lunedì 29 novembre 2021

Lunedì 29 novembre 2021: la poesia è anche un lungo canto/grido contro la violenza sulle donne...

E riprendo con le poesie e le prose prese da FB o rapinate ad alcuni amici. Ed ecco quanto scrive la mia amatissima Natalizia Carone, grande soprano e Presidente del Festival Opera de Mari Festival Lab (spero di aver dato una informazione corretta!): Un pensiero a tutte le Donne vittime di violenza…, affinché anche la musica possa rompere il silenzio. // 25 novembre/ L’amore non lascia lividi./ L’amore non è un’offesa./ L’amore non è una minaccia./ L’amore cura dal male, ma non ne fa./ L’amore non alza le mani, ma ti prende per mano…/ L’AMORE NON E’ VIOLENZA!

E di Angela Aniello, mia conterranea, scrittrice e poetessa, meritatamente pluripremiata, e mia tenera amica: Oggi condivido il frammento di un mio racconto “LA VIOLENZA! Ah, come ingarbuglia la matassa del mondo! All’improvviso contemplavo una maglia nelle calze a rete più larga delle altre. Una voragine di cuore e corpo. Puntellava la coscia mentre l’inguine bruciava ancora. E che fatica riprendere a respirare! Glielo avevo detto che io non lo volevo. Il suo mondo era una prigione. Lui voleva che mi appartenesse a tutti i costi. Non urlai, non piansi. Quel dono giunse sgradito e non cercato. Io che il mio mondo me l’ero costruito dentro cucendovi i sogni. Adesso masticavo lentezza e cicatrici. Come una chiocciola inchiodata al terreno senza la minima intenzione di ripartire. Ad una voce sola il mondo non funzionava più! (Dal mio racconto “AD UNA VOCE SOLA”)     

Poi, ecco la voce di un’altra mia carissima amica, raffinata scrittrice e poetessa, padrona tra l’altro di molte lingue e di straordinaria sensibilità artistica: Penso ci sia un difetto di interpretazione. È la donna che con l’uomo genera albe future, unendosi e moltiplicandosi. Ogni deviazione è vilipendio di strafottente e disumana onnipotenza che il mondo deve cancellare. Occhio, dunque, a chi ama possedendo, a chi ha il mal di donna, a chi non sa di rispetto e gentilezza. Occhio a chi non ha e non conosce amore. Occhio alla vita, diritto inalienabile che Caino non può e non deve toccare. a. m. 25 novembre 2021

E di Francesca Palumbo leggete questa pagina e valutatela voi. Io sono fiera di inserirla nel nostro blog: Buongiorno con i colori dell’alba, un’alba dedicata a NOI tutte! Al valore che è dentro ognuna di noi, al dire di parola, all’intima forza che ci lascia e torna, affaticata e talvolta smemorata nella dimenticanza; a quel sé docile e guerriero senza ali né peso; a quella bimba nascosta tra le piaghe del cuore che alza il pugno fragile e potente. Agli incastri, alla musica, ai transiti. Agli inciampi (e non solo quando stiamo sui tacchi), ai sorrisi che si sono spenti prima di nascere ma anche alle strette di mano, agli abbracci, alla felicità di certe giornate speziate e a quel vento prepotente che ci ha scompigliato i capelli. All’esitazione, alla sospensione di giudizio. All’etica e all’impegno. Alla luce, al buio, ai sensi, a quella stanchezza grata di una giornata valsa da vivere. Alla pace, all’amore sconfinato nelle periferie e nel centro di ciascuna, al per sempre di ogni cosa che, pur finendo, resta. A quello spazio che si fa scheggia di luce quando ci diamo voce. Come dicevo proprio a NOI, a NOI tutte! F.P. 25 novembre

Di Rina Sarcone, che non conosco, mi ha colpito questa devastante e tenerissima poesia intitolata “Scarpette rosse”: Vuole dimenticare/ tutte le volte/ che si trovava al buio.// Le mani che toccavano/ il suo corpo di bimba.// Non capiva l’ansimare e/ l’odore di alcool/ Solo la luce delle lacrime/ lavavano lo sporco che/ l’aveva contaminata…// tutto torna/ nell’angoscia delle/ Scarpette Rosse.

E della mia carissima amica fiorentina ecco una splendida “Elegia per Nadia Anjuman” intitolata “IO SONO DOMANI”: È stato un saccheggio d’amore/ la risacca violenta che tutto ingoia/ e abbandona altrove./ Sono stata lasciata altrove/ e tu mi troverai tra i silenzi eloquenti/ negli occhi neri dei volti coperti/ nella sabbia fra le dita nei sandali/ nel profumo d’oriente e la rabbia/ del vento del nord./ E tu mi troverai nelle rosse labbra della poesia/ e nel sole nascosto sangue e nel sogno custodito/ che mai muore, mai/ nell’acqua al bordo del labbro/ nell’attimo prima e nel secondo dopo./ Sono di bianco sentiero e terra battuta/ sono di stelle cadute e della chiara/ aurora di Domani./ Io sono Domani. Lorella Rotondi (Firenze) in memoria di Nadia Anjuman, poetessa venticinquenne afghana uccisa dal marito il 4 novembre 2005 (Carta e Penna editore, Torino, febbraio 2006). E mi mancano le parole per commentare versi così belli e suggestivi, che mitigano una realtà che innalza al Cielo il suo grido/canto di dolore nella rivendicazione di anni così giovani, intrisi di immarcescibile poesia.    

Ma non bisogna dimenticare altre forme di violenza in grado di distruggere una vita. Ecco una dolente testimonianza della immensa Mia Martini: “C’era gente che aveva paura di me, che per esempio rifiutava di partecipare a manifestazioni nelle quali avrei dovuto esserci anch’io. Mi ricordi che un menager mi scongiurò di non partecipare a un festival, perché con me nessuna casa discografica avrebbe mandato i propri artisti. Eravamo ormai arrivati all’assurdo, per cui decisi di ritirarmi.  Gli anni che mi hanno tolto li ho impiegati per crescere. Non cerco vendette, spero solo che tutto questo tempo sia servito per meditare a chi ha voluto ferirmi e, anche se porto le cicatrici di una crudeltà stupida, non sento più male” (da QUOTIDIANO COMUNISTA - Michael Sardu). Sappiamo come sia andata a concludersi tragicamente la vita della indimenticabile cantante, a cui le ferite continuarono a sanguinare e a non rimarginarsi del tutto. La violenza di qualsiasi genere devasta e distrugge: a volte, con eclatante violenza, altre subdolamente, sottilmente, incidendo a lungo con coltelli invisibili ma acuminati e ugualmente mortali. Ma, a proposito di indimenticabili cantanti e canzoni, desidero proporre anche uno stralcio di una significativa quanto straziante canzone di Fabrizio De Andrè intitolata “La collina”: … Dove sono Ella e Kate/ morte entrambe per errore/ una di aborto, l’altra d’amore.// E Maggie uccisa in un bordello/ dalle carezze di un animale/ ed Edith consumata da uno strano male.// E Lizzie che inseguì la vita/ lontano, e dall’Inghilterra/ fu rioirtata in  questo palmo di terra.// Dormomo, dormono sulla collina/ dormono, dormono sulla collina… E ci viene incontro Edgar Lee Masters con il suo capolavoro “Spoon River”. E quanti dormono sulla collina di ogni perdita, ogni destino segnato.

E anche per oggi mi fermo qui. A ben presto ritrovarci…

giovedì 25 novembre 2021

Giovedì 25 novembre 2021: La violenza sulle donne, ancora una tragica realtà...

Solo testimonianze. Le mie parole sono superflue. E comincio con una poesia lieve che attutisce l’impatto feroce con una realtà che fa male a chi la vive e a chi resta a raccoglierne il pianto. Di Marco Zanchi una filastrocca per grandi e piccini dal titolo “Come ho fatto”: Come ho fatto a farti male/ Tu ferita io ero sale/ Sale sopra la ferita/ Sul tuo corpo le mie dita/ Chi è più forte può essere vile/ Ero lupo nell’ovile/ Ma potessi rimediare/ Tutto in baci trasformare/ Fare zucchero quel sale/ Nella notte essere sole/ Quanti anni dovrò stare/ Carcerato a pensare/ Come ho fatto a farti male  Ed ora siamo pronti ad entrare nel dolore. Ecco “Bruma sonora” di Mariateresa Bari: Dolgono/ i lividi sulle mie illusioni/ bruma sonora è la prigione/ dell’inganno di smesse metafore// Guizzano/ le mutevoli radici del tempo/ dalle crepe sui muri// Nel saluto di un’ombra/ ingiallisce lo stormire del pianto. "Dolgono/ i lividi sulle mie illusioni" : contrasto enorme e devastante tra i lividi e le illusioni, come subito dopo notiamo anche in Mattia Cattaneo “STOP ALLA VIOLENZA SULLE DONNE”: Da questa finestra/ i segni lasciati dalle tue mani/ brucianti fuochi/ e una sera come tante// vene rotte/ di una follia impigliata/ nei respiri,/ lo svuotarsi/ lasciandoti andare alle urla// il canto muto delle stanze/ scendeva tra gli occhi/ pieni di spavento/ e io morivo da seduta// conosco il buio/ del non abitarsi più. “Conosco il buio/ del non abitarsi più”: meravigliosa sintesi della feroce violenza racchiusa in due versi lapidari, che mettono in crisi la nostra umanità. Di Francesca Petrucci “SILENZIO”: Laggiù./ Non un soffio/ Non un alito./ Solo un grande fragore di stelle.// Nell’aria, orecchie immobili ingoiano/ Tralci di lune spezzate./ O forse un’eco, una voce/ Che è stata, un cristallo, un sorriso vivo.// Ahi notte, perché non parli?/ Urla! Mordi! Azzanna/ Mani di ferro e cuori inesistenti.// Un monile là, a bruciare la terra/ Che sola arde di dolore. Fino allo spasimo ultimo,/ Fino all’istante del duro sogno./ All’istante dell’eternità.// Ahi, com’era sfuggito il tempo dei sospiri.// Una lama al posto del cuore/ Una lama al posto delle viscere/ Una lama al posto del petto,/ Dell’anima, del tuo sorriso/ Ormai di sangue rappreso.// Laggiù/ Ad accogliere lacrime/ Crude di silenzio/ Come carezza di una morte/ Che non ti vuole.//Laggiù/ A tessere ancora ghirlande di eterno/ Soffocata da un fragore/ Di stelle/ Che solo tu puoi sentire. Altri versi che sono talmente potenti da metterci di fronte alla scena di uno spettacolo perverso sotto un “fragore di stelle” e “tralci di lune spezzate”. E la reiterazione negli ultimi versi delle stesse stelle, che urlano al cielo l’avvenuto misfatto, ci mette brividi di dolente condivisione e di mai spenta speranza che tutto possa solo riguardare il passato e il presente, ma mai più il futuro. La  speranza, comunque, deve muovere passi di rinnovata consapevolezza e di progetti di vita scritti in due. Poi di Antonia Montemurro raccolgo da FB il seguente messaggio: Quanta forza e coraggio per tutte le donne che combattono per ogni crepa e per ogni cicatrice che spacca il cuore e l’anima!! E sempre da FB di Sebastiano Nino Fezza ecco “25 Novembre. La storia di Marinella”. “… vivesti solo un giorno come le rose”… (Fabrizio De Andrè). Pare che sia la sintesi della risposta data in una intervista dallo stesso immenso cantautore a  chi gli chiedeva  notizie su chi o che cosa gli avesse ispirato la Storia di Marinella: Dedicata alle 100, 1.000, 100.000 Marinelle di cui nessuno parla, la speranza che non dovremo più piangere tutte le Marinelle scomparse.// Marinella, il suo nome era Maria Boccuzzi, una donna di origine calabrese che aveva lasciato il lavoro da operaia per entrare nel mondo dello spettacolo.// Ballerina col nome d’arte Mary Pirimpò, finì in un giro di prostituzione e fu uccisa. Questa la scarna cronaca di una storia troppo simile a tante altre che hanno lasciato e lasciano una lunghissima, e spesso ignorata o dimenticata, scia di sangue nel mondo oscuro della prostituzione. Ma la violenza contro la donna è molto più legata purtroppo anche al mondo familiare della propria casa, dell’uomo che la abita e che crede di avere il possesso fisico (e non solo) della propria compagna fino a usarle violenza ai confini delle estreme conseguenze. Occorre combattere le une e le altre con coraggio e determinazione per denunciare e trovare insieme soluzioni di difesa e salvaguardia della vita di tante povere vittime che non hanno avuto e non hanno ancora voce. De Andrè lo ha fatto con le sue immortali canzoni, i poeti con i loro versi, giornalisti e scrittori con i loro articoli, i loro romanzi. Ecco un’altra prosa di Titti Di Tommaso, che tanto stimo e ammiro per cultura, impegno, idee e ideali di umanità. Ho scoperto le sue parole stamattina su FB. Titolo: “25 novembre 2021”: Ho sempre pensato che dal modo in cui un uomo tratta una donna rivela tanto di se stesso… Oggi mi sento di dire grazie a tutti gli uomini, ancora capaci, non solo a parole, ma con l’agire quotidiano, di lottare per noi, di rispettarci e proteggerci… Questa è la vera forza per me, w gli uomini per bene che con il loro esempio danno un contributo a rendere migliore il mondo. Ecco una testimonianza che inverte la rotta e mette a fuoco l’orizzonte di uomini che sanno ancora amare e rispettare le donne. Applaudo anch’io! Ed ecco Non Inutilmente”, il mio piccolo contributo per questa grande causa: Mi feci inutilmente conchiglia/ per sussurrarti invano/ il richiamo del mare/ e una nostalgia di velieri/ a riportarti a riva/ Mi feci papavero da scoppiare/ tra le dita per un ti amo/ spaventato dal rumore del cuore/ a lasciare un segno rosso/ folle di sogni ubriaco d’amore/ Mi feci vela per farti scoprire/ tutto l’azzurro nella libertà d’andare/ ma tu t’incatenasti al porto sicuro del tuo “Ego”/ minaccioso/ crudele/ senza coraggio di amare/ Coltello scure fucile mitraglia/ contro la resa dell’anima/mai arresa/ E forse…/ (Rimane una luna di mare affogata/ un papavero lacerato tra le dita/ il silenzio di una vela stracciata)/ MA MI SALVAI!    

