giovedì 5 agosto 2021

Giovedì 5 agosto 2021: CENERI, un poemetto "tagliente" di Gianni Brattoli...

Il poemetto, come è facile notare, contiene un racconto drammatico, in cui ogni parola fa riferimento agli angeli, puri spiriti, creati prima della creazione stessa del mondo (“Gli angeli non muoiono,/ non nascono, esistono da/ sempre e esisteranno/ per sempre”) fino al noto episodio biblico della ribellione di Lucifero (l’angelo più bello e splendente - portatore di luce - del Cielo) a Dio perché voleva uguagliarLo in potenza e sapienza e assurgere al suo Trono divino, ma fu da Dio cacciato, con tutti gli altri angeli ribelli, dal Paradiso, e gettato negli inferi (Isaia 14,12-15). Ma l’altro libro di riferimento, oltre al Vangelo e alla parola di Gesù, è, a mio parere, il Libro di Enoch con gli angeli ribelli rimasti sulla terra a gettare il Male tra gli uomini. Nel poemetto di Gianni Brattoli abbiamo una personale rivisitazione del racconto biblico, evangelico, enochiano. Ne viene fuori una storia tragica e commovente insieme, in cui non è escluso che possa trattarsi di una metaforica trasfigurazione dell’Autore stesso (“Madame Bovary c’est moi”, dirà imprevedibilmente ma non troppo Gustave Flaubert, con notevoli riserve, perché anche Flaubert completò la frase, più volte citata, con un “d’après moi”, cioè “secondo me”). Sta di fatto che proviamo pena per quell’angelo “sconfortato e solo” che si lasciò “spingere dalle correnti” mentre “nell’anima, una fiamma/ di dolore si accese”. La ribellione, infatti, non è mai indolore. E qui si trasforma immediatamente in “invidia” verso la brevità della vita degli uomini (e potremmo fare un rapido riferimento al De brevitate vitae di Seneca e al suo “otium et negotium”, che tanta parte hanno nelle modalità degli esseri umani a vivere bene, e con profitto dell’anima e del corpo, il tempo breve della loro esistenza terrena. Ma ritengo che sia ancora più calzante un personaggio ibseniano, se non ricordo male, che, preso dal sacro fuoco di vivere l’attimo perfetto a contenere tutta una vita, salì sulla sommità del mondo e si lasciò ardere, vibrando di luce come torcia splendente. Impagabile felicità racchiusa nell’attimo eroico della morte). E, così, i pensieri dell’angelo, “bui come l’intero infinito” perché disperati in quanto “obbligati”, in assenza del libero arbitrio, “a confrontarsi/ con tutto il nulla/ possibile”, ma proprio attraverso quel nulla ecco giungere fino a lui “una nenia leggera/ e dolce; dolcissima”: il superlativo serve a rafforzare l’accadimento nella sua assoluta imprevedibilità, sia a causa del nulla (spazio vuoto) sia a causa della incorporeità dell’angelo e, quindi, della sua impossibilità a usare i sensi degli uomini. E, invece, “infiniti battiti pulsarono/ nel cuore”: organo esclusivamente degli umani e degli animali. Organo, che rese profondamente umano l’angelo nel sentire, tra sogno e realtà, il richiamo di un amore fisico e appassionato per la “perla delle perle”, metafora ardita dell’amore, declinato in ogni possibile accezione, infinita bellezza nell’infinita “perfezione dell’infinito”. Ad accompagnarlo, però, nel suo volo tra terra e cielo altre ali in sospensione a mezz’aria: altra definizione azzardata “- felici animali/ senz’anima -” tutta da valutare e da rivedere (non sono affatto convinta che gli uccelli o altri animali siano senz’anima), e una idilliaca visione di “gorgheggi e petali di fiori”. Sono i tre versi iniziali di questa nuova strofa, tre versi che vale la pena di riprendere “volarono insieme su sentieri/ d’erba, dove spuntano fiori/ che non feriscono i viandanti” con quest’ultimo verso che è un capolavoro sia per contenuto che per forma. Di una tenera lievità che sorprende e stupisce in un uomo che è solito usare toni anche molto crudi e violenti (le inevitabili contraddizioni di noi esseri umani). Ma, intanto, tutto diventa armonia di suoni, colori, profumi, ad inebriare i sensi ora del tutto terreni. Per innalzarsi di nuovo al cielo nell’incanto