giovedì 15 giugno 2023

Giovedì 15 giugno 2023: Il Marmo. Il Mito. Max Di Gioia e il suo Talento d'Artista...

E oggi mi va di parlare di Arte e del Talento che fa di un uomo un Artista… Di un libro.

MENTA, MARMO E MITO è un libro particolarissimo che si nutre immediatamente, già dal titolo, di una figura retorica ricorrente in chi vuole dare ritmo e forza e incisività al contenuto di un verso o di una frase: l’allitterazione che, a mio parere, in questo caso, ingloba anche Max, il nome del nostro Autore, perché è un tutt’uno con la sua opera e con sé stesso. Con il suo scalpello e martello, la sua audacia cadenzata e incrollabile, il suo talento puro che ha inciso il suo nome a caratteri cubitali sulle pietre antiche del suo antico paese. Ruvo di Puglia.

Erri De Luca nel suo Commento lo afferma con il suo inconfondibile stile:

Ora la statua del colosso è pronta. Lo scultore ha completato la sua traduzione di un’idea in forma conclusa..

Penso al blocco staccato da una cava, ai frammenti della lavorazione, agli anni necessari a martellare.

La loro somma non copre il risultato dell’opera maestra.

Essa appartiene alla creazione, prodigio che infervora l’artefice.

Ma c’è di più. Come opportunamente scrive Enrica Simonetti nella sua Prefazione:

In queste pagine c’è l’inizio e l’epilogo di una storia che andava raccontata, perché in questi tempi labili si rischia di perdere il senso delle cose. (…). Il tormento benefico della ricerca e della curiosità sono la scenografia naturale di questa vita d’artista che sembra avere nella creazione dei versi, degli scritti e delle emozioni il suo naturale sviluppo. Ma è soprattutto nel gigante che il sogno e l’inquietudine trovano uno sbocco sincero. In quel marmo c’è l’idea della perseveranza, l’attaccamento alla Storia e alle radici, il senso della sfida e della meta.

E, infine, la stessa tensione artistica, volta ad affermare la “sacralità” dell’opera d’arte nel “sacrificio” dell’artista, la troviamo nella imperdibile Introduzione di Alberto D’Atanasio, che fa risalire allo stesso etimo, appunto, “sacralità” e “sacrificio”, per riproporre l’unità artista-opera d’arte attraverso l’impegno disumano del primo nei riguardi della seconda. E tutto diventa “divino” e “immortale”.

Max Di Gioia trae dalle sue origini il senso antico della storia di Talos per riportarla intatta ai nostri giorni nel luogo incontaminato delle proprie radici: metafora e simbolo del perdersi in confini illimitati della Storia dell’umanità per ritrovarsi nella propria terra dove ogni colpo di martello e scalpello è sangue che zampilla e si fa preghiera del proprio tempo e del proprio spazio vitale. Non a caso, la sua storia comincia dalle “pietre” e dai suoi “genitori prematuri” che quelle pietre calpestarono per donarsi all’amore incontaminato degli ardori giovanili.

Ma quelle pietre hanno continuato ad essere presenti fino ai nostri giorni nelle parole, intrise di lavoro e di saggezza, del nonno, scampato alla guerra e a molti nemici, oltre la stessa guerra; nella fatica velata di polvere e sudore di suo padre capomastro, come tanti a Ruvo di Puglia, il suo magico paese che ha fatto della pietra una continua opera d’arte, tra ammirazione e paura. Non sempre, infatti, la pietra è docile alla mano, spesso si ribella e ferisce. Ma sempre vincono l’intelligenza umana, la forza, la perseveranza, la genialità.

Max, seguendo gli insegnamenti del mitico nonno, così scrive:

Così cominciai ad elaborare una mia teoria del segno, in forte contrasto con la carta: come accadeva in natura, anche io amavo i contrasti. Il disegno si faceva sincero, preciso nelle intenzioni, senza avere timore di sbagliare. La gomma per cancellare era bandita. Se si notava qualcosa di errato o di sproporzionato, il consiglio o il metodo per mettere a posto il disegno era quello di reinventare sul già fatto. A costo di cambiare totalmente l’idea iniziale. Rielaborare, fantasticare ancora, senza porsi limiti. Quindi, in qualsiasi tentativo proiettato al sacro fare non esiste errore ma scoperta, esperienza, coscienza.

Da quel momento comincia per Di Gioia la lenta ma continua ricerca della Bellezza in tutte le sue molteplici forme. Un percorso faticoso, snervante, testardo. E il talento esplode in tutto lo scintillio del divino nell’umano o viceversa. I conti tornano. Basta un enorme pezzo di marmo (tredici tonnellate di Massa Carrara all’origine) a rivendicare Arte e Bellezza nell’immensa vertigine che dalla terra s’innalza fino al cielo. Complice il Covid, primo e secondo round, colpo su colpo il marmo si sfalda, si arrende all’Artista, al suo “cannibalismo” feroce e voluttuoso, ai suoi scalpelli logorati e rimpiazzati dalla tenacia e dall’arte dell’arrangiarsi. Si librano su carta disegni, e nell’aria foglie di sfoglie di marmo amato e distrutto per essere ricomposto nel suo significato più caro al suo cuore d’Artista: un dono immortale alla sua terra che lui renderà immortale.

La nepitella selvatica segna l’odore di un capolavoro appena nato. È quanto avverte Cosimo Damiano Damato nel suo racconto-documento:

Nel suo Talos ritrovo l’uomo in fuga dal castello delle donne-pipistrello felliniane di Andrea Pazienza. Ritrovo la dignità e l’amore distratto delle lacrime della Reginella che cantava e piangeva l’amante (…). Di Gioia ha miracolato il marmo puro di Carrara in carne e seme bianco di vita.

Sono tutte parole, quelle da me riportate, che Mariella Medea Sivo, nella sua attenta, dettagliata e dotta Postfazione, compendia sapientemente con:

In seguito, ho avuto modo di incontrare personalmente Massimiliano, un prodigio della natura, capace di produrre arte e metterla a disposizione di tutti, riconsegnando alla sua comunità uno spazio, un tempo e un luogo nella storia. Uno di quegli uomini osservando i quali recuperi l’orgoglio di appartenenza al genere umano.

Come non essere d’accordo? Mi preme soltanto concludere, osservando il frutto della creatività del nostro Graphic Designer Editoriale, Nicola Piacente, che ha marmorizzato ogni pagina, creando nuove suggestioni per questo capolavoro, che certamente lascerà TRACCE indelebili nella storia di Ruvo facendosi Storia dell’intera umanità passata, presente, futura.

       È il Mito che riprende le ali e vola dove è possibile incontrare l’Infinito…

E stasera questo capolavoro sarà presentato nella Sala conferenze di Palazzo Caputi, a Ruvo di Puglia alle ore 19. Ci saranno ottimi relatori: Enrica Simonetti, Cosimo Damiano Damato, Mariella Medea Sivo, coordinati da Raffaella Leone, Pr. della SECOP                                                    edizioni. Un appuntamento imperdibile per chi è di Ruvo o paesi viciniori.

Mi piace concludere con alcuni versi di Max Di Gioia intitolati “SILENZIO ROTTO”:

Di tatto,

di mano e di scalpello.

Nuvole, polvere.

Come vetta appari.

Divino, ti tocco

 Alla prossima per essere ancora insieme. Angela   

  

lunedì 12 giugno 2023

Lunedì 12 giugno 2023: voglia di un'estate che tarda a raggiungerci...

È vero. Ci sono tanti argomenti più importanti di cui parlare ora che abbiamo messo a tacere quanto mi stava a cuore raccontare. Ci sono accadimenti significativi e belli (pochissimi) su cui focalizzare la nostra attenzione (i compleanni, gli onomastici, i matrimoni, gli anniversari, la nascita di un bambino - ma perché nascono ancora i bambini? In questo mondo che naviga ormai a rovescio e fa sempre più paura? - gli auguri, i sorrisi, le icone con cuoricini e battimani) e accadimenti devastanti che ci colpiscono al cuore, mettono in discussione la nostra umanità, ci fanno sentire indegni di abitare questo nostro Pianeta che di azzurro ha soltanto una bella fiaba che le foto degli astronauti, dal 1961 (quando Jurij Gagarin, il primo astronauta russo lanciato nello spazio, lo identificò tra miliardi di stelle e così lo definì) di tanto in tanto ci propinano, per lasciarci uno scampolo di azzurrità in un mondo che si va facendo sempre più nero.

Evito di parlarne perché temo le strumentalizzazioni dei punti di vista personali sui social che accendono reazioni a catena, spesso molto violente e faziose, che niente hanno a che fare con il confronto e il dibattito dialettico. Quasi sempre, anche se raramente, azzardo a dire la mia “a posteriori”, per non trinciare giudizi affrettati, che sanno di “pregiudizi” senza prendere atto delle varie possibilità dei torti e delle ragioni, dei come e dei perché, e così via.

Ecco allora non mi resta che pensare a qualcosa di più frivolo, se vogliamo, che a volte frivolo non è: argomento estate e relative vacanze. Mare? Montagna? Collina? Lago? Campagna? Viaggio? Come, dove, quando? Occorre pensarci per tempo per non trovarsi spiazzati e stanchi già prima di partire. Io amo il mare a prescindere. E amo viaggiare. Cioè, amavo viaggiare. Ora ci penso mille volte “a causa di forza maggiore”. Io pure pure azzarderei, ma subentra la giusta riflessione su quanto lavoro in più debbano fare i miei cari per portarmi di qua e di là con la carrozzella. Loro protestano. Io mi rimetto nelle loro mani-braccia-gambe e al loro buon cuore. E quasi sempre troviamo un compromesso. La meta principale è il mare del Salento, dove avevo in passato alcune multiproprietà, quasi tutte vendute nel corso degli anni per le mutate esigenze della famiglia, oppure date in proprietà ai figli. Quasi sempre ci dividiamo i periodi perché io possa usufruire più a lungo delle vacanze e godere più a lungo del mare.

