martedì 8 luglio 2025

Martedì 8 luglio 2025: LA POESIA POSSIBILE RISORSA DI SALVEZZA...

“Sul Golgota”

Dove hai messo in croce

          l’amore

è rimasta inchiodata

        la Poesia

                   (a.d.l.)

Stiamo vivendo tempi difficilissimi a livello planetario. Abbiamo persino paura del prossimo futuro, anzi, temiamo, a ragion veduta, che il futuro venga negato, non tanto a quelli della mia generazione (che hanno vissuto circa un secolo di trasformazioni rapide e radicali in brevissimo tempo, grazie alle scienze tecnologiche che hanno accorciato tempi e spazi di conoscenza in maniera vorticosa e vertiginosa, tanto da non avere avuto e avere il tempo per assimilare e depositare nella mente ciò che è stato ricercato, scoperto, appreso, attraverso fonti di documentazioni inesistenti o inaccessibili o ignorate solo fino a qualche decennio fa), quanto ai nostri nipoti e pronipoti, che si affacciano oggi agli orizzonti delle loro esperienze esistenziali, molteplici e sempre in bilico, ormai, tra il reale e il virtuale, tra le “moltitudini” che ci abitano (vedi “Canto di me stesso” di Walt Whitman) e le solitudini che ci opprimono nel disagio esistenziale che procurano.

Un’àncora di salvezza forse ce la offre la poesia. Ho una mente poetica, infatti, che mi fa guardare ancora oggi, nonostante i miei tanti anni di vita, il mondo con occhi incantati e visionari e tutto viene vissuto da me con lo stupore di “Alice”, sempre immersa nel suo “Paese delle Meraviglie”, mentre “attraversa lo specchio” della realtà più nera, confortata dalla immaginazione e dalla fantasia, che sono di per sé “creazione” e “ri-creazione” in un fantastico gioco senza fine...

E, del resto, Platone affermava che “la poesia è qualsiasi forza che porti una cosa dal non-essere all’Essere”. Dunque, la poesia è energia, forza, generatività. Ma è anche la dolcezza disperata di Saffo, la tensione lirica di Ibico, l’ossimorico amore/odio di Catullo, la mitezza elegiaca di Tibullo, il travolgente fiume delle terzine dantesche, il malinconico canto d’amore di Petrarca, l’ironica e amara invettiva di Cecco Angiolieri, il polifonico madrigale alla corte del Magnifico a Firenze, e la superba ottava nell’Ariosto… Ode, canzone, ballata, canto, idillio, persino sperimentazione criptica o simbolica, per giungere intatta, fino a noi, imprendibile ma inconfutabile.

Parola essenziale e allusiva nella poesia orientale; canto di dolore e di liberazione nei versi in terra d’Africa o degli indiani d’America. Divertissement musicale di parola ed eleganza per i francesi; impeto e passione per i tedeschi; rivolta e rabbia e stravolgimento per la beat generation. Straniamento quasi sempre. Il poeta è perlopiù in un “altrove” di sé stesso e del mondo. La poesia è “febbre di vita” per alcuni, “esorcizzazione della morte” per altri. È riparazione alle “ferite” che il tempo e gli uomini ci hanno inferto (Mariella Bettarini) ed è innocenza e passione, verginità e peccato, ma è soprattutto “luce che purifica” (Alda Merini). Essa “ferma il tempo e racchiude in sé il cosmo” (Carlo Ossola). Per Holderlin e Heidegger significa “essere in presenza degli Dèi ed essere toccati dalla vicinanza dell’essenza delle cose”, e, dunque, “prologo del cielo”, “stato di grazia”, “illuminazione”, “veggenza”, “rivelazione”…

Il poeta è, dunque, un visionario, un “fingitore” (Pessoa), è “colui che vive il fascino dell’incompleto, dell’ignoto, dell’assurdo” (Mario Praz). È Diogene che con la sua lanterna magica (la luce della poesia) indaga le verità nascoste nella profondità della nostra anima (Machado). Mago e visionario (Nietzsche). E Luzi afferma che è colui che “dispone lo spazio intellettuale ed emotivo ad una esaltante incursione nel molteplice, nel movimento multiforme e contraddittorio in cui si attua la vita”.  

Mi sembra, dunque, che quanto detto sin qui ben si attagli con la ricerca scientifico-creativa di uno studioso geniale come Matteo Gelardi, che è partito dal microcosmo, studiato attraverso la lente di un microscopio per giungere al macrocosmo, attraverso la sua visionaria presa di coscienza dei multiversi che ancora oggi si autorigenerano e ci riempiono di stupore. Le sue teorie in merito hanno raggiunto il mondo intero con la nascita di una nuova scienza che, partita dall’osservazione del muco nasale, è giunta, via via, ad una insolita scoperta di Bellezza, che ingloba nella scienza medica la Poesia, la Moda, la Musica, il Teatro e tutte le Arti in genere, traducendosi in uno Spettacolo favoloso che, partito dal Petruzzelli di Bari, qualche anno fa, sta facendo il giro del mondo, non in 80 giorni (Giulio Verne docet), ma nell’arco di soli pochi anni.

E, allora, ritengo che la Poesia possa dare un ulteriore apporto di Bellezza e di Mistero al loro già felice abbinamento.

La poesia e l’arte, nella figura del dono, non invocano soltanto la loro origine, ma anche la loro destinazione” (Jean Starobinski)

Non mi resta che cominciare a sperare nella Poesia, partendo dal suo valore estetico, etico, taumaturgico. E, del resto, non mi stancherò mai di parlare di poesia. Soprattutto dopo ogni mia salutare e meravigliosa serata, vissuta all’insegna della Poesia, nella Poesia, per la Poesia. Con Poesia. “Poesia anima e respiro dell’Universo”, così è stato intitolato, qualche anno fa, il festival internazionale che ci ha visti coinvolti con entusiasmo e commozione tra parole straniere e una sola voce: quella dell’anima innamorata del canto della vita, tra realtà umana e sacralità divina. Il divino che si fa umano e “s’incarna nella parola” (Paul Valery).

In un momento storico così difficile, oscuro, problematico, amaro, violento, prevaricatore, aberrante, quel festival che s’imperniò sulla interculturalità poetica assunse un significato profondo: “la Poesia unisce i popoli, elimina steccati di ogni genere, rende l’umanità migliore” (Raffaella Leone Pr della Casa editrice SECOP, Corato-Bari).

Abitiamo sotto cieli diversi che è pure lo stesso cielo; abbiamo credi diversi, pure respiriamo lo stesso respiro divino che avvertiamo in tutto il Creato, noi uniche creature tra tutti gli esseri viventi a sapere di un Creatore, padrone della vita e della morte, a cui rivolgiamo la nostra preghiera e il nostro canto.

Parliamo lingue diverse, eppure abbiamo una sola voce: quella della mente, del cuore, dell’anima. Una voce che racchiude in sé Bellezza, Armonia, Compiutezza, Appagamento perché è Sogno, Passione, Memoria, Amore. Ha occhi d’innocenza dell’umanità bambina e si macchia della polisemia ambigua della parola. Bugia e Verità. Straniamento e Appartenenza. Possibilità di perdersi col rischio di mai più ritrovarsi. Solitudine del volo alto (Baudelaire e il suo Albatro) e desiderio di arrivare all’altro e all’altro ancora, fino a ritrovarsi in un “altrove” che è perdita di sé e ritrovamento di tutto l’altro da sé, che dilata orizzonti e non ha più confini.

