9 - sono dei gradini che anche gli angeli in forma incorporea devono salire per essere più vicini a Dio. Il cammino di ciascun uomo è quello di ritornare a fondersi con la Sorgente. Il libero arbitrio esiste ma l’uomo deve imparare a far riferimento alla sola voce della coscienza, che parla animicamente. Quando noi ci incarniamo l’anima spesso dimentica il motivo per cui siam qui discesi… e allora anziché evolvere involve… Il nostro cammino è solo evolutivo per trascendere la materia e dar ascolto allo Spirito che solo parla con la Sorgente… Vita e morte sono interconnesse come Luce e tenebre… Non si deve aver paura della morte, morire è tornare a vivere in forma più evoluta… si può morire molte volte nella vita, ciò significa lasciare andare le molteplici facce dell’Ego che ci imprigiona a “vili piaceri terreni”, the true life… è “oltre”. A cui io ho risposto: Grazieee per queste puntualizzazioni utili per tutti quelli che credono nell’“oltre”, in maniera così serena e spirituale… E Caterina a me: se si raccolgono i tuoi stimoli sei tu che permetti il mio scrivere, credo in un grazie reciproco. E sempre Caterina, in risposta alle mie argomentazioni sugli stessi temi mi ha scritto: Io in qualche modo credo, con Galimberti, che è difficile traghettare i giovani nel futuro, la scuola e la formazione hanno vissuto e vivono un gran colpo d’ascia, e l’esterno è ricco di costanti insidie, che solo con “un severo” potere critico riesce a districare… Tuttavia ciò in cui credo fermamente è nella “libertà interiore”, nella costante ricerca di verità che si cela dietro il reale… I giovani e tutti noi dovremmo farci cercatori d’oro e per “oro” intendo cercare, volere e credere che il mondo, che cerca di fagocitarci, è pura illusione e che ciò che rimane è associare il saper guardar le stelle con il nostro cuore, solo allora l’anima ritroverà “il suo canto”… In qualche modo… se si sa ascoltare nelle puntate di Secop Arte segni di un percorso” non lo scrivo ma lo racconto in maniera affabulatoria… Si può essere d’accordo o meno con le varie teorie sulla metempsicosi delle diverse religioni o filosofie orientali, e sulla reincarnazione, che ha altra matrice e altro significato come Caterina implicitamente ci dice, ma proprio per questo gli argomenti da lei apportati sono in larga misura condivisibili. Soprattutto quando parla di “ricerca interiore”, dove l’anima ritrova “il suo canto”. Ma ci sono altre voci consonanti. Mariateresa Bari, ispirata dagli argomenti trattati nel nostro blog mi manda, come sempre, profonde poesie su cui occorre riflettere molto per scoprire “nodi” indistricati di condizionamenti negativi risalenti perlopiù all’infanzia.