L’anno scorso mi capitò un’avventura che ha del prodigioso e voglio raccontarvela.

Soggiornai in una multiproprietà del Salento dapprima con i miei di casa per quindici bellissimi giorni e poi mi raggiunsero le figlie che vivono a Roma senza Giuliano, impegnato nella sua Radio Rock anche nei mesi estivi. Ebbene, tutti si presero cura di me con infinito amore, ma ebbi purtroppo un brutto impatto con la gestora del Resort per via del contratto in scadenza: avrei dovuto rinnovarlo, ma non lo avevo ritenuto opportuno date le mie condizioni fisiche. Questo comportò un difficile rapporto con la suddetta negli ultimi giorni di permanenza. Un giorno più infelice di quelli precedenti, le mie ragazze, per farmi distrarre e mettere al bando la malinconia, mi portarono al mare di Sant’Isidoro. Qui dall’alto di una collinetta potevo vedere la distesa azzurra che tanto amo. E se ne andarono in perlustrazione per scoprire qualche caletta di facile accesso con la sedia a rotelle. Ero chiusa nei miei tristi pensieri quando le due perlustratrici mi raggiunsero con una persona che disse di chiamarsi Angelo. In men che non si dica, prese il mio velocipede e mi portò giù in riva al mare, dove altri angeli in carrozzella (e non) si presero cura di me con mille sorrisi e tanto calore umano. Mi trovavo tra i “Portatori Sani di Sorrisi”, un’Associazione, senza scopo di lucro, gestita da Sabrina Rizzo con Angelo Caputo (il mio Angelo) e altri “addetti ai lavori” che fanno volontariato h. 24 con un impegno, una cura, una passione davvero encomiabili. E senza chiedere un solo euro a quanti beneficiano di una struttura altamente attrezzata e qualficata per ogni tipo di disabilità. Le molteplici attrezzature erano a disposizione anche delle famiglie. Gratuitamente.

Piansi calde lacrime quel giorno. Di gioia, gratitudine, riconoscenza per il miracolo che mi stava riconciliando con gli esseri umani e con la vita. E il giorno dopo feci il bagno con Sabrina, Angelo, Lorenzo, Leo. Felicità. Dopo parecchi anni di desiderio di mare senza mai più incontrarlo a pelo d’acqua. Una ri-nascita.

Gli angeli esistono. I miracoli pure. E quest’anno spero di tornare tra le loro ali che sanno d’azzurro, come il loro grande cuore…

E anche oggi vorrei concludere con tre poesie che riguardano il mare, naturalmente, da dedicare a tutti i “Portatori Sani di Sorrisi”. A tutti voi che mi leggete. E sorrido anchio perché siamo insieme e ci vestiamo d’azzurro. Grazieeee.  Angela/Lina

 

Quando andrai al mare

 

non dimenticare i miei occhi

a riempire panieri di onde

fiorite di lapislazzuli e stelle marine

per gl’inverni che verranno.

L’abbraccio di sale sulla pelle di sole.

Il tempo che rimane

e quello che sogni di conchiglie

ed echi di mare ha trascinato

con la sua rete di frodo.

La nenia delle barche il rombo dei motori.

Le mani a nido sul volto levigato

 e gambe a falce tra spruzzi di panna

a navigare allegria.

Oggi abisso di rimpianto è il mare

di piedi nudi disuguali e una scia

d’azzurro senza più la libertà di osare

eppure gli occhi sono ancora

approdi d’oceani alla sconfitta dei giorni

su passi dimentichi della riva

(faro e conchiglia per rinascere schiuma)

 

Nutrimi di mare

 

Portami nel secchiello ancora il mare

perché possa sentirne la carezza l’odore.

Raccogli per me bianche conchiglie

addormentate nella sabbia dorata,

sognanti fanciulle in attesa di un castello

e del principe azzurro e il primo bacio.

Nutrimi di mare.

Dissetami di onde e di alte maree

(da qualche parte ha pensieri di perle

e conchiglie di canto notturno la luna)

Se oggi sogno un porto sicuro,

non dirmi che sono stanca di navigare.

Nel guscio di noce che mi finsi barchetta,

bianca vela di carta leggera incollai,

per non andare lontano in cerca

di facili approdi al riparo di un faro.

Persa nei miei sogni di bambina

che attraversava tutti gli oceani

ad un passo dalla riva.

C’è stato un tempo che il mare

era suono di chitarre, nenie di sirene

 e verdi vele corsare

a osare avventure di lacca e bandiere.

O delle rinate stelle ad ogni buio.

Cielo incantato dalla mia risata:

tintinnio di mille forzieri e un solo soldino

per tentare a testa o croce la sorte,

tra fondali di corallo e una sfida di baci…

E la riva guardata da lontano

e il puntino nero l’ansia di mia madre

all’orizzonte rovesciato di ombrelloni

a spicchi di sole su giochi bambini

con fiabe colorate da ascoltare.

Oggi più non m’appartiene il mare,

ma sussulto d’acque e d’antichi richiami

è il nastro azzurro oltre i campi e le case,

che i miei occhi a festa cinge con sventolio

di mani nei giorni vestiti di silenzio

sulla terrazza assolata della mia casa

(sì, è ancora lì a sorridermi il mare…)

 

Voglio tornare al mare

 

Richiamo d’azzurro in questa tregua

di giorni di pioggia e di vento

presenti alla collina.

M’invita il mare ad ogni squarcio

di nubi radenti e una briciola di sole.

Portami dove la sabbia è d’oro fino

dove mi viene incontro

il tuo cuore bambino

che sogna sulla battigia l’antico

castello della festa

e un volo d’aquiloni a ridere di cielo.

Tra il frinire di cicale e siepi di ligustro

ai miei fragili sogni offri riparo

(e una vela bianca a portarmi

                       dove finisce il giorno).

venerdì 9 giugno 2023

Venerdì 9 giugno 2023: San Primo e le PAROLE che chiudono il cerchio…

Oggi è San Primo. Un santo poco conosciuto, anche perché Primo è un nome insolito, piuttosto raro oggi. Non così nelle famiglie patriarcali di un tempo, quando al primogenito spesso si dava il nome Primo appunto, al secondogenito, Secondo, Terzo, Quarto ecc. Personalmente, ricordo Don Primo Mazzolari, un educatore partigiano che ero solita abbinare a Don Lorenzo Milani, che il 26 giugno di 55 anni fa ci lasciò con sgomento perché difficilmente avremmo avuto un educatore come lui. Primo Carnera, il famoso pugile, campione mondiale. Primo Levi, l’infelice e sfortunato scrittore di Se questo è un uomo, un romanzo di forte denuncia sociale e umana sui campi di sterminio nazisti, in cui Levi visse la sua straziante deportazione. Fu tra i venti sopravvissuti dei 650 ebrei italiani che viaggiarono con lui verso la Polonia. Mi piace riportare qui le PAROLE della poesia “SHEMA’” (parola ebraica che significa “ascolta” in apertura del libro, quasi una invocazione ai lettori, per non dimenticare: Voi che vivete sicuri/ Nelle vostre tiepide case/ Voi che trovate tornando a sera/ Il cibo caldo e visi amici:/ Considerate se questo è un uomo,/ Che lavora nel fango/ Che non conosce pace/ Che lotta per mezzo pane/ Che muore per un sì o per un no./ Considerate se questa è una donna,/ Senza capelli e senza nome/ Senza più forza di ricordare/ Vuoti gli occhi e freddo il grembo/ Come una rana d’inverno./ Meditate che questo è stato:/ Vi comando queste parole./ Scolpitele nel vostro cuore/ Stando in casa andando per via,/ Coricandovi alzandovi:/ Ripetetele ai vostri figli./ O vi si sfascia la casa,/ La malattia v’impedisca,/ I vostri nati torcano il viso da voi.

E non c’è bisogno che io commenti. E, a proposito di ricordare, anche per alleggerire il peso di tanti misfatti contro l’umanità, desidero riprendere il discorso dei nostri sei incontri, per il Maggio dei Libri, che si sono tenuti con sempre crescente interesse, in tutto il mese di maggio presso l’Openourbooks di Corato. Purtroppo non ho potuto partecipare a tutti i sei incontri, ma è stato bello dialogare il 24 maggio con il mio carissimo amico, poeta/eroe, cileno Germàn Rojas e il pubblico composto perlopiù da altri nostri Autori, scrittori, poeti, giornalisti, sulle caratteristiche originalissime della Poesia di Germàn attraverso il libro bilingue (spagnolo-italiano) MARIA-MARIA, ultimamente edito dalla SECOP edizioni di Peppino Piacente. È stato un dibattito molto interessante sulla figura di MARIA-MARIA e sulle altre figure femminili importanti nel cuore del poeta, prima e dopo Maria. La lettura in spagnolo di alcuni versi da parte di Rojas ci ha offerto la possibilità di scoprire la magia della musicalità della poesia spagnola, l’incanto di tutte le stelle del firmamento a cascata nel materializzarsi in numerose metafore “a cometa” del nostro grande Poeta.

