lunedì 27 settembre 2021

Lunedì 27 settembre 2021: e l'AMORE ci perde e ci salva...

 I poeti “servono”, come qualche critico letterario ha affermato, soprattutto a colmare i vuoti che la vita ci scava nell’anima in vari momenti del nostro percorso esistenziale. E, dunque, alla fine, è sempre la poesia a farsi consolazione e luce: Dov’ero la scorsa notte?, si chiede Gjeke Marinaj (grandissimo poeta e scrittore di origine albanese, che da tanti anni vive negli Stati Uniti d’America - Dallas -, e fondatore della meravigliosa Teoria del Protonismo), nel titolo di una poesia che si accende di metafore e di amore per tutto ciò che è vita. E la risposta negli ultimi due impagabili versi è: Dove le poesie cozzano contro il cielo/ Dove il poeta accende le parole. Grazie, Gjeke, per avercelo insegnato con la grandezza della tua Poesia, con la semplicità, umile e vera, della tua Persona. E, dunque, occorre, oggi più che mai, restituire la parola ai poeti se desideriamo la possibile salvezza della nostra umanità alla deriva e dobbiamo farlo soprattutto con le loro poesie d’amore. Non ha concluso Padre Dante le tre Cantiche della Divina Commedia col famosissimo verso: Amor che move il sole e l’altre stelle? E allora cerchiamo insieme le tante poesie d’amore dei nostri poeti più amati e conosciuti. Riservo la prima poesia proprio a Gjeke, innamorato perso di sua moglie Dusita, a cui ha dedicato le sue più belle poesie d’amore. Ecco “Il tuo sfiorarmi”, da brividi sulla pelle e dentro il cuore: Mi riporta a me stesso il tuo sfiorarmi/ E alle scaglie dense come quercia della mia pelle -//   Il tuo amore/ È la bussola che mi orienta, mentre vado in giro/     con labbra mute…/ Il tuo amore cancella le ombre della vecchiaia/ Dal viso che così gelosamente per te custodisco./ Lo riprendo tra le braccia come un angelo che non conosce riposo,/ Lo bacio sulle labbra come bacio l’aria che respiro,/ Lo inseguo come fosse un fuggevole fiore del sogno,/ E lo amo come il bambino che tanta paura abbiamo/     di mettere al mondo./ Il tuo sfiorarmi/ È la sorgente della pace rasserenante che mi consola (da SCHIZZI D’IMMAGINAZIONE, SECOP edizioni, 2019). Riprendo poi da Davide Rondoni che, con grande senso della realtà e ironia per esorcizzarla, afferma nel titolo di un suo famoso libro che L’amore non è giusto, salvo poi a concludere con i versi inattesi eppure desiderati, perché nessuno può fare a meno dell’amore, giusto o sbagliato che sia: Possiamo soltanto amare/ il resto non conta, non/ funziona,/      al mattino appaiono/ la tazza, il vecchio pino, le zolle umide, il fumo/ dell’alito mentre apri l’auto/ nel gelo. Potevano non apparire, non arrivare/ più qui, alla riva degli occhi. E l’estate/ c’era, c’è nella calda bruna memoria/ dei rami tagliati,/ i visi diventano ricordi// le voci gridate stracci silenziosi -// i denti conoscono il sapore/ del niente, e l’oblio che ha portici/ e portici infiniti.// Possiamo soltanto amare/ strappandoci felicemente figli dalla carne/ parlando d’amore continuamente/ ubriachi, feriti, vili/ ma con gli occhi lucenti come laser/ di fiori splendidi/ e il canarino nel palmo della mano.// Mormorare come dare baci nell’aria.// (…) Possiamo soltanto amare,/ il resto è teatro amaro/ dell’impotenza sotto il sole giaguaro. (inedita). Enzo Spaltro, professore di psicologia in varie università italiane e straniere, divenne famoso per i suoi quiz culturali a sfondo psicologico nella TV degli anni Ottanta del secolo scorso. Un vero affabulatore, un grande scrittore e poeta, saggista e autore di tantissimi format televisivi. È venuto a mancare il 26 marzo di quest’anno. Aveva oltre novant’anni, e per tanti e anche per me è stato un vero maestro di indagine psicologica che parte dall’introspezione per farsi parole e rinnovamento di sé per favorire il cambiamento anche negli altri. Il 2021 è davvero l’anno orribile in cui ho perso tanti cari amici, poeti e non. Lo conobbi tantissimi anni fa, quando insegnava all’università di Bologna. Fu un bellissimo incontro. Mi regalò il suo libro di poesie, Dis (cioè il deviare,/ ma anche il dipendere,/ desiderare,/ disfare:/ quindi/ l’opposto/ di/ Eu), interamente scritto a mano, da cui prendo questa brevissima ma simpatica poesia d’amore:  Assomigliandoci abbiamo/ pensato di non pensare,/ Contraddicendoci siamo/ sicuri di non amare/ innamorandoci stiamo/ convinti di non fuggire/ abbandonandoci alziamo/ bandiera bianca al futuro. Bologna, 2 dicembre 1980. Ma ecco venirmi incontro la mia carissima amica e consuocera Francesca Romana Petrucci con le sue splendide poesie d’amore (in italiano e in sardo), che partono da un sogno per giungere alla sua realizzazione con LA CASA FRA LE STELLE (SECOP 2014): Ma tu e io ora siamo./ Custodisci questo silenzio nelle tue mani,/ come ultimo suono di mortale ed immortale liuto./ La pioggia dei miei capelli/ sia l’unico bagliore di pianto/ che possa bagnare la tua fronte,/ il canto del mattino e il profumo della sera/ possano aprirsi e chiudersi insieme sempre,/ su di noi insieme sempre. In due, dunque, in una fusione perfetta, tanto l’amore sovrasta l’“Io” di entrambi ed entrambi comprende, nell’universo naturale che li attraversa, e li salva persino dallo scrosciare di lacrime nell’in-canto di essere finalmente insieme, dopo tanto pianto. Insieme ne “il canto del mattino e il profumo della sera”. “Insieme sempre”: quale affermazione più propositiva e grande per sconfiggere ogni solitudine? Ritrovo lo stesso tema d’amore e di speranza nei sofferti versi di Mattia Cattaneo, tratti da Sarò Notte o forse Inverno (2019): Ho calpestato fiori,/ senza accorgermi/ dei loro effluvi sublimi./ A piedi nudi/ vagavo in percorsi/ aridi e tortuosi/ senza conoscerne il senso.// Vuoto,/ il canto della speranza,/ si concede a noi/ come fuoco che stempera/ ghiacciai enormi.// Tu,/ i miei occhi,/ Io,/ il tuo sentiero. E mi piace rilevare come in entrambe le poesie il “Tu” della persona amata preceda l’ “io”: atto d’amore oblativo per eccellenza mettersi in seconda battuta per celebrare la figura dell’altro/a con immenso AMORE. Ma c’è di più: sia Francesca che Mattia stanno facendo un percorso poetico molto sofferto e particolare per giungere ad una dimensione stilistica sempre più originale e autentica. Ecco le ultime poesie dell’una e dell’altro, perché la parola non finisca mai di stupire con occhi nuovi eppure antichi. Francesca: E proprio qui/ Tra cuore e labbra/ Perdura il ghiaccio/ Del tuo sguardo assente// Dove sei.// Il giorno/ Abbassa le sue ciglia.// Madide// Oro e sangue/ Abbattono angoli di sogno.// In quale cielo/ affondi le tue labbra// Ti chiamo.// La vampa/ Disperde la mia voce./ Brandelli d’anima/ qua e là./ Brandelli di mani/ A cercare la tua pelle.// E tu/ Così lontano/ Anneghi in qualcos’altro/ il tuo sorriso. Si cresce, si cambia, si diventa più fragili e insicuri, ma forse più “umani” (“Dove sei”). Mattia: non mi addormento// è un dialogo afono di mani giunte/ questo retroterra di luce/ dove nessuno recita/ né tiene in mano il proprio ciottolo// staccarsi dalle guance/ mondare le ossa/ in quei rumori non più miei/ che la tensione del vento/ esplode// un bambino/ riveste di brina/ l’ultimo quarto di luna. E anche in questa poesia forma e contenuto hanno nuovi occhi per vedere il mondo e fissarlo con parole che domani saranno pronte a morire o a vivere in altra veste, altro splendore (“un bambino/ riveste di brina/ l’ultimo quarto di luna”). E anche oggi mi fermo qui, sempre più intenzionata a continuare…



 

 

 

 

domenica 26 settembre 2021

Domenica 26 settembre 2021: le nostre poesie d'AMORE...