Di qui, la nostra “Poesia anima e respiro dell’universo”. In quanti modi possiamo denominarla senza mai poterla definire? Illimitatamente. Perché non è misurabile, né quantificabile né modellabile, la poesia. Non occupa uno spazio o un tempo in quanto è spazio e tempo insieme (Carlo Ossola sostiene che la poesia “dimentica il tempo e racchiude in sé il Cosmo”). Poesia è tutto quello che non è e che poi comincia ad essere, grazie alla immensa forza della creatività. La poesia è, pertanto, atto di creazione (Platone). È Spirito che aleggia in ogni dove (ruah, per gli ebrei). Illuminazione perché è Luce che mette in fuga le tenebre. È esperienza di vita che s’infiamma di emozione e trasfigura la realtà in qualcos’altro. È veggenza (Omero era cieco e vedeva mondi meravigliosi con gli occhi della sua anima fino a raggiungere il futuro perché fosse un eterno presente, guadagnandosi l’immortalità: quotidiana conquista degli uomini in gara con gli dèi). È visionarietà. È il segno della disgiunzione perché si ottenga l’unica congiunzione possibile tra erranza e appartenenza. Andiamo oltre noi stessi (erranza) per universalizzare il nostro sentire (appartenenza). È brivido che attraversa il nostro corpo e i suoi cinque sensi per impadronirsi del sesto senso (la sensibilità), che è lama che trafigge la mente, il cuore, l’anima per farsi essenza materica (la pienezza significativa della parola) e pura fonte di senso cristallino e nebuloso nella parola alata. Ecco perché la poesia è atto creativo e di fede. Ci fa credere in quello che facciamo. Nella parola che usiamo per rendere testimonianza di ciò che abbiamo guardato, sentito, vissuto e rivissuto, trasformato, vivificato, nel riso e nel pianto, nella illusione e nella delusione, nel sogno, credendo che fosse vero, e della realtà vissuta come sogno. Tutto questo è poesia e molto molto altro ancora. È attimo di emozione che diventa promessa di eternità. È coraggio di affrontare l’ignoto che è in noi e fuori di noi e avvertirne la discrepanza che procura ansia, dolore, smarrimento. E, nello stesso tempo, quanta pienezza e appagamento e gioia un solo verso ci procura! È la nostra perdizione e la nostra salvezza!

Possiamo ritenerci dei vinti se l’umanità continua a rinascere grazie alla Creatività, filo diretto con Dio, che genera l’Arte in tutte le sue meravigliose forme?

E mi piace concludere con due poesie a conferma dell’immenso valore salvifico della Poesia. La prima è di Primo Leone, di cui ho abbondantemente parlato nei blog precedenti. Si intitola “Luna privata”: È ancora possibile scrivere poesie/ chiudere la finestra/ pensare al cielo/ sui pensieri della gente/ guardare tutte le lune del mondo/ scrivere parole che nessuno leggerà/ investire in azioni del futuro/ scegliere le banalità più geniali/ inchiodare la tua luna in soffitta…/ È ancora possibile/ credere alla magia infantile/ indefinibile intrigante/ di questa luna privata/ nostalgica inquietudine/ di tutti i pensieri impossibili/ che poesia ci restituisce (da La strategia del clown, 1990)  

La seconda è mia. Senza titolo: Il cielo lacrima di rinviati addii/ sapore di pioggia nello specchio/ di larghe pozzanghere/ a fingersi lago e fiume e mare/ e oceano di rinnovati velieri/ e alte bandiere di vittoria/ agli orizzonti inattesi./ Il bianco dei capelli dei vecchi/ non cede alla fragilità delle nuvole/ in un avanzare di ali/ lungo sogni d’erba mai dimenticati./ resisto anch’io agli anni/ mai spenta dagli inciampi/ e le frananti cadute/ col filo testardo della scrittura/ coraggiosa seta doro la sua tessitura/ che mi canta dentro e sorride/ della mano che trema/ non più certa e sicura/ protesa alla carezza di un verso/ per accendere il mio cielo di improvviso splendore/ che colore ha di arcobaleno./ E afferro gomitoli di sole/ da dipanare piano/ in questo lento tramonto/ che avanza silenzioso e arcano/ per ridarmi il chiarore delle stelle/ (finché sapranno i miei occhi/ naufragare nei sogni/ incantarsi di Luce/ vivere di Poesia).

Grazie sempre per la pazienza nel leggere e condividere le mie gioie, i miei dolori, le mie presunzioni, i miei pentimenti… Quella che sono nel bene e nel male. Alla prossima. E ancora: buone vacanze!!!

Angela/lina

mercoledì 2 luglio 2025

Mercoledì 2 luglio 2025: IL RICORDO DELL'INTERVISTA DI ALBERTO BEVILACQUA AD ANGELA DE LEO...

Oggi è il compleanno della mia primogenita, Raffaella. A lei i miei auguri più teneri. È nata il giorno della Madonna delle Grazie, e questo me la rende più cara. Una grazia dolcissima la sua nascita in pieno sole. Fu una bimba precocissima nel parlare. A pochi mesi diceva già “mam-ma” e “bab-bo”. La mia mamma mi rimproverava perché sosteneva che fossi io a sollecitarla, ma non era così e ben presto anche lei se ne rese conto. Era precocissima e basta. Quanti miracoli avvengono nell’infanzia! E tutto questo ben si addice alla sesta domanda che mi rivolse tanti anni fa Alberto Bevilacqua.

D n.6: Il tema ricorrente nei tuoi versi è l’infanzia, da quello che ho potuto leggere in questi giorni dai pochi libri che mi hai donato, riesci qualche volta a proiettarti nel futuro?

R: Indubbiamente poesia è anche “memoria”, ma la memoria, a mio parere, non è solo ricordare i giorni passati, ma soprattutto ciò che non si può o non si vuole dimenticare. Non ricordo più chi l’abbia detto o se è solo una reminiscenza filosofica. I giorni passati non vanno perduti. Soprattutto i giorni vissuti con passione. Ogni attimo vissuto con amore, per amore, ci restituisce, nel tempo, amore, cioè ancora la voglia di essere, di vivere. La memoria serve a questo. A non vanificare/cancellare/annullare neppure un frammento della nostra vita, restituendoci continuamente la pienezza del nostro essere, del nostro esistere, della nostra unica, irripetibile, ampia, profonda esperienza esistenziale. Niente, infatti, è perduto di ciò che è stato perché è servito a renderci come siamo ora e come saremo in futuro. Da qualche parte ho scritto “il passato è un futuro capovolto”, per cui la memoria mi serve anche per proiettarmi nel futuro e per colmarmi di speranza. Spesso, però, anche di nostalgia e rimpianti, dipende dai ricordi che improvvisamente ci assalgono in un eterno ritorno: nostos = ritorno e algos = dolore, dunque “il dolore del ritorno” al passato ritorna a pungere, a farci male. I portoghesi o i brasiliani usano la parola “Saudade” per indicare la nostalgia mista al dolore e al rimpianto. È il titolo di una mia poesia. Ma dura poco. Capita quando non scrivo o non posso scrivere, ma basta poco: uno squarcio di luce, la vista del mare o di un tramonto per ridarmi le ali…

D n.7: Ultimamente cosa o chi ti ha ridato le ali?

R: La nascita del mio nipotino. La vita nella sua esplosione totale. Il ritorno della “grande Speranza”. Il tuffo salvifico nell’infanzia e nello stupore della scoperta (per lui) e della riscoperta (per me) del mondo. Una emozione pura. Indicibile.