Un momento di grandissima emozione è stato quello in cui il bravissimo pittore Luigi Basile di Corato, noto anche in Italia e all’estero per i suoi luminosi e romantici volti di donna, ha regalato a Germàn, una sua opera dipinta proprio per lui in quanto concordata con l’editore Peppino Piacente per realizzare, con il talentuoso graphic Designer Editoriale Nicola Piacente, la copertina di MARIA-MARIA ultima edizione. Meritatissimo il lungo applauso e l’abbraccio fraterno della Bellezza della PAROLA con la BELLEZZA dell’ARTE.

La sera del 29 maggio, invece, è stata dedicata al Prof. Gjeke Marinaj, venuto da Dallas in Texas per parlare di STEPS, la mia silloge poetica, di cui sappiamo tutto ormai. Ma Gjeke è un vero mago dell’affabulazione e ha incantato il numeroso pubblico con i suoi guizzi di ironia e di autoitonia, in cui è maestro, con le sue risposte sulla poesia italiana e straniera, fino a parlare dell’importanza della poesia dei giovani nel terzo millennio. Due ore che ci sono sembrate un soffio tanto sono volate in fretta.

Molto interessante il dialogo di Gjeke Marinaj con Gigi Mintrone, il nostro beneamato scrittore di Mamma, colorami il cuore, in cui egli parla a cuore aperto di tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare e superare nella vita, a causa di alcune disabilità fisiche, presenti sin dalla nascita. Gjeke è stato felicissimo di intavolare una conversazione in inglese, parlato disinvoltamente da Gigi. Ma decisamente interessanti sono state le domande di Federico Lotito, Mariella Medea Sivo, Luisa Varesano, sua amica e traduttrice ufficiale in questi giorni baresi, Maria Giovanna dell’Aere, che gli ha regalato una sua vividissima opera di grafica, con suo marito Giovanni Romano, altro inglesista DOC; di Umberto Bari con sua moglie Isabella Antonacci; di un giovane nostro poeta, reduce della vittoria di Talent° da Poeta, con una domanda in perfetto inglese. Solo io, tapina, ascoltavo estasiata il linguaggio del corpo, dello sguardo, del volto, non conoscendo quello d’oltreoceano. Ma è stata una diversa magia in una serata che si è protratta oltre l’orario di chiusura. E sembrava che nessuno volesse andar via. I ragazzi dell’Open erano visibilmene stanchi, ma altrettanto visibilmente entusiasti. Siamo tornati a casa più ricchi di conoscenze, di cultura di sogni, di poesia…

Sono stati, dunque, giorni molto intensi e alquanto faticosi per noi tutti e soprattutto per le mie sempre verdi (si fa per dire) 81 primavere; giorni, culminati con la mattinata del 29 a Modugno e la serata del 30 al Teatro Traetta di Bitonto, di cui ho abbondantemente parlato. Oggi chiudo così il cerchio, per andare oltre verso l’estate che tarda ad arrivare. In questi giorni di solito negli anni passati al passato remoto, eravamo soliti festeggiare San Primo ad Alimini 1 nel Salento, un luogo incantevole in una multiproprietà molto famosa e molto chic. Scuola permettendo. Oggi niente più è come in passato. Ma il mio pensiero a Primo lo traduco in versi:

Noi due

Aggrappata alla luce

di questo nuovo giorno

sono ricordo e nostalgia.

Ma canto la vita col suo incanto

 sento il dolore lontano

quasi una eco senza risposta

- tutto è come doveva essere

  niente avviene per caso -

Un sentiero di rovi e rose la vita.

Dono d’amore fu saperci in due

in una moltiplicazione di noi

che oggi sorride ai lunghi anni

vissuti con te e senza di te.

E canta le mie forti fragilità.

Sono ancora vittoria del cuore

sul tempo buio e sul pianto…

(a noi due tra terra e Cielo)

A risentirci. Angela/lina

martedì 6 giugno 2023

Martedì 6 giugno 2023: da Roma in Puglia il viaggio delle PAROLE che meritano ascolto...

Ieri ho lasciato parlare il cuore per ricordare tutti i momenti di gioia e di lacrime di felicità vissuti a Roma. Non ho parlato, però, di due persone che tracimano il cuore perché, con le loro PAROLE universali che abbracciano tempo e spazio, si sono sistemate nell’anima in tempi diversi e con modalità diverse ed io me le tengo strette strette per stare meglio con me stessa e con gli altri. Parlo di Selvaggia C Serini, la fantastica traduttrice dei miei versi in inglese e di tutte le PAROLE magiche dette il 27 maggio al Marriott di Roma: sensibilissima, bravissima, coraggiosissima. Di lei ho già parlato, ma sento l’urgenza di continuare a farlo perché senza la sua dedizione alle mie parole da tradurre, con tutte le difficoltà presentate dai miei versi spesso visionari e di difficile lettura, e compenetrandosi mirabilmente nello stile connotativo della mia scrittura, molto probabilmente non ci sarebbe stata la mia silloge STEPS, pubblicata dall’Università di Dallas e forse neppure il Premio Gjenima.

E Milica Ostojic, giornalista professionista presso l’Associazione della Stampa Estera in Italia. Una persona molto importante nel modo della Stampa, ma per me preziosissima amica che, dopo la devastante caduta a Belgrado, nell’ottobre del 2019, mi è stata vicino con costante presenza, grande amore, protettiva tenerezza. Altro luminoso esempio di grandezza e umiltà. Miliza è venuta a Roma per starmi vicino in un giorno così bello ma anche per svolgere il suo compito di Giornalista, intervistando con grande professionalità un po’ tutti i fantastici Relatori. Come non essere grata ad entrambe? Come non nominarle per assaporare questa felicità insieme? GRAZIE GRAZIE GRAZIE...

E, intanto, le loro voci sono per me un richiamo di altre voci incontrate spostandomi da Roma al Sud, nel barese in Puglia, dove sono le mie verdi radici, che s’inchinano ai sempreverdi ulivi…  

Con Gjeke Marinaj, il 28 maggio siamo approdati a Corato, dove vivo, per riprendere a parlare di STEPS e di Premio Gjenima anche a Modugno, nella mattinata del 29 e a Corato nella stessa serata, per completare il viaggio delle PAROLE a Bitonto, la sera del 30 maggio.

A Modugno (Bari), come già detto, Cettina Fazio Bonina, fondatrice e Presidente di Porta d’Oriente,   nonostante fosse alle prese con le sue molteplici attività culturali, con una presenza quotidiana da capogiro su tutto il territorio barese, non ha perso tempo nell’organizzare in onore del prof. Gjeke Marinaj una mattinata nella Sala Consiliare del Comune di Modugno, prontamente coadiuvata, come sappiamo, dal Sindaco, ing. Nicola Bonasia, e da tutto lo staff del Consiglio comunale. Ebbene, avrei dovuto riportare qui l’accurato excursus del mio percorso poetico da parte del carissimo amico Raffaele Nigro, ma nei giorni scorsi non ne ho avuto il tempo. Provvedo oggi perché davvero ne vale la pena leggerlo: Conosco Angela De Leo da almeno trent’anni, una donna gentile e innamoratissima della poesia, in una stagione certamente precedente il suo bisogno di fondare conPeppino Piacente la SECOP e passare da Bitonto, la città degli ulivi, a Corato. Un’operazione coraggiosa questa che spiega anche il carattere della donna che è stata con Giancane, Bellino, Bizzarro e altri poeti tra i maggiori esponenti del gruppo La Vallisa. Un gruppo che, secondo la visione culturale di Giancane, tende a scoprire talenti in ambito letterario.

A proposito della sua poesia, proprio Bizzarro credo abbia espresso a proposito del primo libro di versi, Ancora un fiore, edito nel 1982, il parere di una creatività neo romantica. Parole accolte e confermate da Biagia Marniti, la poetessa di Ruvo, che aggiunge a questo giudizio, una “modulazione spesso lorchiana, circolare e istintiva”. Ma il neoromanticismo non dice nulla, dal momento che i tre quarti della produzione poetica italiana di questi anni è tutta neo romantica. Anzi ho da rilevare che il romanticismo pervade anche gran parte della narrativa del nostro tempo, che sia storicistica e che sia minimalista. Credo piuttosto a ciò che della De Leo scrisse nel 1990 in Periferia Centrale Marco Ignazio de Santis. Il primo affacciarsi della giovane Angela alla finestra della società è venato da una purezza d’animo e da una forma di innocenza che le impedisce di vedere il volto vero dell’umanità. Ma col passare del tempo quella maschera cade, ed emergono “i volti di gesso/ truccati d’urgenza/ per la commedia umana/ sul palcoscenico della vita”.

Non a caso, il titolo della seconda raccolta è Sul naufragio del sole, che denuncia il crollo della verità e della luce che ha illuminato finora la vita. Siamo nel 1986 e il romanticismo si è trasformato in voglia di combattere, di “graffiare il silenzio”, spaccare le maschere e far venire allo scoperto il volto vero della società. La poesia potrà anche sgorgare incantata, ma la ragione è tale che la bloccherà e offrirà una ben diversa forza di lottare. Questi versi, rileva Maria Marcone nelle pagine introduttive, si intridono di pathos e di rabbiosa consapevolezza che c’è un gioco perverso nella vita, il candore dell’anima si scontra con la torbidezza della collettività. Il mondo è altro da quello che noi abbiamo creduto e sperato.