E per oggi mi fermo qui. Ieri avevo letto altre testimonianze su FB che avrei voluto riportare sul blog (per esempio quella di Maria Concetta Giorgi), ma stamattina sembrano sparite nel nulla, almeno alla mia miope e frettolosa indagine per essere nei tempi improrogabili di questa giornata. Ma ci rifaremo. È un discorso aperto che dovrebbe renderci vigili e operativi 365 giorni all’anno. Sta a noi renderlo tale…

domenica 21 novembre 2021

Domenica 21 novembre 2021: IL TALENTO...

Ieri abbiamo ricordato la giornata dei Diritti dell’Infanzia, voluta dalla Convenzione ONU e approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989. Ma già 120 anni fa, la scrittrice svedese Ellen Key scrisse Il secolo del bambino che condusse alla scoperta dell’infanzia (dopo l’antesignano Rousseau che aveva pubblicato Emilio o dell’educazione - 1762 - romanzo pedagogico di grande importanza per la scoperta dei bisogni infantili) da parte di psicologi, pedagogisti, insegnanti, genitori. Sappiamo, comunque, che a distanza di oltre un secolo tali diritti non ancora sono stati raggiunti neppure in Italia, men che mai a livello mondiale. Eppure il Novecento fu dichiarato proprio “il secolo del bambino”. Oltre 200 anni di storia non sono bastati a dare ai piccoli le fondamentali risposte politico-socio-culturali ai loro reali bisogni di crescita e autoaffermazione personale in vista di un futuro da vivere da protagonisti e mai più come esseri invisibili, ignorati o molto più spesso vittime sacrificali della violenza degli adulti (dallo spartano monte Taigeto alla romana rupe Tarpea fino al parricidio di Vetralla dei nostri giorni). Voi mi chiederete: cosa c’entra tutto questo con la parola TALENTO, di cui dobbiamo occuparci oggi? Credo che sia il giusto preambolo a quanto andremo ad analizzare, sempre partendo dalle chiare e puntuali riflessioni del nostro Simone Cristicchi che, a sua insaputa, ci sta facendo da guida e da maestro in questo affascinante percorso alla ricerca della felicità. Ebbene Simone, al riguardo, scrive: Ci sono cose che non si possono comprare. Sono inacquistabili addirittura nell’attuale mondo mercificato, fuori dalla portata dei miliardari e delle carte di credito placcate. Semplicemente non sono in vendita: le puoi avere solo se le conquisti, non se le acquisti. Con i soldi puoi comprare una casa, ma non una famiglia. Puoi comprare un letto, ma non il sonno. Puoi comprare un orologio, ma non il tempo. Puoi comprare un libro, ma non la saggezza. Puoi comprare una posizione sociale, ma non il rispetto. Puoi pagare un medico, ma non la salute. Puoi comprare il sesso, ma non l’amore. Puoi comprare il successo, e spesso anche chi te lo riconosce, ma non il talento. Ecco la parola magica. TALENTO! Cos’è i talento? Leggo dalla Treccani che etimologicamente Talento deriva dal greco “tàlanton” che significa “piatto della bilancia, peso, somma di denaro”. Poi scopro da altre fonti (vocabolari, riviste di psicologia e cultura generale, ecc…) che ha assunto, nel tempo, il significato di “inclinazione” (dal piatto della bilancia appunto) e, infine, di “talento”, secondo il significato evangelico (dalla parabola dei talenti del Vangelo di Matteo: parabola, che a me piace molto perché anche molto esplicativa e formativa). Dunque, talento come inclinazione, dote innata, propensione a fare facilmente alcune cose che ad altri risultano difficili, genialità, vocazione, necessità, e così via. I genetisti affermano che è innato ed ereditario; gli ambientalisti sostengono il ruolo primario dell’ambiente nella sua scoperta e nel suo potenziamento. Ritengo che entrambi abbiano ragione. Ma probabilmente il talento è anche molto di più. Simone continua: Il talento è gratis, te lo regalano, nasce insieme a te. Ecco l’attinenza con i bambini e l’infanzia. I bambini sono dei creativi e “visionari” per eccellenza (“la scopa che diventa cavallo” - “l’amico immaginario”…). Bisogna scoprire per tempo i loro talenti e aiutarli a potenziarli e a utilizzarli per fare grandi cose in un solo o in più campi. Non è un caso che questo dono immenso, più della stessa vita, come andrò a chiarire secondo il mio punto di vista, ci sia stato misteriosamente e prodigiosamente dato. A chi più, a chi meno. Probabilmente chi lo ha ricevuto in piccola misura è chiamato alle scelte quotidiane della vita; chi lo possiede in grande misura è destinato a perseguire un fine nobile per quanti lo circondano o per l’intera umanità. Sono personalmente convinta che la vita senza creatività può scorrere in maniera banale, sempre uguale e persino piena di sofferenza e insoddisfazione perché ritenuta, a torto, immodificabile. La creatività ci permette di modificarla a nostro piacimento, magari colorandola solo col pensiero, in quanto è quella qualità della mente che ci fa “rinascere infinite volte” (Fromm). Se essa poi si identifica con il talento in uno o più campi della nostra operatività esistenziale, allora possiamo veramente ritenerci fortunati. Cristicchi scrive ancora: È un’app già installata nel nostro sistema operativo, va solo trovata la password. C’è chi impiega una vita a scovarlo e chi muore senza neanche averlo cercato. Altri ancora dimenticano di possederlo, come capita alle anatre domestiche: non volano, eppure potrebbero. Esempio diretto alle generazioni della comunicazione virtuale, propria del nostro tempo. Molto calzante anche l’esempio delle anatre domestiche, che non riescono più a volare pur essendo dotate di ali. Come dargli torto? L’esempio opposto è quello dell’albatro di baudelairiana memoria che è goffo sulla terra, ma invincibile nell’eleganza e nell’altezza del volo. Una tenera via di mezzo la troviamo nella gabbianella a cui un gatto insegnò a volare del mitico Luis Sepùlveda. Occorre favorire per tempo la scoperta del talento. L’analisi delle “intelligenze multiple” di Howard Gardner (visuo-spaziale, linguistica, interpersonale, musicale, corporeo-cinestetica, intrapersonale, logico-matematica, naturalistica, esistenziale…) ci dovrebbe aiutare, partendo dall’assunto fondamentale che “l’intelligenza è la capacità di comprendere il mondo in cui viviamo e di risolvere i problemi ambientali, sociali e culturali che ci vengono posti in ogni momento della nostra esistenza” (Gardner). Ma anche, da “intus legere”, l’intelligenza è prima di tutto la capacità della mente umana di penetrare nelle cose, “leggere dentro” profondamente: in noi e fuori di noi. Quanto tempo perso in tentativi ed errori nell’apprendimento si eviterebbe se per tempo dessimo ai nostri bambini gli strumenti per scoprire l’area principale del proprio talento per avviarsi più speditamente verso la conoscenza di sé stessi e del mondo circostante! Quanti momenti bui di disistima, scoramento, rifiuto di apprendere e fuga dalla scuola e dalla vita (in casi estremi ma non rari) eviteremmo ai nostri bambini e adolescenti se li aiutassimo a comprendere per tempo il proprio potenziale intellettivo e a far leva  su quanto più desta in loro interesse e la forte motivazione ad apprendere “operativamente”, facendo cioè leva sulla capacità/volontà di scoprire, attraverso la personale ricerca, il sapere, facendo leva anche sulla “transitività cognitiva” che permette agevolmente di passare da una conoscenza all’altra senza intoppi. quando, invece, noi perdiamo di vista le nostre potenzialità, quando ci infiliamo nel gregge, nel flusso modaiolo, nell’andamento generale, noi rinunciamo a volare, dice ancora Simone. Ed io aggiungo rinunciamo a noi stessi. Ad ESSERE, ad ESSERCI! Certo, è una bella responsabilità farsi carico del proprio talento, appunto perché non lo scegliamo. Non è un’attitudine, è una dote. Da Platone a Hillman, in molti hanno parlato di “daimon”, una specie di spirito guida, un compagno invisibile portatore del nostro destino, che è la nostra componente originaria, il nostro codice da decifrare, attuare e onorare.

