E ritorno da dove ero partita un bel po’ di settimane fa, da Simone Cristicchi “Alla ricerca della felicità” e dalle sue due prime parole, su cui riflettere per trovare e scoprire il bandolo della ingarbugliata matassa della nostra vita: “attenzione” e “lentezza”. E, oggi, mi sembra proprio il caso di ricordarle in quanto si festeggia San Martino, il santo del mantello diviso per donarlo a chi ne era sprovvisto. “La leggenda narra che un giorno d’autunno - molto probabilmente l’11 novembre - mentre usciva a cavallo da una delle porte della città di Amiens, in Francia, Martino s’imbatté in un uomo molto povero, nudo e infreddolito. In quel giorno, in cui era proprio il maltempo a farla da padrone, San Martino s’impietosì e decise di aiutare il povero. Senza pensarci due volte tagliò il suo mantello di lana per donargliene metà. Di fronte a quel nobile gesto, la pioggia dopo pochi istanti smise di cadere, il cielo si aprì e spuntò il sole, facendo diventare la temperatura subito più mite. Martino quella notte sognò Gesù che gli rivelò di essere lui il mendicante al quale aveva donato il mantello. Quindi leggenda vuole che, ogni anno, ci sia un’interruzione della morsa del freddo per commemorare quanto aveva fatto quell’11 novembre” (da <IL GIORNO> di tre giorni fa). Sta di fatto che Martino da Tours, di nobile famiglia, nato nel IV secolo dopo Cristo, da militare divenne vescovo di Tours e poi santo. Ma non è solo leggenda cristiana, e di tutte le religioni che festeggiano i santi, c’è anche una spiegazione scientifica, che sarebbe troppo lungo qui approfondire. A noi basta fare riferimento all’“attenzione” che sicuramente il santo ebbe nei riguardi del mendicante, e alla “lentezza” con cui andava a cavallo, altrimenti neppure si sarebbe accorto della presenza dell’uomo, “nudo e infreddolito”. Ma a queste due sue bellissime caratteristiche, possiamo benissimo aggiungere le altre due parole che Cristicchi ci suggerisce nel suo percorso, se non alla santità, sicuramente verso l’agognata felicità: “umiltà” e “cambiamento”. Altre due parole meravigliose che il nostro cantautore-attore-poeta “rapina” a Pier Paolo Pasolini e al suo film-documentario “Comizi d’amore” del 1963. Alla parola umiltà Cristicchi premette, come esergo, una riflessione del geniale scienziato Albert Einstein: Chiunque faccia scienza si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo, davanti a cui noi, con la nostra umana debolezza, non possiamo che essere umili. L’umiltà e, dunque, una dote necessaria all’uomo di fronte al mistero del Creato. Non se ne può fare a meno. Solo la nostra arroganza ci fa dimenticare questa necessità. C’è, a questo proposito, una poesia molto profonda di Giovanni Gastel: Questo giardino/ potrebbe essere solo/ un bosco di persone/ agitate e complicate dal vento./ Ma non cerco la differenza stasera/ voglio con me il dubbio di non essere diverso/ da questi fiori da queste piante./ Senza più sangue pulsante/ ma verde linfa che scivola dentro di me./ Torna immenso Pan/ a confermarmi che sono ancora parte del tutto/ come era un tempo/ prima della paura e dell’arroganza. Ed ecco una prosa che ritengo di profonda umiltà. È del nostro amico, professore, scrittore e poeta David la Mantìa: È quando senti che il tempo comincia a mancare che più chiare ti appaiono le cose. È allora che avere la possibilità di scegliere un’ultima volta diventa un privilegio, una fortuna enorme. Ecco, io so bene cosa devo fare ancora per il tempo che mi resta: aiutare animali in difficoltà, ascoltare i miei allievi, ascoltare tutti quelli che posso, raccontare storie, dormire dopo aver salutato gli affetti. Vorrei sottolineare l’umiltà dell’ascolto. Ascoltare significa fare spazio all’altro. Chi impara ad ascoltare si apre al tu e al noi, superando il proprio egocentrismo, solipsismo e narcisismo. Impara a conoscere sé stesso, conoscendo e riconoscendo l’altro. Con umiltà e discernimento.
“L’aprirsi
all’ascolto, dunque, equivale ad ammettere la propria finitezza, presuppone un
sapere di non sapere, un essere coscienti della perfettibilità delle proprie
conoscenze, è mettersi comunque in discussione, un riconoscere nell’altro una
persona che è portatrice di ragioni che non devono essere sottovalutate, ma
appunto valutate (…) offrirsi al dialogo e all’ascolto comporta la decisione di
correre dei rischi, comporta la messa in discussione delle proprie tesi e
l’eventuale loro revisione o il totale abbandono” (R. Arnheim). Mi piace molto,
al riguardo, anche il pensiero di Jean Lacroix: “Ogni attività umana autentica
è dialogo: dialogo con il mondo che è poesia, dialogo con gli altri che è
amore, dialogo con Dio che è preghiera…”. Platone afferma che bisogna tener
conto del dialogo dell’anima con sé stessa. “E l’anima non può dialogare con sé
stessa se non ha saputo accogliere l’altro, se l’altro non è già in essa. Nulla
di più raro oggi: il mondo moderno è pieno di individui monologanti che, senza
mai accogliere l’altro, si oppongono e si urtano” (sempre Lacroix).