Ricomincio a parlare d’amore in un clima di grande tensione a livello mondiale per gli innumerevoli motivi che noi tutti conosciamo. Ma è proprio quando qualcosa ci manca che l’andiamo a cercare per colmare quel vuoto che ci procura tanto malessere e tanta apprensione, mista a grande amarezza. Mi piace cominciare da un distico di Primo Leone, mio difficile e amato compagno per circa mezzo secolo, due versi che sono, a mio parere la più bella dichiarazione d’amore: Avrei voluto inventare l’amore/ per offrirtene il brevetto. E continuo ancora con lui con una poesia che invoca il silenzio, quello buono, quello dell’intimità del cuore-due in uno, perché, diceva, “con Lina non serve gridare”. Il titolo? “Se torna il silenzio”: Se torna il silenzio/ al di là della strada/ allora parleremo piano/ muovendo appena le labbra/ e il respiro sarà breve/ come la distanza/ fra le nostre mani./   Se torna il silenzio/ parleremo con gli occhi,/ antichi gesti/ fioriti sulla pelle,/   ma saremo pronti/ poi/ a chiuderlo/ in fondo ad un armadio/ per guardarlo/       dopo/ quando l’ansia sarà placata/ sotto le lenzuola/ vinte/ e segnate/ dal nostro amarci. Quante poesie d’amore Primo mi ha dedicato e quante io continuo a dedicargli. Eccone ancora una. “PER SAPERE” il titolo. (a Lina) la dedica: Ti vestirò di pane e fiori/ E di fragranza dolce/ Di prato e di fresco mattino/ Ti vestirò di pane/ Per sapere il tuo cuore/ Ti vestirò di fiori/ Per sapere il tu amore/ Per mangiarti/ Con la mia fame di te/ Per coglierti/ Petalo su petalo/ Mio pane quotidiano/ Mia primavera./ Ti vestirò di pane/ Soffice e caldo/ Per i denti del mio cuore// Ti vestirò di fiori/ Per le mie mani ansiose./ E sulla mia pelle/   Pane e fiori   / La festa non avrà mai fine. (da: Per oro e per sempre, silloge di poesie a due voci, SECOP edizioni 2017). E dalla stessa silloge avrei potuto  recuperare una mia poesia in risposta, ma desidero proporvi dei versi recenti per testimoniare “l’amore che non muore”: Luna perlata/stupita/velata/ - come dicono/ quelli che guardano il cielo/ e forse pregano -/ Nell’incanto notturno prato/ di quasi primavera inventata/ trepidano lucciole di stelle/ “che nel pensier mi fingo”/ e il dentro/fuori è ancora vetro/ a escludermi da stagioni/ e giorni/ e ore/ (di cui ho perso il conto/ nella continua lotta a vincere/ smarrimenti e buie notti di follia/ con le parole lunari/lunatiche/ abrase dalle ore estranee/ all’universo amato/ e perduto in un solo attimo)./ E mi giungono voci/ senza pensieri/ - solo tremore e danno -/ Non è più con noi il cielo./ La terra nemica./ Incombe la notte dei silenzi/ oltre il vetro a proteggermi/ - forse -/ e sento il respiro del mondo/ fermarsi senza respiro./ Tra tante corone di spine/ e di rose/ ci flagella di paura/ quella di un virus/ che in ginocchio ci piega/ denudando fragilità e coraggio/ (e ci scopre inermi e fieri/ a invocare un Dio dimenticato/ da una umanità incredula/ e forse mai recuperata)./ E la luna di madre-perla guarda/ indomita e guerriera/ riverberando ricordi lontani:/ Io e te a parlare dai lucernari/ del suo bianco mistero/ a raccontarci ferite dell’anima/ incanti e amori e ci sapevamo/   Invincibili     Immortali/   Ora non più   / (E forse è solo questo ciò/ che oggi veramente conta./ O forse… la Speranza).  Ed ecco una poesia inedita di Raffaella, la mia primogenita: È che dell'amore si contano le conseguenze./ Sempre dopo viene di casa il suo nome/ e mai prima lo sai chiamare./Te ne accorgi quando il mare/ ha cancellato le impronte/ e sulla sabbia s'ammucchiano scure alghe recise./ È che se balli al centro del cuore non hai peso né faccia./ Ma se ti sposti cadi e cammini sbilenco/ con il cuore sulle spalle./Ha ragione la tartaruga a camminare piano/ che l'equilibrio è precario/ e se si ribalta il cuore non si rialza./ Ma piano non è il tempo dell'amore/ che il tempo non conosce/E ha battito accelerato per definizione./ E in un battito di ciglia vive./E in battito d'ali muore. Mentre di Ombretta, la mia secondogenita, tra i tanti fumetti amorosi e autoironici che lei realizza divertendosi e divertendo, ho recuperato una frase piccola ma tenerissima di quando era bambina, a me dedicata: Il mio amore per te è l’unica certezza che ho nella vita! GRAZIE per aver scelto di volermi bene! Ombretta. E giù lacrime di commozione per tanta purezza di cuore, convinta assolutezza, dolcissima gratitudine, insolita nella comunicazione amorosa di figlia alla madre. E Daniela, la mia ultimogenita, dà con le seguenti parole d’amore l’ultimo saluto a suo padre: Mi piace salutarti, papà, con queste parole… parole che ho sepolto in fondo al cuore, perché il tempo ha spighe di grano e falce d’acciaio contro le intenzioni e campi di girasole al tramonto per le mie emozioni. E, alla scoperta del tuo cuore fragile, ho opposto il mio orgoglio, la mia rabbia – che ora non cerca più ragioni – la mia indifferenza. Ora sei inno alla vita, forza dirompente dell’attimo, sei riscatto e coraggio, sei scoperta, bisogno, rimpianto, sei tutti gli abbracci che non ti ho più dato, sei ferita di parole, silenzio assordante, incredibile assenza; sei i miei occhi e la sfrontatezza di osare, la mia ironia, sei curiosità e spinta ad imparare, sei ogni cosa che non ti ho saputo raccontare. Sei la pace desiderata - disperatamente cercata - alla guerra, che non ha più senso, ora… adesso che della guerra sono rimaste solo le macerie… ma, ora, i tuoi sogni, appena scoperti, sono le ali del mio domani. Ti strigo a me, come “un neonato che quando stringe con il suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito di suo padre, lo tiene stretto per sempre”. Anche qui lacrime a non finire. L’amore sconfina nelle lacrime? Probabilmente avviene molto più spesso di quanto si creda. Soprattutto nei rapporti conflittuali in cui c’è troppo amore inespresso. E ci si accorge troppo tardi di quanto ci sia venuto a mancare il non detto. Anche Giuliano, l’unico maschio della nidiata (con un figlio, Livio, purtroppo, mai nato), rivolse al padre l’ultimo saluto con lo stesso rimpianto, la stessa scoperta postuma, riservata alla genialità difficile e folle di chi amiamo e da cui temiamo di non essere ricambiati solo per afasia di parole non del cuore. “La tua era la voce”, così Giuliano scrisse all’alba di quella triste giornata del 4 giugno di oltre 13 anni fa: La tua era la voce tonante che faceva tremare i muri, i vetri; era quella che ci faceva scappare nelle nostre stanze a cercar rifugio. Ma era anche la furiosa dolcezza del rimprovero giusto, perché lo so che, anche nei tuoi ostinati silenzi, soffrivi per le nostre sconfitte e gioivi per le nostre vittorie. Ci hai voluto bene, papà, lo so, lo sappiamo. Ed hai voluto bene a nostra madre, tua compagna di vita per la vita, delicato fiocco di neve all’apparenza fragile, capace però di arginare ogni possente irruenza del tuo vulcano sempre acceso. Ho la maglietta di Kurt Cobain addosso. Il primo CD dei Nirvana me lo hai regalato tu. E sei stato tu ad avvisarmi della morte violenta del loro cantante. Ero venuto a trovarti a scuola, come spesso facevo di ritorno dall’università, e mi dicesti: “Hai letto? Il cantante dei Nirvana si è tolto la vita!”. E, appena hai visto la mia reazione sconvolta, hai aggiunto: “vabbè che l’ultimo disco non era un granché, ma la sua reazione mi sembra esagerata!”. Grazie per il tuo senso dell’umorismo sempre pungente. Grazie per la tua sconfinata passione per la musica, il cinema, l’arte tutta. Grazie perché davi da mangiare ai gattini. Grazie per i tuoi quadri, le tue foto, i tuoi racconti; grazie per il pane caldo la mattina e il caffè che mi preparavi. Ti dedico una canzone che ti piaceva tanto. Te la dedico per salutarti, genio maledetto, e per ringraziarti ancora una volta per l’ultimo dolcissimo saluto a mamma. Grazie per l’ultima emozione a tua disposizione che le hai dedicato. Grazie per avercela fatta. Grazie per questo regalo prezioso, papà. Oggi più che mai ho bisogno di te, avrò il tuo sguardo e avrò i tuoi occhi e sarò bello, sarò forte, camminerò come un uomo, nessuno potrà farmi più del male… La canzone è del mio eroe di sempre e per sempre, che spesso paragonavo a te. “VAI A LETTO; ORA PAPA’/ SI STA FACENDO TARDI// ORA FINALMENTE CAPISCO/ TUTTE LE COSE CHE/ AVRESTI VOLUTO E NON/ HAI MAI POTUTO DIRE”. Buon viaggio, papà. Giuliano. E mi è sembrato giusto partire dalla nostra famiglia perché è il miracolo d’amore che più conosco, conosciamo, avendolo vissuto insieme, nel bene e nel male, per oltre quarant’anni. Con tutte le possibili sfaccettature che raccontano questo sentimento, che è perdizione e salvezza, soprattutto in seno al nido familiare, dove più ci si ama e più ci si ferisce. Nella propria casa e fuori nel mondo, attraversato in fuga e riattraversato in un ritorno che non ha mai fine.  E non finisce. Oggi, 26 settembre, ricordiamo tutti la tragedia della morte prematura di Nicola Parisi, di soli anni 33, rapinato all’amore della sua giovane sposa, mia sorella Anna Maria, alla sua adorata bimba Isabella di soli nove mesi, alla seconda bimba annidata ancora sotto il cuore della sua donna disperata, e a tutti noi che gli volevamo bene. E Anna Maria oggi, dopo 47 anni da quel terribile giorno, lo ricorda ancora così: INDIMENTICABILE (26 settembre 1974-26 settembre 2021). Per anni, disperata, ho pianto la tua morte e ti cercavo nella nostra casa, per le strade, nel paese, nei sogni. Tu non c’eri e mi sentivo morta anch’io… oggi, invece, sento che tu sei VIVO e ti ritrovo nel volto, nello sguardo e nel sorriso di Nicole. Nelle sue espressioni e nella sua bontà d’animo. Tu sei in Francesco, nel suo amore per gli animali, nella sua creatività, nel suo essere deciso, preciso, e caparbio. Ti ritrovo nei suoi gesti affettuosi e nel suo amore per i nonni. E sei anche in Sofia, nel suo essere completa e capace di realizzare con le mani tante cose. Sei nella sua determinazione, nella sua volontà e nel suo cimentarsi in mille attività con passione e senso di responsabilità. E, infine, ti ritrovo in Andrea, “ballerino come te, capace di inscenare macchiette spiritose e divertenti. Sei nella sua voglia di affermarsi ed anche nelle sconfitte che lo fanno soffrire tanto! Abbiamo quattro nipoti meravigliosi e tu hai lasciato, in ognuno di loro, parte di te! Hai comunque lasciato in me un grande vuoto. Sei andato via troppo presto e adesso io sono una vecchia signora, che ti ricorda sempre… E tu ancora un ragazzo! Con Gianni parlo spesso di te e lui sta ad ascoltarmi, perché ha la tua stessa sensibilità d’animo. È un bravo compagno di vita nonostante il nervosismo che gli riviene dal passato. Nonostante tutto, sono stata fortunata! Annamaria. Nicola era un artista, un pittore originale e molto apprezzato, un ballerino provetto e un ragazzo innamorato. Gianni è uno scrittore appassionato, un poeta suo malgrado, un uomo capace di silenzioso amore oblativo per Anna Maria le sue figlie e i suoi adorati nipotini. Ma si prodiga anche per qualsiasi persona abbia bisogno di lui. Infine, nella nostra casa è di casa l’Arte in genere, l'arte della parola, della fotografia, del restauro  (Pino), della scrittura, la poesia. È un “marchio di qualità”, un dono grandissimo, dobbiamo ringraziare i nostri antenati, mio nonno Mincuccio in primis. Scriviamo tutti. E tutti abbiamo una nostra connotazione stilistica. Ma quello che più conta: sappiamo amare ancora prima di ricevere amore. E questo ritengo sia il dono più grande che è reperibile a chiare lettere nel nostro DNA. Ma domani oltrepasso i confini di noi per proporre poesie e brani d’amore di amici poeti e scrittori della nostra Casa editrice e non. A prestissimo e… buona domenica di sole e di prodigi, che mi stanno facendo versare lacrime di commozione e di felicità. A prestissimo. Angela 

domenica 19 settembre 2021

Domenica 19 settembre 2021: altre poesie d'AMORE dei nostri giorni o quasi...