D n.8: Ci sono stati momenti altrettanto emozionanti nella tua vita?

R: Certo. Ogni momento vissuto per amore, con amore. Non importa se dato o ricevuto. Comunque, vissuto. Il dono di sé è sempre un’emozione bellissima. Mi piace più donare che ricevere. Non ho grandi attese, per cui quanto mi viene dato per me è sempre un grande regalo inatteso. Perciò più grande, più bello.

D n.9: Quindi, non conosci delusioni…

R: Non è proprio così. Vivo con molta sofferenza le delusioni. Basta un nonnulla a ferirmi purtroppo. Anche i comportamenti normali, quotidiani possono essere vissuti da me come unghiate lancinanti. Dipende dall’umore del momento, dalla situazione interiore. Mi ferisce molto, per esempio, la violenza, anche verbale, o la volgarità o anche la superficialità nei rapporti umani. Tutto ciò che è negativo insomma.

D n.10: Comunque, ti ricordo che non è possibile cancellare il negativo dalla nostra esistenza. È l’inevitabile rovescio della medaglia della positività.

 R: Certo. So benissimo che la vita si alimenta dei suoi contrari. Di contraddizioni. Simone Weil ne ha fatto una teoria filosofica e psicologica molto affascinante. Lei che era partita dalla matematica che non ammette il contrario dei suoi enunciati (due + due = 4 e non può mai dare 5 o 8, e così via). Io penso, però, che ci sia una negatività inevitabile e, qualche volta, anche necessaria e, invece, una negatività gratuita, superflua, inutile e, quindi, davvero pericolosa. È quest’ultima che non accetto e che mi spaventa. Noi tutti, del resto, siamo angeli e demoni nello stesso tempo; i nostri limiti, perciò, sono inevitabili. Ma fare del male intenzionalmente vuol dire “usare” la nostra negatività, metterla in atto ai danni di qualcuno. È questa la negatività della negatività. In pratica, ritengo che la cattiveria si estrinsechi con l’esercizio della volontà, dell’intelligenza, o meglio della furbizia, e di un falso concetto di libertà individuale a discapito di quella sociale. Occorre, allora, pensare a quanto possa rendere “etiche” le nostre azioni e reazioni. E, come ben sai, la morale è la regola che piove dall’alto, il comportamento etico è insito (o dovrebbe esserlo) nella coscienza di ogni persona. Parlo dell’“imperativo categorico kantiano: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”.

D n.11: Ci può essere, secondo te, anche poesia delle o nelle azioni negative o nei pensieri negativi?

R: Probabilmente sì. Ci sono i “poeti maledetti” francesi come Verlaine, Rimbaud, Baudelaire o quelli della nostra “Scapigliatura” a confermarlo. Lo stesso Pier Paolo Pasolini viveva nelle sue opere “l’ossessione del divino” nonostante la sua umanissima umanità “traviata e disperata” e “l’innocenza creaturale” dei borgatari che mercificavano il sesso senza alcun senso di colpa. Tradizionalista e nostalgico, ma anche profeta. Comunista e laico, ma anche di una religiosità profonda e mistica. È un magma di contraddizioni che ribolle tutto nella sua poesia. E che dire di Edgard Allan Poe, che ha descritto l’orrido, immortalandolo?

D n.12: E nella tua poesia c’è posto per l’orrido? Lo chiedo anche a Primo che se ne sta in disparte quasi annoiato, di certo disincantato.

R: Difficile che provi emozioni negative tali da spingermi a scrivere poesie. Il dolore, certo, la violenza. Ma è difficile, per esempio, che la volgarità si traduca in poesia. Non è possibile per me coniugare le due cose. Chi è poeta non può essere mai volgare. Violento sì, fa parte degli eccessi di un artista. Volgare mai. Ma occorre fare anche qui dei distinguo. È necessario focalizzare cosa si intende per volgare. Non esiste mai una norma in qualsiasi ambito della esperienza umana. E qui mi taccio. Ascoltiamo Primo. E Primo sostiene che in quasi tutti i suoi libri fa i conti con l’orrido della notte, del buio, dei fantasmi che abitano la sua anima. Amo Poe. E nei miei racconti o nelle mie poesie vibra anche la sua anima. Non così per i dipinti che sono perlopiù luminosi e illuminanti. Ricchi di voli e di atmosfere oniriche.

D n.13:  A proposito di Poe, Angela, anche tu scrivi racconti, pochi in verità rispetto alle poesie. È un genere che ami meno?

R: Lo amo di più, invece, ma dimentichi che ho cominciato a scrivere contemporaneamente poesie e racconti, novelle, come già ti ho raccontato. Oggi, però, non sempre ho tempi lunghi per scrivere un racconto o un romanzo, già tutti presenti nella mia testa. Come tu sai benissimo, la prosa, a differenza della poesia, è più analitica e descrittiva, più coinvolgente nella sua stesura perché occorre badare ai minimi particolari per essere credibili. La poesia è sintesi. Ha un respiro più breve. Spesso è un’emozione. Vorrei avere più tempo per tentare voli più ampi. Devo purtroppo fare i conti con i molteplici impegni quotidiani, che ogni donna che non è solo mamma o moglie deve svolgere e non è facile. Oltre ad essere insegnante e scrittrice, sono anche preparatrice dei candidati ai vari Concorsi di reclutamento per le Scuole di ogni ordine e grado e persino per Direttori e Presidi. Tutto questo comporta un notevole impegno che si protrae di anno in anno, essendo i concorsi a cadenza biennale. E non sempre riesco a conciliare, senza stanchezza, tutto quello che devo fare nell’arco di un giorno. A risentirne sono i miei figli, mia madre e tutte le persone che più amo e che inevitabilmente trascuro. Mi sforzo di riuscirci e qualche volta accade. Sono per me i momenti magici, i momenti felici. Dovrei amarmi di più? Volermi più bene? Ritagliarmi più spazi tutti per me? Ma, forse, per tutto questo, dovrei nascere di nuovo…

D n.14: Credi nella reincarnazione?

R: Discorso troppo lungo per liquidarlo con una battuta come fa Primo. Io non escludo nulla. Tutto può accadere sotto il cielo come tu m’insegni con i tuoi romanzi, con cui hai vinto innumerevoli prestigiosi premi. Ti manca solo il Nobèl. Non sempre la realtà è ciò che percepiamo con i nostri sensi. Spesso bisogna andare oltre. Il visibile contiene l’invisibile, che è più reale e profondo di ciò che tocchiamo con mano. È la presenza dell’assenza. La voce del silenzio. Il mistero della vita e della morte. Dell’Oltre. L’ansia di infinito e di eterno che ci portiamo dentro perché non sopportiamo di essere mortali. Abbiamo bisogno di immortalità. “Nascemmo dèi e siamo diventati uomini”, mi piace dire e non so se è una reminiscenza filosofica o meno. La poesia è un’ipotesi di eternità. Un tentativo. Battito del cuore. Forse scriviamo anche per questo. Chi non ricorda l’Ode di Orazio “Exegi  monumentum aere perennius”? Mi piacerebbe rinascere se fossi sicura di conservare la mia identità, la mia poesia. Certo, cambierei molte cose, ma molte altre le vorrei rivivere così come le ho vissute. Ci sono state esperienze d’amore e di tenerezza che mi mancano molto. Vorrei poterle riafferrare. Ci sono stati incontri importanti e rapporti conflittuali ma vivi, momenti preziosi di creatività, allegria, sintonia, di esaltazione… E abissi…Ho ricevuto dal buon Dio parecchio, anche se la vita mi ha spesso rapinata. Ma, vorrei rinascere se fossi certa di ritrovare i miei affetti, i miei figli. Se avessi ancora la possibilità di andare incontro agli altri senza pregiudizi, diffidenze, difese. Non amo le barriere. Mi piace incontrare gli altri sul filo della fiducia e dell’abbandono alle confidenze sincere, che significano intimità, trasparenza, complicità empatica.