Ho saccheggiato abbondantemente Simone Cristicchi perché la penso esattamente come lui. E per oggi mi fermerei qui, ma desidero aggiungere un piccolo riferimento a questa giornata, 21 novembre, “Giornata dell’Albero”. È una giornata che mi piace molto perché segna il nostro contatto con la natura, il rito di piantare gli alberi di cui si fanno carico la Scuola dell’Infanzie e la Scuola primaria per educare i piccoli e i ragazzi all’amore per la natura, al rispetto per i generosi alberi che danno tutto di sé senza nulla chiedere in cambio se non un minimo di cura per non appassire. Ritengo che per tutte le cose occorra partire dalle origini, dalla natura, che è la madre primaria della nostra esistenza, fonte del nostro quotidiano sostentamento. Se poi nella natura vediamo tutte le Creature di un Creato voluto da un Creatore, allora anche in un albero potremmo vedere l’immaginaria fonte dei nostri talenti: le radici che affondano nell’humus della terra; il tronco che cresce verso l’alto e mette rami e foglie e germogli per dare i suoi frutti in base al suo codice, che fa di un albero quell’albero e non un altro. Albero, che verdeggia e fa ombra o dà i frutti non per sé stesso ma per gli altri in una continua offerta di sé per il benessere di tutti. E i rami più alti sembrano forare il cielo alla ricerca, non sempre vana o illusoria, della carezza rassicurante di Dio. E, chiedendo scusa per l’autoreferenzialità, chiudo con una mia, purtroppo lunga, poesia: Chi di rosa e d’azzurro/ a mia insaputa/ ha dipinto il cielo/ di questo tramonto di fine novembre,/ quando per i bimbi comincia/ l’attesa del Natale e delle fascinose/ luci che scaldano il cuore/ a grandi e piccini?// Un raggio d’azione/ più ampio ha il sole/ al perielio/ raffreddando i suoi raggi/ e il calore della Terra./ Rabbrividiscono/ i rami degli abeti/ e lunghe code d’uccelli/ vibrano al vento di tramontana.// Chi lascia che il verde conforti/ tra farfalle di neve/ l’attesa e la speranza?// Chi depone al mattino/ di quasi primavera/ sulla fogliolina di prato/ una goccia che trema/ di rugiada?/ Chi colora il sole arancione/ sul mare di miele/ in un tramonto d’estate/ e l’alba turchina/ coi suoi lunghi capelli/ a sfidare onde e maree/ e fiori di bosco e collina?/ Chi rivernicia il nero notturno/ del mare/ di verde e d’azzurro/ con riflessi d’argento e di luna/ per incantare gli occhi/ di mille amanti?// Chi bruciò sarmenti di porpora/ per il sorriso acceso dei sogni/ di due ragazzi innamorati/ su distesi orizzonti/ persi d’infinito?/ Chi ha ricamato d’autunno/ i veli trasparenti di nuvole leggere/ sull’altare di trepidanti spose/ di settembre?// Chi sollecitò ombre/ di rimpianto/ sul finire del tempo/ aggrappato ai ricordi/ testarda quercia/ culla di nidi/ in esplosione di nuova vita/ e urna di volti/ spariti nelle nebbie/ di un passato acceso nell’anima?// Chi mi regalò/ un manto di stelle lucenti/ più di mille diamanti/ a ridarmi gli anni perduti e mai dimenticati/ di mille prodigi/ tra lacrime e risate/ e un firmamento acceso/ contro il buio di ogni tormento/ CHI?        

E nuove testimonianze ci attendono…

giovedì 18 novembre 2021

Giovedì 18 novembre 2021: MEMORIA E TALENTO: ALTRE DUE PAROLE MAGICHE...

Già. Ripartiamo da due parole che ritengo davvero magiche: MEMORIA e TALENTO. La prima guarda al passato e se lo trascina con sé fino ad attualizzarlo in prospettiva futura. Prende tutto il nostro tempo. Connota la nostra vita. Ci restituisce continuamente la nostra identità. Senza conservare memoria non saremmo più noi, come dolorosamente sanno coloro che si prendono cura del loro cari frantumati e distrutti dalle spire impietose dell’Alzheimer. È, dunque, una parola magica soprattutto per questo: tenere accesa la nostra identità attraverso i ricordi di noi nel tempo e nello spazio della nostra avventura terrena. Simone Cristicchi la annovera tra le parole che ci consentono di percorrere il sentiero o la via maestra che porta alla felicità. E scrive: Senza memoria non c’è passato e non c’è futuro. Personalmente, ho fatto dell’antiquariato umano il mio lavoro, anzi mi sono sentito più un minatore, un rigattiere dell’anima, un archeologo che fruga nel passato per far tornare alla luce storie dimenticate che hanno solo bisogno di una voce per brillare e continuare ad insegnare. Il teatro è la mia personale banca dati, arricchisce me e restituisce dignità a vite e vicende finite nell’oblio, travolte dall’uragano di storie più grandi, più fortunate, più condivise, più opportune in un determinato periodo. Non sono meno importanti o meno utili di quelle che ci sono giunte, semplicemente, per vari motivi, sono rimaste sepolte come tesori in attesa di essere riscoperte. (…). La memoria non è solo un’esperienza primaria, cioè fatta in prima persona, ma è anche assimilabile. La possiamo ricevere da libri, da attori, da narratori professionisti o amatoriali, fino a immedesimarci completamente, come se quei fatti ci appartenessero. È anche così che si costruisce una memoria collettiva. C’è poi la memoria individuale, il magazzino dei ricordi cui attingiamo per ricordarci chi siamo, la bussola che ci dà la direzione quando ci sentiamo smarriti, e la lista degli errori da non ripetere. Penso che dare valore al nostro passaggio sulla Terra con i nostri gesti, e trasportando quelli altrui di epoca in epoca, definisca una vita degna di essere vissuta.

La lunga citazione, ma è solo un minuscolo stralcio del capitolo riguardante la “memoria”, individuale e collettiva, e i numerosi modi per raccontarcela con utilissime conoscenze di esperienze risolutive anche per l’ambiente e la nostra salute psico-fisica, a livello mondiale, mi è servita per scoprire alcune meravigliose utilizzazioni della facoltà di ricordare in campo artistico-letterario per sentirci in pace con la nostra coscienza e in sintonia con gli altri perché la nostra vita sia “degna di essere vissuta”. Simone è davvero una persona straordinaria, che ha fatto e fa dei suoi tanti talenti una missione di educazione degli uomini alla fratellanza e all’amore, in un tempo sempre più macerato da odi, sopraffazioni, violenze, volgarità gratuite e deleterie per l’intera umanità. Il suo luminoso esempio mi riporta a tanti di voi, miei carissimi amici, primo fra tutti Mario Sicolo (Apulo Scriba) in qualità di docente di straordinaria empatia, e di giornalista-poeta a tutto tondo; lo affianca meritoriamente Mattia Cattaneo con tutte le attività culturali che realizza instancabilmente con i tantissimi autori di Circolare Poesia; e David la Mantìa con le sue poesie, le sue riflessioni quotidiane, il sapiente rapporto con gli alunni, le imperdibile lezioni settimanali di letteratura italiana in coppia con l’infaticabile Mattia che, tra l’altro, fa teatro, partecipa da protagonista a reading di poesia e musica e tanto altro ancora. E che dire di Maria Pia Latorre, Mariateresa Bari, Roberta Lipparini, la meravigliosa cantante lirica Natalizia Carone che mi onora della sua amicizia, le preziose Elina Miticocchio e Caterina De Fusco? E ancora del noto fotografo-fotoreporter Giuseppe Tricarico e del pittore e docente Giuseppe Fiorello detto u d’signator? E di Mimmo Mancini, grande attore e imperdibile amico? E che dire del geniale Matteo Gelardi, creativo scienziato amante della Musica, della Bellezza, dello Spettacolo, che abbraccia in un insieme favoloso il micro e il macrocosmo, dai microbi alle stelle, per farne dono agli altri? L’elenco potrebbe continuare ancora tanto. Tutti amici carissimi dotati di talento e “buona volontà” per fare della propria vita e della propria sensibilità artistico-culturale una fonte inesauribile di memorie per aiutarci a conoscere e ad essere migliori. In prospettiva futura. Non costruiamo solo per noi stessi quanto per le future generazioni. I bambini, i ragazzi, i giovani vanno custoditi come semi e coltivati come fiori che ci daranno eterne primavere… Simone Cristicchi parla anche di questo e io gli sono profondamente grata. Ed ora ecco qualche altra testimonianza letteraria, in prosa e in versi.

Mi piace molto questa poesia “ALBA” di Alessandra Corbetta di Como, postata da Vincenzo Mastropirro sulla sua pagina. Vincenzo mi perdonerà la rapina: Se ti addormenti sulla mia ombra/ non spegneremo nessuna fiammella,/ i fiammiferi basteranno per un altro inverno/ e queste piaghe che invecchiano le mani/ seguiranno il corso del latte// Urge la pazienza della lievitazione lenta,/ serve sforzarsi per sottrarsi agli abbracci!// Fuori dalla finestra ci aspetta una resurrezione:/ colore di ambra e alba senza fine/ la preghiera che mi sentirai dire/ piegata sulle tue ginocchia.

È, come è facile notare, una splendida testimonianza di un presente che presuppone un passato e prelude a un futuro. Con immagini molto tenere e suggestive. È inutile sottolineare la evidente generosità di Vincenzo Mastropirro, altro carissimo amico, già citato in passato per le sue dolci/amare poesie in una sempre più frequente commistione tra dialetto e italiano a darci suggestioni molto forti e originali. Vincenzo è, come sappiamo, anche un grande musicista, compositore, docente di musica e magico concertista col suo meraviglioso flauto dolce. Rientra nella “rosa degli eletti”.

Ed ecco una pagina della bravissima Antonella Coletti che tanto ammiro, con una sua poesia dedicata ad un’altra sensibilissima scrittrice-poetessa, che mi porto nel cuore, Rita Vecchi: Tutto ti appartiene,/ e tu sali e ridiscendi, oh memoria/ d’anni luminosi che fan più pura/ l’essenza dei tuoi pensieri./ E ancora ti desti con il piede attutito/ d’una fiamma che scaldi le tue trecce/ di bimba./ E io penso… che se andassimo insieme/ lungo un solo sentiero,/ verso una sola via di questo mondo/ che ci porti a un solo più compassionevole/ mondo, lasceremmo/ un unico solco,/ Restano pagine ancora “della tua danza/ divina” e del tuo riserbo/ restano palpebre scavate/ sguardi lucidi e schivi su inviolabili/ vette. Restano sussulti di voci/ friabili, accese… su lividi muti. Come non amare questi versi così pieni di memoria e di grande sintonia tra le due poetesse da ipotizzare una sola voce lungo le strade del mondo “più compassionevole”? E ancora di Antonella Coletti un’altra emblematica poesia: Dimmi se i tuoi sogni oggi/ combaciano coi miei,/ se tu ora passi per gli stessi luoghi,/ se io e te siamo quelli di ieri./ Dimmi di quando era ancora possibile/ ci pareva reale, quando il quotidiano avvicendarsi/ del tempo non ci aveva ancora/ spezzato le braccia/ ed i “quasi” ed i “forse” non erano ancora sfociati/ nei “nonostante”./ Ricordami quando io aprivo la porta,/ e il sole/ ed il mare, s’inoltravano lucidi e tondi, stranieri/ all’inverno, ogni fiore, ogni foglia, ogni gesto./ Dimmi, ora, che sei stanco, stanco di lottare,/ e io, ancora più stanca di trovare le giuste parole,/ tu hai cercato di dialogare con le tue vane/ ossessive ragioni, io con le mie frustrazioni…/ Dimmi a che ci è servito blandire la vita,/ forgiare la spada, prendere bene la mira,/ accendendo con un solo cerino,/ questo nostro illusorio cammino./ Ora che siamo diventati più anziani/ da essere tornati bambini,/ scaldandoci un poco/ accanto al nostro camino,/ niente rimorsi, niente rimpianti/ né fumo… ogni commento è superfluo.

Di Maria Pia Latorre questa simpaticissima e molto profonda filastrocca, in rime e assonanze baciate, dedicata ai bambini (il presente e il futuro!) e agli alberi (il passato e la memoria che s’intreccia con il presente”). Il titolo “Il bambino e l’albero”: - Da quando sei qui prima di me?/ Mi racconti qualcosa di te?/ - Che bello poterci parlare/ Ma tu mi stai ad ascoltare?/ Le mie braccia sono appoggio/ Mille specie trovano alloggio/ Nel mio tronco la potenza/ Sulla mia chioma a passo di danza/ Dammi tempo qualche mese/ E troverai altre sorprese/ Gemme, fiori, bacche e frutti/ Questi i doni che offro a tutti/ Se poi scavi nel profondo/ Nella terra dove affondo/ Verran fuori meraviglie/ Ben nascoste tra le foglie/ Tane, nidi, formicai/ Che salveranno orsi e ghiacciai/ Già ti chiedi: come mai?/ Sta’ a sentire e capirai/ Non mi voglio dare arie/ Sono storie millenarie:/ Tutto quanto vien da me/ L’aria e tutto quel che c’è.