Comunicazione,
esistenza e co-esistenza sono, dunque, concetti inseparabili che dovrebbero
trasformarsi in realtà perché si possa diventare migliori. E tu, caro David, sei
l’esempio più chiaro di attenzione agli altri, di dialogo con la tua anima (che
si espande nella ricerca di ogni altra creatura terrena), di umiltà (umiltà da “humus”:
“terra fertile”), e di poesia. E di umiltà si vestono le parole di Mario Sicolo,
mio grandissimo e sensibilissimo amico, in tutte le sue riflessioni in prosa
poetica che affida alla sua pagina di FB, col nickname di Apulo Scriba. Una lezione
di umiltà, quest’ultima pagina, che gli proviene dalla figura paterna, ricca di
“sapientia mentis et cordis”, a cui Mario si uncina per non perdere mai le vie
della rinascita e della salvezza anche in periodi bui come quelli che stiamo
attraversando: … è un papà. Ed è subito una
tempesta di ricordi che vibra nel cuore. La voce soave che contava favole sul
ciglio del letto e ti insegnava a sognare. Lo sguardo verdazzurro che
illuminava il sentiero dei giorni e tu non avevi più paura di nulla. Il sorriso
lieve che splendeva d’aurora, vincendo tutte le tenebre del mondo. L’amorevole
cura nel sollevare silenziosamente un lembo del lenzuolo per ripararti la
spalla dal freddo della vita. Le strambe crosticine che nascevano sulla pelle
senza un perché, come cicatrici di antichi dolori. E poi ti chiedono: perché leggi?
Per rannicchiarmi dentro la pelle dell’anima, quando si fa sera, e perdermi
dentro un labirinto di parole senza più sperare di ritrovarmi… Quanta
umiltà nei gesti quotidiani di amore e di tenerezza di un papà che non si risparmiava
mai, nell’arco dell’intero giorno, dall’alba alla notte, nel dialogo sempre
acceso con i suoi figli. Un dialogo spentosi troppo presto per non lasciare
dolore e rimpianto. Di qui il rannicchiarsi di Mario “dentro la pelle dell’anima”,
gesto tenerissimo di umiltà e di insostituibile amore, senza il quale, persino
nell’abito consueto alla lettura per rifugiarsi nelle parole, Mario non riesce
più “a ritrovarsi”. E che dire dell’umiltà di Roberta Lipparini, che è cara al
cuore di tutti noi per l’assoluta sincerità dei suoi meravigliosi versi. Qui si
tratta di incommensurabile amore materno nei riguardi della giovanissima figlia
per risarcirla di tutto il dolore vissuto negli anni insieme: Ha vent’anni ed io, di nascosto, le preparo
il calendario dell’avvento. 24 sacchettini marroni, quelli del pane, attaccati
al muro del corridoio con il nastro di carta. Sul sacchetto un numero,
disegnato grande con il pennarello. Dentro il sacchetto un piccolo pensiero. A vent’anni,
sì Perché un gesto di madre in 24
risvegli io lo pagherei oro Perché chi
ha avuto dalla vita tanti doni di dolore, merita minuscole ricompense, tutte
quelle che io posso offrire Perché chi
al mattino deve cercare dentro di sé la forza di alzarsi, un dono bambino è una
piccola spinta che fa leva sul cuore
Perché io invecchio e non sarò sempre al suo fianco, ma nei gesti d’amore
compiuti non svanirò mai Perché in
questa casa fatiscente che avrebbe bisogno di una mano di vernice, un corridoio
pieno di sacchetti di pane è un paesaggio dell’anima Perché so che a volte l’amore degli altri
non lo sentiamo se non abbiamo un velo di malinconia dentro e i piccoli gesti
ce lo fanno più facilmente scorgere Perché
la bellezza del dare mi ripaga di ciò che non ho ricevuto Quanti gesti di
umiltà, dettati dall’amore, si intrecciano in queste tre pagine: una di un
padre, docente, uomo che fa i conti con il tempo che gli rimane per donarsi
agli altri; una di un figlio alla ricerca delle parole per ritrovare quelle del
padre perduto alla fisicità ma immensamente vivo nel cuore; una di una madre
che si dona con tanti piccoli grandi doni alla sua figliola, a cui offre
oblativamente l’amore mai ricevuto. A ben guardare tra le righe c’è in ognuna
anche l’idea del cambiamento, di una trasformazione. E cambiamento è la seconda
parola che avrei dovuto riempire di testimonianze poetiche nel nostro percorso
verso la felicità. Ce ne faremo dono la prossima volta. A presto.
Carissima Angela, infinite le emozioni nel leggere queste righe. La tua materna attenzione commuove, così come commovente è la delicatezza con cui entri nelle nostre scritture. E di questo non ti saremo mai grati abbastanza.
RispondiEliminaStanotte hanno visto la luce pochi, semplici versi in dialogo con la prosa toccante e poeticamente ispirata di Mario.
Eccoli
Quelle cose che han nome Poesia//
Sospira di pace una lacrima/
in fuga dalla cruda /
delusione di ogni attimo tradito /
Trema una parola muta/
si fa brivido/
e accordo di ricordi/
Sono coltre di gigli e rose/
quelle cose /
che han nome Poesia/
Sottopelle /
quando si fa sera /
Mariateresa