D n.15: Se invece dovessi dare un addio?

R: Non amo i distacchi. Le fratture. Le separazioni. Mi piace la continuità, anche nella trasformazione, nell’inevitabile cambiamento, nel rinnovamento. So facilmente fare a meno delle cose che mi appartengono, anche di quelle che si è soliti definire “di valore”. Mi piace, per esempio, cambiare casa o paese. Cambiare mobili. Rinnovare oggetti, anche semplicemente spostandoli. Ma mi crea una sofferenza indicibile separarmi dalle persone che amo, forse perché da bambina vivevo frequenti dolorosissimi distacchi da mia madre e anche dai miei nonni materni, con i quali ho vissuto l’infanzia e buona parte dell’adolescenza e della prima giovinezza. Ed ogni volta erano lacrimoni. Il dolore più grande la morte di mio nonno. E con lui la perdita dell’infanzia, del sogno, della fantasia, della bontà, della generosità, della complicità, della tenerezza. Il nonno era tutto questo. Ho fatto fatica a rinascere. Poi… sono rinata migliaia di volte ancora. E sempre grazie a lui. Grazie alla sua costante presenza salvifica che mi accompagna nella vita. Ecco… se dovessi dire addio (e prima o poi dovrò pur farlo) mi piacerebbe lasciare una uguale “eredità di affetti”. Vorrei che tutti gli attimi d’amore vissuti con le persone che amo e per le persone che amo (ho amato, amerò) siano tanti sassolini (frammenti di me) da lasciare lungo il percorso della vita per dare la possibilità a chi volesse incontrarmi di seguire la loro traccia per ritrovarmi. Sarebbe probabilmente il libro più bello, più vero. Quello che non ho ancora scritto, ma vissuto sicuramente tra cuore e anima…

L’intervista si chiuse così con Primo che mi prendeva in giro e Alberto Bevilacqua che si sottopose a diverse foto ricordo e si lasciò andare a ricordi lontani che riguardavano la sua amata Parma, sua nonna Amelia Bacchini, che parlava con i morti e aveva rinforzato, senza saperlo, la sua sensitività e visionarietà; sua madre Lisetta, affetta da crisi maniaco-depressive che gli avevano impedito di scegliere di diventare padre per evitare quella brutta eredità ai figli; e suo padre Mario, spericolato ufficiale dell’aviazione, sempre assente e distante; gli strioni, che incantavano, con le loro  storie assurde e allegre, gli abitanti della parte bassa del Po, dove abitavano i poveri e i diseredati. Ci prese in giro bonariamente con la sua “arlìa”, come definiva la sua benevola ironia. In seguito abbiamo quasi sempre trascorso insieme gli ultimi giorni sulla nave e nei Paesi che andavamo a visitare e ci faceva da cicerone con la sua stratosferica cultura anche per quanto riguardava affreschi, pittura, architettura. Noi eravamo incantati dalla sua affabulazione magica.

Dopo, per alcuni anni ci raggiungeva con una telefonata, una foto con dedica col suo pennarello blu. Scherzando mi chiamava la sua “donna delle meraviglie in seconda” perché ero sensitiva come lui e piena di misteri che avrebbe voluto conoscere e districare. Poi, piano piano quel filo luminoso si è allentato fino a spezzarsi (come è accaduto anche con Ivan Graziani, deceduto solo dopo qualche mese perché già malato senza che ne facesse parola. Sua moglie Anna gli era sempre teneramente accanto con i loro due figli, oggi grandi musicisti come lui).

Di Alberto Bevilacqua, di cui conservo ancora oggi gelosamente tutti i romanzi e le poesie, sapevamo ormai dai giornali, dalle riviste culturali, ma anche di gossip, che stava dolorosamente vivendo enormi difficoltà esistenziali, per le amare vicissitudini in famiglia e con la sua seconda compagna. Ricordo ancora che scriveva continuamente e con accanimento, perché - diceva - non poteva farne a meno. Anche in questo, nel mio piccolo, anch’io mi riconosco. Leggevamo notizie dei suoi tanti premi letterari e cinematografici, accumulati nel tempo. Abbiamo avuto la fortuna di un incontro trasformatosi in amicizia sincera di stima, affetto, “affinità elettive”. Prezioso è ancora per me il suo ricordo.

Ancora grazie per aver condiviso con me questi meravigliosi ricordi. Ancora Buone Vacanze a tutti. Io continuerò a scrivere di tanto in tanto per chi avrà la voglia e la possibilità di leggermi. Un abbraccio grande e pieno di sole. Angela/lina

martedì 1 luglio 2025

Martedì 1° luglio 2025: IL RICORDO DELL'INTERVISTA DI ALBERTO BEVILACQUA AD ANGELA DE LEO (prima parte)

E oggi si cambia pagina e registro. Luglio dà il via all’estate piena e alle vacanze. Quando ero bambina si diceva, nel giorno di San Pietro e San Paolo, il 29 giugno, “oggi si apre il mare”, cioè comincia la stagione di andare in vacanza (per chi se lo poteva permettere) e ci si attrezzava per raggiungere il mare a pochi chilometri da casa. Ebbene, io ero convinta che d’inverno gli adulti chiudessero il mare con enormi tavole per aprirlo a fine giugno. E mi lambiccavo il cervello per capire come facessero a chiudere e ad aprire quella enorme distesa di acque azzurre, sempre in movimento, che tanto mi affascinavano. Ebbene, in seguito, ho imparato a viverlo il mare in tutta la sua immensità: nuotando, andando sul pedalò, facendo parecchie crociere… ma questo è solo l’antefatto di quanto vi vado ora a raccontare. Ed è un ricordo meraviglioso che mi è piovuto tra le mani nel mettere ordine nei cassetti del passato remoto per liberarmene per sempre o per conservare. Ha prevalso questo secondo impulso. Per non dimenticare…

Nel 1996 la Redazione della Rivista femminile <Donna Moderna> organizzò una Crociera letteraria nel Mare Mediterraneo sulla MSC Crociere con tanti scrittori, giornalisti, psicologi, gente di spettacolo, con l’intento di trascorrere 15 giorni di Incontri letterari, Convegni, Tavole rotonde, Spettacoli. Io ero abbonata alla Rivista sin dalla sua nascita 1988 perché già scrivevo novelle, da oltre un decennio, su <Bella> (come vincitrice del Concorso “La penna d’oro”) e su <Marie Claire>, così ricevetti l’invito per due persone a parteciparvi a prezzo scontatissimo. Ospiti d’onore: il famosissimo scrittore Alberto Bevilacqua e la altrettanto famosa Maria Rita Parsi, psicologa e psicoterapeuta di chiara fama. Poi gente di spettacolo come Nino Frassica, il bravissimo cantante Ivan Graziani con la sua meravigliosa famiglia, il duo musicale Antonio e Marcello, il famoso visagista e scrittore a livello mondiale Diego Dalla Palma con la sua mamma Agnese, verso la quale aveva premure di figlio attento, tenero, devoto, l’Azienda di Giocattoli Clementoni con la famiglia al seguito…

Furono quindici giorni di immersione totale nella cultura, negli spettacoli, nella musica, nell’arte e nella bellezza. In un percorso favoloso che comprese le isole greche con Santorini, in primis, fino a raggiungere, Capo Sunio, il promontorio delle meraviglie,  con il tempio di Poseidone, lo Stretto di Corinto da vertigine, prima di giungere al Pireo, al porto di Atene; e ancora, le coste della Turchia, l’Africa settentrionale con l’Egitto, il Cairo, El Alamein col suo Sacrario Militare Italiano, il deserto fino ad Alessandria, sulla foce del Nilo, le Piramidi, per risalire il mare Adriatico e sbarcare, come ultima tappa a Venezia.