Ma a salvare l’autrice dall’angoscia è l’adesione al gruppo della Vallisa, la scoperta dell’amicizia e della possibilità di vedere intorno un grande muro di solidarietà. È il tema affrontato nel 2004 da Il gelso e le rose, edito da SECOP. Gli amici allargano le braccia e la accolgono, danno conforto e aiutano la giovane a difendersi. Sono gli anni in cui la De Leo dà molto credito al gruppo de La Vallisa, è aperta all’amicizia con Daniele Giancane, la Santoliquido, che si uniranno all’amore immenso che le portano i membri della sua famiglia: “noi punto fermo mai uguale”. Una dichiarazione aperta di amicizia viene testimoniata, ad esempio, dallo studio su Giancane edito nel 2015 da Solfanelli come La fanciulla ermafrodita. Ma ormai ha aperto la sua attenzione a un macrocosmo di interessi. Comincia ad occuparsi di prosa, di critica d’Arte e di fotografia, introducendo il volume di Marcello Carrozzo, mentre avvia lunghi rapporti con la Serbia, partecipando insieme ai vallisiani a molti convegni e soprattutto acquisendo e coltivando una lunga amicizia con Dragan Mraovic, poeta, scrittore, già console serbo a Bari e traduttore di molti poeti pugliesi nel suo Paese. È Dragan che promuove manifestazioni e premiazioni di autori baresi a Belgrado. Un’amicizia che purtroppo ha creato nel tempo dei dissapori all’interno del gruppo. Ciò si è risentito all’interno della poesia della De Leo, perché l’apoteosi dell’amicizia espressa in gioventù ha prodotto riflessioni amare sulla vita, che nel frattempo è stata funestata anche dalla morte del suo compagno. Versi raccolti nel volume edito dalla SECOP Il gelso e le rose.

Comunque, una lunga esperienza poetica che è sfociata in ultimo nella produzione di altre prove letterarie, con una raccolta di racconti, Trattenendo il respiro, romanzi che ricalcano la propria condizione esistenziale di questi anni, fitta di un rinnovato interesse per la scrittura e per la promozione culturale ed editoriale. Con la rivista <Correlazioni universali> stigmatizza la necessità di confronto tra culture e l’incontro tra poeti di varia provenienza geografica, mentre nella rivista <NEDA> si accolgono tematiche di vario genere, storia, geografia, antropologia. Non ultimo è un blog creato dalla De Leo la poetologa. Allo scopo di “incontrare gli altri sul filo della poesia e della scrittura in genere. Per promuovere ascolto, reciprocità, confronto, comprensione e condivisione”. Raffaele Nigro

 Grazie dal più profondo del cuore, Raffaele, hai fatto un lungo, attento, prezioso lavoro di ricerca, documentazione, di avveduta intuizione su certe posizioni che mi hanno sempre vista come “Alice nel paese delle meraviglie” fino a che uno “specchio rivelatore” non mi abbia condotto a frugare nell’ombra acquitrinosa, da cui ho dovuto salvarmi fuggendo mentre feroci coltelli stavano per raggiungermi alle spalle. Ma qualcuno ebbe la forza e il coraggio (c’è stato sempre qualcuno a comprendermi e a volermi bene) di avvisarmi in tempo per evitare lo scempio di una mia silloge poetica, a cui il grande e compianto Giorgio Bàrberi Squarotti aveva fatto una recensione così generosa da segnare una amicizia straordinaria di grande stima ed affetto fino all’ultimo giorno della sua vita. Quella soffiata più che me salvò da una pessima figura chi aveva ordito il tranello alle mie spalle. Con Giorgio, invece, è stato un rincuorarci e sostenerci a vicenda, perché, mi diceva e scriveva in uno scrigno prezioso di lettere, aveva scelto me che usavo in ogni cosa il mio cuore di poesia, oltre l’insolito incanto visionario della mia scrittura…

E ora ho le lacrime agli occhi per la tua limpida e vera amicizia e per quella generosa e sincera del grande critico torinese che d’estate abitava poeticamente le sue amate Langhe.

Ma un’altra grande consolazione mi proviene da un altro grandissimo critico letterario, Il prof. Giovanni Dotoli che con te, nella nostra mattinata modugnese, ha fatto dei commenti a caldo sulla mia poetica desunta da STEPS, la silloge che Gjeke Marinaj ha pubblicato presso la sua Università di Dallas. Alle parole di Dotoli, di cui purtroppo non ho potuto conservare testimonianza, è seguita la richiesta di alcune mie poesie da far pubblicare sulla sua Rivista internazionale <NORIA>. E oggi tale invito si fa sogno da realizzare a breve. Mi è giunta notizia che i miei versi saranno pubblicati sul n. 6 della prestigiosissima Rivista <NORIA>, dal respiro francese e non solo, essendo il prof. Dotoli, come ben sai, docente presso l’Università della Sorbona di Parigi.

Cosa chiedere di più ai miei 81 anni di ininterrotta poesia? Cosa chiedere di più alla vita e al buon Dio? Sono doni incommensurabili che solo l’AMORE, di cui sono circondata, supera e si fa pane quotidiano, in cui includo sempre gli altri. Non so portare rancore. E non è un merito. Sono fatta così. Ma il cielo è talmente grande che ci comprende tutti avvolgendoci d’azzurro…

GRAZIE, prof. Dotoli! GRAZIE, Raffaele! GRAZIE, miei carissimi Cettina e Antonio! Alla prossima con tutti voi che amate leggere le mie parole. Sempre grata, Angela 

lunedì 5 giugno 2023

Lunedì 5 giugno 2023: Tra le mani e nel cuore preziose PAROLE, pronunciate a Roma, che meritano ascolto...

Sono passati 9 giorni da quel mattino del 27 maggio a Roma per il Premio Gjenima e non sono ancora riuscita a parlare dei tantissimi momenti di emozioni, commozione e lacrime che hanno costellato le due ore trascorse insieme ai figli, ai nipoti, ai tanti amici venuti da ogni dove e ai bambini che, con le loro famiglie, hanno reso festante e gioiosa l’atmosfera del Salone del Marriott perché hanno cantato e mimato e danzato la mia storia poetica e la storia della Bellezza nel mondo con bellissimi canti, sotto l’attenta e amorevole guida della loro insegnante Ombretta Leone: dall’ardito “Questo è il tempo delle Cattedrali” (Notre Dame de Paris di Cocciante), all’Inno di Mameli e uno sventolio di bandierine italiche, euforiche e allegre. Un alunno, un soldino di cacio, ha suonato meravigliosamente col suo flauto “When the Saints Go Marching In” in onore di Gjeke Marinaj, a cui, dopo la sua partenza, ho scritto queste parole: Mio carissimo Gjeke, un GRAZIE immenso per i molteplici doni che mi hai fatto con la tua venuta in Italia che vanno al di là del prezioso Premio Gjenima: il tuo grande affetto per me e la mia famiglia, la tua sollecitudine, il tuo prenderti cura della mia persona con delicatezza, con discrezione, gentilezza. La tua grandezza e la tua umiltà. Le tue parole sempre nuove e diverse pur identiche nella loro essenza più profonda. Avrei voluto con affetto materno trattenerti ancora con me, ma so dei tuoi numerosissimi impegni culturali, letterari, umani. Ieri sera eravamo tutti un po’ stanchi ma felici per la magica serata all’insegna della “bellezza” e dell’“eleganza”, della meravigliosa musica e del canto… Ne conserveremo perenne ricordo.

E perenne ricordo conserverò delle altre fantastiche testimonianze: della Relazione del mio grande amico cileno Germàn Rojas, che molti hanno imparato a conoscere a Roma e nella mia Bitonto (Bari), e sulle pagine di questo nostro blog. Ne riporto alcuni stralci più salienti, anche se meriterebbe una lettura completa e attenta: È una grande emozione sapere che il “Premio Gjenima per la Letteratura”, che dal 2004 viene assegnato ogni anno ininterrottamente, quest’anno è stato attribuito alla nostra amatissima poetessa bitontina Angela De Leo. Questo premio è certamente un immenso onore per Angela, per i suoi grandi meriti letterari, ma va detto anche il contrario: è Angela che dà anche distinzione e rilevanza a questo premio. Non è importante solo che i premiati vengano riconosciuti, ma è anche determinante che il premio acquisti statura e peso letterario grazie alle persone che lo ricevono. Il fatto che il Premio Nobel per la Pace sia andato a Henry Kissinger, ad esempio, è stato più un discredito per quel premio che un riconoscimento per il vincitore.

Per questo motivo, siamo lieti che questo premio sia andato ad una poetessa italiana la cui statura letteraria va ben oltre la Regione ed il Paese che rappresenta. È bello sapere che il significato che sta alla base di questo premio deriva dal fatto di essere “espressione di ringraziamento al maestoso spirito della parola scritta nell’interesse del genere umano”. Si tratta di un premio a vocazione universale.

Siamo amici con Angela De Leo da più di 35 anni. ci siamo conosciuti nel secolo scorso, quando lei era già una poetessa affermata e redattrice della rivista letteraria <La Vallisa>, pubblicata a Bari. Io ero, all’epoca, un poeta in erba che aveva in quei giorni vinto un concorso di poesia organizzato dai poeti de <La Vallisa>, di cui Angela era stata membro della giuria. Ci siamo conosciuti - ovviamente - dopo che avevo ricevuto il premio. E da allora la nostra amicizia è rimasta immutata. Ed è stato nella terra di Puglia, benedetta dal verde degli ulivi e dal profumo eterno dei gelsomini, che ho conosciuto l’imponente opera letteraria di Angela. (…).