 Prima di passare ai poeti italiani contemporanei e a quelli del prossimo futuro, ritengo opportuno approfondire brevemente la struttura, le forme e gli elementi propri del “codice poetico” per comprendere meglio il passaggio dal “vecchio” al “nuovo” modo di scrivere poesia. Il codice poetico dunque:

-          È un discorso in versi: “le parole sono disposte secondo segmenti di diversa misura”, che possono raggrupparsi in differenti modi. I versi si alternano agli spazi bianchi, che Paul Eluard definisce “margini di silenzio”, molto significativi per comprendere la struttura di una poesia e molto altro (le parole non dette, il senso oltre le parole dette, lo slargarsi dell’ultima parola, il ritmo proprio di una poesia, la sua musicalità…).

-          La stessa denominazione (canzone, sonetto, ballata ecc.) dipende dalla struttura dei versi. Per esempio, una poesia molto musicale, definita poesia lirica, deriva dallo strumento musicale a corde con cui gli antichi cantori si accompagnavano recitando i loro versi perlopiù in endecasillabi (origini orali della poesia).

-          In un testo poetico nulla è casuale: il gioco linguistico della disposizione delle parole per dare loro un ritmo, una musicalità, una sorta di melodia è strettamente legato al significato che si vuol dare al componimento poetico e al suo significante. Dall’insieme dell’uno e dell’altro, compresi gli spazi bianchi, scaturisce il senso che non è mai definito, regolare, dato una volta per tutte. Di qui le difficoltà di tradurre le poesie in altre lingue: il testo originario, dovendo sottostare al mutamento delle parole, viene sempre falsato e tradito nel ritmo, nel suono e, quindi, nel senso (traduttore-traditore). Bisogna essere poeti per tradurre il testo originario delle poesie “straniere” alla propria lingua.

-          La poesia è, pertanto, una esperienza intima e profonda, legata all’immaginario del poeta che spesso nasce da una emozione, una folgorazione, una intuizione, per cui necessita proprio di quelle parole, di quelle immagini tradotte con quelle parole e non con altre e non in altro modo. L’emozione può nascere da una situazione presente, dal ricordo o dalla proiezione in una situazione futura, per cui spesso si ha nei versi il processo di attualizzazione. Questo è uno dei modi di procedere del “fare poesia”.

-          Nella poesia, infatti, si concentrano le immagini, le sensazioni, le emozioni del poeta. Di qui la sua essenzialità. Condensazione e simbolizzazione sono procedimenti frequenti anche se non obbligatori di fare poesia. Niente è obbligatorio nel linguaggio poetico, che è espressione di totale libertà nel rispetto della forma specifica della poesia che è determinata dalla bellezza del verso. Tale bellezza, il più delle volte, scaturisce da una “fulminea illuminazione” o da una ricerca sulla polisemia (o polivalenza del significato) della parola. Spesso, poi, in un poeta sono ricorrenti alcune parole a lui particolarmente care che vengono definite stilemi o parole-chiave di quel determinato poeta, connotanti la sua poesia. Ma importanti sono anche i “campi semantici”, cioè quelle espressioni che sono tipicamente legate ai temi che quel poeta tratta più frequentemente di altri o che connotano quella particolare raccolta: la memoria, la vita e la morte, la guerra, i problemi sociali filtrati dalla propria sensibilità poetica, ecc.

-          Prosa e poesia, però, non sono antitetiche così come sembrerebbe perché ci sono poesie che volutamente hanno un tono discorsivo e di ampio respiro e prose altamente liriche: tutto dipende dalla scelta delle parole e dalla loro composizione e disposizione, proprio come fossero uno spartito musicale. Oggi si parla di “intenzione comunicativa”, dopo tanta incomunicabilità sia in prosa che in poesia, come in tutte le altre arti, compreso il cinema, ossia la “decima musa”, la stessa televisione. Ma nei poeti di ultima generazione pare ci sia una sorta di ritorno al “trobar clus” della poesia trobadorica ed ermetica dei poeti provenzali del XII-XIII secolo; poesia rivisitata in chiave contemporanea contro il “trobar leu” della poesia chiara, semplice, scorrevole, che pure ha una sua ragione d’essere dopo tanto sperimentalismo novecentesco, rivolto a dare massimo risalto al significante a discapito del significato. Oggi prevale, come sappiamo, la significazione. Inoltre,

-          la poesia è in grado di “potenziareogni attimo che passa, le realtà e gli eventi più umili e più semplici della vita e del nostro quotidiano, facendoci discernere ciò che rimane da ciò che ci attraversa. Grandi poeti del secolo scorso, come Szymborska e Titos Patrikios hanno saputo esaltare questo potenziamento dell’attimo, o lo stesso Shakespeare. Scelgo come esempio la poesia “Metrò” di Titos Patrikios: Gli anni poi passeranno/ masse di monti e pietra si frapporranno/ tutto sarà dimenticato/ come si dimentica il cibo quotidiano/ che ci tiene in piedi./ Tutto, tranne quell’istante/ in cui sul metrò affollato/ ti aggrappasti al mio braccio.

L’attimo della emozione intensa che si fa perenne memoria. Tutto il resto, sia pure vitale ma quotidiano, rimane senza storia e senza memoria. “Molto sarà dimenticato, (…) escluso ciò che ci ha indirizzato (o costretto) a una predisposizione attiva nei confronti della vita (M. B. Tolusso). Devo questo bellissimo riferimento al colto e prezioso amico Vito Di Chio. Il sonetto di Shakespeare, invece, è giocato tutto sul filo dell’ironia, che potenzia e dilata il senso del gioco linguistico e ne amplifica il significato. “Tu dici” è il titolo: Tu dici che ami la pioggia,/ ma quando piove,/ apri l’ombrello…/ tu dici che ami il sole,/ ma quando splende cerchi l’ombra…/ tu dici che ami il vento,/ ma quando tira chiudi la porta…/ per questo ho paura quando dici/ che mi ami.  

Anche oggi, come è facile notare, spazio e tempo sono i miei tiranni. E soprattutto la mia incapacità di sintesi. Tutto si dilata sotto la lente d’ingrandimento delle mie elucubrazioni analitiche. Purtroppo per chi mi legge. Né ho fatto ancora cenno ai versi che parlano d’AMORE, tema di questi ultimi incontri sul nostro blog. Vado, perciò, a fare degli esempi specifici nei versi di alcuni grandi poeti italiani contemporanei, prima di parlare anche di noi.

Comincio con Saba: Quand’eri/ giovinetta pungevi/ come una mora di macchia. Anche il piede/ t’era un’arma, o selvaggia.// Eri difficile a prendere./     Ancora/ giovane, ancora/ sei bella. I segni/ quelli del dolore, legano/ l’anime nostre, una ne fanno. E dietro/ i capelli nerissimi che avvolgo/ alle mie dita, più non temo il piccolo/ bianco puntuto orecchio demoniaco. Betocchi: I fior d’oscurità, densi, che odorano/ dove tu sei, s’aggirano nell’ombra,/ un’altra luce sento che m’inonda/ queste pupille che l’ombra violano.// Quale tu sei, non so; forse t’adorano le cose antiche in me, tutto circonda/ te in un giardino dove i sensi all’ombra/ tornano ad uno ad uno che ti sfiorano.// L’esser più soli, e l’aggirarsi dove/ tu non sei più, od in remota stanza/ dentro il mio petto, quando lento piove// l’amor di te che oltre di te s’avanza/ forse sarà per questo il dir d’amore/ più dolce dell’amore che ci stanca. Magrelli, ironico, dissacrante, originale: Tu dormi accanto a me così io mi inchini/ e accostato al tuo viso prendo sonno/ come fa lo stoppino/ da uno stoppino che gli passa il fuoco./ E i due lumini stanno/ mentre la fiamma passa e il sonno fila./ Ma mentre fila vibra/ la caldaia nelle cantine./ Laggiù si brucia una natura fossile/ là in fondo arde la Preistoria, morte/ torbe sommerse, fermentate,/ avvampano nel mio termosifone./ In una buia aureola di petrolio/ la cameretta è un nido riscaldato/ da depositi organici, da roghi, da liquami./ E noi, stoppini, siamo le due lingue/ di quell’unica torcia paleozoica. Cardarelli, tra scorrere del tempo e attese amorose deluse: Oggi che t’aspettavo/ non sei venuta./ E la tua assenza so quel che mi dice,/ la tua assenza che tumultuava,/  nel vuoto che hai lasciato,/ come una stella./ Dice che non vuoi amarmi./ Quale un estivo temporale/ s’annuncia e poi s’allontana,/ così ti sei negata alla mia sete./ L’amore, sul nascere,/ ha di quest’improvvisi pentimenti./ Silenziosamente/ ci siamo intesi.// Amore, amore, come sempre,/ vorrei coprirti di fiori e d’insulti. M. L. Spaziani, conosciuta a Bari negli anni Ottanta-Novanta dello scorso secolo e ritrovata a Roma un po’ di anni dopo in un Convegno a lei dedicato. L’eterna “amica amorosa” di Montale. “Sono venuta a Parigi per dimenticarti” è una delle tante poesie d’amore a lui dedicate: Sono venuta a Parigi per dimenticarti/ ma tu ostinato me ne intridi ogni spazio./ Sei la chimera orrida delle gronde di Notre-Dame,/ sei l’angelo che invincibilr sorride.// Veniamo a patti (il contadino e il diavolo): lasciami il giorno per guardare, leggere,/ sprecare il tempo, divertirmi, escluderti./ Notti e sogni, d’accordo, sono tuoi. Altra poetessa straordinaria da noi tutti molto amata è Alda Merini e la sua “folle” ansia di amare: Amai teneramente dei dolcissimi amanti/ senza che essi sapessero mai nulla./ E su questi intessei tele di ragno/ e fui preda della mia stessa materia./ In me l’anima della meretrice/ della santa della sanguinaria e dell’ipocrita./ Molti diedero al mio modo di vivere un nome/ e fui soltanto l’isterica (“La ragazza ladra”). Giuseppe Conte (non parlo dell’uomo politico, ma del poeta) scrive: Sei così bella questa sera/ così assurdamente felice// che dovrei osare ora, subito/ farti scivolare giù la camicia// larga e bianca attraverso/ cui intravedo il tuo seno// e prenderti qui nel giardino/ prenderti sino al primo mattino.// Invece ci siamo appena baciati/ e adesso già fuggiamo via// dicendoci solo: ci rivedremo./ Ma quando? Dove? Chi ci assicura// che tanta brama domani dura? Versi sensuali, lirici (i distici), raffinati, nella forma e nel contenuto. Il carpe diem oraziano ha nuova veste e senso antico. E Raboni, dapprima guerriero d’amore ed essenziale nei suoi “tanti registri linguistici”, nella seconda parte della sua vita si converte a una tensione etica che ha per temi la precarietà dell’esistenza e della morte: Dio sì pietoso che Longino il cieco/ di tante malefatte mandò assolto/ voglia che insieme in stanza/ con lei mi giaccia, e per mantenimento/ d’un’antica promessa al dolce lume/ con baci e risa il bel corpo discopra. E con lui, inevitabile, Patrizia Valduga, sua ultima compagna di vita e di passione ardente. Con una cifra erotica tutta sua e con versi che ripropongono la metrica tradizionale in una insolita rivisitazione, ma propria nostri giorni: Vieni, entra e coglimi, saggiami provami…/ comprimimi discioglimi tormentami…/ infiammami programmami rinnovami./ Accelera… rallenta… disorientami.// Cuocimi bollimi addentami… covami./ Poi fondimi e confondimi… spaventami…/ nuocimi, perdimi e trovami, giovami./ Scovami… ardimi bruciami arroventami.// Stringimi e allentami, calmami e aumentami./ Domami, sgominami poi sgomentami…/ dissociami divorami… comprovami.// Legami annegami e infine annientami./ Addormentami e ancora entra… riprovami./ Incoronami. Eternami. Inargentami. L’ultimo verso è sublime.