Carissima Angela, (…). Erano gli anni 70 e la pedagogia non era ancora una scienza diffusa. I bambini erano per lo più adulti parcheggiati in attesa di diventare grandi. Questo è successo a me. Io, tra l'altro, avevo sviluppato un forte senso di responsabilità che mi portava a sentire sulle mie spalle il peso di piccoli e grandi "drammi". Questi versi sono nati oggi, e sono frutto di questo sguardo indietro. Un abbraccio forte, e grazie sempre! 😘💖 “Arrossire” è il titolo: Mi hanno chiesto di non arrossire/ recidere i fogli/ e sogni e lacrime tacere/ ché del plenilunio non potevo capire./ Mi hanno chiesto di fare spazio/ di sgomberare ogni piccolo zampillo/ ché era sconveniente della fine/ l'orrore e il mio timore di rotolare./ Ed io, ubbidiente, ho ubbidito. Ubbidito ai sermoni sul sorriso da lucidare,/ sulle ciglia in disordine / sul velo di polvere alle pupille /dimenticate in tasca./ Mi hanno chiesto di non arrossire/ ma tocchi i tuoi occhi / sono fremito di luce sulla pelle ed io/ essere nell'etere / una vertigine avverto / a scongelare il petto./ Quanti danni, spesso irreversibili, fanno i condizionamenti negativi alla nostra psiche. Questa dolente poesia ne è l’esempio lampante. Quante lacrime nascoste da sorrisi imposti fino ad “imporsi” il gelo del cuore, da parte dell’autrice, per non soccombere e morire alla vita, ai sentimenti. Ma rimane la “vertigine” ogni volta che occorre “scongelare il petto”, oltre il “tacere/ ché del plenilunio non potevo capire (…) e il mio timore di rotolare”. Le metafore fioriscono come stelle comete a lasciare una scia di sconforto più che di rinascita. E il ritorno a “CENERE” è immediato. Lo stesso avviene con la poesia di Mattia Cattaneo: senza luce/ la bocca riempita di cotone/ sostenuta/ da due asciugamani arrotolati// chiusi gli occhi/ lago dissolto/ - non è niente, si dice -/ ma il tutto/ va oltre le cose lievi// e la poesia/ non fa fracasso/ anche se le scoppiano i denti. Ancora un ritorno al passato, ancora un dolore, dal quale non si può prescindere. La stessa poesia “non fa fracasso/ anche se le scoppiano i denti”. Si tratta di un ricordo vivido come fosse appena attraversato, e che procura troppo dolore per tentare una resurrezione. E poi rubo una poesia di Maria Pia Latorre per raccontare ancora il dolore del mondo che non lascia tregua alla nostra disumana realtà e viene rivissuto in prima persona dall’autrice per sentirsene penetrata in una ribellione alla omertà e all’altrui indifferenza: Io sono Sardegna che brucia/ il cane pastore arso/ accanto alle sue pecore/ anch’esse arse nel nulla/ sono pianto di fuoco che/ non si estingue/ sono vento che/ ha smarrito la via/ sono rimbombo del bosco/ che geme/ che ha perso il silenzio Non c’è titolo in questa poesia  che pone sotto gli occhi dei disattenti e degli indifferenti e ciechi e muti la realtà di un misfatto ai danni della natura e degli animali nella loro infinita umanità. Disumani rimangono gli uomini. Non così il fuoco col suo pianto, il vento che ha perso la direzione, il gemito del bosco “che ha perso il suo silenzio”: condizione di serenità e di benessere quasi di preghiera, infranta dal rimbombo accecante dei rami che bruciano e incendiano il cielo. La stessa combustione di “CENERE”, a lasciare vuoto e distruzione e non un solo filo d’erba a riaccendere la speranza. Ma sarebbe giusto dopo questo inferno, che trova infelice riscontro in molti altri Paesi di questo esausto mondo, cercare un appiglio per riemergere dal nulla e scoprire la luce a renderci ancora vivi. Ieri è stata la festa delle stelle cadenti, la notte di San Lorenzo, che pure fu arso vivo, come sant’Ambrogio testimoniò, e che recentissimi studi sul suo martirio hanno confermato, dopo la puntualizzazione di alcuni studiosi che lo hanno ritenuto solo una leggenda da sfatare. Sta di fatto che le lacrime del Santo, pare raggiungessero il cielo con le faville del suo corpo “arso sulla graticola” per ricadere sulla terra nella notte del suo volo tra le stelle. Scientificamente sono le perseidi, come stiamo leggendo sui social, a frantumarsi in piogge di schegge stellari per alcuni giorni dopo la notte di San Lorenzo. Peccato che il cielo sia nuvoloso e che la pioggia di stelle sia solo nei nostri occhi e nel nostro cuore. Ma… “l’essenziale è invisibile agli occhi” (A. de Saint-Exupéry). E dunque? Godiamoci le nostre stelle invisibili agli occhi, ma scintillanti più che mai nella nostra anima e facciamone dono a chi ha bisogno di un sorriso, di una mano, di una parola, di una poesia per rinascere, come ben sa Elina Miticocchio: Poche cose parlano di me/ La luna che mi vide nascere/ La farfalla del cuore/ In partenza// Un silenzio serbato in ogni parola/ un fiore ritagliato con le mani di colla/ un tessuto custodito/ si colora di segni di infinito/ splendore rubato alla mente/ sradicato dalla propria pianta// un giardino di versi/ nel profumo tenero dell’edera/ la carezza che porta/ al disgelo delle palpebre (“Di me”, in Alle radici dell’erba, SECOP edizioni, Corato-Bari 2021). Mi fermo qui.  

Alla prossima con un friccico di stelle per ritrovare il sentiero della felicità da conquistare…

 

  

sabato 7 agosto 2021

Sabato 7 agosto 2021: Commento conclusivo su CENERE di Gianni Brattoli...