Durante i miei viaggi in Puglia ho conosciuto anche lo stretto legame di Angela e il mondo dei poeti che allora chiamavamo jugoslavi. È impossibile non citare quel monumento della poesia che Desanka Maximovic ha rappresentato nel Novecento, e anche il nome di Dragan Mraovic, che ha portato con sé tutta la bellezza della Serbia. Il mare Adriatico non esisteva più e noi eravamo uniti in quel momento dalla sensazione che i confini nazionali e i blocchi separati da cortine di ferro si fossero evaporati per sempre in nome della poesia. (…).

Colgo l’occasione per ringraziarti di cuore per le “tracce” che hai scritto nella recente versione bilingue del mio libro Maria-Maria, che SECOP ha appena pubblicato.

Questo premio, cara Angela, parla della parte più profonda del tuo essere, perché parla di tutta quella vita che hai dedicato alla poesia, a crearla, a diffonderla, a insegnarla. La tua parola scritta e la tua azione poetica sono espressione del fatto che la letteratura può sempre riscattare gli esseri umani dalle loro debolezze. La letteratura, e la poesia in particolare, “è un’arma carica di futuro”, come dice il poeta spagnolo Gabriel Celaya. La parola è speranza, la parola è immaginazione, la parola è impegno, la parola è un arcobaleno pieno di colori che apre la strada alla pace e alla libertà, anche se ci costa la vita, la prigione o l’esilio. Germàn Rojas 27 - 5 - 2023   

E cosa dire dell’intervento a braccio del geniale Nikola Mamula, l’amico serbo che, con la bellissima Milanka, sua moglie, è venuto a regalarmi le sue “coincidenze”, di cui fa un’ampia casistica per affermare “scientificamente”, essendo scrittore e scienziato, che più coincidenze diventano un dato di fatto a cui non ci si può sottrarre. E noi due abbiamo la stessa data di nascita…

Poi, facendo cenno a sua moglie, seduta tra il pubblico, legge una sua poesia a me dedicata. Ed eccola qui in tutta la sua bellezza, vero e proprio inno alla nostra amicizia e alla grande sintonia di affetto che ci unisce: Dicono che succede agli altri./ Ci sono incontri./ Ci sono persone./ Ci sono donne./ Ci sono scrittori./ C’è una poetessa./ C’è./ E poi ho letto/ L’ora dell’ombra e della riva…/ Mi sembra un romanzo./ Parole in torrente./ La vita nel palmo della tua mano./ Poesia nelle vene./ Scopri l’ultimo pensiero./ Avvolto tutto nel profumo dei fiori./ Profumo del mare./ Tutto dall’anima./ Tutto da respirare./ E poi incontri./ Quello che ti ha conquistato.// Quello che ami fino al cielo./ Quello che cercherai nello spazio./ Tra le stelle./ E sarò il cielo./ E nel cielo la stella Angela./ Saprò che è la sua gloria./ Amore nell’essere./ Amore per essere./ Amare attraverso il canto./ In un verso che dura./ Dicono che capita agli altri./ A me è capitato di conoscere Angela De Leo.

Una poesia solo apparentemente semplice perché è ricchissima, invece, di un ritmo interiore straordinario. Di una punteggiatura originalissima. Di una profondità di respiro che spazia dai fiori al mare alle stelle e al cielo in una tensione in verticale che esprime tutti i sentimenti possibili nei riguardi dell’amore e della poesia. Milanka Mamula è una grande scrittrice serba pluripremiata che attraversa il mondo non solo per Amore di suo marito e della scrittura ma anche dei figli e nipotini. Una “coincidenza”? Il figlio Pavle con sua moglie e i suoi bimbi abita a Dallas, dove è di casa Gjeke Marinaj. Grazie Nikola e Milanka Mamula per il vostro Amore immarcescibile, che diventa Amore per l’Arte, per la Parola, per gli Altri, per la sorridente Ironia, per la Vita.

E vorrei concludere, almeno per oggi, ricordando che quella splendida mattinata del 27 maggio romano si è conclusa con l’impegno faticoso ma colmo di amore di tutti i miei figli: Raffaella, coordinatrice sapiente di ogni intervento; Daniela, con tante sue amiche a tifare per me; Giuliano, sempre mio grande sostenitore, ma senza Viviana, assente per lavoro, e presente con il cuore; Riccardo, il compagno di Ombretta, sempre pronto a sostenermi, ad aiutarmi. A Peppino il mio grazie va dal 27 fino al 31 maggio e oltre. Ma la serata si è conclusa anche con la premiazione di ogni singolo bambino, che ha ricevuto dalla SECOP edizioni l’Antologia, per Bambini e per Adulti col Cuore bambino, Cieli Bambini, curata artisticamente e in ogni sua parola dal nostro immenso e indimenticabile Livio Sossi, a cui va il mio pensiero e il mio applauso.

E un applauso prolungato è andato a una mamma che si è fatta portavoce di tutte le mamme e i papà per la loro commozione, il loro entusiasmo, la loro intensa ed emotiva partecipazione. Ancora un grande applauso ad Anna Paola, la mia adorata nipote, che da fotografa non professionista mi ha regalato un Book fotografico davvero prezioso per bellezza ed eleganza. Mille applausi al mio amato fotografo ufficiale Srdja Mirkovic, che sempre mi regala splendide foto a colori e in b/n molto suggestive, in Italia e all’estero, e alla sua meravigliosa moglie Dubravka, mia amica del cuore. E quanti grazie e applausi merita mio nipote Nicola, sempre presente, attento, premuroso e disponibile verso tutti? A me regala quotidianamente Amore in confezione illimitata H24.  

E questo mi ha riempito e mi riempie di gioia immensa…  E grata sempre a voi che mi state leggendo... Angela/Lina 

domenica 4 giugno 2023

Domenica 4 giugno 2023: Ti canto ancora dopo quindici anni da...

Andasti via per non più tornare, ma tu sei ancora qui. “Sei nell’anima e lì rimani per sempre…”. Gianna Nannini me lo ricorda spesso. Ma desidero riportare alla memoria attimo per attimo il suo salutarmi prima di andare via. 4 giugno 2008 <Primo… due ore dopo la mezzanotte. Furtivamente. Ha lasciato il letto, la casa, le sue tele, i suoi innumerevoli strumenti elettronici, i suoi racconti, le sue poesie sempre più tristi e disperate, i suoi progetti di pubblicare ancora, i suoi sogni. I miei capelli. Le mie mani. I miei tormenti (dormi adesso, ne parliamo domani, ma perché mi devi parlare di notte e non di giorno? Dormi che è meglio…). Ed io ho continuato a non dormire e a scrivere per colmare ormai i vuoti di troppe assenze. Sì. Primo. che non temeva la morte. Che le faceva uno sberleffo ogni volta che entrava nella nostra casa. Ogni volta che la vedeva affacciarsi nella casa degli altri. Perdemmo saluto e amicizia con alcuni coinquilini quando, alle grida disperate dei nipoti di una vecchina ultranovantenne nel nostro stabile, lui, sornione e irriverente, ci tranquillizzò gridandoci dalla tromba delle scale: “non è successo niente, è solo morta la nonna del primo piano”. E a noi che, pavidi per tanto pianto, eravamo dietro l’uscio socchiuso della nostra casa non sapendo cosa fosse realmente accaduto, si appiccicò addosso e nelle ossa un ulteriore sgomento. Lui era fatto così. Doveva ironizzare su tutto. E non risparmiava neppure la morte, che non lo risparmiò, visto che avrebbe potuto ancora contare calendari e scrivere e dipingere ancora e ancora godere delle albe e dei tramonti. Del mare.

                                                         Primo 

In poco più di mezz’ora, in quella notte d’inizio giugno, di pioggia sui tetti e di ciliegie sul tavolo in cucina, e di attesa di rivedere il mare, ho perso Primo con la sua ultima disperata dichiarazione d’amore.

                             “Ti ho amato sempre Ti ho amato tanto”

mi sussurrò poco prima di accasciarsi completamente sul nostro letto e l’anima già gli volava via. Alcuni minuti prima, si era alzato per andare in bagno e subito dopo un colpo di tosse altissimo gli aveva fatto sputare sangue e l’aveva spinto a rifugiarsi da me, seduta sulla sponda del letto in ascolto del suo ritorno. Si sedette anche lui e io presi ad accarezzarlo e a rincuorarlo in attesa che arrivassero i soccorritori chiamati subito da Raffaella che si era allarmata a quel grido di squassati muri e di infranto   silenzio. Respirava a fatica e mi disse che stava morendo col capo chiuso nell’incavo tra il mio braccio e il mio seno.

                                              “Non respiro più”

“Respira, respira. Stanno arrivando. Adesso ti aiutano. Ti salvano”.

Si rialzò per abbracciarmi e per darmi un bacio, l’ultimo, sentendo venirgli meno le forze. Ma quell’abbraccio e quel bacio ci furono solo a metà. Più nelle sue intenzioni che realmente. Mi prese la mano mentre cadeva riverso sul letto. Le sue parole d’amore si fermarono a metà tra le sue labbra e i miei occhi. Forse vi lesse un filo d’incredulità, che passò nel suo sguardo di disperato rammarico. Non aveva più il tempo di provarmelo, non ci sarebbe stato più il tempo di dimostrarmelo. Gli accarezzai la fronte pallidissima madida di sudore.

“Resisti”, gli dissi, “resisti, respira, stanno arrivando, adesso ti aiutano”.

E feci spazio al medico e agli infermieri che già sentivo per le scale. Il medico gli si avvicinò e gli chiese: “Come ti chiami?”.