E mi fermo qui. Ora dovrebbe essere più facile, credo, tracciare un percorso di trasformazione del linguaggio poetico a cavallo tra gli ultimi due secoli, anche sullo stesso tema: la passione amorosa, declinata in tutte le sue innumerevoli accezioni. E potremmo essere pronti a parlare anche degli epigoni da protagonisti. La prossima puntata sarà tutta di noi e per noi!   

 

 

 

 

mercoledì 15 settembre 2021

Mercoledì 15 settembre 2021: ancora l'AMORE e i poeti stranieri a me cari...

Riprendo con Mallarmé: Se tu lo vuoi ci ameremo/ Con le tue labbra lo taceremo/ Questa rosa non la impedire/ Che per un silenzio peggiore// Mai canti pronti fan fluire/ Del sorrider lo splendore/ Se tu lo vuoi ci ameremo/ Con le tue labbra lo taceremo// Muto muto in mezzo alle spire/ Silfo nell’ostro imperatore/ Un bacio si squarcia in ardore/ Fino all’ali nel punto estremo/ Se tu lo vuoi ci ameremo. Verlaine e “Il mio sogno ricorrente”: Vedo sovente in sogno, - rarità sorprendente,/ l’amata sconosciuta - e che mi corrisponde/ e che non è ogni volta - la medesima donna/ né mai del tutto un’altra - ma mi capisce e m’ama.// E poiché mi capisce, - il mio cuore traspare/ per lei sola, davvero!, - prosciolto dagli enigmi;/ persino gli essudati - dalla mia fronte scialba/ lei sola, mentre piange, - lei li sa rinfrescare.// È bruna, bionda o fulva? - Io non lo so, l’ignoro./ Il nome? Mi ricordo - che è sonoro e garbato,/ pari al nome d’amanti - dalla vita esiliati.// Ed il suo sguardo eguaglia - lo sguardo delle statue./ Calma, grave e remote, - la sua voce possiede/ l’accento delle voci - ammutolite e care. E, con lui, Rimbaud in “Sensazione”. Naturalmente, come sappiamo i due s’amarono alla follia, ma si riferivano a donne per non incorrere in sanzioni anche legate al carcere, come avvenne a Oscar Wilde: Le sere turchine d’estate andrò nei sentieri/ Punzecchiato dal grano, calpestando erba fina:/ Sentirò, trasognato, quella frescura ai piedi./ E lascerò che il vento m’inondi il capo nudo.// non dirò niente, non penserò niente: ma/ L’amore infinito mi salirà nell’anima,/ E andrò lontano, più lontano, come uno zingaro,/ Nella Natura, - felice come con una donna. Baudelaire, intanto, mi affascina col suo “Profumo esotico” e con i suoi versi infuocati, insoliti, irriverenti, ma estremamente emozionanti: Quando, a occhi chiusi, una calda sera d’autunno,/respiro il profumo del tuo seno ardente,/ vedo scorrere rive felici che abbagliano/ i fuochi di un sole monotono;/ una pigra isola in cui la natura/ esprime alberi bizzarri e frutti saporosi,/ uomini dal corpo snello e vigoroso/ e donne che meravigliano per la franchezza degli occhi./ Guidato dal tuo profumo verso climi che incantano,/ vedo un porto pieno d’alberi e di vele/ ancora affaticati dall’onda marina,/ mentre il profumo dei verdi tamarindi/ che circola nell’aria e mi gonfia le narici,/ si mescola nella mia anima al canto dei marinai. E, tra gli americani, mi piace viaggiare “on the roud” con Kerouak, che ha scritto anche poesie d’amore, ma quanto amare! Come “Da vecchio”: Quando comincerò a invecchiare/ E forse sentirò il braccio sinistro/ intorpidirsi/ E il cervello resistita speranza;/ Siederò addormentato/ L’energia soffocata esaurita nel mio occhio/ E l’amore fuggito da me/ Quando la peggior notizia/ Mi fu portata/ Ed esultai di essere solo/ Di ormai essere morto/ Ho avuto la visione del santo/ Misconosciuto & troppo stanco/ per spiegare il perché/ E di dolci intenzioni/ un altro giorno -/Persino Stanley Gould/ andrà in cielo. Ed ecco la bellissima e tormentata, ma profondamente vera “Canzone” di Ginsberg. Una poesia d’amore dedicata a Neal Cassady, colui che senza scrivere mai ispirò poesie e romanzi ai poeti maledetti della beat generation: Il peso del mondo/ è amore./ Sotto il fardello/ di solitudine/ sotto il fardello/ dell’insoddisfazione// il peso,/ il peso che portiamo/ è amore.// Chi può negarlo?/ In sogno/ ci tocca/ il corpo,/ nel pensiero/ costruisce/ un miracolo,/ nell’immaginazione/ s’angoscia/ fino a nascer/ nell’umano -// s’affaccia dal cuore/ bruciando di purezza -/ poiché il fardello della vita/ è amore,// ma noi il peso lo portiamo/ stancamente,/ e dobbiamo trovar riposo/ tra le braccia dell’amore/ infine,/ trovar riposo tra le braccia/ dell’amore.// Non c’è riposo/ senza amore,/ né sonno/ senza sogni/ d’amore - / sia matto o gelido/ ossesso d’angeli/ o macchine,/ il desiderio finale/ è amore/ - non può essere amaro/ non può negare,/ non può negarsi/ se negato:// il peso è troppo// deve dare/ senza nulla in cambio/ così come il pensiero/ si dà/ in solitudine/ con tutta la bravura/ del suo eccesso.// I corpi caldi/ splendono insieme/ al buio/ la mano si muove/verso il centro/ della carne,/ la pelle trema/ di felicità/ e l’anima viene/ gioiosa fino agli occhi -/ sì, sì,/ questo è quel/che volevo,/ ho sempre voluto,/ ho sempre voluto,/ tornare, al mio corpo/ dove sono nato. Anche a Bukowski. Oltre la meravigliosa poesia che tutti conosciamo e amiamo perché ci fa sognare “Non ho mai smesso di pensarti”, ecco una poesia non precisamente nelle corde bukowskiane, tra il grottesco e il blasfemo, tra la violenza delle descrizioni di sesso e la tenerezza che la parola impregnata d’amore sprigiona in lui. Qui è evidente il gioco del desiderare tra visione, movimento del corpo e musica, che quei movimenti estremizza e dilata. Il titolo è lunghissimo e intensamente descrittivo, come la stessa poesia con una conclusione tutta buskowskiana: “ragazza in minigonna che legge la bibbia davanti alla mia finestra”: domenica, sto mangiando/ un pompelmo. a ovest/ nella chiesa russa ortodossa/ è finita la funzione./ lei è bruna/ d’origine orientale,/ i grandi occhi castani si alzano e si abbassano/ sulla bibbia, una piccola bibbia rossa/ e nera, e mentre legge/ le si muovono le gambe senza posa,/ fa un lento ballo ritmico/ leggendo la sua bibbia…/ lunghi orecchini d’oro;/ 2 braccialetti d’oro su ogni polso,/ ed è, immagino, un minivestito,/ la stoffa le fascia il corpo,/ quella stoffa è la più lieve delle abbronzature,/ si torce di qua e di là,/ giovani gambe lunghe calde al sole…// impossibile sfuggire alla sua esistenza/ impossibile desiderare…/ la mia radio suona musica sinfonica/ che lei non può sentire/ ma i suoi movimenti coincidono esattamente/ con i ritmi/ della sinfonia…// è bruna, è bruna/ e legge la parola di Dio// io sono Dio.  E potrei continuare a lungo in questo mio percorso alternativo in compagnia dei “poeti maledetti”, ma non posso assolutamente ignorare quelli che sono “benedetti” dalla parola poetica, che si fa davvero “canto e incanto” quando s’intreccia con la parola AMORE. Shakespeare, per esempio, e i suoi meravigliosi sonetti d’amore, alcuni dei quali sono stati tradotti, con grande padronanza della lingua, maestria e attenzione alla resa poetica dalla nostra amica Anna Mininno. Naturalmente propongo qui un sonetto tra i meno conosciuti (forse): “Devo paragonarti a una giornata estiva?”, in cui il più grande drammaturgo di tutti i tempi evidenzia la consapevolezza che le sue opere rimarranno immortali: Devo paragonarti a una giornata estiva?/ Tu sei più incantevole e mite./ Impetuosi venti scuotono le tenere gemme di maggio/ e il corso dell’estate è fin troppo breve./ Talvolta troppo caldo splende l’occhio del cielo/ e spesso il suo aureo volto è offuscato,/ e ogni bellezza col tempo perde il suo fulgore,/ sciupata dal caso e dal corso mutevole della natura./ Ma la tua eterna estate non sfiorirà,/ né perderai possesso della tua bellezza; né morte si vanterà di coprirti con la sua ombra,/ poiché tu cresci nel tempo in versi eterni./ Finché uomini respirano e occhi vedono,/ vivranno questi miei versi, e daranno a te vita. Lo stesso dicasi di altri grandi poeti, da Hermann Hesse a Goethe, da Salinas a Joyce, da Hikmet a Kavafis… E, allora, proviamo con una bella poesia di Hermann Hesse “Notturno”, in cui all’incanto lunare si affianca la divina musica di Chopin e tutto diventa magia di un sogno: Notturno di Chopin in mi bemolle./ L’arco della finestra colmo di luce./ Ed anche sul tuo volto compassato/ un’aureola in volo si è adagiata./ In nessun’altra notte mi ha toccato/ il silenzioso argento della luna/ così che nel profondo inesprimibile/ dolce ho avvertito un cantico dei cantici.// Tacevi. Anch’io; la muta lontananza/ si dissolveva in luce. Nessun segno/ di vita, se non nel lago una coppia di cigni/ e su di noi il corso delle stelle.// La tua figura si stagliò nell’arco/ della finestra e dalla luna un bordo/ argenteo avvolse l’esile tuo collo/ e la mano distesa. E Goethe e la sua rivelatrice poesia “Vicino all’amato”: Penso a te quando il bagliore del sole/   s’irradia dal mare;   / penso a te quando il barlume della luna/   si specchia nelle fonti.   // Vedo te quando per via, lontano,/   si solleva la polvere;   / di notte, quando sul ponte sottile/   trema il viandante.   // Ascolto te dove con cupo scroscio/   l’onda s’innalza;   / nel bosco quieto vado spesso e origlio/   quando tutto è silenzio.   // Sono vicino a te, pur se tanto lontano/   tu mi sei accanto.   / Cala il sole; tra poco brilleranno le stelle./ Se tu fossi qui, adesso! Di Salinas sono tante le poesie d’amore che incontriamo nella splendida raccolta La voce a te dovuta. E proprio da questa raccolta ecco una poesia poco conosciuta, credo, forse meno appassionata delle altre perché si esplicita in sordina nei brevi dialoghi, che sono meno coinvolgenti di quelli che Salinas è solito fare, ma è una lirica sicuramente di grande impatto emotivo nei due versi conclusivi: I cieli sono uguali./ Azzurri, grigi, neri,/ si ripetono sopra/ l’arancio o la pietra:/ guardarli ci avvicina./ Annullano le stelle,/ tanto sono lontane,/ le distanze del mondo./ Se noi vogliamo unirci,/ non guardare mai avanti:/ tutto pieno d’abissi,/ di date e di leghe./ Abbandonati e galleggia/ sopra il mare o sull’erba,/ immobile, il viso al cielo./ Ti sentirai calare/ lenta, verso l’alto,/ nella vita dell’aria./ E ci incontreremo/ oltre le differenze/ invincibili, sabbie,/ rocce, anni, ormai soli,/ nuotatori celesti,/ naufraghi dei cieli. Poi, un insolito Joyce: L’amore mio è vestita di luce/   In mezzo ai meli   / Dove i lieti venti più bramano/   Di correre insieme.   // Là dove i venti lieti restano un poco/  A corteggiare le giovani foglie,  /L’amor mio va lentamente, china/  Alla propria ombra sull’erba;  // Là dove il cielo è una coppa azzurrina/  Rovescia sulla terra ridente,  / Va l’amor mio luminoso, sostenendo/  Con garbo la veste. Mentre Hikmet è Hikmet e basta: Sei la mia schiavitù sei la mia libertà/  sei la mia carne che brucia   /  come la nuda carne delle notti d’estate/ sei la mia patria/  tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi/  tu, alta e vittoriosa   / sei la mia nostalgia/ di saperti inaccessibile/ nel momento stesso/ in cui ti afferro. Kavafis e il suo ardente e supplice amore in “Torna”: Torna sovente e prendimi,/ palpito amato, allora torna e prendimi,/ che si ridesta viva la memoria/ del corpo, e antiche brame trascorrono nel sangue,/ allora che le labbra ricordano, e le carni,/ e nelle mani un senso tattile si raccende.// Torna sovente e prendimi, la notte,/ allora che le labbra ricordano, e le carni…  