“Sono storie millennarie”, appunto. La memoria del passato è un futuro capovolto. In mezzo il presente: “l’albero e il bambino”.

Di Mattia Cattaneo: c’è sempre/ un ricordo di piazze desolate/ magre attese/ e nomi scritti per intero// nelle distanze siderali/ ho lasciato zolle dure/ di fango e sete/ ma non c’è mai guerra indolore/ che varca senza bussare// la poesia/ una rassicurante incertezza// estesa lattescenza.

Anche qui il ricordo che riporta al passato e s’impregna di presente e s’infutura nella poesia che vince ogni silenzio e rende “rassicurante” ogni “incertezza”, tenero ogni dolore.

Tenerissima, in verità, la breve ma incantevole poesia intitolata “Baci” che è un canto ai ricordi del passato e al fervore goloso e innocente della giovinezza, vissuta all’ombra di riti quotidiani e dolci sintonie del cuore: Mia nonna/ segnava il pane/ con una croce./ Io baciavo la croce odorosa/ e mangiavo il pane caldo/ che sembrava cantare./ Certo/ di tutti i baci che ho dato poi/ nessuno l’ho dato/ con tanto goloso fervore.

E per finire, oggi ripropongo la meravigliosa prosa di Mimmo Mancini, attore di lungo corso e amico di lunga data: una prosa poetica scritta per l’ultimo compleanno di sua madre ultranovantenne, ma spirito combattivo e generoso fino all’ultimo respiro di vita. Si intitola “Le mani di mia madre”: Se le tue mani potessero raccontare la storia di tutto quello che hanno sfiorato, accarezzato, salutato per un "a presto!" come per l'addio. Se potessero raccontare quante mani hanno stretto con sincerità e amore, quante preghiere attraverso quelle mani sempre pronte a unirsi per l'altro, per i figli, preghiere non sempre ascoltate. Mani tese verso il cielo e verso chi ha avuto bisogno di aiuto, di una carezza, di un conforto come di un diniego, mai per punire, mai per giudicare, ma per salvare. Mani forti, mani leggere, mani dure, mani fragili, mani callose di chi ha lavorato sempre, mani che quando era necessario farsi sentire non hanno esitato, mani che come insegnante hanno indicato la strada all'allievo e placato, rassicurato, bloccato quei genitori smarriti. Mani di madre, di moglie non rispettata, di donna umiliata, mani che hanno lavato di tutto, anche il lutto, mani di figlia della guerra, della povertà, dell'umiltà vera, mani che non hanno mai chiesto nulla se non la semplicità come scelta di vita. Mani che hanno sofferto il freddo come il dolore, mani che hanno asciugato lacrime e non solo le tue. Mani capaci di cucire, di creare, mani che ci hanno riscaldato, che ci hanno nutrito, mani ferite, mani generose, mani mai violente, mani che hanno coperto e lavato la dignità di un anziano solo e abbandonato. Mani che hanno lavato bambini poveri, mani che hanno voluto servire il tuo Dio attraverso un disabile per offrire la tua incrollabile fede. Mani che hanno scritto e che scrivono ancora, mani avvizzite che seguono ancora il rigo senza tremare, tra i tanti libri che ti fanno ancora compagnia. Grazie, mamma, per queste tue mani che ci hanno protetto (…) nella tua saggezza di donna nonna madre e maestra di vita, solare, splendi, ma di luce propria. Nonostante i tuoi anni, con un sorriso ancora tendi la stanca mano a sconosciuti, in un paese dal tuo lontano. Mani che hanno accarezzato figli e nipoti, amici e parenti, gente che ancora ricorda quelle mani che hanno toccato tante storie, tante. E allora mi piace immaginare che quelle mani che hanno ricevuto qualcosa, che hanno avuto la fortuna di conoscere la bontà delle tue mute carezze, unite e strette attorno al ricordo, ti raggiungano lì, dove ogni giorno attendi, nella tua infinita preghiera, che il giorno lasci il passo alla notte nel silenzio e nella pace, senza disturbo, in silenzio. Mani mai vuote, perché colme di un amore limpido, stretto in un pugno. Mani sporche di terra, colorate di sogni lontani.
Mimmo Mancini

E non servono commenti. Sentiamo solo una intensa, tenerissima commozione. Grazie, Tonetta. Ora più che mai. Grazie, Mimmo, per questi ricordi che sono testimonianza di memorie, che due mani, se osservate con amore, possono e sanno raccontare. In silenzio, ma col cuore acceso.

E continueremo a raccontarci anche il TALENTO, altra parola magica per conquistare insieme una probabile felicità. Da soli non è facile. Insieme è possibile.


martedì 16 novembre 2021

Martedì 16 novembre 2021: E DI CAMBIAMENTO PARLIAMO ANCORA...

Provvedo subito ad una precisazione che mi sta molto a cuore: la carissima Angela Strippoli non ha festeggiato settant’anni con la sua bellissima poesia, ma sessanta. Per la fretta di scrivere e di portare su FB le riflessioni che chi mi segue legge sul blog, ecco che mi sfuggono imperdonabili errori, di cui chiedo scusa alla mia amata Angela. Così come chiedo scusa a tutti voi per alcune omissioni nel percorso che stiamo facendo insieme sempre per il timore di occupare troppo tempo e troppo spazio nelle mie lunghe premesse e considerazioni, a volte del tutto personali, dovute a lontane reminiscenze di studi o di curiosità del cuore e della mente. Ringrazio, pertanto, chi con molto tatto, gentilezza e generosità integra quanto da me viene detto o preso in esame. È il caso di Mariateresa Bari che mai mi fa mancare i suoi preziosi commenti e le sue giuste integrazioni. Mariateresa mi scrive: Carissima Angela, grazie per questo tuo viaggio. Sul cambiamento è impagabile la lezione di Eraclito. Tutto scorre, tutto muta. A costo di rovinose cadute e grandi sofferenze. Mi ritrovo perfettamente in ogni tua parola... C'è una poesia del mio amatissimo Luzi, tratta da "Sotto specie umana", che dice bene questo trasmutare. "Pareva fosse dato/ variare a piacimento/ il testo; che mutevoli/ fossero in quel libro/ le pagine e le parti./ Così malgrado il nero/ lavoro delle sorti/ erano nel perpetuo avvenimento/ davvero quelle carte./ Invariabile era solo/ l’opera dell’aria/ che le sfoglia, le gira,/ le consuma, in altro/ insieme con se stessa le trasmuta./ Così pareva, così era." M. Luzi. E sulla metamorfosi ho tentato di scrivere anch'io, ma non oso affiancare i miei versi a quelli del grande poeta fiorentino... Un abbraccio forte a te. Come ringraziarti per aver riportato alla memoria il grande assente: Eraclito? Dimenticanza imperdonabile. Ma le Metamorfosi sono davvero tante nella letteratura mondiale. A partire dallo stesso Omero che trasforma in porci i compagni di Ulisse ad opera della maga Circe. anche Apuleio scrive le Metamorfosi sotto forma di fiabe e racconti fantastici e ironici (es: L’asino d’oro). E che dire di Boccaccio o nel Novecento di D’Annunzio (es: Alcyone) o di Pirandello (Uno, nessuno, centomila)? Senza parlare di KafKa e il suo incredibile racconto “La Metamorfosi”. Ma la trasformazione, come sappiamo, è sempre in atto ed è continuo oggetto di osservazione sia a livello filosofico che a livello artistico, storico, letterario, scientifico. La poesia di Luzi, sempre citata da Mariateresa, è un ulteriore esempio di cambiamento, sempre in atto nella natura e nella nostra vita. Tantissime le prose e le poesie che ho “incontrato” tra i libri che ricevo in dono, tra gli amici e conoscenti o sconosciuti che me le inviano, anche su FB e tra i miei amici di penna e di comune sentire. Continuo così a proporre ancora alcune prose poetiche e poesie molto significative al riguardo.

E riparto da Mariateresa Bari che mi scrive: Carissima Angela, infinite le emozioni nel leggere queste righe. La tua materna attenzione commuove, così come commovente è la delicatezza con cui entri nelle nostre scritture. E di questo non ti saremo mai grati abbastanza. Stanotte hanno visto la luce pochi, semplici versi in dialogo con la prosa toccante e poeticamente ispirata di Mario. Eccoli: Quelle cose che han nome Poesia// Sospira di pace una lacrima/ in fuga dalla cruda / delusione di ogni attimo tradito / Trema una parola muta/ si fa brivido/ e accordo di ricordi/ Sono coltre di gigli e rose/ quelle cose / che han nome Poesia/ Sottopelle / quando si fa sera / Mariateresa. E ancora grazie, mia fedelissima amica che, ispirandoti alla prosa così “toccante e poeticamente ispirata di Mario”, scrivi, in un contagio di versi che sanno la “sera” dopo la “delusione di ogni attimo tradito”, ma si vestono di “ricordi” in un mutare continuo di stagioni, affidate alla parola poetica che mai tradisce i “gigli e le rose” che “han nome Poesia”. E, a proposito di poeti e di poesia, non posso fare a meno di riportare o riproporre (perché magari l’ho già postata tanto è bella) di Mariateresa la seguente delicatissima poesia “Nata all’alba”: In estatica contemplazione// La vedi/ quella sutura sulla luna?/ È lì che nascono i poeti// Lacrime di stelle le parole/ non c’è parto senza dolore/ si fanno bolle di sapone// Ogni cielo ha la sua culla// Scoperchiamo i dormitoi neri/ dei giorni/ e nascono i poeti// Li vedi?

Ma, ritornando al cambiamento, ecco tre perle, scoperte in un libro, ricevuto solo ieri, dal titolo emblematico Nel lento fluire delle ore di Francesca Anselmi (Gazebo, Firenze 2020): Ricordo quando/ lo sguardo si negava al cielo/ e le mani celavano/ il palmo stretto in un pugno.// Ricordo/ le mie spalle ricurve,/ quasi una nicchia/ a difesa del cuore,/ mentre la vita scorreva/ passandomi accanto; Le cose fluiscono/ ed io con loro./ Mi muovo/ nel perpetuo moto degli eventi.// Quale forma prenderò?/ Sarò più sostanza o materia?; Io che mi osservo/ mentre percorro questa vita./ In un silente viaggio interiore/ ricerco il senso e il non-senso/ delle cose.// Artigiana del mio fare e disfare,/ dispongo sponde,/ le attraverso, ci scorro dentro. Va da sé che tutte le poesie che, in realtà, sono frammenti, quasi a farci visualizzare il "lento fluire delle ore", ricalcano il tema delle trasformazioni fuori e dentro di noi, nell'arco di un solo giorno e di una intera vita.

E poi di Gianni Brattoli, tra passato e presente, una poesia inedita che ha per titolo "A RUBARMI IL RESPIRO": Oltre il fiume/ lontano/ sul punto dell'alba/ lasciai le pazze corse/ in discesa.// Vaghi riflessi/ di rondine/ e il cuore scoppiava.../ L'ala sulla pelle/ bruciava le tempie.// Non c'era, in quei giorni,/ tra l'erba,/ profumo di fiori/ ma caldi capelli/ a rubarmi il respiro.// Oltre il fiume/ lontano/ sul punto dell'alba/ lasciai le pazze corse/ in discesa.// Vaghi riflessi/ di rondine/ e il cuore scoppiava.../ L'ala sulla pelle/ bruciava le tempie.// Non c'era, in quei giorni,/ tra l'erba,/ profumo di fiori/ ma caldi capelli/ a rubarmi il respiro. Già nel titolo c’è un movimento rapidissimo (“a rubarmi”) che presuppone una forte emozione che permane nel ricordo e la attualizza. Ma anche ogni verso di questa intensa poesia è un inno alla giovinezza lontana. E la reiterazione continua degli attimi di passione vissuti non fa altro che acuirne il ricordo e il rimpianto, portandoci, in un silenzio di parole, al presente così diverso dal passato.