Nota divertente ma non troppo: In Egitto, un cammelliere mi rapì mettendomi di peso su un cammello mentre Primo lo inseguiva urlando. Voleva pagarmi con 10 cammelli. Fu un’avventura di paura che, per fortuna, si risolse in risata con la minaccia di far intervenire la Polizia di Stato.

Io e Primo facemmo amicizia soprattutto con Alberto Bevilacqua un affabulatore molto disponibile, ironico, attento agli altri con tanta empatia. Anche Maria Rita Parsi e Ivan Graziani si rivelarono attenti e simpatici conversatori. Conservo ancora molte fotografie bellissime di quei giorni memorabili…

Ma l’amicizia con Alberto fu magica, tanto che una sera, tra il serio e il faceto, volle intervistarci. Ma mentre Primo rispose con esilaranti battute ironiche alle domande dello scrittore, io mi munii di quaderno e penna per annotare a imperituro ricordo le domande e le risposte così da non perderne traccia. Ancora oggi amo scrivere tutto quello che mi sembra interessante e degno di essere ricordato su “NOTE” del mio cellulare, che è diventato uno scrigno prezioso da lasciare in eredità ai miei figli e nipoti. L’unica eredità che posso lasciare ai miei figli e nipoti, visto che da tempo ho distribuito equamente tutto quello che possedevo. Niente montagne di soldi, solo q.b. come le prese di sale per i vari cibi, ma tanto tanto amore dato e ricambiato con amore (più ricevuto che dato a onor del vero, per le mie innumerevoli attività culturali e letterarie che durano ancora oggi, nonostante gli anni e gli affanni!). Ebbene, ecco le domande e le risposte all’intervista svoltasi “tra il serio e il faceto”, presa però da me molto sul serio:

D n.1: Angela De Leo che parla di Angela De Leo come se la caverebbe?

R.: Penso non male, anche perché scrivo (romanzi, racconti, poesie, saggi) quasi sempre di me: di me come sono o credo di essere, di come “sento” di essere, di come mi piacerebbe essere. Il tutto naturalmente filtrato dalla mia personalità, dalla mia sensibilità, creatività, fantasia. Dalla mia capacità di “sondarmi”.

D n.2: E allora chi è e come è Angela De Leo?

R.: C’è una poesia, “Quasi una cronistoria”, che fa parte della mia prima raccolta Ancora un fiore (1982) in cui ci sono più o meno tutta. (Eccola per voi, miei cari lettori del blog, tanto per farvene un’idea: Io/ niente (infinitamente meno di un atomo/ nell’universo)/ io tutto (per me)/ Io vuoto di idee/ io idea nel vuoto/ Io madre e bimba e fanciulla/ e donna e sposa e amante/ amica nemica./ Io/ e sono stanca di lottare/ io e il mio lasciarmi andare/ e mi voglio truccare/ per sentirmi nuova/ e diversa e allegra e affascinante./ Io e la mia voglia di parlare,/ io e la necessità di tacere./ Io e i miei silenzi/ e i miei pensieri/ e il riso e il pianto/ e la gioia spenta/ con te (dentro)/ senza di te (mai)/ presente e assente/ con le ali e prigioniera./ Io con le albe sempre vicine/ io con rive sempre lontane:/ io bella io brutta io vecchia/ con i prati nel cuore./ Divertente (è raro)/ noiosa (quasi sempre)/ Innamorata/ Senza amore/ Io inutile/ io non io/ Io viva io vera/ io dubbio io certezza./ Io e le mie scuse/ io e le mie frane/ io e le mie rose./ Io e la mia pazza idea/ di far l’amore sull’erba/ in macchina a scuola al supermarket/ sul tetto (come i gatti)/ al cinema (sono una diva)/ nel letto al caldo al buio/ con tanta luce con te./ Io e i miei pudori/ i miei rossori le inibizioni/ nude e sradicate/ spesso sbagliate dimenticate./ Io e il mio candore/il desiderio del pulito/ del sempre uguale/ del banale del naturale/ dello scontato:/ Io in pieno sole/ con la mia faccia da farmi male/ sempre la stessa diversa/ con rughe nuove e occhi grandi/ senza più lacrime./ Io sotto la luna (sul mio balcone)/ con tutto il chiarore/ dei sogni lontani/ ancora miei ancora intatti/ e disperati e mai vissuti/ con pelle chiara e sorrisi teneri./ Io memoria e nostalgia/ con i miei morti nell’anima/ e l’infanzia e gli anni maturi./ La mia paura del domani:/ Io sempre io mai/ io e i guai/ miei degli altri e del mondo intero./ Io sola fra la gente, indifferente/ (non m’interessa)/ Disponibile (mi spiace tanto./ Io che peccato/ ti sono amica ti voglio bene/ voglio aiutarti./ Io e chi mi aiuta/ con questa pena sempre presente./ Io rassegnata io disperata./ Io e non posso dormire/ e voglio mangiare/ e i chili in più e i sogni in meno/ e i conti che non tornano mai/ le addizioni e le detrazioni/ e tutte le complicazioni/ della mia anima troppo viva/ e delle mie mani sempre tese/ ancora belle un po’ sciupate/ e delle dita sempre vuote/ anche se inanellate;/ e dei perché senza risposta/ e dei quando senza tempo/ e dei come mai uguali/ e dei se e dei ma/ e delle date da ricordare/ e di certi anniversari da dimenticare./ Io e la mia voglia di cantare/ (non ho più voce)/ e di ballare (non ho più fiato)/ e di ascoltare (c’è troppo chiazzo)/ la musica (quella romantica)/ al buio (mi piace tanto)/ sulla poltrona (e senza occhiali)/ e ciglia schiuse/ e il tuo maglione sulla mia pelle/ e il tuo cuore che batte forte/ e io lo sento e sono felice/ solo per poco e poi infelice/ e poi l’amore (nelle intenzioni)/ e i ricordi (sempre gli stessi)/ e ancora il pianto (tanto per cambiare)./ Io e la voglia di dimenticare./ E la forza di ricominciare./ E il bisogno di pregare/ per me per te per chi amo/ per chi mi ha offeso/ per chi ha frainteso/ per chi ha preteso/ senza averne diritto/ di disporre di me dei miei giorni/ sempre vuoti/ delle mie notti spesso bianche./ Io/ e il ricordo di ieri/ io e la realtà di oggi/ senza fughe né ritorni/ senza pretesti (non si sa mai)/ per litigare e fare la pace./ Io e le mie malinconie/ le nostalgie/ la mia capacità di fantasticare/ la mia fragilità il mio sognare/ Io intelligente (intuisco al volo)/ - presunzione? -/ mediocre (mi manca la battuta)/ pigra (il disordine mi opprime)/ eclatante (è solo una sensazione)/ timida (non chiedo mai per prima)/ tenera (e carezzo le tue ciglia)/ brillante (se sto tra la gente in sintonia)/ ambiziosa (diventerò qualcuno)/ ignorante (non so proprio niente)/  presuntuosa (eppure so tante cose)/ creativa (i miei pensieri)/ esibizionista (racconti e poesie)/ relativa (non ho mi finito)/ remissiva (hai sbagliato non t’arrabbiare/mi sono sbagliata hai ragione)/ io superlativa mai assoluta/ io dolce incoerente alternativa/ e la mia voglia di niente/ io costruttiva (m’invento sempre senza costruirmi mai)/ io e domandare e imprecare/ e le parolacce che non so dire./ Io e il desiderio di aggredire e la necessità di accettare/ Io sempre sì io pochi no/ io e non saper offendere/ io e non saper perdonare./ E il sorriso per gli altri/ e l’amore per i vecchi/ e la pietà per i vinti./ Io e i gioielli le pellicce i cristalli/ Io e niente ha valore/ e solo bisogno d’amore/ Io e le tue tele/ io e le mie poesie/ e la scuola che odio/ e i bambini che adoro./ Io e la televisione sempre accesa/ e che combinazione e scommettiamo/ che ossessione/ Io nevrotica (sono sempre in crisi)/ e i miei santi (solo in paradiso)/ io tranquilla (dicono gli altri)/ e i miei cieli sul mio cortile/ e le mie speranze nella mia casa./ Io e la voglia di essere libera/ e non so dove andare e come fare/ e l’assurda decisione di rimandare/ Io con me stessa a metà/ e le contradizioni/ i cedimenti le delusioni e gli abbandoni/ e le emozioni (le mie passioni)/ Io e tutto quello che mi dai/ Io e tutto quello che non ho avuto mai/ Io verticale io orizzontale/ io e tutta la mia storia/ scritta dentro/ io che non sarò mai storia./ Ma…/ sono solo/ tutto questo/ IO?