E devo necessariamente stopparmi perché è giunto il tempo di tornare ai poeti italiani dei nostri giorni. Per giungere anche a noi, che abbiamo pazientato tanto. Anche noi abbiamo il nostro piccolo/grande miracolo d’amore tradotto in poesia. Fra un paio di giorni saremo i protagonisti di questo nostro “appassionato” blog… con tanto tanto AMORE ancora…            

 

 

  

lunedì 13 settembre 2021

Lunedì 13 settembre 2021: L'AMORE per Ungaretti, Quasimodo, Montale... e altro!

Non è difficile trovare in questi tre pilastri della Poesia Italiana del Novecento poesie d’amore come ci vien fatto di pensare, dato che hanno attraversato buona parte del Novecento, un secolo molto ricco di trasformazioni e cambiamenti in ogni campo e anche in quello letterario e soprattutto poetico. Lo studio della psicanalisi di Freud, come già detto, influenzò enormemente il pensiero di scrittori e poeti, che cominciarono ad avvertire la necessità di percorrere le vie interiori per scoprire le proprie paure e le proprie angosce esistenziali, dovute anche all’atmosfera di precarietà e dolore create dalle due guerre mondiali. C’è, invece, una splendida fioritura di poesie d’amore proprio per esorcizzare “venti di guerra” e interiori fragilità, per aggrapparsi al sogno della parola, intensa ed emotiva, che solo il sentimento amoroso giustifica e universalizza. Di Ungaretti mi piace ricordare  tra le poesie appassionate e folli di un amore senile, vissuto con l’ardore di un adolescente, dedicate alla giovanissima Bruna Bianco, quella intitolata “12 settembre 1966” (non a caso la propongo oggi): Sei comparsa al portone/ in un vestito rosso/ per dirmi che sei fuoco/ che consuma e riaccende.// Una spina mi ha punto/ delle tue rose rosse/ perché succhiassi al dito,/ come già tuo il mio sangue.// Percorremmo la strada/ che lacera il rigoglio/ della selvaggia altura,/ ma già da molto tempo/ sapevo che soffrendo con temeraria fede/ l’età per vincere non conta.// Era di lunedì/ per stringerci le mani/ e parlare felici/ non si trovò rifugio/ che in un giardino triste/ della città convulsa. Anche Quasimodo vive un forte amore senile per una giovane donna, Curzia Ferrari, negli ultimi anni della sua vita. Tra le poesie che le ha dedicato ho scelto “Mi chiedi parole”: Mi chiedi parole. Ma il tempo/ precipita come un masso sulla mia anima/ che vuole certezze, e più non ha sillabe/ da offrire se non quelle silenziose/ del sangue legate al tuo nome,/o mia vita, mio amore senza fine. E poi Montale. Anche lui poeta di un solo amore (per sua moglie a cui dedicò la struggente e immortale poesia d’amore “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale…”) e di tanti amori.  La poesia che segue è per “Clizia”, dedicata a Irma Brandeis, simbolo di rinascita ma anche “d’inferno certo”: Lo sai: debbo riperderti e non/    posso    / Come un tiro aggiustato mi/    sommuove   / ogni opera, ogni grido, e anche/    lo spiro   / salino che straripa   / da moli e fa l’oscura primavera/   di Sottoripa.   / Paese di ferrame e alberature/ a selva nella polvere del vespro./   Un ronzio lungo viene  /   dall’aperto,     /strazia con l’unghia i vetri. Cerco/   il segno   / smarrito, il pegno solo ch’ebbi in /   grazia   /   da te   /  E l’inferno è certo. E oggi è l’anniversario della morte di questo nostro grande poeta. Ma mi fermo qui con i poeti ermetici del Novecento per aprire la porta agli amori, più o meno altrettanto folli, di alcuni poeti stranieri famosi tra quelli che più amo. John Keats, per esempio: Compassione ti chiedo - e pietà - e amore - sì, amore,/ Un amore misericordioso che strazio soltanto non sia,/ Costante, innocente, con un pensiero solo dominante,/ Senza veli o maschere, che anche nudo sia puro!/ Tutta, tutta, lasciami averti - mia!/ La tua forma e la tua bellezza, quel veleno dolce/ D’amore, il tuo bacio, e le mani, e gli occhi divini,/ Il seno caldo, bianco, luminoso, capace di mille piaceri -/ Te stessa - la tua anima - per pietà, tutta lasciami averti,/ E non tenerti un atomo solo - o morirò -/ Se vivessi sarebbe come un servo miserabile,/ Dimentico, tra tanta inutile infelicità,/ Ch’abbia un senso la vita - il palato della mente/ Perdendo il suo gusto, la mia ambizione la vista. Supplica d’amore, dunque, che ripropone il “pensiero dominante” di Leopardi perché la donna si doni al poeta in ogni atomo del suo essere corpo-mente-cuore-anima. E, per “par condicio”, ecco una donna, la grande poetessa russa Achmatova: Strinsi le mani sotto il velo scuro…/ <Perché oggi sei pallida?>/ Perché d’agra tristezza/ l’ho abbeverato fino ad ubriacarlo.// Come dimenticare? Uscì vacillando,/ sulla bocca una smorfia di dolore…/ Corsi senza sfiorare la ringhiera,/ corsi dietro di lui fino al portone.// Soffocando, gridai: <È stato tutto/ uno scherzo. Muoio se te ne vai>./ Lui sorrise calmo, crudele/ e mi disse: <Non startene al vento>. Altra supplica, ma di ben altro genere, mentre l’amore si spegne per un atroce scherzo o una verità finalmente rivelata… E P.B. Shelley: Se i tuoi baci, bella fanciulla, io temo,/ Tu i miei non devi temere/ Troppo è oppresso il mio spirito/ Per opprimere anche il tuo// Se il tuo aspetto, i tuoi modi, i tuoi gesti io temo/ Tu i miei non devi temere/ Innocente è la preghiera del cuore/ Con la quale il tuo cuore io imploro. Ancora una implorazione per ottenere amore da parte di un grande poeta, mentre la straordinaria e da tutti noi amata Emily Dickinson per la sua insopprimibile solitudine sospira, implorando amore proprio all’Amore, con il rammarico di non essere in due, appunto: Amore, tu sei alto,/ e non posso scalarti,/ ma se fossimo in due,/ chissà mai, se allenandoci/ sul Chimborazo,/ ducali, non potremmo alla fine raggiungerti?// Amore sei profondo/ e non so traversarti,/ ma se fossimo in due/ invece d’uno,/ la barca e il rematore, una suprema estate,/ chissà se non potremmo toccare il sole?// Amore, sei velato/ e ben pochi ti scorgono - /Sorridono, si alterano/ e balbettano e muoiono./ Sarebbe assurda la felicità senza di te/ a cui Dio pose nome Eternità - E l’allucinato Poe, così inquieto e inquietante, non è esente dalle pene d’amore, disperandosi per la fanciulla amata, i suoi occhi grigi e i suoi passi di danza: Amore sei stata per me/ Tutto ciò che la mia anima anelava:/ Amore, un’isola verde nel mare,/ Una fonte e un tempio,/ Di magici frutti inghirlandati/ E tutti miei quei fiori.// Ah sogno troppo splendido per durare!/ Ah stellata speranza! che sorgesti/ Soltanto per impallidire!/ Una voce che vien dal Futuro/ <Avanti! Avanti!> grida. Ma sul Passato/ (Buio baratro!) indeciso il mio spirito vacilla/ Muto, immobile, sgomento!// Perché ahimé! La luce/ Della Vita per me è spenta!/ Mai più, mai più, mai più/ (Così alle sabbie lungo il lido/ Parla solenne il mare)/ Fiorirà l’albero dalla folgore colpito/ Né si alzerà in volo l’aquila ferita!/ E tutti i miei giorni son delirio,/ e tutti i miei sogni della notte/ Sono nel lume dei tuoi occhi grigi/ E dove scintillano i tuoi passi:/ In quelle eteree danze,/ Lungo quei rivi eterni. (“Per qualcuno in Paradiso”). E con lui parlerei di tutti i “poeti maledetti” stranieri e dei loro folli amori tra alcol, droghe allucinazioni, perdizioni. Tra i poeti francesi: Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, Baudelaire… Tra gli americani: Kerouac, Ginsberg, Kassady, Bukowski e tanti altri ancora sparsi in tutto il mondo… ci proverò nei prossimi giorni. Vorrei però proporre ancora una voce femminile di grande impatto emotivo, donna coraggiosa, poetessa ad “alta tensione” con le sue depressioni i suoi sperimentalismi poetici, il suo suicidio: Matina Cvetaeva e la sua poesia “Indizi”: Come spostando pietre:/ geme ogni giuntura! Riconosco/ l’amore dal dolore/ lungo tutto il corpo.// Come un immenso campo aperto7 alle bufere. Riconosco/ l’amore dal lontano/ di chi mi è accanto:// Come se mi avessero scavato/ dentro fino al midollo. Riconosco/ l’amore dal pianto delle vene/ lungo tutto il corpo.//Vandalo in un’aureola/ di vento! Riconosco/ l’amore dallo strappo/ delle più fedeli corde// vocali: ruggine, crudo sale/ nella strettoia della gola./ Riconosco l’amore dal boato/ - dal trillo beato -/ lungo tutto il corpo!