E di Piera Donna: Nel ritmo del respiro/ la certezza di essere fiume/ di scorrere verso la foce/ nella vertigine di gorghi improvvisi/ che spingono oltre; Dentro l’ora che passa/ dentro la mano che lavora/ premono per sbocciare ancora/ i tulipani (da Chi mi fa fiorire, Gazebo, Firenze 2019).

Ed ecco una prosa divertente rubata da una pagina di Tanino Coviello, professore in pensione, scrittore, attore e regista di commedie dialettali con l’unico scopo di far ridere i tanti amici che attendono con ansia un suo nuovo lavoro. Ebbene, Tanino è stato mio collega a Palo del Colle e quasi non ci conoscevamo. Ma, grazie a Fb siamo diventati grandi amici nella scoperta di comuni valori e sincere sintonie. E oggi il mio caro amico mi perdonerà l’atto vandalico di scippargli un racconto per proporlo nel nostro blog, affinché, grazie a lui, si possa ridere e riflettere insieme sui tempi che cambiano: L’altro giorno abbiamo avuto la brillante idea di riunire su WhatsApp i componenti del gruppo classe di quarta magistrale corso D. Anno scolastico 1968 Terlizzi. Si è creato un entusiasmo incredibile: settantenni che, dimentichi delle problematiche e degli acciacchi presenti, si sono tuffati in un tempo remoto nel passato che giammai più ritornerà. I ricordi sono riaffiorati nella memoria di ciascuno con ritmo incalzante di genuina frenesia: “Quel tiro mancino al professore d’italiano quando gli abbiamo nascosto la divina commedia? E il professore di matematica che nascondeva i compiti in classe nei pantaloni, dove lo metti? E la professoressa di musica? Com’era bella e buuuona! Perché quella di francese?”. Ma il sogno appartiene all’onirico fantastico… non dura molto! Ma chi se ne frega! Lasciate che un settantenne torni a sorridere in un momento così vile per l’anima, fategli cogliere l’attimo! Viva la gioventù… viva la vita!!! E noi tifiamo per lui, per i suoi ricordi, per il passato remoto che non torna, ma ci ha consegnato nel presente, “in un momento così vile per l’anima”, “l’attimo” per tornare a “sorridere”! E oggi ne abbiamo davvero tutti bisogno per vincere anche la delusione che il cambiamento a volte ci procura…

E di Maria Pia Latorre mi piace “Conchiglia”, che solo apparentemente è tutta in sé conchiusa, ma in realtà sottolinea l’eterno movimento della natura che coinvolge i nostri corpi e i nostri sensi e i nostri sentimenti, che si fanno sogni per andare lontano: Valve di conchiglia/ i nostri corpi/ Si abbella la perla/ dell’amore/ nutrendosi di noi/ sostanza lunare/ i silenzi non bastano più/ a vuotare l’arsura/ Si richiude in abbraccio/ il vascello morgana/ sotto un oceano di stelle/ mentre/ un sogno avanza in piroga

E anche per oggi va bene così. La prossima volta avremo nuove parole per altre prose e poesie a tenerci compagnia durante il viaggio dell’anima in cerca di possibili rive di felicità. Simone Cristicchi ci suggerisce ancora: Memoria e Talento. Due parole magiche per farci dispiegare le vele del passato e spingerci ad andare verso il futuro. Forse (magari con una piccola piroga)…

sabato 13 novembre 2021

Sabato 13 novembre 2021: LA RICERCA DELLA FELICITA' E ANCHE AMORE E CAMBIAMENTO...

 La volta scorsa non ho potuto parlare del cambiamento per motivi di spazio e di tempo. Ma, scrivevo, “A ben guardare tra le righe c’è in ognuna anche l’idea del cambiamento, di una trasformazione” e mi riferivo alle pagine di David la Mantìa, Di Mario Sicolo, di Roberta Lipparini, in cui è evidente il passaggio dal “prima” al “dopo” e ogni passaggio contiene di per sé una trasformazione. E ho scritto ancora: “cambiamento è la seconda parola che avrei dovuto riempire di testimonianze poetiche nel nostro percorso verso la felicità. Ce ne faremo dono la prossima volta”. Ed eccomi a riprendere il discorso lasciato a metà. Ma nel frattempo tutti noi siamo sicuramente cambiati nell’arco di questi due giorni. La nostra trasformazione e la trasformazione del mondo che ci circonda avvengono attimo dopo attimo, anche se noi, in quell’infinitesimale battito di ciglia, non ce ne accorgiamo. Probabilmente è perché siamo profondamente coinvolti in quell’attimo per rendercene conto. Non così per gli accadimenti eclatanti che ci danno subito la percezione del cambiamento. Ma non è questo che dobbiamo rilevare senza passare prima al setaccio il cambiamento lento e graduale prodotto dal trascorrere dei secondi nella nostra esperienza esistenziale quotidiana. Lo stesso Simone Cristicchi mi dà una notevole mano in quello che vado affermando. Così egli scrive nell’analizzare la parola “cambiamento: Siamo terrorizzati dal cambiamento, perché sbriciola quello che sappiamo della vita, mette in dubbio ciò che abbiamo fatto, quel pochissimo o tantissimo che siamo riusciti a costruire. In realtà, il cambiamento è un nostro fedelissimo compagno, spesso un alleato. Se ci pensiamo bene, non siamo mai uguali al secondo precedente. Ogni momento, ogni ora, ogni giorno è qualcosa di nuovo, di mai sperimentato in precedenza. (…). C’è un movimento continuo fuori e dentro di noi. Noi siamo forme che diventano altre forme, fragili, impermanenti, in divenire. Non possiamo fermare il fluire generale e, quando arriva la marea, le prime a crollare sono le strutture rigide, le idee fisse, i dogmi che bloccano cuore e mente, perciò conviene renderci flessibili, assecondare l’inclinazione delle onde come fanno i surfisti. Almeno a me è servito questo. La lunga citazione mi permette di visualizzare chiaramente cosa intende Simone per cambiamento e credo che non si possa fare altro che condividere. Anche se le modalità potrebbero essere diverse, in rapporto alle esperienze pregresse individuali, alla sensibilità di ciascuno, alla capacità di discernimento e di saper “leggere nelle cose”. Il cambiamento ci destabilizza, ma potrebbe aiutarci nel prendere consapevolezza della nostra crescita rispetto alle trasformazioni del mondo, oggi rapidissime, in atto. E cerco testimonianze negli scritti di grandi scrittori e poeti del passato e del presente, virtuali e reali, vicini o lontani. Per esempio, se dovessi descrivere i secoli scorsi, dalla comparsa dell’uomo sul pianeta terra fino ad oggi, non potrei che partire dalla parola “cambiamento”, più o meno lento, più o meno rapido. Ma non mi basterebbero più e più trattati se partissi da così tanto lontano. Se dovessi partire dal mondo greco latino, dovrei forse fare riferimento a Omero che usa la metafora del “viaggio” per dare, attraverso i suoi eroi, l’idea del continuo cambiamento di luoghi, incontri, affetti, scelte, approdi nell’arco dell’umana esistenza. Se dovessi poi fare riferimento soprattutto alla “parola” per comprendere meglio la trasformazione in termini letterari, penso di poter partire dai sofisti, che attraverso la pratica della “persuasione” portavano gli interlocutori a trasformare il loro modo di pensare, esprimersi, comunicare, attraverso l’“ethos” di chi parla (la rettitudine nel parlare: etica), il “pathos” di chi ascolta (la grande emozione suscitata nell’interlocutore) e il “logos”, argomento della conversazione (condotto con maestria ed empatia dal relatore). Tutto questo, se non ricordo male, era un processo comunicativo che si poneva l’obiettivo di condurre alla trasformazione dei modi di pensare e di agire degli interlocutori. Poi, dovrei parlare dei poeti latini, da Catullo (e il suo sentimento di amore/odio per Lesbia, con tutti i passaggi delle diverse situazioni in cui questi sentimenti vengono vissuti) a Ovidio con le Metamorfosi (cioè trasformazioni, appunto), a Orazio, che non è solo il poeta del “carpe diem”, per giungere al Medioevo, “Età di Mezzo” per eccellenza, che prevede, senza mezzi termini, un “prima” e un “dopo” con tutto il cambiamento che ci fu nella società e in letteratura fino ai primordi dell’Umanesimo e del Rinascimento. Ma, facendo un salto di secoli, fondamentali per le trasformazioni sociali, storico-geografiche e politico-culturali della nostra vecchia Europa, giungo al lungo “secolo breve”.   Il Novecento, molto più vicino a noi, è, comunque, un validissimo esempio di rapida trasformazione. In letteratura, occorre ricordare D’Annunzio e il Decadentismo (ma con il passaggio, nella sua poetica, dall’Estetismo all’Edonismo, al Superomismo) , Ungaretti, Quasimodo, Montale, nei cui versi troviamo la grande trasformazione dal Decadentismo all’Ermetismo, e così via. Nel terzo millennio possiamo parlare di rapidissima, vertiginosa trasformazione, di cui abbiamo ormai contezza a livello planetario. La mia scelta di fare questi voli pindarici si rende necessaria perché il blog non mi concede più di tanto. E urge fare esempi di poesia contemporanea con testi in prosa e poesia a conferma di quanto detto fin qui. E comincio con la meravigliosa poesia di Angela Strippoli per i suoi settant’anni, intitolata “11 - 11 – 2021”: Chiudo il cerchio/ E rilancio i dadi// Ricomincio// Punto e a capo// E già sono in volo// Ho mille anni e pochi giorni// Sono la mia infanzia felice// Tra le braccia di mio padre// Ha braccia forti/ Mi porta a vedere le stelle// Ho mille anni e pochi giorni// E sono madre dei miei figli e / del mio sposo madre e sposa// Madre di mia madre/ E figlia di me e madre anche// Ho mille anni e pochi giorni// Versi e strofe raccolgo tra i capelli// Ho cura degli alberi// Ricamo madonne// Avevo sei anni quando filo e ago/ ebbi tra le dita per i miei mille anni// Ho mille anni e pochi giorni// Con mia nonna/ ballo la tarantella/ e facciamo festa intorno a un fiore// Coi petali sfioriti delle rose/ brindo/ Sorsi vermigli/ Rose e vino nel mio giorno di festa// Ho mille anni e pochi giorni// Dalla mia veste volano uccelli/ di seta e/ fanno nido tra le stelle// 11- 11 – 2021// Oggi/ Il mio giorno migliore// Rilancio i dadi e prendo il volo E non ci sono parole, solo emozione che galoppa nei sentieri del cuore. Ma quale testimonianza più luminosa e pura del “cambiamento” come rinascita? Decisiva è, a mio parere, la gioia di ESSERE nel tempo, con la migliore realizzazione di sé sempre in prospettiva futura: “Rilancio i dadi e prendo il volo”.  Di Maria Concetta Giorgi ho l’imbarazzo della scelta: c’è una prosa  che mi intriga molto e parla del cambiamento in modo insolito. Potrei intitolarla “ Cerchi un uomo e il suo cammino…”. Peccato che è troppo lunga, ma avrò il tempo di recuperarla. Poi due poesie molto intense “Binari”, che già nel titolo contiene il viaggio e il cambiamento del paesaggio e delle prospettive che si aprono al pensiero e alla stessa vita, e “A mia madre”. Opto per quest’ultima e non c’è bisogno di spiegare perché: A mia madre./…// Prologo// Prima della notte/ ti rivedo/ sei una sagoma,/ l’ombra di una pianta./ Vorrei non cadere/ dal mio sogno/ il volo sarebbe troppo per me.//Parte centrale// Avevo sei anni,/ aprivo il portone di/ legno scuro e malandato,/ il chiavistello arrugginito./ Campi di pannocchie,/ fusti alti e foglie verdi/ non era un sogno,/ era il mio piccolo tempo./ Quanto ti amavo/tutto aveva senso.// Epilogo// Ti cerco ancora/ non esiste più il sogno/ sono caduta in volo./ Ho toccato la terra umida e scura,/ ho sentito il rumore/ della pioggia che batte,/ il ritmo suo incessante,/ l’amore vero,/ quello che non fa piangere/ per ogni bocca che si apre./ Il cielo lavato dalla pioggia/ mostra il suo colore/ più puro./ So che sei lì/ i tuoi occhi, il tuo sorriso,/ il senso di Dio/ e il suo movimento.  Non ci sono parole, solo lacrime di intensissima commozione. Dal primo verso all’ultimo il cambiamento è in atto, ma gli ultimi quattro versi sono sublimi: “So che sei lì/ i tuoi occhi, il tuo sorriso,/ il senso di Dio/ e il suo movimento.”. Grazie, mia tenerissima amica! E adesso mi sembra giusto riportare uno stralcio di un racconto che parla di ieri e di oggi con tutta la forza dell’amore ricevuto in “UN MAGICO CORTILE” di Anna Maria De Leo, mia sorella. Scrive anche lei e lo fa con la tenerezza del suo cuore, molto provato ma mai stanco di seminare forza di vivere e speranza. E ogni ieri che si fa oggi e guarda al domani è un inno al cambiamento, che supera il buio di ogni possibile inevitabile buio. È l’anima che splende di luce e ci illumina. Ecco le parole di Anna Maria: … I miei nonni abitavano in una grande casa al centro del paese; poteva definirsi quasi una casa colonica in quanto offriva tutto quello che un uomo, amante della natura, si aspetta dalla propria abitazione. C’era, per esempio, un grande cortile pieno di fiori, piante e tanti animali. Io tornavo in quella casa d’estate, una volta all’anno e vi trascorrevo giorni favolosi. Mio nonno aveva preparato una casa per tutti gli animali di cui si prendeva cura. MIO nonno era eccezionale come il suo cortile, che conservò la sua magnificenza fino a quando fu lui a prendersene cura. Dopo cominciò un lento e costante declino, fino ai giorni in cui rimase abbandonato e dimenticato. Oggi vivo io nella casa dei nonni e il cortile è cambiato. Ci sono solo i fiori ad allietarlo e i miei adorati nipotini. Quando, ancora oggi esco fuori in cortile, ripenso a quei tempi, agli odori, ai sapori, soprattutto ai colori e alle voci di animali che popolavano quel magico universo, che un nonno meraviglioso aveva saputo animare per la nostra gioia. Grazie, nonno!