Vidi le sue labbra muoversi impercettibilmente nello sforzo di rispondere, ma non articolò suono alcuno. Gli infermieri gli misero immediatamente la mascherina per l’ossigeno, ma fu allora che roteò gli occhi e spirò.

Gli tolsero la mascherina e spinsero il letto per adagiarlo per terra e azionare febbrilmente il defibrillatore.

Raffaella mi chiamò ed io uscii dalla nostra camera con negli occhi le sue gambe che sussultavano inerti ad ogni nuova scossa. Raffaella mi ingiunse di scendere con lei. La mia presenza era ormai inutile e forse ingombrante. Sapevo già, ma non volevo crederci.

                                       Aspettavo Aspettavo Aspettavo

 Aspettai fino al certificato di morte da firmare. Incredula.

                                            Io lo sapevo immortale

Anche se alcuni giorni prima, vedendolo così affaticato, mi ero sorpresa a pensare:

‘ma come fa a non preoccuparsi della sua salute in quelle condizioni?!?’.

Erano, però, pensieri fugaci, che non avevano reale consistenza né una preoccupazione vera, anche se più volte avevo sollecitato una visita specialistica dal cardiologo. Saremmo dovuti andare il lunedì successivo.

E, comunque, quella notte, dopo che si era alzato dal letto in tutta fretta per andare a tossire in bagno, io non pensai minimamente a un suo serio malore. Erano colpi di tosse e basta. Avevamo appena consumato ancora una volta la voglia di noi. Neppure per un istante mi sfiorò il pensiero che stesse già lottando con la morte. Che di lì a poco sarebbe tutto finito. Ero incredula e confusa ma stranamente tranquilla. Preoccupata e stranamente tranquilla. Incredula e stranamente tranquilla. Confusa e stranamente tranquilla. Forse il buon Dio (o madre natura) toglie in questi casi il “ben dell’intelletto”, coscienza e consapevolezza, perché non venga vissuto quel momento in maniera drammatica da chi sta per andare via e da chi rimane. Perché non sia un addio disperante. Devastante. Io non pensavo alla morte. Pensavo a procurare la roba pulita per un eventuale ricovero in ospedale. Perché fosse pronto. Lo sollecitavo ad indossare la canottiera, i pantaloni, una maglietta. Cercavo di aiutarlo ad indossarli e lui mi lasciava fare, ma non ce la faceva. Provò a mettere sotto la lingua una pillola salvavita ma gli sfuggì dalle labbra con una smorfia di rassegnato disappunto. Aveva bisogno solo di rifugiarsi sul mio petto e di sentirsi protetto dalla mia carezza e dalle mie parole di incoraggiamento a resistere ché presto sarebbero venuti quelli del 118 ad aiutarlo. Mi disse soltanto con una quiete insolita nella voce:

“Sto morendo. Non riesco più a respirare. Tra un minuto non respiro più. Finisce qui il mio tempo. Finisce qui la mia storia. Finisce qui il racconto di noi due”.  

Ed io ancora ad insistere:

“Adesso vengono e ti salvano”.

Non ci fu il tempo del ricovero e di niente altro. Non ci fu più il tempo. Se non del suo dirmi l’amore. Tanto e per sempre. Ed io ancora oggi mi chiedo come abbia potuto io non capire che stava morendo, stargli accanto fino all’ultimo respiro senza provare l’impulso di scappare terrorizzata dalla parola “fine”, come mi capitava fino a qualche anno prima.

                                                        Dopo

gli misero un vestito dignitoso, ne aveva tanti e tutti di ottima fattura.

Non il migliore, uno dei tanti.

Gli misero una bella camicia. Non la più bella, una delle tante.

Anche la cravatta originale. Non la più originale. Una delle tante.

Non era lui a scegliere, come aveva sempre fatto. Non fui io a scegliere come non avevo mai fatto. Casomai gli facevo da specchio.

Hanno scelto gli altri per lui. Per me. Lui non lo avrebbe permesso. E hanno scelto come hanno potuto. Io non sapevo neppure dare le indicazioni giuste:

“Nell’armadio di sopra, no bisogna andare giù. No, no, è meglio quello nero, anzi meglio l’antracite, il blu, il rigato, non so, fate voi…”.

Lui non l’avrebbe permesso. Io sì, come sempre. Delegare delegare delegare. Ad alcuni sembra il mio motto.

(cooosa? Ma dove credi di andare tu con quella patente se non hai i riflessi pronti? Vuoi ammazzare subito quelli che malauguratamente si troveranno sulla tua strada? Stattene tranquilla che quando avrai bisogno di uscire con la macchina provvederò io…)

Provvedimenti sempre richiesti a viva voce e solo raramente concessi.

Per anni c’era sempre stato chi pensasse per me e provvedesse a sostituirsi nelle scelte che avrei dovuto fare io, nelle iniziative da proporre, nelle faccende da sbrigare fuori di casa. Poi, era subentrato l’adattamento. Con l’adattamento, l’abitudine. E, alla fine, pur volendo essere autonoma con tutte le bandiere issate per dire “sono uno Stato Sovrano”, mi accorsi che di sovranità non ne avevo neppure un briciolo: mi mancavano i mezzi, l’esperienza, la fierezza, l’ardire.

Io, libera solo con te, ma figlia sempre: del padre-padrone, del marito-padrone e dei figli-padroni. Con i quali è stato solo un chiedere per evitare di dovermi giustificare dei miei limiti e per le tante cose che non sapevo e non so fare

(come mai non hai imparato a fare cose che s’imparano fino a dieci-quindici anni e non oltre?).

Come spiegare? Cosa spiegare e a chi? Personalità? Condizionamenti? Esperienze vissute e quelle mancate? E, dopo aver spiegato o tentato di spiegare, mi sarei salvata? Avrei imparato? Sarei stata perfetta come io avrei voluto e come gli altri richiedevano che fossi? E ho capitolato su tutti i fronti. Sì, mio caro e buon papà, ho capitolato. Elogio dell’imperfezione.

       Nella imperfezione la serenità di una vita che è umana e mai eroica

 Di accettazione di sé nel tentativo di migliorarsi per quanto possibile, senza inutili stress e illusioni.

Ma, quel giorno della morte del mio compagno di vita, questi pensieri mi accompagnavano forse soltanto per non pensare non pensare non pensare.

                                                       Dopo

quando l’ho visto per l’ultima volta, per l’ultimo bacio sulla fronte, anche la sua di gelido marmo, per l’ultima carezza, tenera sulla guancia morbida e con la barba docile e il volto sereno come se dormisse, era bello e quieto. Con l’addome gonfio. Ebbi timore di sistemargli meglio la giacca su quella pancia enfiata. Né volli indagare sul suo collo che mi dissero arrossato come di sangue che s’allargava in lago o mare o oceano, non seppi mai. Mi colpirono le mani chiuse a pugno. Le sue belle mani quadrate eppure magre, da artista. Non avrebbero mai più dipinto quelle mani. Mai più scritto. Mai più digitato. Mai più accarezzato, coppa di tenerezza e passione, i miei lunghi capelli che voleva sempre più lunghi. Per affondare meglio, le sue mani, nel biondo ormai colorato di quelle spighe sempre indocili e sempre appassionate in lunghe e mai stanche notti d’amore...

Ma anche quelle mani erano pensieri per non pensare. Per non ricordare. Per non proiettarmi in un futuro, che era già presente, senza...

(“fa’ che i tuoi capelli siano sempre più lunghi/ perché solo così sei più bella che mai…”)

                                 Lui mi dedicava E ora io cantavo

Lo avevo perso e cantavo, sì, ancora e ancora e ancora, io cantavo.

Per andare in deviazione. Per non pensare. Per non soffrire.

Strano medico la mente. Strano medico il cuore. Strano medico la vita

(voglio amarti così/ teneramente/ voglio amarti ogni dì/ con tutto il cuor…)

Cantavo tutte le nostre passate canzoni. Cantavo il passato perché il futuro sarebbe stato senza più “canzoni con dedica”, come dicevo io…

(Tutto passa lina tutto passa)

Dicevi tu ed ora era un ritornello che mi ossessionava per fare passare il tempo del dolore.

(Tutto passa lina tutto passa).

La pioggia stava cominciando a cadere mentre sorgeva l’alba e cominciava a venire gente. Sorgeva una nuova alba senza. E la gente veniva perché per tutti sorgeva l’alba. E per tutti cadeva la pioggia

(tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt) 

(Tutto passa lina tutto passa).

Vennero le mie sorelle e i miei fratelli, i miei cognati e le mie cognate. Poi arrivarono gli altri miei tre figli e l’altro mio genero e piansero senza darsi pace e senza darsi voce. Sgomenti. Arrivarono da lontano gli amici e i nipoti: quelli che potettero venire. I miei. I suoi. Lo portarono poi nella Sala dell’ultima Accoglienza al centro del paese con la pioggia battente come il dolore. Ero là, circondata da tutti e da nessuno e i ricordi mi assalivano per rendermi lontana da tutti e da nessuno. E i rimorsi e i ripensamenti e i dubbi e se… forse sarebbe ancora vivo… non sarebbe stato nell’Altrove in cui mi perdevo… (…). (Che stupidi ricordi si affacciavano alla mente ora che era necessario cancellarli tutti: stupidi inopportuni inutili… eppure erano lì a blaterare occupando tutti gli spazi possibili. Che strano clown la mente per distrarci dal dolore e permetterci di sopravvivere).