Ma ho anche pensieri colmi di sole: tuffi di gioia tra sabbia e mare, e cieli imbrigliati ad ali di gabbiano verso porti d’azzurro…)    

Credo, comunque, - continuai - di non discostarmi molto dalle donne della mia generazione in termini di sudditanza al padre e al marito, ma con il dono di un pizzico di “ribelle follia” a rendermi diversa anche come figlia e madre, eternamente dimidiata tra ribellione alle regole delle strette “secche della quotidianità” e la mia anima zingara sempre in cerca di nuovi orizzonti per volare…

D n.3: Penso che la domanda possa essere banale e scontata, ma inevitabile: quando hai cominciato a scrivere e perché?

R: Anche la risposta è banale e scontata, ma inevitabile: ho cominciato a scrivere non appena ho imparato a tenere la penna in mano. Sono stata e sono una grafomane. Ho scritto i primi versi sui banchi di scuola, sui muri dei bagni, su qualsiasi cosa avessi a portata di mano. Mi piaceva sorprendere, trasgredire, essere originale. Anche con ironia e autoironia. Ma sono anche partita dall’ascolto delle fiabe del mio nonno materno e dal desiderio di trascriverle su carta per non dimenticarle, per saperne di più circa la loro origine. Frutto solo della fantasia del nonno? Scoprii che anche le Fiabe di Italo Calvino ci avevano messo lo zampino, nonostante mio nonno sapesse a malapena leggere, ma lo faceva con caparbia, puntigliosa, ammirevole volontà di imparare.

D n.4: Ma quando hai deciso di pubblicare quello che scrivevi in prosa o in poesia?

R.: Devo risalire agli anni Ottanta, quando una Docente di Psicologia presso l’Università di Bari, Prof.ssa Bice Leddomade, dopo aver letto alcune mie poesie, mi consigliò di rivolgermi a qualche “addetto ai lavori” perché erano, secondo lei, degne di maggiore attenzione e di più ampia diffusione. Mi rivolsi al Prof. Dell’Aquila, Docente di Letteratura Italiana presso l’Università di Bari. Il luminare, dopo aver letto alcune pagine, mi disse che erano degne di nota e mi mandò dal Prof. Daniele Giancane, che aveva la Cattedra di Storia della Letteratura dell’Infanzia presso la stessa Università ed era soprattutto noto come poeta. Qualche tempo dopo, ci incontrammo per avere un suo giudizio e, perentoriamente, tenendo tra le mani il dattiloscritto di Ancora un fiore, disse: “Questo si pubblica!”. È stato l’inizio delle mie pubblicazioni senza il supporto delle Riviste femminili, a cui ho accennato prima.

D n.5: Hai preso in quel momento coscienza della tua “vocazione”?

R: La poesia è molto di più di una vocazione per me. È la mia stessa vita. Ci sono dentro tutta quanta. Non posso dire voglio o devo scrivere poesia. Io la sento dentro. È una musica ancestrale. Ritmo, suono, emozione. È un tutt’uno con me. Non ne posso fare a meno. A volte è una necessità. Una urgenza. Un mistero sempre.

(per il nostro blog, intanto, leggo quanto il poeta e attore Rino Bizzarro, nella Prefazione o Postazione ad Ancora un fiore, posta sul retro-copertina, citando Gustavo Adolfo Bècquer, scrisse: - Cos’è Poesia? -  E tu me lo domandi?/ Poesia… sei tu!, e continuò: Così si esprime Gustavo Adolfo Bècquer  dal profondo del suo ottocentesco romanticismo in una perla lirica di mirabile purezza. Se fosse possibile la contraddizione dei termini, mi piacerebbe usare appunto il termine romanticismo - moderno-contemporaneo - per la poesia di Angela De Leo, che si presenta oggi al giudizio del pubblico con questa raccolta “ANCORA UN FIORE”, così scoperta, ingenua, indifesa, dichiaratamente priva degli astuti   strumenti del consumato mestiere della penna e della parola, e perciò stesso più preziosa. Romanticismo - moderno-contemporaneo -  per il piglio sentimentale e per il particolare timbro poetico con cui Angela De Leo ci racconta la sua storia, la storia della sua famiglia, dei suoi affetti più cari, dei suoi dolori più nascosti e cocenti, riuscendo qualche volta persino a esorcizzarli nella catarsi della pagina scritta. Una nota di singolare personalità è data dal felice connubio tra poesia e prosa, dove la poesia spesso si fa prosa e viceversa per il raggiungimento di una più elevata capacità espressiva, ricercata con caparbietà e con fede; ottenuta in esiti poetici di assoluta sincerità ed anche di grande partecipazione emotiva. La poetessa insomma racconta sé stessa in un raccoglimento quasi confessionale, lasciando il lettore più attento, non superficiale e distratto, con un piccolo dono di bellezza tra le mani.

Avevo dimenticato l’attenta tenerezza e generosità delle parole di Rino Bizzarro nel parlare della mia prima silloge pubblicata. Proprio per questa ragione ho voluto postare questa pagina oggi, al di là della intervista di Alberto Bevilacqua così acuto e scanzonato nel pormi le domande. Dunque, in conclusione, Poesia è o potrebbe essere ciascuno di noi).