E anche per oggi mi fermo qui, ma ho tante altre bellissime testimonianze poetiche, in prosa e in versi, per scoprire cosa possa significare per ciascuno di noi il cambiamento nella vita… A presto!

 

 

giovedì 11 novembre 2021

Giovedì 11 novembre 2021: L'AMORE CI RENDE FELICI O UMILI DI CUORE?...

 E ritorno da dove ero partita un bel po’ di settimane fa, da Simone Cristicchi “Alla ricerca della felicità” e dalle sue due prime parole, su cui riflettere per trovare e scoprire il bandolo della ingarbugliata matassa della nostra vita: “attenzione” e “lentezza”. E, oggi, mi sembra proprio il caso di ricordarle in quanto si festeggia San Martino, il santo del mantello diviso per donarlo a chi ne era sprovvisto. “La leggenda narra che un giorno d’autunno - molto probabilmente l’11 novembre - mentre usciva a cavallo da una delle porte della città di Amiens, in Francia, Martino s’imbatté in un uomo molto povero, nudo e infreddolito. In quel giorno, in cui era proprio il maltempo a farla da padrone, San Martino s’impietosì e decise di aiutare il povero. Senza pensarci due volte tagliò il suo mantello di lana per donargliene metà. Di fronte a quel nobile gesto, la pioggia dopo pochi istanti smise di cadere, il cielo si aprì e spuntò il sole, facendo diventare la temperatura subito più mite. Martino quella notte sognò Gesù che gli rivelò di essere lui il mendicante al quale aveva donato il mantello. Quindi leggenda vuole che, ogni anno, ci sia un’interruzione della morsa del freddo per commemorare quanto aveva fatto quell’11 novembre” (da <IL GIORNO> di tre giorni fa). Sta di fatto che Martino da Tours, di nobile famiglia, nato nel IV secolo dopo Cristo, da militare divenne vescovo di Tours e poi santo. Ma non è solo leggenda cristiana, e di tutte le religioni che festeggiano i santi, c’è anche una spiegazione scientifica, che sarebbe troppo lungo qui approfondire. A noi basta fare riferimento all’“attenzione” che sicuramente il santo ebbe nei riguardi del mendicante, e alla “lentezza” con cui andava a cavallo, altrimenti neppure si sarebbe accorto della presenza dell’uomo, “nudo e infreddolito”. Ma a queste due sue bellissime caratteristiche, possiamo benissimo aggiungere le altre due parole che Cristicchi ci suggerisce nel suo percorso, se non alla santità, sicuramente verso l’agognata felicità: “umiltà” e “cambiamento”. Altre due parole meravigliose che il nostro cantautore-attore-poeta “rapina” a Pier Paolo Pasolini e al suo film-documentario “Comizi d’amore” del 1963. Alla parola umiltà Cristicchi premette, come esergo, una riflessione del geniale scienziato Albert Einstein: Chiunque faccia scienza si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo, davanti a cui noi, con la nostra umana debolezza, non possiamo che essere umili. L’umiltà e, dunque, una dote necessaria all’uomo di fronte al mistero del Creato. Non se ne può fare a meno. Solo la nostra arroganza ci fa dimenticare questa necessità. C’è, a questo proposito, una poesia molto profonda di Giovanni Gastel: Questo giardino/ potrebbe essere solo/ un bosco di persone/ agitate e complicate dal vento./ Ma non cerco la differenza stasera/ voglio con me il dubbio di non essere diverso/ da questi fiori da queste piante./ Senza più sangue pulsante/ ma verde linfa che scivola dentro di me./ Torna immenso Pan/ a confermarmi che sono ancora parte del tutto/ come era un tempo/ prima della paura e dell’arroganza. Ed ecco una prosa che ritengo di profonda umiltà. È del nostro amico, professore, scrittore e poeta David la Mantìa: È quando senti che il tempo comincia a mancare che più chiare ti appaiono le cose. È allora che avere la possibilità di scegliere un’ultima volta diventa un privilegio, una fortuna enorme. Ecco, io so bene cosa devo fare ancora per il tempo che mi resta: aiutare animali in difficoltà, ascoltare i miei allievi, ascoltare tutti quelli che posso, raccontare storie, dormire dopo aver salutato gli affetti. Vorrei sottolineare l’umiltà dell’ascolto. Ascoltare significa fare spazio all’altro. Chi impara ad ascoltare si apre al tu e al noi, superando il proprio egocentrismo, solipsismo e narcisismo. Impara a conoscere sé stesso, conoscendo e riconoscendo l’altro. Con umiltà e discernimento.

“L’aprirsi all’ascolto, dunque, equivale ad ammettere la propria finitezza, presuppone un sapere di non sapere, un essere coscienti della perfettibilità delle proprie conoscenze, è mettersi comunque in discussione, un riconoscere nell’altro una persona che è portatrice di ragioni che non devono essere sottovalutate, ma appunto valutate (…) offrirsi al dialogo e all’ascolto comporta la decisione di correre dei rischi, comporta la messa in discussione delle proprie tesi e l’eventuale loro revisione o il totale abbandono” (R. Arnheim). Mi piace molto, al riguardo, anche il pensiero di Jean Lacroix: “Ogni attività umana autentica è dialogo: dialogo con il mondo che è poesia, dialogo con gli altri che è amore, dialogo con Dio che è preghiera…”. Platone afferma che bisogna tener conto del dialogo dell’anima con sé stessa. “E l’anima non può dialogare con sé stessa se non ha saputo accogliere l’altro, se l’altro non è già in essa. Nulla di più raro oggi: il mondo moderno è pieno di individui monologanti che, senza mai accogliere l’altro, si oppongono e si urtano” (sempre Lacroix).

Comunicazione, esistenza e co-esistenza sono, dunque, concetti inseparabili che dovrebbero trasformarsi in realtà perché si possa diventare migliori. E tu, caro David, sei l’esempio più chiaro di attenzione agli altri, di dialogo con la tua anima (che si espande nella ricerca di ogni altra creatura terrena), di umiltà (umiltà da “humus”: “terra fertile”), e di poesia. E di umiltà si vestono le parole di Mario Sicolo, mio grandissimo e sensibilissimo amico, in tutte le sue riflessioni in prosa poetica che affida alla sua pagina di FB, col nickname di Apulo Scriba. Una lezione di umiltà, quest’ultima pagina, che gli proviene dalla figura paterna, ricca di “sapientia mentis et cordis”, a cui Mario si uncina per non perdere mai le vie della rinascita e della salvezza anche in periodi bui come quelli che stiamo attraversando: … è un papà. Ed è subito una tempesta di ricordi che vibra nel cuore. La voce soave che contava favole sul ciglio del letto e ti insegnava a sognare. Lo sguardo verdazzurro che illuminava il sentiero dei giorni e tu non avevi più paura di nulla. Il sorriso lieve che splendeva d’aurora, vincendo tutte le tenebre del mondo. L’amorevole cura nel sollevare silenziosamente un lembo del lenzuolo per ripararti la spalla dal freddo della vita. Le strambe crosticine che nascevano sulla pelle senza un perché, come cicatrici di antichi dolori. E poi ti chiedono: perché leggi? Per rannicchiarmi dentro la pelle dell’anima, quando si fa sera, e perdermi dentro un labirinto di parole senza più sperare di ritrovarmi… Quanta umiltà nei gesti quotidiani di amore e di tenerezza di un papà che non si risparmiava mai, nell’arco dell’intero giorno, dall’alba alla notte, nel dialogo sempre acceso con i suoi figli. Un dialogo spentosi troppo presto per non lasciare dolore e rimpianto. Di qui il rannicchiarsi di Mario “dentro la pelle dell’anima”, gesto tenerissimo di umiltà e di insostituibile amore, senza il quale, persino nell’abito consueto alla lettura per rifugiarsi nelle parole, Mario non riesce più “a ritrovarsi”. E che dire dell’umiltà di Roberta Lipparini, che è cara al cuore di tutti noi per l’assoluta sincerità dei suoi meravigliosi versi. Qui si tratta di incommensurabile amore materno nei riguardi della giovanissima figlia per risarcirla di tutto il dolore vissuto negli anni insieme: Ha vent’anni ed io, di nascosto, le preparo il calendario dell’avvento. 24 sacchettini marroni, quelli del pane, attaccati al muro del corridoio con il nastro di carta. Sul sacchetto un numero, disegnato grande con il pennarello. Dentro il sacchetto un piccolo pensiero. A vent’anni, sì     Perché un gesto di madre in 24 risvegli io lo pagherei oro     Perché chi ha avuto dalla vita tanti doni di dolore, merita minuscole ricompense, tutte quelle che io posso offrire     Perché chi al mattino deve cercare dentro di sé la forza di alzarsi, un dono bambino è una piccola spinta che fa leva sul cuore     Perché io invecchio e non sarò sempre al suo fianco, ma nei gesti d’amore compiuti non svanirò mai     Perché in questa casa fatiscente che avrebbe bisogno di una mano di vernice, un corridoio pieno di sacchetti di pane è un paesaggio dell’anima     Perché so che a volte l’amore degli altri non lo sentiamo se non abbiamo un velo di malinconia dentro e i piccoli gesti ce lo fanno più facilmente scorgere     Perché la bellezza del dare mi ripaga di ciò che non ho ricevuto Quanti gesti di umiltà, dettati dall’amore, si intrecciano in queste tre pagine: una di un padre, docente, uomo che fa i conti con il tempo che gli rimane per donarsi agli altri; una di un figlio alla ricerca delle parole per ritrovare quelle del padre perduto alla fisicità ma immensamente vivo nel cuore; una di una madre che si dona con tanti piccoli grandi doni alla sua figliola, a cui offre oblativamente l’amore mai ricevuto. A ben guardare tra le righe c’è in ognuna anche l’idea del cambiamento, di una trasformazione. E cambiamento è la seconda parola che avrei dovuto riempire di testimonianze poetiche nel nostro percorso verso la felicità. Ce ne faremo dono la prossima volta. A presto.          