E ora ero davvero in un altrove che era già passato. Il mio e quello di Primo. Non ci sarebbe stato più il presente o il futuro per noi due. Solo il passato. E ogni parola, ogni coniugazione, ogni immagine, ogni suono di noi due era al passato. Fino a sole poche ore prima c’era stato il presente. Ora non più. Non più neppure la nostra casa. Tutto al passato. Io stessa ero un passato. Non più “coniugata”, ma “vedova”. Non più con, ma senza. Non più potenziata dall’altra metà, ma mancante dell’altra metà 

(tutto passa, lina, tutto passa).

E anche quel giorno di pioggia battente e di ciliegie abbandonate sul tavolo in cucina passò e noi andammo a casa a riposare.

La Casa dell’ultima Accoglienza si chiuse alle nostre spalle ed io sentii una stretta al cuore nel saperlo solo. Nessuno a fargli compagnia. Ora era solo. Ed io avevo tutti accanto a me. Mi sembrò un’ingiustizia. Mi sembrò una situazione irreale. L’incubo da cui mi sarei svegliata.

                                                         Mi misi a letto

Ebbi la sensazione fisica, reale, vera che mi si fosse coricato accanto. Per la frazione di un secondo sentii il suo corpo e mi spostai per fargli spazio. Poi lo sognai ed eravamo in una grande piazza seduti ad un bar, ma sopraggiungeva improvvisamente sul versante opposto della piazza un treno e lui mi salutava in fretta perché doveva necessariamente salire su quel treno, glielo aveva ordinato la Regina a cui non poteva assolutamente disubbidire. Cercavo disperatamente di trattenerlo, ma lui correva a perdifiato e prima che il treno ripartisse scorgevo dal finestrino il suo profilo che andava via e sentivo la sua voce accanto a me:

“Ho fatto uno scherzo a chi mi voleva portare via. Ho mandato uno che mi somiglia al posto mio ed io sono rimasto con te. Vedi, non posso lasciarti”.

Mi svegliai delusa nel vedere il suo posto vuoto e ricordai tutte le volte che, durante il servizio militare, aveva falsificato la firma del comandante per venirmi a trovare con un permesso di tre giorni. Quante quante volte. Ora non più. Non ci sarebbero stati più permessi né scadenze né firme false a dirmi il suo amore. Solo la sua capacità di prendere a schiaffi il mondo con la sua audacia, incoscienza, ironia, ora riversatesi in un sogno reale più della realtà. Il giorno si schiuse con il pensiero ricorrente che mi sollecitava a ricordare la canzone di Gabriella Ferri “È scesa ormai la sera” perché in quelle parole avrei ritrovato la nostra storia. Le ultime parole della canzone stranamente tanto simili alle sue in quell’addio così lacerante e disperato. Non ascoltavamo più questa nostra cantante tanto amata da quando aveva posto fine tragicamente ai suoi giorni e le cassette delle sue canzoni erano tante e sparse dappertutto nella nostra casa supertecnologica. Eppure, mi alzai e automaticamente aprii una scatola di audiocassette e presi la prima che mi capitasse sotto le dita. Era quella giusta. Aveva guidato lui i miei passi e la mia mano? Ancora oggi me lo chiedo senza saper dare risposte. Forse ora tutti voi potreste darmele. Ma io non voglio più. Ho paura dei sogni rivelatori e ancor di più di quelli premonitori… L’ascoltai tremante

È scesa ormai la sera
L'ultima nostra sera
Sul nostro viso, senza parole
Muore l'amore
E niente c'è da dire
Più di questo… silenzio!

È finito ormai il racconto di noi due
Vorrei, come vorrei
Dirti ti amo
Dammi la mano
Il coraggio mio sei tu
Ma sei lontano ormai
E ti vorrei sì ti vorrei
Ti amo come ti amo
Ed ho paura... dammi la mano
Il coraggio mio sei tu
Ma sei lontano ormai
E ti vorrei…

(Gabriella Ferri, stralcio della canzone “È scesa ormai la sera”)

Sì, era la nostra storia. Che lui mi voleva ricordare. Non mi aveva detto poco prima del suo addio “finisce qui il mio tempo, finisce qui la mia storia, finisce qui il nostro racconto”? Il racconto di noi due.> (da A. De Leo. Le piogge e i ciliegi, 2° vol. SECOP edizioni 2018). A presto. Angela/Lina

venerdì 2 giugno 2023

1° giugno 2023: dopo i Premi ricevuti, alcune riflessioni. E un pensiero grato a Silvana Folliero...

Ora che tutto si è fatto silenzio dopo tanta esaltante gioia dei vari Premi ricevuti dall’Università di Dallas (Premio Gjenima), dall’Uzbekistan (Diploma alla famosa poetessa italiana ANGELA DE LEO in riconoscimento del suo grande contributo alla poesia, per le sue opere poetiche e filosofiche scritte in uno stile chiaro e incisivo, diventate fonte ideale di ispirazione per tutta l’umanità), e una mattinata speciale organizzata da Porta D’Oriente, l’Associazione culturale di grandissimo respiro letterario e umano, presente in Puglia, la cui Presidente è la infaticabile superdonna Cettina Fazio Bonina, coadiuvata dal Sindaco di Modugno, arch. Nicola Bonasia nella Sala Consiliare di Modugno (Bari). Tra i relatori lo scrittore Raffaele Nigro, Premio Campiello 1987, finalista Premio Strega 2023 e vincitore Premio Porta d’Oriente 2022, e   Giovanni Dotoli, Presidente dell’Accademia Mondiale della Poesia. E, naturalmente, Gjeke Marinaj, colui che ha percorso i cieli per 36 ore dal Texas in Italia per fermarsi, in prima battuta a Roma, per la Cerimonia di premiazione, portando con sé un bagaglio non indifferente di bandiere, medaglia, diploma, fascia tipica inviatami dall’Università di Dallas, presso la cui sede è situato il Comitato del Premio internazionale Gjenima per la Letteratura, un carico di libri STEPS, la mia antologia poetica, tradotta meravigliosamente in inglese dalla traduttrice e poetessa Selvaggia C Serini, e pubblicata dall’Università di Dallas dopo severa selezione da parte di ben tre giurie formate da agguerriti critici letterari di tutto il mondo. Antologia per cui mi è stata assegnato il prestigioso Premio. Ma, prima di ringraziare tutti di vero cuore, desidero riprendere in parte il discorso di Gjeke Marinai nel consegnarmi il Premio Gjenima, il mio discorso in risposta e alcune poesie lette in questi giorni. Sono ancora trepidante per tutti questi doni che in tarda età mi stanno tanto emozionando da volerli condividere anche con tutti voi che mi leggete con tanta benevolenza e tanto affetto.

Discorso di Gjeke Marinaj nel consegnarmi il Premio Gjenima a Roma: Il Premio Gjenima, di lunga data, viene presentato come segno di gratitudine per il magnifico potere della parola scritta al servizio dell'umanità. Il premio riconosce con una prospettiva globale l'autore di un contributo letterario significativo o di un singolo risultato letterario eccezionale che è stato, o ha il potenziale per essere, una forza positiva nel nostro mondo contemporaneo. È con profonda riverenza che mi trovo oggi davanti a voi, incaricato di conferire il Premio Gjenima per la Letteratura 2023 a una figura di statura artistica unica: la straordinaria Angela De Leo. In un mondo saturo di una miriade di voci che chiedono riconoscimento, il suo mormorio sereno risuona più profondamente del tumulto discordante che la circonda. La letteratura funge da specchio per le nostre anime, un riflesso delle nostre paure e desideri più profondi, aspirazioni e desolazioni. Crea immagini della nostra psiche condivisa, in cui vediamo noi stessi, le nostre fragilità e forze, le nostre gioie e le nostre tribolazioni. Tra le superfici specchianti della letteratura, la poesia di Angela De Leo funge da prisma, rifrangendo non solo ciò che è, ma ciò che potrebbe essere, superando così i limiti della nostra immaginazione. Per citare le sue parole:

"Gli uccelli volano contro l'alba di giorni lontani

ancora in attesa

il miracolo della vita..."

Come gli uccelli nella sua poesia, la poesia di Angela De Leo non richiede affermazioni o consensi, eppure continua a cantare instancabilmente - un tributo alla resilienza dello spirito umano e alla potenza delle parole.

Dal "Cortile al cielo", l'universalità dei suoi versi illumina il nostro mondo. Le sue parole servono come conforto per il solitario, guarigione per il dolore, guida per coloro che si perdono nel vasto oceano della vita. La sua poesia, minimalista ma profonda, è una lezione di contraddizioni: un'esplorazione dello sconfinato all'interno del limitato, dell'eterno all'interno dell'effimero.

Onorando Angela De Leo, non stiamo semplicemente lodando una poetessa, ma riconosciamo una inseguitrice della verità, un'amante della filosofia, una tessitrice di sogni che ha viaggiato fino ai confini dell'esperienza umana. La sua intuizione, racchiusa in versi, ha aperto le porte a una comprensione più profonda della nostra comune umanità.

Signore e signori, è per me un immenso onore conferire il Premio Gjenima per la Letteratura ad Angela De Leo, una poetessa le cui parole, come un faro nella tempesta, brillano nel profondo della nostra esistenza e ci guidano alla sacralità della scrittura e della vita. Possa la sua poesia continuare a ispirare, stimolare, consolare e illuminare il nostro mondo.

Grazie Angela De Leo

Grazie, Italia

Un Discorso davvero emozionante. Ed ecco il mio in risposta. Con qualche integrazione doverosa ma inadeguata a una più esaustiva riflessione durante la premiazione per via del tempo breve.