Kafka sostiene che “un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi…”. Questo poemetto mi sembra possa avere la stessa funzione, a partire da quello che, per alcuni versi, potrebbe servire all’Autore stesso, che non ha un mare di ghiaccio dentro, ma una pessimistica visione della vita che non fa certo bene allo spirito. Tutti i versi che seguono “si aprirono crateri/ di fuoco in ogni angolo/ di quella perla morente…” sono, a mio parere, apofonici e si prolungano anche nella sestina seguente che contiene azioni dovute alla volontà inespressa dell’angelo di realizzare la devastazione totale per via di un cataclisma naturale. In realtà voluto dell’angelo stesso che ha deciso di mettere in atto la sua ultima ribellione a sé stesso ormai inutile vagheggiatore di una passione senza più corrispondenza col turbinio dei sensi del passato, e contro dio che così ha decretato: persino il mare “si allontanò dalla riva”; il mare, unica via di fuga forse verso l’apparente “libero arbitrio” o verso la libertà di ESSERE, cercata ad ogni costo come unica via di salvezza. E tutto si fa distruzione per poter su quel vuoto costruire il proprio disincanto. Anche la campana, ultimo baluardo della fede, si abbatté su “una pianura/ di cristalli spezzati,/ vibrò il suo ultimo/ rintocco e si spense”. La campana crolla su “cristalli spezzati”: ancora una metafora bellissima dell’apparente primigenia innocenza adamantina del genere umano, ora in frantumi… E “vibrò” e “si spense” formano un nuovo ossimoro molto forte a indicare il fragore dell’insolito evento e il susseguente silenzio “su una pianura di cristalli rotti”. Gianni Brattoli va oltre il Libro di Enoch, che parla della caduta degli angeli ribelli sulla terra senza avere più la possibilità di tornare al Cielo, perché si mescolarono agli uomini per portare il Male sul nostro pianeta e nell’intero universo. Il poemetto, invece, si conclude con il totale incenerimento persino del mito e della leggenda che resero gli uomini eroi per emulare gli stessi dèi e immortalarsi. Le ultime strofe raccontano un nuovo e antico mito: la trasformazione in roccia dell’angelo e dell’arcangelo abbracciati nella loro solitudine senza volto e senza nome. Ma “la roccia si trasformò/ in sabbia;/ la sabbia si trasformò/ in cenere; la cenere avvolse tutta/ la terra come un sudario”. Ancora una volta un’espressione che ci riporta alla morte di Cristo, ma con un intento completamente diverso, di annullamento totale: “il sudario prese lo stesso/ colore dell’inutile/ infinito”. Nietzsche in agguato col suo perverso e pervicace nichilismo, dove è “inutile” persino l’infinito e, dunque, oltre il pessimismo cosmico di leopardiana memoria. Ma Gianni ha sempre affermato che il suo è puro realismo: fotografa ciò che vede e sente della nostra umanità alla deriva e senza più possibilità di salvezza, soffocata com’è dalle spire di una piovra che nasce dai super-poteri di chi governa il mondo ormai: il dio-denaro. Gianni Brattoli si rivela, dunque, uomo d’altri tempi che precorre i tempi, riportando in vita il nichilismo nicciano, già ripreso da Umberto Galimberti ne L’ospite inquietante (Feltrinelli, 2008). Ma, mentre quest’ultimo si riferisce soprattutto ai giovani e alla mancanza di senso nella vita, che essi avvertono priva di ancoraggi valoriali del passato e di prospettive salvifiche per il futuro, per cui  Galimberti fa un appello accorato ai genitori, alla scuola e a tutti gli educatori per evitare, con tutte le strategie possibili, tale annullamento di senso, Gianni Brattoli lo ripropone fino al totale annientamento, trasformando il suo pensiero e la sua scrittura in conformità del modo di essere, di comportarsi, di scrivere proprio dei giovani poeti e scrittori del nostro tempo. Il suo componimento poematico ne è una chiara dimostrazione. E ciò onestamente mi disorienta non poco perché ritengo, con Galimberti, che dovremmo essere noi anziani a trasmettere ai giovani nuova fiducia nel rinnovamento dei tempi alla luce della creatività e della speranza. In Gianni non succede. E ci lascia con un componimento di notevole bellezza letteraria, ascia che colpisce al cuore, ma senza possibilità di redenzione. Mi piacerebbe davvero leggere e confrontarmi con le vostre emozioni di rimando per riprendere a riflettere sul riverbero della nostra personalità di fondo sulla nostra scrittura. Il famoso punto di vista che distorce notevolmente la nostra visione della realtà. Si potrebbe pensare, in futuro, ad una tavola rotonda con dibattito a più voci su questi temi davvero scottanti. Ma, intanto, vorrei ascoltare il vostro parere anche dissonante dal mio. Sono sempre pronta ad accogliere e a far tesoro della pluralità di voci che sempre