 

   

 

 

 

 

domenica 7 novembre 2021

Domenica 7 novembre 2021: L'AMORE CONDIVISO...

L’amore condiviso…  È a questo amore che voglio dare spazio e tempo oggi. Ci sono bellissime poesie d’amore a due voci che oggi desidero evidenziare. Come se l’amore si raddoppiasse e si potenziasse. Si fortificasse. Tanto da resistere ad ogni ostacolo, ad ogni pensiero altro, ad ogni separazione subìta. E comincio da Primo Leone e Angela De Leo. Il sogno che si rinnova: “per oro e per sempre”.

Un libro. Un nuovo libro per una nuova collana della SECOP edizioni. Una nuova collana di poesie, “Paralleli poetici”, che vedrà, insolitamente, di volta in volta, due autori raccontarsi a vicenda. Con la struttura bifronte che scoprirete più giù. Storie, ricordi, progetti, parole come richiami, come echi d'indaco a colorare di sacralità il respiro poetico, in un incontro/confronto, che li contiene tutti nel bacio di pagine che, solo dischiudendosi come ali di farfalla, rivelano il loro contenuto e il loro splendore. (…) Un titolo che racchiude il mistero del non detto e si fa messaggio dell'istante puro proiettato verso l'eternità. Il libro, il primo, che tiene a battesimo la collana, è dedicato a me e a mio marito, Primo Leone, nel giorno in cui la nostra storia d'amore conta gli anni dell'oro che non conosce tramonti... Uno scrigno di versi che s'intrecciano e volano nell'abbraccio condiviso di parole, che cantano nelle pagine a specchio di due autori, amanti, ferocemente innamorati o ferocemente sconfitti, ma mai arresi. Un uomo e una donna, che vibrano in sintonia in un richiamo di note senza fine. Ecco il sogno che si rinnova e si avvera. (…)

Capricorno selvaggio                                                                  Capricorno selvaggio

…e della mia terra tu                                                                    Capricorno Selvaggio

capricorno selvaggio                                                            Sono nato prima di nascere

amasti l’ulivo la vite il fico selvatico                                               Assurdo capricorno

E la rosa…                                                                           Di uno zodiaco senza cielo;

Nella mia terra piantasti                                                                        inseguivo tropici

radici                                                                                            con sangue di ghiaccio

celebrasti la casa l’amore                                                         lungo i confini del vento

portasti il vento dei tuoi mari                                                    che cerca la sua ragione

e bucasti le stelle a primavera                                                           accusando le foglie

t’incatenasti ai sentieri fioriti                                                       di bruciare l’autunno.

del mio cuore in cui fissasti

vessilli di libertà e chiodi di solitudine.

       Angela De Leo                                                                                   Primo Leone

Ed ecco Carla Baroni e Pasquale Balestriere che un po’ di mesi fa mi inviarono in dono un libro di poesie in italiano e spagnolo dal titolo in doppia lingua: Y A TI RESPONDO - CANTOS (CASI) AMEBEOS e A TE RISPONDO - CANTI (QUASI) AMEBEI (BENILDE EDICIONES, Sevilla- Espana 2021). Si tratta, come è facile intuire, di due persone innamorate e lontane che comunicano attraverso la poesia. Da questa mia descrizione potrebbe sembrare una storia piuttosto banale e scontata tra due poeti (ci sono molti precedenti al riguardo), ma non lo è affatto perché è una storia d’amore molto particolare e avvincente, con una struttura stilistica anaforica decisamente suggestiva nella interazione poetica a due voci, che hanno registri diversi ma consonanti, e contenuti di grande impatto emotivo tra miti del passato e divergenze convergenti del cuore nel presente, come vado a dimostrare. Pasquale: E giaccio qui sul cuore di penelope/ alla tardiva fiaccola che brucia/ l’ultimo buio della notte. Stanca/ è però quella donna della tela./ La trama della vita anch’io ripongo/ e ancora il tempo misuro tra luna/ e luna, nel ricordo di violenti/ schiaffi d’onda sul ben contesto guscio/ che sbanda e salta e affonda con sussulti/ di cuori e tenui speranze di approdi./ Ah, pianure di Troia, dove in neri/ grumi s’estinse tanto chiaro sangue,/ dove i migliori compagni lasciarono/ la vita, sciolte membra, per via/ maestra! Torti e canuti sentieri/ a me il fato prescrisse, senza gloria.// Ogni viaggio è compiuto. Sei venuto/ a capo d’ogni rotta, i tanti sfagli/ di cuore dominati dai ricordi./ Le stelle non ammiccano, silenti.// Altre storie ci sono di Navigli/ dalla terra domati e dai bardotti,/ vènule di città, invasi un tempo/da grida di fatica, ora dismessi,/ d’alzaie spenti e vedovi. Neppure/ in quelli c’è più respiro di vento.// È tempo di acquietarsi nella sera.     Carla: È tempo di acquietarsi nella sera/ quando la luna t’inargenta il dorso/ delle mani congiunte alla preghiera.// Non fui Penelope, non ebbi Proci intorno/ ed un Ulisse a me non si abbandona./ Ma ugualmente rifeci la mia tela/ più e più volte, Aracne disperata/ cui l’invidia infieriva sulla trama/ o sull’ordito a incidere ferite/ sulla stoffa debole, un ricamo/ di mille punti, l’aspo rantolava/ su e giù, su e giù con rumore sordo.// La linfa sale, s’inceppa, ridiscende/ crea nuove vie allo scorrere nel tronco/ come i navigli della tua memoria,/ strade di un tempo che ora non c’è più./ Però ancor sale, lacrima, fluisce/ dalla ferita nuova e non si placa/ al buio che già incombe, spera sempre/ che l’ultima sua foglia flauto sia/ ad un pastore errante che ne  tragga/ antica melodia. non importa se un Miserere o un Laudemus canto/ da perdersi nel cielo in firmamento./ Ed è questa mia luna, luna nuova/ che argento non sa piangere alle mani.   Pasquale: Che argento non sa piangere alle mani… Versi da leggere e rileggere per profondità di contenuto e veridicità di sentimenti. Io ne rimango estasiata. E a fronte c’è la versione spagnola, tradotta da Pasquale Balestriere, la voce maschile di questo meraviglioso poema d’amore. Meravigliose anche le reminiscenze classiche, che spaziano dall’antica Grecia al Canto notturno di Giacomo Leopardi. E tutto si fa prezioso firmamento che s’illumina di luna e incanta i cuori.

Poi qualcosa di altrettanto insolito e prezioso: si tratta di una originalissima bomboniera di nozze, che risale ormai a tanti anni fa, di due miei carissimi amici poeti: Donato e Loredana, entrambi anche scrittori affermati e noti a chi ama leggere con appassionato ardore di realtà e sogni lontani. Donato: Scriverò una poesia per te./ Occhi d Luna,/ e la darò a cantare/ a chiunque abbia voce     Loredana: E ancora il tuo nome,/ talvolta in glissando/ su ali di falco/ che plana lontano     Donato: “TU SARAI PER ME”: Tu sarai per me/ il ricordo di un autunno,/ di uno sguardo maledetto,/ per me sarai carezza/ che non chiede misura/ e pensiero segreto/ dolce come un peccato; “ERO ACROBATA”: Ero acrobata che perde la presa/ violinista dalle dita intirizzite// i miei sogni erano/ sempre e soltanto sogni.// Ero fuoco di legna umida/ molto fumo, poco calore.// Poi t’ho incontrata./ E adesso sono un sole.     Loredana: “SE DI ME T’IMPREGNI”: Non temere/ se di me t’impregni/ nelle sere ‘agosto/ bisbigliate alla pianura,/ non temere/ se ti tiene sveglio/ la voce del mio pioppo/ che chiacchiera col gufo./ Se l’ombra catturata/ e rinchiusa nel baule/ evade e ti spegne,/ non temere./ Per te/ io me ne andrò/ su tutti i ponti/ delle mie magiche notti/e se mai temerai/ l’inquieto incanto/ del mio paradiso,/ il vento mio/ saprà di miele,/ e di case,/ e di abeti./ Vestirà il sogno/ della tua estate,/ il vento mio.     Donato: “STRANO”: Strano sogno ad occhi aperti/ tu che danzi guardandomi fisso/ e inarchi il tuo corpo che luccica/ mentr’io nuoto/ scavando una spirale/ nella mia realtà per raggiungerti.// Strano sogno/ in questa notte/ che non finisce mai/ che stenta ad arrossire/ di pudore/ per i mille pensieri/ che ti portano tra le mie mani.// Strano davvero/ questa illogica certezza/ che seduce il mio futuro/ che gli sussurra con fare ruffiano/ lei c’è… lei c’è… lei c’è…/ mentre l’angoscia m’impedisce/ di chiudere gli occhi/ nel terrore/ che sia soltanto un sogno.// Poi, l’alba che solleva/ la sua gonna sdrucita/ e che corre inarrestabile/ sulle sue tornite gambe/ e mi sorprende/ a fissare il soffitto/ in cerca del mio sogno/ che sogno non è.     Loredana “IO CHE SONO DI LUNA”: Non chiedermi ancora/ di cosa vivrò./ Lo sai, vivrò di suoni/ racchiusi tra le dita/ o delle tue parole/ che invoco da millenni./ Forse vivrò di attese/ nel silenzio della sera/ o soli di muti,/ inspiegabili languori./ Vivrò immersa dolcemente/ nei tuoi istanti rubati,/ nei brividi indiscreti/ delle tue carezze./ Vivrò del desiderio/ che ci avvampa e ci strabilia,/ di noi fanciulli ignari/ che giochiamo con il tempo./ Lo sai, vivrò di te,/ del tepore del tuo sguardo,/ vestendomi ogni giorno/ col velluto della tua voce,/ e tu che mi conosci/ sai che vivrò di poco,/ sai che non chiedo nulla,/ io che sono di luna. Naturalmente sono appena le prime poesie di una breve ma intrigante raccolta, racchiusa in una confezione simpatica e maneggevole, come un mazzo di chiavi…      

E tra non molto la SECOP edizioni pubblicherà, nella collana “paralleli poetici, le audaci ed elegantemente erotiche poesie d’amore di Luciana De Palma in risposta a quelle più pacate e tenere di Federico Lotito, suo amatissimo sposo. Io desidero anticiparvi quattro splendide poesie, tra le tantissime che entrambi hanno pubblicato su FB, con assoluta reciproca dedizione.  E parto da Federico: decisi di te nell’istante in cui/ posai la mano sulla bocca stupita./ decisi di te perché non avevo/ deciso ancora di me e delle mie/ paure./ deciso io a decidere te,/ abbandonai la certezza/ di non voler decidere mai.     Luciana: Immagina/ D’aver vicino/ Quello che più di tutto/ Ti sembrava lontano/ Immagina un odore uno sguardo/ Una voce una mano/ Immagina d’aver sognato/ Pregato sperato desiderato/ Immagina d’aver creduto/ Che tutto questo potesse ancora/ Essere vero// Immagina/ Di non aver mai reciso/ Profondamente/ L’idea di una vita/ Che fosse vita finalmente/ Immagina di non dover neppure/ Voltare lo sguardo/ E sentire/ Sentire accanto/ L’eco della felicità/ Come quella di un vecchio canto     E ancora Luciana “Al mio Federico”: Prendemmo esempio/ Dal silenzio/ E fingendo di non aver parole/ D’amore/ Dilatammo lo spazio e il tempo/ Restando l’uno/ Negli occhi dell’altra/ Finché piacque all’universo/ Tenerci così/ Come giovani stelle/ Votate all’eternità     E Federico di rimando “Buon compleanno Amore mio!”: Il giuro! aspetterò che tu compia/ sessant’anni/ e con te mi fermerò a cullare/ i giorni che uno dopo l’altro/ avranno riempito la mia vita./ Io giuro ce la farò, non ho più fretta/ d’andare,/ sai! tu e il tuo sorriso,/ i tuoi occhi luccicanti,/ il tuo trucco mattutino/ davanti a mattonelle di specchi/ mi hanno ridato l’eternità./ Io giuro! ti darò forza ancora finché/ un solo soffio di vento mi/ scompiglierà/ i pochi capelli rimasti,/ finché il freddo non annacquerà/ gli occhi di commozione.