E anche per oggi chiudo qui. Avrei voluto pubblicare questo nuovo percorso poetico sull’amore già ieri, ma poi altri impegni me lo hanno impedito. Ma 13 settembre 2021 desidero ricordare Giovanni Gastel: Sei mesi fa, a quest’ora, affidasti i tuoi sogni d’amore a Dio e acconciasti le ali per raggiungerlo dove ogni ansia terrena si placa e si annulla nella Sua divina carezza. Ma sei rimasto nel nostro cuore con tutta la Bellezza che ci hai regalato con le tue foto e le tue poesie, con tutta l’amorevole generosità con cui hai accolto ciascuno di noi, pago di veder fiorire la gioia ad ogni tuo sguardo, ogni tua parola, ogni tuo sorriso a chi hai incontrato per un giorno o per la vita. Sono questi gli “abbracci” le “attenzioni minime e immense” che ti rendevano davvero felice. Infatti solo due anni fa così scrivevi sulla tua Pagina FB: Un abbraccio vi manderò/ da questo mio mondo di parole./ Un abbraccio forte/ da questa mia solitaria isola./ Un abbraccio aspetterò/ mentre qui scende la sera/ inesorabilmente come il destino./ Un abbraccio/ che porterò con me fino al giorno/in cui memoria e sogno/ balleranno confusi nella mia mente./Un abbraccio. Castellaro 2019 Era questo il tuo costante aprirti agli altri per offrire e ricevere amore, senza mai pensare a una “deminutio” della tua fama e grandezza, del tuo nome. Desideravi solo amare ed essere amato. Grazie e ancora GRAZIE, Giovanni!

Ed io rispondo così oggi ai tuoi abbracci di sempre: Frementi destrieri i giorni/ galoppano con te verso/ il tuo lago e anticipano la gioia/ dell’incontro nell’abbraccio/ delle acque che sanno di te

/ a rivoluzionare il mondo/ nell’impeto d’assalto alle buone/ maniere che di giorno sono ferrea/

regola “misura dell’onestà dell’uomo”/ della sua inviolata dignità,/ ma di notte complice il mistero/

che canta e incanta con serti di poesie/ impallidiscono e si acquattano vinte/ mentre ti brillano tra le mani e i fogli/ luci a migliaia per percorrere altre vie./ E tu novello Robin Hood corri/ a rubare il sogno dei buoni sentimenti/ ormai in disuso per restituirlo/ alla gente che lo ignora e si accalca/ all’ombra del tuo albero maestro/ che sa il bene e il male/ e riaccende di rinnovato amore per il mondo/ per gli altri e per la vita/    l’alba di nuovi domani    / (e farai dono di te ancora ancora ancora…) Angela

Alla prossima…

    

giovedì 9 settembre 2021

Giovedì 9 settembre 2021: AMORE ancora AMORE ancora POESIA...

Ringrazio innanzitutto Mariateresa Bari e Giulia Basile per i lusinghieri commenti su questo nostro “… viaggio, nella grandezza di versi immortali, incisi sulla nostra pelle, nei nostri occhi, nei nostri cuori…” (M.B.). Ometto il bellissimo e gratificante commento di Giulia per non peccare di autoreferenzialità. Sempre grata, comunque, ricambio stima e affetto a entrambe.
E riprendo subito con Leopardi e i suoi Canti e incanti. Mi piace prendere uno stralcio significativo, allo scopo di mettere a fuoco il “dominante” sentimento d’amore e gli effetti spesso destabilizzanti che produce, dal lunghissimo testo de “Il pensiero dominante”, di cui ho scelto solo l’inizio e la conclusione per ovvi motivi di spazio e di tempo: Dolcissimo, possente/ dominator di mia profonda mente;/ terribile, ma caro/ dono del ciel; consorte/ ai lùgubri miei giorni,/ pensier che innanzi a me sì spesso torni.// Di tua natura arcana/ chi non favella? Il suo poter fra noi/ chi non senti? Pur sempre/ che in dir gli effetti suoi/ le umane lingue il sentir proprio sprona,/ par novo ad ascoltar ciò ch’ei ragiona. (…) Da che ti vidi pria,/ di qual mia seria cura ultimo obbietto/ non fosti tu? Quanto del giorno è scorso,/ ch’io di te non pensassi? Ai sogni miei/ la tua sovrana imago/ quante volte mancò? Bella qual sogno,/ angelica sembianza,/ nella terrena stanza,/ nell’alte vie dell’universo intero,/ che chiedo io mai, che spero/ altro che gli occhi tuoi veder più vago?/ Altro più dolce aver che il tuo pensiero? Ma anche Ippolito Nievo non sfugge al desiderio amoroso e ai suoi ardenti strali. Mentre, però, il poeta di Recanati si strugge d’amore invano, l’audace garibaldino con la sua divisa e il suo ardente fuoco ottiene alla fine baci sempre più appassionati. “In terra”: Oggi non vana immagine/ né in acqua capovolta/ l’ebbi, ma viva ed ansia/ l’ho fra le braccia accolta,/ e fu sì dolce l’impeto/ e fu il piacer sì forte/ che dalle labbra smorte/ l’anima mia fuggì./ Misto al languor dell’estasi/ sentiva a poco a poco/ nuovo desio riaccendersi/ dei colti baci al foco./ L’armi ella intanto, l’abito/ squadrava e i bei ricami:/ l’amor da tali esami/ certo più vispo uscì. E Olindo Guerrini gli fa da eco, pur con qualche raro dubbio e alcune certezze di troppo: Domani ella verrà! – Domani è certo/ che il tempo mi parrà lungo, mortale/ quando commenterò sull’uscio aperto/ ogni passo che suoni in sulle scale.// Verrà! Verrà! Ma perché dunque, incerto,/ palpito e tremo come un collegiale?/ Ah, purché tutto non sia già scoperto!/ Purché la mamma non sospetti il male!// Dentro una voce susurrarmi sento:/ verrà… doman verrà! Chi più l’aspetta/ lo ritrova più dolce il gran momento!// Come calda sarà la prima stretta/ della sua man tremante e lo spavento/ de’ primi baci dietro la veletta! Poi un altro grande dell’Ottocento: Giovanni Pascoli con la sua poesia delle piccole cose e dei grandi tormenti. Scelgo “La tessitrice”: Mi son seduto ne la panchetta/ come una volta… quanti anni fa?/ Ella, come una volta, s’è stretta/ ne la panchetta.// E non il suono d’una parola;/ solo un sorriso tutto pietà./ La bianca mano lascia la spola.// Piango e le dico: Come ho potuto,/ dolce mio bene, partir da te?/ Piange e mi dice d’un cenno muto:/ Come hai potuto?// Con un sospiro quindi la cassa/ tira del muto pettine a sé./ Muta la spola passa e ripassa.// Piango, e le chiedo: Perché non suona/ dunque l’arguto pettine più?/ Ella mi fissa timida e buona:/ Perché non suona?// E piange, piange. – Mio dolce amore,/ non t’hanno detto? Non lo sai tu?/ Io non son viva che nel tuo cuore./ Morta! Sì, morta! Se tesso, tesso/ per te soltanto; come, non so;/ in questa tela, sotto il cipresso,/ accanto alfine ti dormirò. – Amore e morte, ecco un altro aspetto dell’amore tanto caro ai poeti che dal Settecento (si pensi ai “Poemi ossianici” di Macpherson) ci conducono all’Ottocento e dall’Ottocento ci traghettano al Novecento, al lungo “secolo breve” (Eric Hobsbawm) di inimmaginabili trasformazioni sociali, culturali, letterarie nel passaggio non indolore dal Romanticismo, Simbolismo, Realismo al Futurismo, Estetismo dannunziano, Ermetismo, Sperimentalismo e Neorealismo, correnti dovute alla nuova condizione umana, sospesa tra il fallimento del Positivismo e un senso nuovo di smarrimento, legato anche alle scoperte di Freud riguardanti la psiche dell’uomo e i suoi vari stadi nelle varie età della vita, a partire dall’infanzia. L’inconscio e il subconscio affiorano alla mente adulta in lotta con l’ego e il superego, creando una condizione di perenne conflitto in personalità fragili e tormentate, soprattutto tra i poeti, che avvertono sempre più l’urgenza di allontanarsi dalle pseudo certezze dell’età romantica per dare nuovo senso alla vita e alle Arti in genere, compresa la poesia, stritolata tra il fascismo, le due guerre mondiali e la difficilissima rinascita. Spero che queste reminiscenze di studi lontani nel tempo e necessariamente sintetici e frammentari non mi stiano tradendo più di tanto. E riparto con D’Annunzio e la sua teoria del “superuomo” (mediata dalla filosofia di Nietzsche), che lo indusse a imprese eroiche come i leggendari voli durante la Grande Guerra, che lo vide protagonista nella “beffa di Buccari”, a Vienna, a Fiume… da cui trarrà ispirazione anche la sua poesia patriottica e non solo. Ecco una poesia d’amore, non tra le più famose ma insolita per un uomo dall’edonismo e dal vitalismo prorompente che ha fatto della vita un’opera d’arte estrema come le sue stesse teorie. Si intitola “Stringiti a me”: Stringiti a me,/ abbandonati a me,/ sicura./ Io non ti mancherò/ e tu non mi mancherai./ Troveremo,/ troveremo la verità segreta/ su cui il nostro amore/ potrà riposare per sempre,/ immutabile./ Non ti chiudere a me,/ non soffrire sola,/ non nascondermi il tuo tormento./ Parlami,/ quando il cuore/ ti si gonfia di pena./ Lasciami sperare/ che io potrei consolarti./ Nulla sia taciuto tra noi/ e nulla sia celato./ Oso ricordarti un patto/ che tu medesima hai posto./ Parlami/ e ti risponderò/ sempre senza mentire./ Lascia che io t’aiuti,/ poiché da te/ mi viene tanto bene!  Al contrario, Luigi Pirandello che, con Italo Svevo, meglio ha interpretato le angosce esistenziali dell’uomo del XX secolo, scrive una poesia, “Amor sincero”, molto lontana dalle “maschere” e dai “lanternoni” di cui sono pieni la sua prosa e il suo Teatro, ma  insolita, a mio parere, per la sua anima tormentata, nel modo di concepire l’amore tra verità e incoerenza: Io vorrei che le donne graziose/ fossero come fiori d’un giardino./ Io me n’andrei tra le animate rose,/ cantando pei viali ogni mattino;// tra lor m’adagerei pianin pianino,/ me le vedrei d’attorno, in su lo stelo/ chine ver me, parlarmi davvicino,/ e sarei pago del lor dolce anelo.// Poi tutte, ad una ad una, io le correi;/ mi starebbe ciascuna un dì sul seno,/ a godersi i miei baci e i sospir miei.// Oppur nessuna ne vorrei toccare;/ vorrei, senza succhiare miele o veleno,/ il profumo aspirarne e oltre andare. Certo, avrei potuto scegliere la ben più nota e romantica  “E l’amore guardò il tempo e rise…”, ma desidero percorsi alternativi che mostrino l’altra faccia della luna… Anche di Cesare Pavese scelgo non la ben più famosa “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, ma “Ti ho sempre soltanto veduta” che parla dell’amore come tormento e intoccato sogno: Ti ho sempre soltanto veduta,/ senza parlarti mai,/ nei tuoi istanti più belli./ Ma ho l’anima ormai tanto tesa,/ schiantata dalla tua figura,/ che non trovo pace/ al suo brivido atroce./ E non posso parlarti,/ nemmeno avvicinarmi,/ ché cadrebbero tutti i miei sogni./ Oh se tale è il tremore orribile/ che ho nell’anima questa notte,/ e non ti conoscerò mai,/ che cosa diverrebbe il mio povero cuore/ sotto l’urto del sangue,/ alla sublimità di te?/ Se ora mi par di morire,/ che vertigine folle,/ che palpiti moribondi,/ che urli di voluttà e di languore/ mi darebbe la tua realtà?/ Ma io non posso parlarti,/ e nemmeno avvicinarmi:/ nei tuoi istanti più belli/ti ho sempre soltanto veduta,/ sempre soltanto sognata. Ed ecco la necessità di inoltrarci nel Novecento con i prodromi dell’Ermetismo in Saba, Rebora, Campana, Sbarbaro fino a giungere ai tre grandi rappresentanti: Ungaretti, Quasimodo, Montale. Ma mi riservo di parlarne la prossima volta perché meritano tutta la nostra attenzione e ammirazione, rappresentando le colonne della poetica “criptica” e “analogica” che annovera ancora oggi validissimi epigoni… ciao       

