domenica 19 settembre 2021

Domenica 19 settembre 2021: altre poesie d'AMORE dei nostri giorni o quasi...

 Prima di passare ai poeti italiani contemporanei e a quelli del prossimo futuro, ritengo opportuno approfondire brevemente la struttura, le forme e gli elementi propri del “codice poetico” per comprendere meglio il passaggio dal “vecchio” al “nuovo” modo di scrivere poesia. Il codice poetico dunque:

-          È un discorso in versi: “le parole sono disposte secondo segmenti di diversa misura”, che possono raggrupparsi in differenti modi. I versi si alternano agli spazi bianchi, che Paul Eluard definisce “margini di silenzio”, molto significativi per comprendere la struttura di una poesia e molto altro (le parole non dette, il senso oltre le parole dette, lo slargarsi dell’ultima parola, il ritmo proprio di una poesia, la sua musicalità…).

-          La stessa denominazione (canzone, sonetto, ballata ecc.) dipende dalla struttura dei versi. Per esempio, una poesia molto musicale, definita poesia lirica, deriva dallo strumento musicale a corde con cui gli antichi cantori si accompagnavano recitando i loro versi perlopiù in endecasillabi (origini orali della poesia).

-          In un testo poetico nulla è casuale: il gioco linguistico della disposizione delle parole per dare loro un ritmo, una musicalità, una sorta di melodia è strettamente legato al significato che si vuol dare al componimento poetico e al suo significante. Dall’insieme dell’uno e dell’altro, compresi gli spazi bianchi, scaturisce il senso che non è mai definito, regolare, dato una volta per tutte. Di qui le difficoltà di tradurre le poesie in altre lingue: il testo originario, dovendo sottostare al mutamento delle parole, viene sempre falsato e tradito nel ritmo, nel suono e, quindi, nel senso (traduttore-traditore). Bisogna essere poeti per tradurre il testo originario delle poesie “straniere” alla propria lingua.

-          La poesia è, pertanto, una esperienza intima e profonda, legata all’immaginario del poeta che spesso nasce da una emozione, una folgorazione, una intuizione, per cui necessita proprio di quelle parole, di quelle immagini tradotte con quelle parole e non con altre e non in altro modo. L’emozione può nascere da una situazione presente, dal ricordo o dalla proiezione in una situazione futura, per cui spesso si ha nei versi il processo di attualizzazione. Questo è uno dei modi di procedere del “fare poesia”.

-          Nella poesia, infatti, si concentrano le immagini, le sensazioni, le emozioni del poeta. Di qui la sua essenzialità. Condensazione e simbolizzazione sono procedimenti frequenti anche se non obbligatori di fare poesia. Niente è obbligatorio nel linguaggio poetico, che è espressione di totale libertà nel rispetto della forma specifica della poesia che è determinata dalla bellezza del verso. Tale bellezza, il più delle volte, scaturisce da una “fulminea illuminazione” o da una ricerca sulla polisemia (o polivalenza del significato) della parola. Spesso, poi, in un poeta sono ricorrenti alcune parole a lui particolarmente care che vengono definite stilemi o parole-chiave di quel determinato poeta, connotanti la sua poesia. Ma importanti sono anche i “campi semantici”, cioè quelle espressioni che sono tipicamente legate ai temi che quel poeta tratta più frequentemente di altri o che connotano quella particolare raccolta: la memoria, la vita e la morte, la guerra, i problemi sociali filtrati dalla propria sensibilità poetica, ecc.

-          Prosa e poesia, però, non sono antitetiche così come sembrerebbe perché ci sono poesie che volutamente hanno un tono discorsivo e di ampio respiro e prose altamente liriche: tutto dipende dalla scelta delle parole e dalla loro composizione e disposizione, proprio come fossero uno spartito musicale. Oggi si parla di “intenzione comunicativa”, dopo tanta incomunicabilità sia in prosa che in poesia, come in tutte le altre arti, compreso il cinema, ossia la “decima musa”, la stessa televisione. Ma nei poeti di ultima generazione pare ci sia una sorta di ritorno al “trobar clus” della poesia trobadorica ed ermetica dei poeti provenzali del XII-XIII secolo; poesia rivisitata in chiave contemporanea contro il “trobar leu” della poesia chiara, semplice, scorrevole, che pure ha una sua ragione d’essere dopo tanto sperimentalismo novecentesco, rivolto a dare massimo risalto al significante a discapito del significato. Oggi prevale, come sappiamo, la significazione. Inoltre,