diventano fonte arricchente di riflessione, di cambiamento, di miglioramento per noi stessi e per gli altri. E, nell’attesa, vi propongo, a mo’ di utile corollario alcuni vostri commenti e poesie. E parto da una poesia di Maria Pia Latorre “Alla fermata” (da L’Enigma dei Crochi, Tabula fati, 2020): Di scatto si apre un oblò/ si entra nel tunnel dei contatti/ Il ragazzo coi pacchi/ la donna col lecca lecca/ l’uomo col sigaro/ VIETATO FUMARE/ Piedi pestati/ afrore di sudore olente/ paura di soffocare/ si arranca per respirare/ nell’aria senza spazio/ si comprimono corpi e pensieri/ esperienze s’incrociano/ si sfiorano/ si urtano per un attimo/ “Mio padre è morto-Devo pagare la bolletta della luce-Ho bisogno di una dose-Dio dove sei?”. In un autobus tutta l’umanità dolente e umiliata nelle sue miserie psicofisiche, nelle sue povertà materiali e spirituali, nel suo eterno dubbio sulla presenza, onnipotenza, misericordia di Dio. Molto vicina alla poesia di Gianni, penso. Poi, alcuni versi di David la Mantia: Ci sono morti che muoiono/ ogni volta che li ricordi,/ quando li osservi al microscopio,/ mentre ne rallenti i gesti. E tanti/ altri che rivivono ogni volta/ che ridono di noi, quando sollevano/ i nostri aquiloni senza vento. Anche qui Gianni Brattoli ha fatto centro. In maniera più soft, più lieve, ma quanto profonda a scavare nei sentimenti più intimi di una terra di tutti e di nessuno, dove palpita un ricordo che non è più neppure tale, dove noi rigettiamo i morti, “osservati al microscopio” per i loro comportamenti che non amiamo, e dove sono i morti che ci umiliano con la loro risata beffarda per i nostri aquiloni privi di vento, oppure ci tengono compagnia per consolarci dei nostri sogni sconfitti e insufficienti a darci le ali… E Mattia Cattaneo: guardarti/ senza l’ardire del silenzio/ e l’irascibile cielo/ che sotto le dita/ saluta la versione inesatta/ della tua sazia solitudine.// ho un mare sconnesso/ senza porto felice/ il mondo/ diventa un coma sfinito.  Ancora una volta ritrovo anche in Mattia non solo vicinanza con il contenuto del poemetto di Gianni, ma persino la struttura formale dei versi con gli enjembement a dare spazio alle parole a fine verso e continuità al pensiero, mentre un “irascibile cielo” incombe sulla “sazia solitudine” del poeta in un “mare sconnesso/ senza porto felice/ il mondo/ diventa un coma sfinito.” Anche Mariateresa Bari mi lascia una poesia che si fa redenzione solo attraverso la parola, che pure si risolve in ansia di perfezione che annega nel dolore del dubbio, dell’incertezza, della mai spenta sete di sfiorare le stelle o di trovare consonanze, tra “labbra serrate” nell’incontro senza voce, e scoprire una musica dolce a scaldare il cuore. “Cercavo un faro” è il titolo della poesia: Cercavo il suo sguardo/ sotto il velo diafano della luna/ nella carezza di un riflesso/ faro sul mare della mia pelle./ Millenni di cammini/ nell'osare il sublime/ inafferrabile/ Che s'impolvera di stelle e sfugge/ Nell'afono incontro di labbra serrate/ è croce che interroga la poesia Poi, per fortuna, due poetesse, care al mio cuore perché sempre presenti e sempre propositive sia pure con modalità diverse, Elina Miticocchio e Rita Vecchi, aggiustano il tiro e finalmente respiriamo un refolo di vento di buoni propositi per un tempo migliore, aggrappato alle parole da assaporare lentamente per non perdere neppure una sillaba della loro salutare carezza. Per Elina si tratta della parola poetica, profonda e vera, in tanto inutile frastuono di voci senza senso: vorrei recuperare le parole lente/ quelle scivolate nel palmo della mano/ e far cessare tanto fragore/ che poi non porta a niente/ Aprirmi a me per fare primavere/ e giocare una pioggia di stelle/ oppure una luna di mattina/ che piano al sole scolora Ed è già un desiderio di rinnovate primavere del cuore e di nuovi sogni portati a pioggia dalle stelle cadenti, oppure di un’alba di luna che preannuncia un giorno chiaro… Per Rita si tratta di qualcosa di nuovo già respirato di per sé “in un angolo di pensiero”. E anche qui si tratta di un desiderio vivificatore, riposto “su righe di parole/ sconosciute”. Non a caso tornano le parole a ridonare gioia e una commossa, commovente serenità. E, non a caso, questa sua poesia si intitola “INSOLITA”: Rincantucciarmi ancora/ in un angolo di pensiero,/  rifugiarmi in un frammento/ sfuggito da un sogno,/ respirare nella gioia/ di una nota di seta./ E poi/ fuggire scalza/ su righe di parole/ sconosciute/ e perdermi./ Io,/ che non ho mai scritto/ singhiozzando/ così vistosamente. Pian piano, come si può notare, ci rimettiamo sul sentiero fiorito che porta alla ricerca della felicità… in frammenti di POESIA. Alla prossima!