E anche per oggi chiudo qui. Domenica è giorno di riposo del corpo e della mente. Ma io parlo col cuore al cuore, dunque spero di non affaticare nessuno. Alla prossima, insieme come sempre.

mercoledì 3 novembre 2021

Mercoledì 3 novembre 2021: L'AMORE CHE NON MUORE...

E così abbiamo vissuto questi giorni di passaggio tra ottobre e novembre prendendoci una salutare pausa per sentirci meglio con noi stessi e con gli altri, per santificare due giorni molto importanti: Ognissanti e la Commemorazione dei Defunti. Detto così tutto diventa distaccato e lontano, come un racconto che non ci appartiene e che noi abbiamo ascoltato per caso e che magari ci piace riportare così, tanto per raccontarci qualcosa. In realtà, sappiamo che sono due giorni che ci mettono in contatto profondamente col nostro nome, che ha molteplici risonanza affettive, sociali, spirituali, e in contatto con i nostri cari perduti alla fisicità ma non al richiamo del cuore. Certo non serve un   giorno né un luogo per riportarli alla memoria, la loro presenza è talmente annidata nel nostro cuore che non abbiamo bisogno di altro per sentirci in comunione quotidianamente e ovunque con i nostri cari che vivono con noi, in noi. Ancora una volta è l’AMORE che crea legami indissolubili anche dopo la morte. E oggi vorrei solo innalzare canti di gratitudine a tutti i nostri cari che vivono in eterno nella LUCE che non conosce tramonto: Gemme di petali bianchi/ quasi bianca brina al tepore/ di un tramonto, che si spegne/in un presagio di bui pensieri,/ segnano di rinascita il ramo spoglio,/ contorto di lunghi anni,/ a cancellare la tristezza/ dell'inverno che verrà. Piove./ Un pianto di foglie avvolge/ la casa che scopre lacrime/mai più piante dietro i vetri./ In un abbraccio di cuori/ a farmi sentire viva e amata./Cercano calore due teneri pettirossi/ innamorati/ (mi strazia ancora la leggenda/ del petto trafitto di spine),/ due scriccioli infreddoliti,/ la gazza ladra solitaria e fiera,/ il gatto nero con occhi d'erba/ e briciole di sole./ Mi separano i vetri dalla furia/ del vento che turbina di pioggia./ Hanno schegge taglienti/ di ricordi a ferire il cuore/ che più non ha riparo/ stanco di lottare col quotidiano/ dolore del mondo alla deriva./ Ma sorridono rose nel giardino/ prima che il buio vinca la sera./ E voi mi venite incontro/ come allora quando le parole/ sostituivano carezze e silenzi/ e si facevano richiamo d'amore. Voci/ di fiabe, preghiere e lumini/ accesi oggi dimenticati...Voci/ a ricordarmi parole antiche/ e nuove e mai poche mai tante:/ siete con me. In me. Ci siete./ (accorrete come sempre lievi/ con passi e braccia e mani/ a soccorrermi di anno in anno/ più numerosi e vicini. Più vicini/ai miei anni/ prima che mi sorprenda muta/ di carezze e fiaccole accese/   la notte   / chiusa nel palmo della mano/   ad un passo dal Cielo) 2 novembre 2021 (Angela De Leo)Alcuni commenti per riflettere: Le Voci non preludono al buio di una notte incipiente; piuttosto rassicurano in merito ad una ulteriore realtà fatta di Luce e di Calore. Diversamente, navigheremmo nel più atroce e disperato dei silenzi. (Cosimo Lerario). Il male di vivere non vincerà nei tuoi versi… le rose nel tuo giardino continueranno a fiorire tutto l’anno… (Tanino Coviello). Molto gratificanti, ma personali, gli altri commenti che ometto. Mariateresa Bari, invece, ha postato stamattina, in contemporanea, una poesia che parla di petali… ed è già empatica sintonia. Titolo “Petali di sole”: I sorrisi/ bandiere sui sentieri del tempo/ seta frusciantefruscio di setaa sera bisbigliano carezze/ La terra/ approdo inafferrabile agli occhi/ di solinghe barche/ anime ignorate/ s'intiepidisce allo sguardo/ Fendono i sorrisi/ lampi di luce/ la foschia dei miei giorni/ e ne mutano i contorniNon più/ strilli di sangue nelle iridi/ ma petali di sole tra le dita   L'assenza di chi amiamo si fa presenza in quei sorrisi. Essi sono pane quotidiano. Sinceramente GRAZIE (Mariateresa). Poi,“I NOSTRI MORTI” di Alberto Tarantini: Sai, i nostri morti quando muoiono/ passeggiano per un po' nei posti che sapevano/ con il passo pesante che hanno i vivi;/ rassettano la casa, curano il giardino/ e serbano una scorta di parole/ e smorfie in viso da esibire quando è sera./ Insomma rivendicano spazi e tempi/ che li videro impegnati/ nella vicenda che, ahimè, s'inceppa./ Stordite ombre, stentano a staccarsi/ dalle sane abitudini del mondo./ Poi per pudore li chiudiamo/ nei pietosi nascondigli/ perché il dolore è grande/ e fa bene non vederlo./ Di là usciranno un giorno/ come farfalle pronte al volo e,/ col passo leggero che è tutto loro,/ stavolta per sempre/ ci danzeranno dintorno. Alberto Tarantini (da 70 Farneticazioni, edite e non). Non avvicinarti alla mia tomba piangendo./ Non ci sono./ Non dormo lì./ Io sono come mille venti che soffiano./ Io sono come un diamante nella neve, splendente. Io sono la luce del sole sul grano dorato./ Io sono la pioggia gentile attesa in autunno./ Quando ti svegli la mattina tranquilla, sono il canto di uno stormo di uccelli./ Io sono anche le stelle che brillano, mentre la notte cade sulla tua finestra./ Perciò non avvicinarti alla mia tomba piangendo./ Non ci sono./ Io non sono morto… (Canto Navajo). Non mi chiedo/dove siete perché/ vi sento/ nel bisbiglio del vento/ nel raggio carezza/ nell’abbraccio dell’acqua/ Ma sono foglia d’autunno/ che trema/ alla nuda terra ai miei amati (Maria Pia Latorre). – a mamma – commemorazione dei defunti// staccare un soffione/ tra i vivi/ che masticano muri/ gridano alfabeti rovesciati// e io/ lascio l’aria di quel giorno/ cresciuto nel buio/ di quel tuo alzarti/ come cade la pioggia// via la coperta/ il cucchiaio usato per mangiare/ il lenzuolo/ che ora occupa un’altra terra// insopportabile/ guarire le gengive rotte/ a piedi nudi/ sentire il freddo che non basta// asciugami gli occhi/ in ogni luogo. (Mattia Cattaneo). “A mio padre”: Sarebbe facile non amarti/ se solo tu fossi andato/ nei suoni addentrando l’amore/ ai miti silenzi del cielo./ In tutte le stelle stasera c’è una tristezza sfocata/ e un limpido calore che preme dall’alto/le tempie mancate dalla luce./ sarebbe serio parlare/ di morti stasera/ e per sempre amarti tra loro. (Giovanni Sepe). Per morire ho tempo/ Ora voglio guardare il sole/ Prendermi cura/ delle sue poche parole/ Ora voglio/ annusare l'aria/ Prendermi cura del futuro degli alberi/ Ora voglio/ sapere dell'acqua ai fiori/ Sapere se i girasoli potranno fiorire ancora/ Per ora non voglio sapere/ del paradiso/ Se gli angeli dormono supini o se hanno braccia levate in cima ai tronchi accesi dai raggi del sole/ Se le lettere che scrivo arrivano a destinazione o se restano immobili sullo scrittoio di rovere/ sbiancato dalla luna nuova/   Se l'universo è infinito quanto il pensiero o se lo sia il pensiero di più/ Se sia il pensiero a sconfinare nella morte e renderla viva/ Come la vite rifiorita/ Più dell'uva trasformata in meraviglia/ Per morire ho tempo/ Ora voglio essere acqua/ Come acqua ai fiori (Angela Strippoli). Ancora una poesia di Francesca Petrucci intitolata “NOVEMBRE. IL DUE”: Senza pelle il cuore/ Sotto questo cielo/ Immoto/ Sosta l'inganno./ Vita che non s'arresta./ Agonie di parole/ Avanzano ignare./ Cercano un senso./ Lungo sentieri impervi./ Rimango/ Nel buio che non cede/ A calpestare sogni/ Incerti di primavere. Anche di Lizia De Leo una poesia intitolata “Due novembre 2021”: Fiori gialli e bianchiin un portafiori/ di freddo marmo/ davanti alla tua lapide./ Un amico parla con te/ come se non te ne fossi/ mai andato./ E invece mi si strugge il cuore/ se penso a te/ raggelato nella morte. Ma non posso concludere con le poesie scritte per i nostri Defunti senza includere la splendida poesia di Giovanni Gastel, scritta solo qualche mese prima del suo volo tra le stelle: Spariscono nel buio/ come stelle cadenti/ le persone che hanno illuminato/ il mio cammino./ Mentori/ amici/ maestri/ amori./ E io guardo il mio cielo/ sempre più nero/ sempre più vuoto./  Quasi tutto questo accadesse/ per qualche mia inconfessabile colpa./ E stringo il mio cuore/ scaldandolo col ricordo/ dell'amore dato/ ricevuto. (Milano 10 dicembre 2020)   

E una prosa di David La Mantia: Sì. Domani si ricordano i morti. E se io non volessi ricordarli? Si ricorda chi non c'è più, chi ci ha lasciato per sempre. Ed invece tanti di loro sono con me, nei miei gesti, nelle ansie, nelle rughe delle mani, anche nel fiatone che mi accompagna sulle scale. Sono con me e spesso di fronte ad una notizia mi verrebbe voglia di telefonargli, di dirgli che roba è successa, che cosa dobbiamo fare adesso. Ecco, le loro risposte le conosco. Faccio più fatica a trovare le mie, le nostre, in questo tempo, oggi. Di Elina Miticocchio: Ho lavorato tanto, rincorso pratiche e atteso visite mediche ed ora sono qui a dirti grazie per l'amore che ci ha unito e le risate e le lunghe chiacchierate. Ci somigliamo tanto, nei modi, nella gentilezza. Non sapremmo mai fare del male ad alcuno poiché sappiamo perdonare. Ti scrivo e ti parlo spesso padre e tu mi proteggi. Ne ho le prove. Sei sempre con me. Accompagni i miei passi. E di Assunta Braì: Non sarà una data sul calendario a farmi pensare a voi. Siete nel mio cuore ed in tutta me stessa in ogni attimo di tempo. Conservo gelosamente l'esempio del vostro amore durato una vita intera, l'eredità più preziosa che ci avete trasmesso. Riposate vicini, uno accanto all'altra come sempre siete stati.

E anche per oggi basta così. Lasciamoci con questi canti/preghiere che non hanno bisogno di commento. Solo silenzio. Con i nostri cari, che ci hanno lasciato solo fisicamente, e con quanti sono al nostro fianco o anche lontani per esigenze di vita, ci parliamo col cuore. L’AMORE non ha bisogno di altro. A presto.