-          la poesia è in grado di “potenziareogni attimo che passa, le realtà e gli eventi più umili e più semplici della vita e del nostro quotidiano, facendoci discernere ciò che rimane da ciò che ci attraversa. Grandi poeti del secolo scorso, come Szymborska e Titos Patrikios hanno saputo esaltare questo potenziamento dell’attimo, o lo stesso Shakespeare. Scelgo come esempio la poesia “Metrò” di Titos Patrikios: Gli anni poi passeranno/ masse di monti e pietra si frapporranno/ tutto sarà dimenticato/ come si dimentica il cibo quotidiano/ che ci tiene in piedi./ Tutto, tranne quell’istante/ in cui sul metrò affollato/ ti aggrappasti al mio braccio.

L’attimo della emozione intensa che si fa perenne memoria. Tutto il resto, sia pure vitale ma quotidiano, rimane senza storia e senza memoria. “Molto sarà dimenticato, (…) escluso ciò che ci ha indirizzato (o costretto) a una predisposizione attiva nei confronti della vita (M. B. Tolusso). Devo questo bellissimo riferimento al colto e prezioso amico Vito Di Chio. Il sonetto di Shakespeare, invece, è giocato tutto sul filo dell’ironia, che potenzia e dilata il senso del gioco linguistico e ne amplifica il significato. “Tu dici” è il titolo: Tu dici che ami la pioggia,/ ma quando piove,/ apri l’ombrello…/ tu dici che ami il sole,/ ma quando splende cerchi l’ombra…/ tu dici che ami il vento,/ ma quando tira chiudi la porta…/ per questo ho paura quando dici/ che mi ami.  

Anche oggi, come è facile notare, spazio e tempo sono i miei tiranni. E soprattutto la mia incapacità di sintesi. Tutto si dilata sotto la lente d’ingrandimento delle mie elucubrazioni analitiche. Purtroppo per chi mi legge. Né ho fatto ancora cenno ai versi che parlano d’AMORE, tema di questi ultimi incontri sul nostro blog. Vado, perciò, a fare degli esempi specifici nei versi di alcuni grandi poeti italiani contemporanei, prima di parlare anche di noi.