  

giovedì 5 agosto 2021

Giovedì 5 agosto 2021: CENERI, un poemetto "tagliente" di Gianni Brattoli...

Il poemetto, come è facile notare, contiene un racconto drammatico, in cui ogni parola fa riferimento agli angeli, puri spiriti, creati prima della creazione stessa del mondo (“Gli angeli non muoiono,/ non nascono, esistono da/ sempre e esisteranno/ per sempre”) fino al noto episodio biblico della ribellione di Lucifero (l’angelo più bello e splendente - portatore di luce - del Cielo) a Dio perché voleva uguagliarLo in potenza e sapienza e assurgere al suo Trono divino, ma fu da Dio cacciato, con tutti gli altri angeli ribelli, dal Paradiso, e gettato negli inferi (Isaia 14,12-15). Ma l’altro libro di riferimento, oltre al Vangelo e alla parola di Gesù, è, a mio parere, il Libro di Enoch con gli angeli ribelli rimasti sulla terra a gettare il Male tra gli uomini. Nel poemetto di Gianni Brattoli abbiamo una personale rivisitazione del racconto biblico, evangelico, enochiano. Ne viene fuori una storia tragica e commovente insieme, in cui non è escluso che possa trattarsi di una metaforica trasfigurazione dell’Autore stesso (“Madame Bovary c’est moi”, dirà imprevedibilmente ma non troppo Gustave Flaubert, con notevoli riserve, perché anche Flaubert completò la frase, più volte citata, con un “d’après moi”, cioè “secondo me”). Sta di fatto che proviamo pena per quell’angelo “sconfortato e solo” che si lasciò “spingere dalle correnti” mentre “nell’anima, una fiamma/ di dolore si accese”. La ribellione, infatti, non è mai indolore. E qui si trasforma immediatamente in “invidia” verso la brevità della vita degli uomini (e potremmo fare un rapido riferimento al De brevitate vitae di Seneca e al suo “otium et negotium”, che tanta parte hanno nelle modalità degli esseri umani a vivere bene, e con profitto dell’anima e del corpo, il tempo breve della loro esistenza terrena. Ma ritengo che sia ancora più calzante un personaggio ibseniano, se non ricordo male, che, preso dal sacro fuoco di vivere l’attimo perfetto a contenere tutta una vita, salì sulla sommità del mondo e si lasciò ardere, vibrando di luce come torcia splendente. Impagabile felicità racchiusa nell’attimo eroico della morte). E, così, i pensieri dell’angelo, “bui come l’intero infinito” perché disperati in quanto “obbligati”, in assenza del libero arbitrio, “a confrontarsi/ con tutto il nulla/ possibile”, ma proprio attraverso quel nulla ecco giungere fino a lui “una nenia leggera/ e dolce; dolcissima”: il superlativo serve a rafforzare l’accadimento nella sua assoluta imprevedibilità, sia a causa del nulla (spazio vuoto) sia a causa della incorporeità dell’angelo e, quindi, della sua impossibilità a usare i sensi degli uomini. E, invece, “infiniti battiti pulsarono/ nel cuore”: organo esclusivamente degli umani e degli animali. Organo, che rese profondamente umano l’angelo nel sentire, tra sogno e realtà, il richiamo di un amore fisico e appassionato per la “perla delle perle”, metafora ardita dell’amore, declinato in ogni possibile accezione, infinita bellezza nell’infinita “perfezione dell’infinito”. Ad accompagnarlo, però, nel suo volo tra terra e cielo altre ali in sospensione a mezz’aria: altra definizione azzardata “- felici animali/ senz’anima -” tutta da valutare e da rivedere (non sono affatto convinta che gli uccelli o altri animali siano senz’anima), e una idilliaca visione di “gorgheggi e petali di fiori”. Sono i tre versi iniziali di questa nuova strofa, tre versi che vale la pena di riprendere “volarono insieme su sentieri/ d’erba, dove spuntano fiori/ che non feriscono i viandanti” con quest’ultimo verso che è un capolavoro sia per contenuto che per forma. Di una tenera lievità che sorprende e stupisce in un uomo che è solito usare toni anche molto crudi e violenti (le inevitabili contraddizioni di noi esseri umani). Ma, intanto, tutto diventa armonia di suoni, colori, profumi, ad inebriare i sensi ora del tutto terreni. Per innalzarsi di nuovo al cielo nell’incanto di “canti antichi” e di “flauti di vento” tanto che persino “la luna si fermò sulla sua fronte”. Una descrizione insolita e molto suggestivo dell’amplesso amoroso che fa perdere il senno degli amanti sulla luna (l’Orlando furioso?). Sta di fatto che l’angelo si trasformò in “fronte di luna”: ciò indica la necessità della trasformazione e del mutamento dopo una esperienza così totalizzante. La trasformazione implica, però, anche il coinvolgimento dei sensi con l’inevitabile ritorno al dolore. E il dolore è nudo e racchiuso in sé, come afferma Hannah Arendt in Vita Activa (1958). Gianni Brattoli scrive emblematicamente: “col capo riverso sulle ginocchia”. Un dolore del tutto umano (e non può essere diversamente), fatto di “lacrime” e di “sangue” che “grondava dalla sua pelle”. La pietà vince “l’angelo del signore” tanto da voler “alleviare/ quel dolore/ che già sentiva suo”. In un processo grande di solidarietà, che in alcuni tragici accadimenti si genera spontaneamente tra gli esseri umani. Ed ecco la motivazione di quel pianto: tutto il male del mondo racchiuso in “un infernale, scuro/ orizzonte, che avanzava/ distruggendo…”. Era quella la sua verità, riassunta nel suo desiderio di morte! Ma attenzione: “… concentrati bene. Quella è la verità, ma shh: non bisogna dirla, perché appena la nomini non c’è più”, pare abbia detto Pier Paolo Pasolini in Eretico & Corsaro (cfr <Gente>, “testamento spirituale-intellettuale” di P.P.P., 17 novembre 1975, a pochi giorni dal suo feroce assassinio). E i versi seguenti sono una terribile rivisitazione dell’agonia di Cristo, infinitamente solo e sconfortato sul Golgota: mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? Così l’angelo solo e sconfortato: “perché padre?”. Ma dall’Alto non giunge all’angelo risposta che, invece, giunge dal basso: da una umanità dolente e imprecante, ubriaca di veleni e di morte. Il pittore austriaco Egon Schiele scrive: “Tutto nella vita è morte” (vedi “l’abbraccio” nel suo dipinto Gli Amanti!). Inevitabile e decisamente contraria a quanto avviene con Gesù sulla croce è, dunque, la reazione dell’angelo che “maledisse il cielo/ e tutto quello che/ in esso era imprigionato”. E ancora una volta ci troviamo di fronte al richiamo all’obbligo e alle catene, che contrastano fortemente con il presunto libero arbitrio. Così, l’angelo ritornò sui propri passi alla ricerca di una probabile o possibile o augurabile verità per non soccombere all’inganno del Cielo. Ritornò dalla “creatura piangente” e si accorse che “era un povero arcangelo/ che aveva strappato/ le sue ali, inservibili” perché ridotto all’impotenza dalla verità: non quella di Dio ma quella degli uomini. L’Arcangelo, nella gerarchia dei puri spiriti (solo sette) posti in adorazione al cospetto di Dio, è superiore all’Angelo perché ha compiti ben precisi. Nella chiesa cattolica solo tre sono venerati: Gabriele, colui che annuncia la lieta novella; Michele, colui che sconfigge satana; Raffaele, colui che guarisce tutti i mali fisici e dell’anima. La sestina che segue comprende tutti i gesti e i comportamenti dell’angelo ribelle. Ci troviamo, a mio parere, di fronte ad una sorta di apofonia o distorsione cognitiva, quale preludio previsionale a quanto accadrà in seguito. L’apofonia, infatti, sollecita il pensiero a scoprire eventuali cause ed effetti di alcuni fenomeni, anche comportamentali, insoliti, apparentemente slegati e decisamente squassanti, per trovare la forza di escogitare possibili rimedi, come soluzioni di sopravvivenza, ma anche capaci di indurci a considerazioni completamente fuorvianti (un tuono in lontananza fa presagire un possibile temporale e fa correre al riparo, ma potrebbe indurci a una folle paura di una difficilmente verificabile alluvione…).