lunedì 6 settembre 2021

Lunedì 6 settembre 2021: e di AMORE percorriamo le vie che fioriscono di POESIA...

Venerdì scorso davanti al Teatro comunale della nostra Corato l’AMORE ha trionfato in tutta la verità e la sua fallibilità nelle nostre vite di viandanti in cerca di desideri da realizzare e di sogni da afferrare per continuare a vivere e a sperare che si faccia luce nei nostri cuori, attanagliati dalle tenebre delle ore buie di una pandemia che continua a frenare abbracci, sorrisi e lacrime. Imperativo categorico cui sottostare se non vogliamo rischiare nuovi contagi, nuove quarantene. Ma “amor omnia vincit” ed è stato bello cantarlo in tutte le sfumature che si vestono di mille colori escluso il grigio che è terra di nessuno. E “tante sfumature di grigio” non tendono a rischiarare il senso e il significato dell’amore né ad annullarlo in virtù delle sue molteplici perversioni. L’AMORE  È. In tutta la sua luce, le sue ombre. Ma deve essere AMORE e non una sua supposizione o finzione. Perché, se “capita” (ne ha parlato Federico Lotito con convinzione e tenerezza a Luciana De Palma, la sua donna per la vita) e quando capita non lo si può nascondere tanto è luminoso e bello. Si espande tra la terra e il cielo, accarezza il mare, attraversa gli oceani, impazzisce di gioia, si rifugia sulla luna, sicuro di superarla nel suo splendore, di contagiarla di follia o menzogna e forse di verità. Peccato che io non possa trasferire su questa pagina la magnifica serata di venerdì scorso perché in tanti (relatori, lettrici, figure istituzionali, coordinatrice di serata e soprattutto uno stratosferico, illuminato, illuminante Mario Sicolo, il nostro amato giornalista, direttore del DaBitonto) hanno “magnificato” questo sentimento che “move il sole e l’altre stelle”, schiudendoci le porte del Paradiso. Certo, attraversa molte fasi e la prima, quella assolutamente magica, è la fase dell’innamoramento in cui albe e tramonti si accendono di rosso e contaminano l’universo. Ma l’amore non è solo questa follia irrazionale e bruciante, è anche molto di più e, purtroppo, a volte o spesso, molto di meno. Dipende. Dipende dagli incontri, dal DNA, dalla cultura familiare e sociale, dal tempo e dallo spazio, dalla capacità o possibilità di prendersi cura dell’altro/a, dalla sofferenza che comporta e dal dolore o dalla gioia che si riesce a condividere senza mai identificarsi con l’altro/a, ma rimanendo liberi di essere sé stessi. Dipende dalle convergenze che si sedimentano e si fanno abitudini e forse anche catene restie al cambiamento o dalle divergenze e dalla possibilità di perdersi per sempre o anche di ritrovarsi se questo sentimento è forte, tenace, persistente. Innumerevoli sono le modalità di amare e di essere Amore. Innumerevoli le sue espansioni ed espressioni. Nessuno può farne a meno. Meno che mai i poeti che si nutrono d’amore in tutte le sue sfaccettature. Ed è stato proprio il monologo/capolavoro di Mario Sicolo, degno del miglior Benigni e oltre… a darmi la stura per ripercorrere insieme a voi, mie amiche e miei amici carissimi, la storia poetica (che ne è testimonianza) da lui magnificamene declamata (egli stesso romanticissimo poeta) con insuperabile estro autoironico, brioso e mordace insieme. Da Saffo ai nostri giorni (e mi limito con tutti i miei limiti, e per inevitabili “sommissimi capi”, alla storia letteraria che conosco. E menomale, altrimenti mi ci sarebbero voluti trattati su trattati, non confacenti al mio tempo sempre più breve e alla ricerca/studio che avrei dovuto necessariamente fare). Dunque, confortata dalla vostra quasi certa benevolenza, oso.

Saffo: Eros ha scosso la mia mente/ come vento che giù dal monte/ batte sulle querce.// Sei giunta, ti bramavo,/ hai dato ristori alla mia anima/ bruciante di desiderio. Catullo: Viviamo, mia Lesbia, e amiamo/ e ogni mormorio perfido dei vecchi/ valga per noi la più vile moneta./ Il giorno può morire e poi risorgere,/ ma quando muore il nostro breve giorno,/ una notte infinita dormiremo./  Tu dammi mille baci, e quindi cento,/ poi dammene altri mille, e quindi cento,/ quindi continui mille, e quindi cento./ E quando poi saranno mille e mille/ nasconderemo il loro vero numero/ che non getti il malocchio l’invidioso/ per un numero di baci così alto. E Paolo Silenziario: Nascondiamo, mia Ròdope, i baci/ e le dolci battaglie di Cipride./ È bello sfuggire a uno sguardo che tutto vede e sospetta:/ l’amore furtivo ha più miele di quello esibito. E salto a Dante, il Sommo Poeta: Ne li occhi porta la mia donna Amore,/ per che si fa gentile ciò ch’ella mira;/ ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira,/ e cui saluta fa tremar lo core,// sì che, bassando il viso, tutto smore,/ e d’ogni suo difetto allor sospira:/ fugge dinanzi a lei superbia  ed ira./ Aiutatemi, donne, farle onore.// Ogne dolcezza, ogne pensero umile/ nasce nel cor a chi parlar la sente,/ ond’è laudato chi prima la vide.// Quel ch’ella par quando un poco sorride,/ non si po' dicer né tenere a mente,/ sì è novo miracolo e gentile. Inevitabile è Petrarca: Erano i capei d’oro a l’aura sparsi/ che ‘n mille dolci nodi gli avolgea,/ e ‘l vago lume oltre misura ardea/ di quei begli occhi ch’or ne son sì scarsi;// e ‘l viso di pietosi color’ farsi,/ non so se vero o falso, mi parea:/ i’ che l’esca amorosa al petto avea,/ qual meraviglia se di sùbito arsi?// Non era l’andar suo cosa mortale,/ ma d’angelica forma et le parole/ sonavan altro che pur voce humana:// uno spirto celeste, un vivo sole/ fu quel ch’i’ vidi, e se non fosse or tale,/ piagha per allentar d’arco non sana. Segue a ruota Boccaccio con la sua imprudente pruderie nel “casto” (si fa per dire) Trecento: Iscinta e scalza, con trezze avvolte,/ e d’un scoglio in altro trapassando,/ conche marine da quelli spiccando,/ giva la donna mia con altre molte.// E l’onde, quasi in sé tutte raccolte,/ con picciol moto i bianchi piè bagnando,/ innanzi si spingevano mormorando/ e ritraènsi iterando le volte.// E se tal volta, forse di bagnarsi/ temendo, i vestimenti in su tirava,/ sì ch’io vedeo più della gamba schiuso,// oh, quali avria veduto allora farsi,/ chi rimirato avesse dov’io stava,/ gli occhi mia vaghi di mirar più suso! E poi Ariosto: Lasso, che bramo ancor, che più vogl’io,/ se nulla cosa da voler mi resta,/ e son, senza disio, pien di disio?// Amor mi tien pur sempre in gioia e ‘n festa;/ che brami adunque, disiosa voglia?/ che nova cosa è quel che mi molesta?// Io voglio, ma io non so quel ch’io mi voglia;/ e volendo mi doglio; ah duro fato,/ che senza alcun dolor sempre mi doglia!// So purch’io son più lieto e più beato/ di quanti amanti fur felici mai,/ e sopra modo alla mia donna grato.// So ch’ella m’ama e che m’ha caro assai,/ e meco è d’una voglia e d’uno amore,/ e possedo quel bench’io desiai./ma nova voglia ancor resta nel core,/ e senza mai provar, provo tormento/ con certo non so che lieto dolore.// E benché  sia tra li altri il più contento,/ più bramo ancor, bench’io non sappia dire,/ e così, più felice e discontento,// s’altro bramar non so, bramo morire. Naturalmente Tasso: Non sono in queste rive/ fiori così vermigli/ come le labra de la donna mia,/ né ‘l suon de l’aure estive/ tra fonti rose e gigli/ fa del suo canto più dolce armonia./ Canto che m’ardi e piaci,/ t’interrompano solo i nostri baci. Michelangelo Buonarroti a Vittoria Colonna: Un uomo in una donna, anzi uno dio,/ per la sua bocca parla,/ ond’io per ascoltarla/ son fatto tal/ che ma’ più sarò mio./ I’ credo ben po’ ch’io/ a me da lei fu’ tolto,/ fuor di me stesso aver di me pietade;/ sì sopra ‘l van desio/ mi sprona il suo bel volto,/ ch’i’ veggo morte in ogni altra beltade./ O Donna, che passate/ per acqua e foco l’alme a’ lieti giorni,/ deh, fate, c’a me stesso più non torni! Sulla stessa falsariga qualche secolo dopo ecco Pietro Metastasio: Perché, se mia tu sei,/ perché, se tuo son io,/ perché, temer, ben mio,/ ch’io manchi mai di fe’?/ Per chi cangiar potrei,/ per chi cangiar desio,/ mio ben, se tuo son io,/ se il cor più mio non è? Con un balzo raggiungo Foscolo, imperdibile nel suo dolore per amore: Perché taccia il rumor di mia catena/ di lagrime, di speme, e di amor vivi,/ e di silenzio; ché pietà mi affrena,/ se con lei parlo, o di lei penso e scrivo.// Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,/ ove ogni notte Amor seco mi mena,/ qui affido il pianto e i miei danni descrivo,/ qui tutta verso del dolor la piena.//E narro come i grandi occhi ridenti/ arsero d’immortal raggio il mio core,/ come la rosea bocca, e i rilucenti// odorati capelli, ed il candore/ delle divine membra, e i cari accenti/ m’insegnarono alfin pianger d’amore.

