Ringrazio innanzitutto Mariateresa Bari e Giulia Basile per i lusinghieri commenti su questo nostro “… viaggio, nella grandezza di versi immortali, incisi sulla nostra pelle, nei nostri occhi, nei nostri cuori…” (M.B.). Ometto il bellissimo e gratificante commento di Giulia per non peccare di autoreferenzialità. Sempre grata, comunque, ricambio stima e affetto a entrambe.
E
riprendo subito con Leopardi e i suoi Canti e incanti. Mi piace prendere uno
stralcio significativo, allo scopo di mettere a fuoco il “dominante” sentimento
d’amore e gli effetti spesso destabilizzanti che produce, dal lunghissimo testo
de “Il pensiero dominante”, di cui ho scelto solo l’inizio e la conclusione per
ovvi motivi di spazio e di tempo: Dolcissimo,
possente/ dominator di mia profonda mente;/ terribile, ma caro/ dono del ciel;
consorte/ ai lùgubri miei giorni,/ pensier che innanzi a me sì spesso torni.//
Di tua natura arcana/ chi non favella? Il suo poter fra noi/ chi non senti? Pur
sempre/ che in dir gli effetti suoi/ le umane lingue il sentir proprio sprona,/
par novo ad ascoltar ciò ch’ei ragiona. (…) Da che ti vidi pria,/ di qual mia
seria cura ultimo obbietto/ non fosti tu? Quanto del giorno è scorso,/ ch’io di
te non pensassi? Ai sogni miei/ la tua sovrana imago/ quante volte mancò? Bella
qual sogno,/ angelica sembianza,/ nella terrena stanza,/ nell’alte vie dell’universo
intero,/ che chiedo io mai, che spero/ altro che gli occhi tuoi veder più vago?/
Altro più dolce aver che il tuo pensiero? Ma anche Ippolito Nievo non
sfugge al desiderio amoroso e ai suoi ardenti strali. Mentre, però, il poeta di
Recanati si strugge d’amore invano, l’audace garibaldino con la sua divisa e il
suo ardente fuoco ottiene alla fine baci sempre più appassionati. “In terra”: Oggi non vana immagine/ né in acqua
capovolta/ l’ebbi, ma viva ed ansia/ l’ho fra le braccia accolta,/ e fu sì
dolce l’impeto/ e fu il piacer sì forte/ che dalle labbra smorte/ l’anima mia
fuggì./ Misto al languor dell’estasi/ sentiva a poco a poco/ nuovo desio
riaccendersi/ dei colti baci al foco./ L’armi ella intanto, l’abito/ squadrava
e i bei ricami:/ l’amor da tali esami/ certo più vispo uscì. E Olindo
Guerrini gli fa da eco, pur con qualche raro dubbio e alcune certezze di troppo:
Domani ella verrà! – Domani è certo/ che
il tempo mi parrà lungo, mortale/ quando commenterò sull’uscio aperto/ ogni
passo che suoni in sulle scale.// Verrà! Verrà! Ma perché dunque, incerto,/
palpito e tremo come un collegiale?/ Ah, purché tutto non sia già scoperto!/
Purché la mamma non sospetti il male!// Dentro una voce susurrarmi sento:/
verrà… doman verrà! Chi più l’aspetta/ lo ritrova più dolce il gran momento!//
Come calda sarà la prima stretta/ della sua man tremante e lo spavento/ de’
primi baci dietro la veletta! Poi un altro grande dell’Ottocento: Giovanni
Pascoli con la sua poesia delle piccole cose e dei grandi tormenti. Scelgo “La
tessitrice”: Mi son seduto ne la
panchetta/ come una volta… quanti anni fa?/ Ella, come una volta, s’è stretta/
ne la panchetta.// E non il suono d’una parola;/ solo un sorriso tutto pietà./
La bianca mano lascia la spola.// Piango e le dico: Come ho potuto,/ dolce mio
bene, partir da te?/ Piange e mi dice d’un cenno muto:/ Come hai potuto?// Con
un sospiro quindi la cassa/ tira del muto pettine a sé./ Muta la spola passa e
ripassa.// Piango, e le chiedo: Perché non suona/ dunque l’arguto pettine più?/
Ella mi fissa timida e buona:/ Perché non suona?// E piange, piange. – Mio dolce
amore,/ non t’hanno detto? Non lo sai tu?/ Io non son viva che nel tuo cuore./
Morta! Sì, morta! Se tesso, tesso/ per te soltanto; come, non so;/ in questa
tela, sotto il cipresso,/ accanto alfine ti dormirò. – Amore e morte, ecco
un altro aspetto dell’amore tanto caro ai poeti che dal Settecento (si pensi ai
“Poemi ossianici” di Macpherson) ci conducono all’Ottocento e dall’Ottocento ci
traghettano al Novecento, al lungo “secolo breve” (Eric Hobsbawm) di inimmaginabili
trasformazioni sociali, culturali, letterarie nel passaggio non indolore dal Romanticismo,
Simbolismo, Realismo al Futurismo, Estetismo dannunziano, Ermetismo,
Sperimentalismo e Neorealismo, correnti dovute alla nuova condizione umana,
sospesa tra il fallimento del Positivismo e un senso nuovo di smarrimento,