E anche oggi mi fermo qui, conscia di un contenuto decisamente forte e, per molti versi, devastante, ma ricchissimo di spunti di riflessione. A sabato per completare? Spero proprio di sì!

   

 

  

martedì 3 agosto 2021

Martedì 3 agosto 2021: dall'inferno alla luce nella ricerca della felicità...

Miei carissimi amici (al femminile e al maschile), l’ultima volta abbiamo concluso il percorso poetico fino ai nostri giorni con l’intento di riprendere a parlare, con Simone Cristicchi, con i vostri commenti e con le vostre poesie, della ricerca della felicità, ma mi sono imbattuta in un poemetto, che ritengo molto profondo e “tagliente”, come un’ascia (di cui, come sappiamo, parla Kafka riferendosi a una peculiarità essenziale di un buon libro!). il poemetto è di Gianni Brattoli. Ho ritenuto giusto commentarlo a modo mio prima di sottoporlo alla vostra lettura e alle vostre riflessioni. Solo dopo sarà possibile, credo, riprendere a parlare di una probabile conquista della felicità. Il testo è scritto tutto in stampatello maiuscolo. Ipotizzo, conoscendo molto bene l’Autore, che si tratti di una scrittura intenzionale, dato l’argomento, per evitare maiuscole che non si addicono ai personali convincimenti religiosi. Maiuscole che io, invece, avrei usato per dei pertinenti distinguo. Ma, come sapete, sono per il rispetto incondizionato della persona nella sua unicità-totalità. Non potendo rispettare il maiuscolo sul nostro blog per ovvi motivi di spazio, ho scritto tutto in minuscolo per non fare torto a nessuno. Neppure alla poesia, che oggi si esprime molto spesso nella totale anarchia della punteggiatura. Il risultato è sotto i vostri occhi. Il contenuto spero sia rimasto fedele agli intenti di Gianni. E tutti alla fine siamo liberi di dare una interpretazione del tutto personale.