E per oggi mi fermo qui perché l’intervista è ancora abbastanza lunga. Riprenderò a scrivere a breve. Grazie e buona estate e buone vacanze a tutti, nella speranza che possiate leggere il nostro blog anche al mare, in montagna, al lago, o nella serena quiete della vostra casa. Un abbraccio affettuosissimo. Angela/lina

  

venerdì 27 giugno 2025

Venerdì 27 giugno 2025: ANCORA NOI TRA PERCORSI D'ANIMA NELL'ABBRACCIO CHE CI UNISCE...

Non riesco ancora a distaccarmi in qualche modo da quanto vissuto in quest’ultima settimana nel ricordo di Anna Maria. E come potrei se tutto mi vive prepotentemente e teneramente tra cuore e anima in un intreccio di emozioni senza fine?  C’è ancora tanto da dire, da scrivere, da ricordare. Niente è superfluo in questo canto al coraggio, alla forza, agli affetti più cari, all’amicizia che, se autentica, si rinnova continuamente, alla vita. Ci sono ancora poesie a lei dedicate da ricordare, come quella di Marino Pagano, recitata l’altra sera e intitolata “Ad Anna Maria”. Vale la pena di leggerla: Nel silenzio che tutto pesa/ resta la luce dei tuoi occhi,/ fari profondi e delicati/ che non smettevano mai/ di cercare l’anima delle cose./ Dicevano amore,/ senza rumore,/ ora parlano ancora/ tra il respiro del tempo. Marino.

E per domenica 22, quando dalle prime luci del giorno e per un paio d’ore, grazie all’autoemoteca messa a disposizione dall’AVIS di Corato, il cui Presidente è il nostro caro Amico e Autore Federico Lotito, davanti alla Libreria Secopstore di Peppino e Nicola Piacente, tanti nostri Autori e tanti volontari hanno donato il sangue “per regalare la vita”, come ideato, voluto e organizzato da Peppino nel ricordo di Zia Anna Maria (con altri doni di libri e di parole), io, non potendo donare o rendermi utile in qualche modo, ho scritto dei versi, unica cosa che so e posso fare. La poesia si intitola “Il tuo tempo perduto”: Il tuo tempo perduto/ cerco da 365 giorni/ nei meandri disadorni del dolore/ che non cessa di fare male e sale/ come marea del mattino nel mare/ dei sassi a sconfiggere il cuore./ Il tuo tempo sospeso a un filo sottile/ di speranza fino a ieri di un anno fa/ fu strappo dalle mani impotenti,/ incoerenti a trattenerti ancora./ E oggi è già un’alba svanita nel nulla/ a farsi culla per risarcire il cielo sfinito/ di preghiere recitate/ nell’istante vissuto a perdifiato/ a ritrovare la voce il tuo nome la risata/ perduta e ritrovata tra i battiti smarriti/ e mai rassegnati a perderti fino a ieri./ Solo fino a ieri./ Oggi ti parlo con il rosso di un dono/   in vene estranee e amiche   / a cancellare il pianto, né tuo né mio,/ con inciso il tuo nome/ per ricordare la tua generosità senza fine/ senza scadenze né lacrime/ perché non ti diremo mai addio./ (sei qui e si è fatto pieno giorno/  il tuo sorriso irradia luce intorno  / e senza essere più insieme/    siamo ancora insieme) a te, Anna Maria. Lina   

C’è poi una poesia di un carissimo amico poeta che mi riporta ancora e sempre a Lei. Si intitola “SI ECLISSAVA IL TUO TACERE”: Si eclissava il tuo tacere/ a caccia di derive da seguire,/ la malinconia spezzata/ dentro l’ombra di portoni/ socchiusi al mondo,/ raggelata la ragnatela/ che confondeva nel labirinto/ la dirittura nel recinto di visione,//  e tu, tra smarrimento e tenerezza,/ nelle retrovie del compimento,/ cercavi un antefatto/ per esistere, per desiderare,/ la misura che colmasse la mancanza,/ l’ardire che sfuggisse/ alla catena di memoria,// “non come giudice/ sul mio passato,/ non come vortice di deserto/ sulle ferite,/ ascolti le pause/ come fossero preghiera/ imprigionata nel silenzio”,/ è gioia irrivelata questo osare/ fuori dai confini,/ l’andamento d’unità/ nella sarabanda degli affetti,/ “scorre accanto/ la deviazione che interroga,/ l’istigazione a una meta,/ la vista oltre l’abitudine”,// giungi a me come fossi/ una parola data,/ una promessa sopravvissuta/ al dilagare dell’opaco,/ “sei qui, nel chiaroscuro/ che determina le ore,/ misura di sapienza/ destinata alla vanità,/ adempimento di rinascita/ oltre la clausura,/ lontananza grido e abbraccio/ tra dissolvenza e grazia. MAURO CONTINI Basta cercare tra le parole per scoprire tutto quello che mi parla di Lei, della sua e mia sofferenza,   e di essere sempre insieme nell’abbraccio quotidiano.

E come non riportare quanto mia sorella Lizia, la maggiore di tutti noi, scritto proprio la mattina del 23 giugno su FB?: Oggi, 23 giugno 2025, è il primo anniversario della perdita di mia sorella ANNA MARIA… Mi piace ricordarla attraverso un’intervista che la giornalista e Capo-redattore di Bitonto-live, Mariella Vitucci (che ringrazio ancora) volle propormi a pochi giorni dalla sua scomparsa. Ritratto di una donna solare e creativa, che ha scalato dolori insormontabili con la forza dell’ottimismo DOMENICA 7 luglio 2024. Passato lo stordimento della notizia, del funerale, la perdita piomba sul cuore come macigno. Ci sono passati tutti quelli che hanno perduto una persona cara: un vuoto profondo come un pozzo nero, un dolore incombente. Lizia De Leo, poetessa dall’animo di cristallo, ricorda la sorella Anna Maria scomparsa da pochi giorni e confessa il tormento per non averle potuto dare l’ultimo saluto. La sua voce, flebile e a tratti spezzata dalla commozione, ripercorre la storia della sua famiglia mettendo a fuoco momenti di gioia e tragedie, e la figura di Anna Maria: <Era la figlia della guerra. Mio padre, prigioniero in Grecia, tornò a casa nel 1946. Lei nacque a febbraio del ‘47>. Terza di sei fratelli: Lizia e Lina, le maggiori, e poi Pino, Mimmo e l’ultima nata. <Una scintilla di vita: gioiosa, generosa, intraprendente. Si arrampicava sugli alberi, spostava mobili… Una Pippicalzelunghe vivace e incontenibile. Nonno Mincuccio la chiamava affettuosamente “u uagnòn”. Era capace, se la nonna conservava un dolce, di scovarlo anche nel posto più nascosto per poi condividerlo con noi sorelle. Era una curiosona>. Dopo il diploma magistrale, Anna Maria si iscrisse alla facoltà di lingue ma interruppe gli studi universitari per insegnare. <È stata una maestra speciale - dice Lizia - ha insegnato per tanti anni alla scuola Caiati e poi a fine carriera alla Fornelli. Aveva imparato a suonare la chitarra e coinvolgeva i bambini. Era festosa, solare, tutti la ricordano con grande affetto e stima. Purtroppo è dovuta andare in pensione anticipatamente per gravi problemi di salute: ha subito un intervento a cuore aperto per la sostituzione di una valvola cardiaca, che è stata poi la causa scatenante della sua morte. Nell’ultimo anno si sono accorti che non funzionava quasi più e il suo quadro clinico si è aggravato per altre patologie refrattarie alle cure. Ma, nonostante la salute tanto compromessa, non ha mai perso la gioia di vivere, quella sua allegria contagiosa>. Nel 1972 Anna Maria sposa Nicola, l’amore della sua vita. Un incidente d’auto glielo strappa due anni dopo, quando ha una bimba di soli otto mesi e mezzo, Isabella, ed è in attesa della seconda figlia che chiamerà Nicoletta. <Fu una tragedia che ci devastò> ricorda Lizia. Le sue due bambine diventano ragione di vita di Anna Maria, cresciute in una famiglia allargata e amorevole fra cugini-fratelli, zii, nonni, tanti amici… Ma c’è spazio anche per le grandi passioni della sua vita: musica, lettura, scrittura. <Entrò a far parte del gruppo dei poeti de “La Vallisa” come musicista. Era una straordinaria compositrice - racconta Lizia -  e, insieme al professor Daniele Giancane (fondatore del circolo letterario, ndr) decisero di fare esperienza nelle carceri. Anna Maria musicò l’inno de “La Vallisa” e alcune poesie. Il professor Giancane ha ricordato questi incontri con i detenuti come un’esperienza splendida, dal punto di vista umano e sociale>. <Mia sorella - aggiunge - ha scritto anche tante filastrocche per bambini, aveva una creatività inarrestabile. È stata una donna veramente speciale, affrontava tutto con ottimismo senza mai lasciarsi scoraggiare, anche contro la malattia è stata una guerriera fino all’ultimo>. Ma un pezzo del suo cuore era in lutto da cinquant’anni. Nel libro “Gelido è l’inverno” Anna Maria ha raccolto le lettere scritte idealmente al marito morto, per non interrompere un dialogo che era stato brutalmente reciso. <Mi manca tutto di lei - confessa Lizia - le telefonate ma soprattutto gli incontri. Ricordo con rimpianto i pranzi nel suo giardino, i reading di poesia… Era un’organizzatrice perfetta molto ospitale. Era una forza della natura e la malattia si è accanita contro di lei, quasi una nemesi della sua salute di ferro da giovane. Ma ha sconfitto il corpo, non lo spirito. Quello è rimasto indomito fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo sorriso>.