di “canti antichi” e di “flauti di vento” tanto che persino “la luna si fermò sulla sua fronte”. Una descrizione insolita e molto suggestivo dell’amplesso amoroso che fa perdere il senno degli amanti sulla luna (l’Orlando furioso?). Sta di fatto che l’angelo si trasformò in “fronte di luna”: ciò indica la necessità della trasformazione e del mutamento dopo una esperienza così totalizzante. La trasformazione implica, però, anche il coinvolgimento dei sensi con l’inevitabile ritorno al dolore. E il dolore è nudo e racchiuso in sé, come afferma Hannah Arendt in Vita Activa (1958). Gianni Brattoli scrive emblematicamente: “col capo riverso sulle ginocchia”. Un dolore del tutto umano (e non può essere diversamente), fatto di “lacrime” e di “sangue” che “grondava dalla sua pelle”. La pietà vince “l’angelo del signore” tanto da voler “alleviare/ quel dolore/ che già sentiva suo”. In un processo grande di solidarietà, che in alcuni tragici accadimenti si genera spontaneamente tra gli esseri umani. Ed ecco la motivazione di quel pianto: tutto il male del mondo racchiuso in “un infernale, scuro/ orizzonte, che avanzava/ distruggendo…”. Era quella la sua verità, riassunta nel suo desiderio di morte! Ma attenzione: “… concentrati bene. Quella è la verità, ma shh: non bisogna dirla, perché appena la nomini non c’è più”, pare abbia detto Pier Paolo Pasolini in Eretico & Corsaro (cfr <Gente>, “testamento spirituale-intellettuale” di P.P.P., 17 novembre 1975, a pochi giorni dal suo feroce assassinio). E i versi seguenti sono una terribile rivisitazione dell’agonia di Cristo, infinitamente solo e sconfortato sul Golgota: mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? Così l’angelo solo e sconfortato: “perché padre?”. Ma dall’Alto non giunge all’angelo risposta che, invece, giunge dal basso: da una umanità dolente e imprecante, ubriaca di veleni e di morte. Il pittore austriaco Egon Schiele scrive: “Tutto nella vita è morte” (vedi “l’abbraccio” nel suo dipinto Gli Amanti!). Inevitabile e decisamente contraria a quanto avviene con Gesù sulla croce è, dunque, la reazione dell’angelo che “maledisse il cielo/ e tutto quello che/ in esso era imprigionato”. E ancora una volta ci troviamo di fronte al richiamo all’obbligo e alle catene, che contrastano fortemente con il presunto libero arbitrio. Così, l’angelo ritornò sui propri passi alla ricerca di una probabile o possibile o augurabile verità per non soccombere all’inganno del Cielo. Ritornò dalla “creatura piangente” e si accorse che “era un povero arcangelo/ che aveva strappato/ le sue ali, inservibili” perché ridotto all’impotenza dalla verità: non quella di Dio ma quella degli uomini. L’Arcangelo, nella gerarchia dei puri spiriti (solo sette) posti in adorazione al cospetto di Dio, è superiore all’Angelo perché ha compiti ben precisi. Nella chiesa cattolica solo tre sono venerati: Gabriele, colui che annuncia la lieta novella; Michele, colui che sconfigge satana; Raffaele, colui che guarisce tutti i mali fisici e dell’anima. La sestina che segue comprende tutti i gesti e i comportamenti dell’angelo ribelle. Ci troviamo, a mio parere, di fronte ad una sorta di apofonia o distorsione cognitiva, quale preludio previsionale a quanto accadrà in seguito. L’apofonia, infatti, sollecita il pensiero a scoprire eventuali cause ed effetti di alcuni fenomeni, anche comportamentali, insoliti, apparentemente slegati e decisamente squassanti, per trovare la forza di escogitare possibili rimedi, come soluzioni di sopravvivenza, ma anche capaci di indurci a considerazioni completamente fuorvianti (un tuono in lontananza fa presagire un possibile temporale e fa correre al riparo, ma potrebbe indurci a una folle paura di una difficilmente verificabile alluvione…).

E anche oggi mi fermo qui, conscia di un contenuto decisamente forte e, per molti versi, devastante, ma ricchissimo di spunti di riflessione. A sabato per completare? Spero proprio di sì!

   

 

  

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