                          CENERE

-          gemendo, l’angelo del Signore,

              richiuse le ali e si fermò al

              centro dell’universo.

 

-                    -           si sentì inutile e impotente,

              e un desiderio di morte iniziò

              a penetrargli nell’anima.

              chiuse gli occhi e strinse

              le tempie con le sue grandi

              mani (mani di angelo)

 

-                   -          una voce gridò in tutto il

             creato:

             “gli angeli non muoiono,

             non nascono, esistono

             sempre e esisteranno

             per sempre.”

 

-                 -            il povero angelo sconfortato e

et                solo, si abbandonò lasciandosi

             spingere dalle correnti,

             e, nell’anima, una fiamma

             di dolore si accese.

 

-                -            invidiò gli umani. ma gli uomini non

            capivano quanto importante

            e splendida fosse la loro breve

            esistenza; la sua vita invece una dannata

            eterna condanna.

 

-                -           i suoi pensieri, bui come

            l’intero infinito, mai espressi,

            obbligati a comportarsi

            con tutto il nulla

            possibile.

 

-              -             e, attraverso il nulla possibile,

            arrivò a lui una nenia leggera

            e dolce; dolcissima nel

            suo inatteso avvento.

 

-               -            vibrarono di piacere le sue

             membra, e grappoli di

             infiniti battiti pulsarono

             nel cuore.

 

-                -             “la perla delle perle mi chiama”

             urlò felice e, violando tutte le

             leggi dell’universo, andò incontro a

             quella splendida, luminosa, azzurra

             ultima perfezione dell’infinito.

 

-               -             ad accogliere l’angelo del signore,

            una legione di uccelli

                    - felici animali

                       senz’anima -

            intrecciò di canti e gorgheggi e

            petali, di fiori al suo passaggio.

 

-               -           volarono insieme su sentieri

           d’erba, dove spuntano fiori

           che non feriscono i viandanti.

           l’angelo inebriato di profumi

           e colori accarezzava fili

           d’erba; ronzava sui petali

           come ape in cerca di polline.

 

-             -            canti antichi si intrecciarono

           ai flauti del vento. l’anima

           celeste colmava l’aria e i suoi

           sogni. la luna si fermò sulla

           sua fronte.

 

-                -         fronte di luna, fulmineo, allargò

           le ali, fermò i canti e zittì

           tutte le creature.

           tra i canti, i suoi sensi avvertirono

           il dolore di un pianto.

 

-                -         di là dal fossato

           veniva il pianto.

           una nuda creatura,

           seduta su una balza,

           col capo riverso sulle ginocchia,

           versava lacrime e

           grondava, la sua pelle, sangue.

 

-                -         l’angelo del signore gli fu

          vicino; volle alleviare quel dolore

          che già sentiva suo

 

-              -         la creatura, con lo sguardo

          a terra e il braccio tremante,

          indicò un infernale, scuro

          orizzonte, che avanzava

          distruggendo pianure

          arrossate dall’ultimo

          raggio di sole.

 

-                -       fronte di luna guardò lontano,

         e non trovò alcuna bocca

         piangente, avvertì solo la

         morte trafiggerlo

         per ogni dove.

 

-               -       alzando il capo al cielo urlò:

         “perché padre?”

         la risposta fu un’eco

         senza fine, come grandi

         voci dolenti, che toccarono

         le braccia della

         luna lontana.

 

-                -      l’angelo volò!

         le furie non avrebbero potuto

         stargli accanto.

 

-              -       fermò il volo!

        un vento di fumo e suoni

        osceni lo accolse.

        una nera umanità

        avanzava curva, ebbra

        di veleni e di morte,

        spegnendo ogni

        brama di vita.

 

-              -      fronte di luna, sgomento

       e senza speranza,

       guardò in alto e

       maledisse il cielo

       e tutto quello che

       in esso era imprigionato.

 

-             -      tornò alla creatura

       piangente, e solo in

      quel momento, si accorse

      che quella creatura

      era un povero arcangelo

      che aveva strappato

      le sue ali inservibili

 

-            -    fu preso dall’ira, bestemmiò

      tanto ancora.

      batté le mani su una

      roccia, sgorgò il suo

      sangue e la terra

      tremò.