Discorso di Angela De Leo: Un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi (Franz Kafka, da Una lettera a Oskar Pollak - novembre 1903). È una intensa definizione del libro, rivisitata recentemente da Massimo Recalcati, psicoanalista e saggista di chiara fama. Recalcati parte dalla definizione di libro, che è un mare aperto, libero e porta lontano, ma è anche “corpo” e “coltello”. Corpo, perché è fatto di parole scritte che si fanno corpo, cioè carne della nostra carne, come, del resto, afferma anche Paul Valery. Ed è coltello, in quanto dopo il primo colpo per penetrarvi è il libro stesso che ci ferisce e si prende l’anima e tutta la parte più nascosta di noi, la nostra “lalangue”, la nostra lingua interiore, la nostra musica e il nostro canto.

Franco Buffoni parla di “ritmo ancestrale”, che è quel respiro che viene dall’imparare a parlare, dal battito del cuore materno. E siamo già nel cuore della poesia. E credo che possiamo riferire tutto questo anche alla mia poesia. La POESIA. Non basterebbero mille trattati per parlarne. Per me è un Dono Immenso che ci avvicina alla divinità e all’essenza più profonda delle cose e della nostra anima. Si nasce poeti, questo è certo, ma tiriamo fuori questo immenso dono, quando qualcuno ci lascia involontariamente una ferita irrimarginabile, come sostiene la grande poetessa Mariella Bettarini, mia meravigliosa amica da oltre trent’anni. E come sostengono perlopiù i tanti amici poeti che conosco in Italia e all’estero. Ma io ritengo anche che ci siano i momenti giusti, le occasioni, le opportunità, gli amici sinceri e generosi, a cui dobbiamo essere sempre grati. E occorre partire dalla prima fonte per comprendere meglio la foce e non viceversa come spesso accade. Si perdono così i punti nodali della nostra gratitudine. Ma, qualche volta, lo zampillo originario, degno di perenne ricordo e gratitudine si smarrisce nelle brume di ciò che è accaduto dopo e che spesso è meglio non ricordare per non sentirsi feriti ulteriormente. Accade, purtroppo, dopo anni di serena e fattiva militanza in un gruppo che niente più vada per il verso giusto per ripensamenti improvvisi, incompatibilità di ruoli, insofferenza verso i meriti altrui, e così via. Le immeritate pugnalate alle spalle, però, purtroppo non si dimenticano. E di tanto in tanto riprendono a sanguinare. Soprattutto nei momenti più felici come quelli che oggi sto vivendo. Ecco pochi versi a testimoniare la devastante realtà di quei giorni per fortuna lontani: … In questa rosa d’azzurro/di onde increspate/ ho inabissato il cuore ferito/ dall’assalto feroce d’improvvisi corsari/ amici di lungo corso e d’antiche intese./ Ho un cuore svuotato/ colmo d’inasprito stupore/ e mille domande di frantumata rabbia/ roccia devastata da tempeste d’acque/ spaventate di vento e urlo di saette/ a sbriciolarsi in millenaria sabbia./ Rumore di risacca annulla orme/ di tempo condiviso/ ignaro di violenza che ha suono di follia./ (ora mi culla una nenia di barche solitarie/ uncinate all’unica stella cadente/ che ha ancora respiro di cielo)

Personalmente, allora, evitando di ricordare quanto mi massacrò di inaspettata violenza che ritenni improvvisa follia, devo essere grata a Dragan Mraovic che, in oltre quarant’anni di sincera e disinteressata amicizia, ci ha invitato ogni anno, dal 1992, ai tanti Convegni Culturali Internazionali che si tengono, con cadenza annuale, a Belgrado dove in una settimana si fanno incontri, nascono amicizie, ci si scambiano libri ed esperienze, si ricevono premi e pubblicazioni o possibilità di pubblicazione in altri Paesi stranieri. Tantissimi sono gli amici che, in Italia e all’estero, mi hanno offerto delle opportunità di crescita letteraria, culturale, umana. Dragan è stato per decenni il mio angelo tutelare, senza risparmiarsi mai durante i nostri soggiorni a Belgrado e a Smederevo, altro luogo sacro per il Festival della Poesia d’Autunno, che si tiene in ottobre, e dove libri e premiazioni vanno a braccetto, e la Letteratura mondiale è di casa. Si viene accolti dal sorriso cordiale di Goran Djordjevic, Presidente di questo meraviglioso Festival da oltre cinquant’anni. Vi ho partecipato per ben tre anni con tre importanti premiazioni per le mie sillogi poetiche.

In verità, io non ho mai chiesto attenzione o valutazione per la mia scrittura. Per mia natura, sono restia a vetrine, favoritismi, compromessi di ogni genere. Ho solo partecipato raramente, quando ero molto giovane e ancora fiduciosa e sognante, a pochi Concorsi Letterari degni di nota, che però non sempre sono avulsi da scelte “obbligate” dalle Case editrici che hanno il monopolio di tali premiazioni “a priori” e “a prescindere”.  

E oggi desidero ringraziare dal più profondo del cuore Gjeke Marinaj per la sua affettuosa e reiterata richiesta dei miei versi, la sua inestimabile sollecitudine nell’accoglierli e valutarli con grande impegno in ogni minima fase della realizzazione della mia silloge poetica, la sua immensa generosità nella Prefazione e nel suo meraviglioso e profondissimo Discorso della Premiazione. Sono emozionata, commossa, onorata, e felice. La mia gratitudine nei suoi riguardi, e nei riguardi dell’intero staff del Comitato del Premio Gjenima, è immensa. Senza la sua e la loro rigorosa ma benevola valutazione di STEPS da parte di tutto il Comitato non ci sarebbe stato questo libro in inglese (con ulteriore versione in italiano della SECOP edizioni che sarà a giorni nelle librerie), e soprattutto non ci sarebbe stato questo Premio così prestigioso e ambito.

In verità, ritornando alla mia scrittura e alla sua nascita, devo dire che è nata con me, ma è stata sollecitata a venire alla luce da quel nonno affabulatore sempre presente nelle mie poesie, nei miei racconti, nei miei romanzi, nella mia vita. Sono partita dall’“ascolto” delle sue fiabe e dei suoi magici racconti…

Non scrivo per avere consensi, ma perché amo visceralmente la scrittura. Senza non saprei vivere. Del resto, chi ha il dono immenso della parola creativa e porta tra le mani fogli di Poesia ha il compito di abbattere muri e di costruire ponti per “incontrare” gli altri e cercare insieme squarci di Bellezza e di Verità. È un imperativo kantiano rivolto soprattutto alle nuove generazioni. Il mio desiderio più profondo è che diventino migliori di noi, attraverso il nostro “ascolto” del loro cuore. Ringrazio pertanto ancora: i miei figli e nipoti, per avermi dato, con il loro amore, la forza e il coraggio di rinascere ad ogni nuova alba.

Mio nonno, ancora presenza salvifica in tutti i miei giorni, con tutti i suoi PASSI a sostegno dei miei.

Il Graphic Designer Nicola Piacente della NP Studio per l’“idea” dell’immagine di copertina, completamente realizzata dal suo geniale talento.

Il mio Editore Peppino Piacente sempre attento a realizzare i miei sogni di carta e inchiostro.

La mia meravigliosa traduttrice Selvaggia C Serini per essersi prodigata con grande generosità e abnegazione perché anche queste ultime mie parole avessero suono di lingua universale.

I miei parenti e i tantissimi amici che mi corrispondono con amore.

E, per il DONO immenso della POESIA, il buon DIO, a cui sempre affido i miei incerti PASSI nella certezza del Suo abbraccio a sostenermi ancora.

Sono, intanto, in attesa del file del Prof. Dotoli per parlarne anche qui, mentre ho tra le mani la Relazione molto dettagliata del mio percorso poetico e di scrittura creativa dai primi anni Ottanta del secolo scorso fino ai nostri giorni, pronunciata con molto affetto e partecipazione da Raffaele Nigro a cui mi lega un’antica e sincera amicizia. È lui che mi ha riportato a quello zampillo iniziale: la Rivista letteraria <La Vallisa>, diretta da quei lontani anni da Daniele Giancane. Ma chi s’interessò per prima alla mia poesia, in una mattinata di chiacchiere “psicologiche” tra noi, fu la prof.ssa Bice Leddomade, ordinaria di Psicologia dell’Età Evolutiva presso l’Ateneo barese. Lei mi indicò il prof. Dell’Aquila di Letteratura Italiana che mi invitò a far leggere i miei versi a Daniele. Questo segnò il mio ingresso e quello di mio marito, Primo Leone, anche lui con fasci di poesie e racconti nel cassetto, nel Gruppo dei poeti vallisiani. Ma vorrei dedicare più tempo e spazio alla Relazione di Raffaele Nigro, che ha fatto uno studio approfondito e decisamente connotativo del mio percorso nel campo letterario. Altra fonte/foce che si permea di antica e rinnovata gratitudine.

Ma tra la fonte e la foce il mio pensiero grato e affettuoso va a Silvana Folliero che ieri ha festeggiato il suo compleanno tra le stelle. Per anni lo abbiamo festeggiato insieme sulla sua terrazza romana e nella sua casa stracolma di libri. A lei devo la nascita della nostra Casa editrice SECOP, a lei i lunghi anni di reciproca stima e amicizia, la nascita della libreria Secopstore, l’eredità di <Dialettica tra Culture>, commutata in <Correlazioni Universali>, come lei avrebbe voluto. E oggi è a lei che va il mio commosso GRAZIE.

E… mi fermo qui. A prestissimo. Angela