legato anche alle scoperte di Freud riguardanti la psiche dell’uomo e i suoi
vari stadi nelle varie età della vita, a partire dall’infanzia. L’inconscio e
il subconscio affiorano alla mente adulta in lotta con l’ego e il superego,
creando una condizione di perenne conflitto in personalità fragili e
tormentate, soprattutto tra i poeti, che avvertono sempre più l’urgenza di
allontanarsi dalle pseudo certezze dell’età romantica per dare nuovo senso alla
vita e alle Arti in genere, compresa la poesia, stritolata tra il fascismo, le due
guerre mondiali e la difficilissima rinascita. Spero che queste reminiscenze di
studi lontani nel tempo e necessariamente sintetici e frammentari non mi stiano
tradendo più di tanto. E riparto con D’Annunzio e la sua teoria del “superuomo”
(mediata dalla filosofia di Nietzsche), che lo indusse a imprese eroiche come i
leggendari voli durante la Grande Guerra, che lo vide protagonista nella “beffa
di Buccari”, a Vienna, a Fiume… da cui trarrà ispirazione anche la sua poesia
patriottica e non solo. Ecco una poesia d’amore, non tra le più famose ma
insolita per un uomo dall’edonismo e dal vitalismo prorompente che ha fatto
della vita un’opera d’arte estrema come le sue stesse teorie. Si intitola “Stringiti
a me”: Stringiti a me,/ abbandonati a
me,/ sicura./ Io non ti mancherò/ e tu non mi mancherai./ Troveremo,/ troveremo
la verità segreta/ su cui il nostro amore/ potrà riposare per sempre,/
immutabile./ Non ti chiudere a me,/ non soffrire sola,/ non nascondermi il tuo
tormento./ Parlami,/ quando il cuore/ ti si gonfia di pena./ Lasciami sperare/
che io potrei consolarti./ Nulla sia taciuto tra noi/ e nulla sia celato./ Oso
ricordarti un patto/ che tu medesima hai posto./ Parlami/ e ti risponderò/
sempre senza mentire./ Lascia che io t’aiuti,/ poiché da te/ mi viene tanto
bene! Al contrario, Luigi Pirandello
che, con Italo Svevo, meglio ha interpretato le angosce esistenziali dell’uomo
del XX secolo, scrive una poesia, “Amor sincero”, molto lontana dalle “maschere”
e dai “lanternoni” di cui sono pieni la sua prosa e il suo Teatro, ma insolita, a mio parere, per la sua anima
tormentata, nel modo di concepire l’amore tra verità e incoerenza: Io vorrei che le donne graziose/ fossero
come fiori d’un giardino./ Io me n’andrei tra le animate rose,/ cantando pei
viali ogni mattino;// tra lor m’adagerei pianin pianino,/ me le vedrei d’attorno,
in su lo stelo/ chine ver me, parlarmi davvicino,/ e sarei pago del lor dolce
anelo.// Poi tutte, ad una ad una, io le correi;/ mi starebbe ciascuna un dì
sul seno,/ a godersi i miei baci e i sospir miei.// Oppur nessuna ne vorrei
toccare;/ vorrei, senza succhiare miele o veleno,/ il profumo aspirarne e oltre
andare. Certo, avrei potuto scegliere la ben più nota e romantica “E l’amore guardò il tempo e rise…”, ma
desidero percorsi alternativi che mostrino l’altra faccia della luna… Anche di Cesare
Pavese scelgo non la ben più famosa “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, ma “Ti
ho sempre soltanto veduta” che parla dell’amore come tormento e intoccato
sogno: Ti ho sempre soltanto veduta,/
senza parlarti mai,/ nei tuoi istanti più belli./ Ma ho l’anima ormai tanto
tesa,/ schiantata dalla tua figura,/ che non trovo pace/ al suo brivido
atroce./ E non posso parlarti,/ nemmeno avvicinarmi,/ ché cadrebbero tutti i
miei sogni./ Oh se tale è il tremore orribile/ che ho nell’anima questa notte,/
e non ti conoscerò mai,/ che cosa diverrebbe il mio povero cuore/ sotto l’urto
del sangue,/ alla sublimità di te?/ Se ora mi par di morire,/ che vertigine
folle,/ che palpiti moribondi,/ che urli di voluttà e di languore/ mi darebbe
la tua realtà?/ Ma io non posso parlarti,/ e nemmeno avvicinarmi:/ nei tuoi
istanti più belli/ti ho sempre soltanto veduta,/ sempre soltanto sognata. Ed
ecco la necessità di inoltrarci nel Novecento con i prodromi dell’Ermetismo in
Saba, Rebora, Campana, Sbarbaro fino a giungere ai tre grandi rappresentanti:
Ungaretti, Quasimodo, Montale. Ma mi riservo di parlarne la prossima volta perché
meritano tutta la nostra attenzione e ammirazione, rappresentando le colonne
della poetica “criptica” e “analogica” che annovera ancora oggi validissimi
epigoni… ciao
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