 

-           -     si aprirono i crateri

     di fuoco in ogni angolo

     di quella perla morente.

 

-          -     le cime dei monti

     oscillarono come

     giunchi di pantano,

     spinti dalla bora,

     e il mare si allontanò

     dalla riva.

 

-        -       i grandi alberi (sequoia)

     caddero come steli di

     grano;

 

-        -       una campana, rovinando

     su una pianura di

     cristalli spezzati

     vibrò il suo ultimo

      rintocco e si spense.

 

-          -      l’angelo del signore

      abbracciò l’arcangelo,

      e i due si trasformarono

      in roccia.

 

-          -      la roccia si trasformò

     in sabbia;

     la sabbia si trasformò in cenere;

     la cenere avvolse tutta

    la terra come un sudario.

 

-          -    il sudario prese lo stesso

    colore dell’inutile

         infinito

                           Gianni Brattoli

E parto dalla forma: da quello che ho definito “poemetto” perché ha una scansione temporale per ritmi musicali contenuti fra trattini, che ne definiscono la rappresentazione, direi epica, fra passato, presente e futuro, sulla falsariga de “I Poemetti” pascoliani, in cui si racconta una storia, legata ad elementi naturali, sociali, sessuali, con riferimenti all’infanzia e alla innocenza del bambino e del mondo primigenio. Con strofe di vario genere: terzine, quartine, pentastiche ed epastiche, sestine. Con un ritmo interno (al posto della metrica) che predilige il settenario all’endecasillabo con numerosi enjembement per dare continuità all’azione attraverso una insolita, ma non rara, sospensione dei versi fatta di articoli e preposizioni semplici. Ciò rende il componimento molto suggestivo in funzione anche del contenuto e di quanto sia importante sottolineare nei versi, oppure all’inizio e alla fine di ciascun verso. Dunque, forma e contenuto.  E vorrei per un attimo fare riferimento anche al libro di Pier Paolo Pasolini e al suo racconto in versi “Le ceneri di Gramsci”; libro, che mette insieme ben undici poemetti, già pubblicati su varie Riviste letterarie degli anni Cinquanta del secolo scorso. Tra questi anche “Le ceneri di Gramsci” che dà il titolo all’intera opera. Mi piace, allora, introdurre CENERI con i seguenti versi pasoliniani: … Ma io con il cuore/ cosciente// di chi soltanto nella storia ha vita/ potrò mai più con pura passione/ operare/ se so che la nostra storia è finita? Pasolini, da spirito eletto, fu precursore e profeta dei nostri tempi. Anche per questo proprio Pasolini, scontornando però il suo controverso e difficile rapporto con la sinistra storica. Gianni Brattoli, scrittore e poeta, militante nel PC da tempo remoto, il tempo incantato della lotta di classe, finito nel disincanto del tempo contemporaneo, in cui tutte le illusioni sono spente e al poeta non rimane che la pura follia dei suoi versi, che risentono, per molti versi, del richiamo proprio de Le ceneri di Gramsci del poeta (per metà friulano - Casarsa il paese di sua madre - e per metà romano), in visita alla sua tomba nel cimitero acattolico di Roma. Di qui il titolo del poemetto preso in esame? La struttura dei versi? Una sorta di riferimento alla distruzione del “sacro” e dell’ardore che questo promanava da tutte le sue fibre misteriose riecheggianti nell’universo? Potrebbe essere   un’affascinante ipotesi, che non rischiara però il buio della disperata distruzione del sogno nella devastante realtà. Di qui l’urgenza delle tante metafore legate all’Angelo del Signore (ed io per rispetto alla mia fede mi riapproprio delle maiuscole ad essa dovute!) che, “gemendo”… “richiuse le ali”, cioè: il suo unico mezzo per potersi librare nel cielo infinito. “E si fermò al centro dell’universo”: nel luogo della massima potenza e del massimo splendore. E ci troviamo subito di fronte ad un ossimoro potentissimo nei versi seguenti: “si sentì inutile e impotente” ed è per questo che cominciò ad odiare la sua condizione di essere immortale, senza tempo e senza spazio, incorporeo. Di qui il suo “desiderio di morte”. Ma a contrastate la libertà di decidere della sua sorte, una voce tuonò “in tutto il creato”, definendo ancora una volta perentoriamente la sua natura immortale.

E per oggi è già tanto. Ho approfittato dello spazio del blog e del vostro tempo di paziente lettura. Riprenderò domani con altre mie interpretazioni, che persino l’Autore, anzi proprio lui in primis, potrebbe confutare. Ma noi sappiamo quanto importante sia il confronto. A voi la parola…