E per oggi mi fermo qui. L’Ottocento e il Novecento meritano uno spazio maggiore perché cambia il linguaggio poetico, soprattutto nell’Ottocento, grazie a Giacomo Leopardi e alla sua canzone libera dai legacci dell’endecasillabo, a cui spesso affianca il settenario, affrancandola anche dalla metrica e dalla rima. E nel Novecento, grazie al Futurismo e all’Ermetismo della prima metà del secolo e alle neo avanguardie del secondo Novecento, allo Sperimentalismo con le varie correnti, e al post- Ermetismo di fine secolo. Ne parlerò tra domani e dopodomani per poter giungere alla poetica del terzo millennio e alle sue prospettive per il futuro prossimo. Tante le poesie dei tanti miei amici poeti di ieri, di oggi, di domani. Lo so che sono cose che si sanno, ma rispolverarle fa sempre bene per riscoprirle ancora piene di luce… e continuare. Ciao     

venerdì 3 settembre 2021

Venerdì 3 settembre 2021: continuiamo a parlare d'AMORE...

Mi piace parlare d’amore. Provo un brivido di felicità. Ma anche un brivido di dolore. In vari momenti della nostra vita l’amore assume sfumature diverse: è attesa, sogno, desiderio, scoperta, passione, ardimento, gioia, follia, illusione, delusione, dolore, disperazione, riflessione, stasi, trasformazione, cambiamento, rinascita… È tutto questo e tanto altro ancora. Proviamo insieme a declinarlo in tutti i modi possibili. C’è una poesia bellissima di Giovanni Gastel che vale davvero la pena di leggere:

 Cosa mi dicevi/ bambina che corri/ ancora nella mia memoria?/ Di cosa ridevamo/ guardandoci negli occhi/ pieni di quella cosa/ che crescendo avremmo/ chiamato passione?/ I nostri corpi giovani/ giocavano nel mare/ un gioco che era già/ preludio di quell’amore/ che avremmo per sempre cercato./ Ma che ancora non era/ che splendido casto/ gioco di bambini./ Cerco ciò che resta di me/ di quella purezza/ nella linea del mare/ e nel cielo immobile. (a. c.) E il mio commento: Ritengo che il focus di questa solare poesia risieda negli ultimi due versi che racchiudono la forza perdurante e trascinante di quella fresca, tenera, luminosa esperienza d’infanzia, da te vissuta nelle tue estati al mare e tutta giocata in dinamiche visualizzazioni (il fotografo sempre in agguato!) dei ricordi estivi e degli incontri ingenui e felici. È qui il punto fermo su cui fioriscono vivaci e liete le immagini del passato quasi che tu volessi bloccarle nella immobilità che trattiene persino l’infinito sulla tenera rappresentazione delle prime “prove tecniche” di quell’attrazione fisica che inconsapevolmente riecheggiava AMORE, da conservare intatto nel tempo nei fondali di incontaminata purezza dell’anima. Meravigliosa freschezza delle tre narrazioni sceniche: uditive (le parole ingenuamente maliziose della bambina, tua amica di giochi nel mare e la sua risata argentina); visive (i giochi nell’acqua, le labbra sorridenti d’ingenua sensuale intensità, gli occhi che brillavano di gioiosa vitalità); tattili (“i nostri corpi giovani giocavano nel mare”)… Ed era tutto, allora, un vorticare ludico di sensazioni nuove e improvvise, di emozioni per la prima volta palpitanti e vere, continuamente cercate nel corso degli anni e degli amori vissuti nella loro complessa realtà adulta, non sempre chiara e adamantina. Di qui il tuo anelito a ritrovare in te stesso quell’antica purezza, quel candore indimenticato sotto il “cielo immobile” che tutto attualizzava e rendeva ancora vero… Splendida poesia a rinnovare quell’infanzia tenera e luminosa che ci portiamo nel cuore e ci aiuta a vivere. Tra un gioco di specchi e di sguardi nello specchio del passato che si capovolge in un futuro che abbiamo timore d’immaginare così diverso da ieri, in cui non sapremmo più riconoscerci. Se non per un atto d’amore, vecchio quanto il mondo. Nuovo come ogni nuova alba, guardata con occhi bambini. D’innocenza e di stupore. Ma ecco un’altra poesia, sempre di Giovanni Gastel, che è un inno all’amore adolescente: Ricordo un piccolo cane/ disteso sull’erba tra noi due./ Era il momento dei pensieri profondi/ e delle paure./ Era il tempo difficile dell’adolescenza./Non ricordo/ come vorrebbero da me i poeti illuminati/ “un uggioso divenire di rugiade cedevoli/ e neppure cieli luminosi di arcane memorie”./ Ricordo solo un prato fresco/ e due giovani anime distese/ e un piccolo cane addormentato./ E il futuro che ci guardava con dolcezza/ sotto forma di nuvola immobile/ su di noi. Castellaro 2018 E la tenerezza ci vince e non ci sono più parole da dire. Solo puro incanto al ricordo del primo amore, con le sue scoperte, le sue paure. La sua grazia immobile ed eterna nel cuore.

Ora occorre scoprire un amore che sa d’amore, baci, carezze, passione. L’amore dei vent’anni. Rubo una poesia appassionata di Rita Ritabù Poesie: A dire il vero non so dirti nient’altro/ potrei dirti che c’ero/ nell’ombra di quella sera// la tua bocca di fianco/ e dopo/ più dentro di me/ il tuo bacio// Una fossa scavata/ nell’anima mia bambina// Bello inventare parole/ che mai saranno fra me e te/ Il giardino che ho dentro/profuma di parole taciute/ che non è di parole/ che ti amo (RB IL BACIO- IV classificata fra i vincitori del Concorso Europeo Premio Wilde- Poesia d’Amore- 2020). Ma è bello registrare anche la voce di un poeta, Michele Carniel, che vive il suo amore in maniera altrettanto intensa ma con un suo offrirsi alla persona amata nella sua “esile povertà di uomo - nulla nudità -. Ed è un annientarsi in un grido/sussurro/silenzio di umiltà e coraggio. Di verità: Mi vivi dentro/ come aiuola di loto/ resina di miele/ aggregazione di accesi respiri.// Devio il pensiero di sfiorarti/ dacché inumidisce la brace/ e mi resta da offrirti/ un’esile povertà di uomo – nulla nudità -.// Resto nei recinti, regno/ l’atavica dinastia dei suoni/ l’incedere quasi stantìo del gusto/ un tentativo ossequioso/ di dar da vivere.

Poi, ecco un amore più maturo che sa di matrimonio, famiglia, vita in due o più. Mi viene in soccorso una bella prosa di David la Mantia che canta le lodi di sua moglie Margherita Capuano: Questa donna felice è mia moglie. Vincitrice di un concorso in Regione a 60 anni, dopo essere arrivata 14esima su oltre 500 iscritti al bando. Un bando aperto, per titoli ed esami, non riservato. Marghe ha avuto una vita dura, tanto che, trasferita a 15 anni in Maremma da Rovereto, ha perso due anni al Liceo classico di Grosseto. Eppure si è laureata e specializzata. Marghe ha un fratello invalido al cento per cento ed una famiglia di origine con tanti problemi. Marghe ha adottato con me due bambine in Costarica. E non sono mancate, con le gioie, le difficoltà. Ecco, per dirvi che io sono orgoglioso di lei e per lei. Che lei è un esempio per quelli che pensano che non ci siano più speranze di cambiamento. Che sbagliano.

E l’amore non più giovane, rubato da lacrimaallegra, di cui altro non so: Diventano rughe,/i giorni trascorsi e mai persi,/ Gli inverni di una vetrina appannata,/ Le canzoni sfumate nei versi,/ L’ombra di una donna inseguita./ Diventano rughe,/ Gli anelli indossati e poi tolti,/ i momenti di una lacrima allegra,/ il tempo e i minuti contati,/ L’infanzia e la sua stanza segreta./ Diventano rughe,/ i primi piani di ogni mattina allo specchio,/ I regali che hai fatto a natale,/ La fatica che hai fatto e le scale./ Diventano rughe,/Un raggio di luce oltre il fondo,/ Il giovane vecchio ormai saggio,/ Staccando la spina del mondo.

E, infine, almeno per oggi ma ne parleremo ancora, l’amore da riservare al proprio cuore come risorsa infinita di incanto e di rinascita, in una prosa poetica che abbraccia tanta poesia di Elina Miticocchio: Il cuore è fragole e rose, fragile cristallo dai mille colori che non conto. Non conosco i numeri ma solo le lettere che ho imparato da dola a lasciare sul foglio per farmi compagnia e per abbracciarmi. Scoppia il cuore nella tenerezza di una dedica e sfavilla e riluce e ricuce ferite. Sei tu cuore il mio amore. E sempre di Elina una poesia che completa il senso dell’amore che si fa senso della vita: Ho scelto/ di vivere a colori/ anche le ombre/ attraverso le onde/ un pensiero di gioia/ o la tenerezza di una carezza/ mai dimenticata/ La vita chiede di essere vissuta/ con profondo amore.

 Anche per oggi chiudo qui, sperando che stasera ci si incontri, per chi può, nella piazzetta del nostro Teatro comunale a Corato per continuare a parlare d’AMORE…