Comincio con Saba: Quand’eri/ giovinetta pungevi/ come una mora di macchia. Anche il piede/ t’era un’arma, o selvaggia.// Eri difficile a prendere./     Ancora/ giovane, ancora/ sei bella. I segni/ quelli del dolore, legano/ l’anime nostre, una ne fanno. E dietro/ i capelli nerissimi che avvolgo/ alle mie dita, più non temo il piccolo/ bianco puntuto orecchio demoniaco. Betocchi: I fior d’oscurità, densi, che odorano/ dove tu sei, s’aggirano nell’ombra,/ un’altra luce sento che m’inonda/ queste pupille che l’ombra violano.// Quale tu sei, non so; forse t’adorano le cose antiche in me, tutto circonda/ te in un giardino dove i sensi all’ombra/ tornano ad uno ad uno che ti sfiorano.// L’esser più soli, e l’aggirarsi dove/ tu non sei più, od in remota stanza/ dentro il mio petto, quando lento piove// l’amor di te che oltre di te s’avanza/ forse sarà per questo il dir d’amore/ più dolce dell’amore che ci stanca. Magrelli, ironico, dissacrante, originale: Tu dormi accanto a me così io mi inchini/ e accostato al tuo viso prendo sonno/ come fa lo stoppino/ da uno stoppino che gli passa il fuoco./ E i due lumini stanno/ mentre la fiamma passa e il sonno fila./ Ma mentre fila vibra/ la caldaia nelle cantine./ Laggiù si brucia una natura fossile/ là in fondo arde la Preistoria, morte/ torbe sommerse, fermentate,/ avvampano nel mio termosifone./ In una buia aureola di petrolio/ la cameretta è un nido riscaldato/ da depositi organici, da roghi, da liquami./ E noi, stoppini, siamo le due lingue/ di quell’unica torcia paleozoica. Cardarelli, tra scorrere del tempo e attese amorose deluse: Oggi che t’aspettavo/ non sei venuta./ E la tua assenza so quel che mi dice,/ la tua assenza che tumultuava,/  nel vuoto che hai lasciato,/ come una stella./ Dice che non vuoi amarmi./ Quale un estivo temporale/ s’annuncia e poi s’allontana,/ così ti sei negata alla mia sete./ L’amore, sul nascere,/ ha di quest’improvvisi pentimenti./ Silenziosamente/ ci siamo intesi.// Amore, amore, come sempre,/ vorrei coprirti di fiori e d’insulti. M. L. Spaziani, conosciuta a Bari negli anni Ottanta-Novanta dello scorso secolo e ritrovata a Roma un po’ di anni dopo in un Convegno a lei dedicato. L’eterna “amica amorosa” di Montale. “Sono venuta a Parigi per dimenticarti” è una delle tante poesie d’amore a lui dedicate: Sono venuta a Parigi per dimenticarti/ ma tu ostinato me ne intridi ogni spazio./ Sei la chimera orrida delle gronde di Notre-Dame,/ sei l’angelo che invincibilr sorride.// Veniamo a patti (il contadino e il diavolo): lasciami il giorno per guardare, leggere,/ sprecare il tempo, divertirmi, escluderti./ Notti e sogni, d’accordo, sono tuoi. Altra poetessa straordinaria da noi tutti molto amata è Alda Merini e la sua “folle” ansia di amare: Amai teneramente dei dolcissimi amanti/ senza che essi sapessero mai nulla./ E su questi intessei tele di ragno/ e fui preda della mia stessa materia./ In me l’anima della meretrice/ della santa della sanguinaria e dell’ipocrita./ Molti diedero al mio modo di vivere un nome/ e fui soltanto l’isterica (“La ragazza ladra”). Giuseppe Conte (non parlo dell’uomo politico, ma del poeta) scrive: Sei così bella questa sera/ così assurdamente felice// che dovrei osare ora, subito/ farti scivolare giù la camicia// larga e bianca attraverso/ cui intravedo il tuo seno// e prenderti qui nel giardino/ prenderti sino al primo mattino.// Invece ci siamo appena baciati/ e adesso già fuggiamo via// dicendoci solo: ci rivedremo./ Ma quando? Dove? Chi ci assicura// che tanta brama domani dura? Versi sensuali, lirici (i distici), raffinati, nella forma e nel contenuto. Il carpe diem oraziano ha nuova veste e senso antico. E Raboni, dapprima guerriero d’amore ed essenziale nei suoi “tanti registri linguistici”, nella seconda parte della sua vita si converte a una tensione etica che ha per temi la precarietà dell’esistenza e della morte: Dio sì pietoso che Longino il cieco/ di tante malefatte mandò assolto/ voglia che insieme in stanza/ con lei mi giaccia, e per mantenimento/ d’un’antica promessa al dolce lume/ con baci e risa il bel corpo discopra. E con lui, inevitabile, Patrizia Valduga, sua ultima compagna di vita e di passione ardente. Con una cifra erotica tutta sua e con versi che ripropongono la metrica tradizionale in una insolita rivisitazione, ma propria nostri giorni: Vieni, entra e coglimi, saggiami provami…/ comprimimi discioglimi tormentami…/ infiammami programmami rinnovami./ Accelera… rallenta… disorientami.// Cuocimi bollimi addentami… covami./ Poi fondimi e confondimi… spaventami…/ nuocimi, perdimi e trovami, giovami./ Scovami… ardimi bruciami arroventami.// Stringimi e allentami, calmami e aumentami./ Domami, sgominami poi sgomentami…/ dissociami divorami… comprovami.// Legami annegami e infine annientami./ Addormentami e ancora entra… riprovami./ Incoronami. Eternami. Inargentami. L’ultimo verso è sublime.

E mi fermo qui. Ora dovrebbe essere più facile, credo, tracciare un percorso di trasformazione del linguaggio poetico a cavallo tra gli ultimi due secoli, anche sullo stesso tema: la passione amorosa, declinata in tutte le sue innumerevoli accezioni. E potremmo essere pronti a parlare anche degli epigoni da protagonisti. La prossima puntata sarà tutta di noi e per noi!   

 

 

 

 

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