Desidero riportare, infine, due poesie che La connotano. Una di Gianni, che parla della generosità della lucciola e del suo sacrificio fino alla fine. Si intitola “Il buio della lucciola”: Esposte al vento/ petali di astragole fluttuano,/ rincorrendosi tra le braccia/ riarse dei mandorli// “qui c’erano fiori”/ dice il vento spezzando/ un ramo.// Ma i petali non ascoltano/ affranti contemplano/ la lucciola morente/ che ieri illuminò la notte/ offrendo la sua LUCE/ al buio. Da brividi! Come non pensare a Lei? E Lei, ANNA MARIA, ricordata con grande commozione da Mario Sicolo, in un momento di immenso dolore per la “devastante perdita di Nicola”, scrisse “Muore il giorno”: Nubi di sangue/ si fanno/ ombre mute,/ angolose le case./ Muore il giorno:/ più sola che mai/ disperdo/ i pensieri/ e muoio con lui. Anna Maria De Leo. E Mario Sicolo (di lui ormai sapete tutto: vita e miracoli poetici!), l’altra sera, non solo l’ha letta, ma ha illuminato il cortile, che cominciava a perdersi nelle prime ombre del buio imminente, con il  commento critico di ogni parola con il suo modo unico, stratosferico e imperdibilmente coinvolgente commovente travolgente che tutto gli appartiene. Grazie Mario, per avermi consegnato questo gioiello di Anna Maria che non conoscevo o quantomeno ingoiato dal pozzo senza fondo della memoria. Grazieeeee. E grazie a tutti voi, che al nostro blog vi affacciate tutte le volte che scrivo e mi leggete con tanto amore. P.S. Oggi sarebbe stato il cinquantatreesimo anniversario di matrimonio di Anna Maria e Nicola, che ne festeggiarono purtroppo solo due. Ma ogni vero amore sfida il tempo e lo spazio e si fa eterno… come eterno vive tra Anna Maria e Gianni. Ogni vero sentimento accende una stella luminosa nell’Universo e per l'eternità rimane LUCE. Angela/lina 

giovedì 26 giugno 2025

Giovedì 26 giugno 2025: ANCORA NOI TRA PERCORSI D'ANIMA A SALVARCI SENZA PIU' FERIRCI...

Ieri si è conclusa la tre giorni in ricordo di ANNA MARIA DE LEO, volata un anno fa tra le stelle, con la presentazione del libro di Rossella Piccarreta CARNE SACRA, pubblicata dalla SECOP Edizioni (Corato-Bari) di Peppino Piacente, a Trani, presso la Biblioteca Comunale Giovanni Bovio, nella bella   e accogliente Sala “Benedetto Ronchi”. Presentata e coordinata da Raffaella Leone (in veste di PR. della SECOP edizioni), come sempre nella maniera più attenta e coinvolgente, la serata si è svolta in vari momenti degni di nota: i saluti istituzionali della Assessora alle Culture della città di Trani, Lucia De Mari; l’intervento della prof.ssa Cosima Damiana De Gennaro, già Dirigente scolastico, che ha parlato a lungo delle opere di Rossella Piccarreta e della sua personalità dinamica, esuberante e poliedrica nelle sue molteplici sfaccettature di docente, madre, artista a tutto tondo e; la breve presentazione del Libro da parte di Mariella Medea Sivo (scrittrice, editor e ghostwriter, divulgatrice letteraria nonché accanita lettrice di libri, che recensisce con attenzione, passione, amorevole cura) per via del tempo tiranno, che  prevedeva anche la lettura di alcune poesie dell’Autrice da parte di due bravissime attrici: Marinella Anaclerio e Floriana Ferrante (e spero di non sbagliarmi sui nomi delle due coinvolgenti e straordinarie lettrici)…

Lunedì, invece, abbiamo vissuto una favolosa commovente serata nell’atavico nostro “cortile dei gelsi e delle rose” in via Generale Montemar, n.25. Con tanti amici a farci compagnia nel luogo del cuore, reso fiabesco da Gianni Brattoli per festeggiare Anna Maria con tante luci, tanti fiori, tanta musica dal sapore antico, tanto verde, tanto amore. E tanta allegria, tante lacrime. A partire dalla tenerissima e commossa/commovente Presentazione di Raffaella Leone, mia figlia, prima nipote di zia Anna Maria. Raffaella ha anche trovato il modo e il tempo per leggere i messaggi, molto sentiti e sinceri, delle sue sorelle Ombretta e Daniela, e di suo fratello Giuliano, che hanno voluto fare sentire la loro presenza, in quanto assenti perché abitano a Roma e per motivi di lavoro. I loro messaggi, comunque, li ho riportati in anteprima sul nostro blog. Come ho riportato qualche giorno fa lo struggente testo della stessa Raffaella e alcune grintose poesie/canzoni di Anna Maria.

L’altro ieri, intanto, gli interventi degli amici presenti hanno toccato le corde profonde del nostro cuore e della nostra anima, a partire dal ricordo di Federico Lotito, visibilmente commosso, che ha letto tra l’altro da un suo recente libro Presenze minime (edito dalla SECOP edizioni) alcune poesie amare e molto toccanti da far rabbrividire l’attento e coinvolto uditorio. Poi, è stata la volta di Marino Pagano che ha parlato degli occhi di Anna Maria e del suo sguardo intenso, attento, ridente, affettuoso in ogni loro incontro. Ha concluso con una splendida poesia a Lei dedicata. Brividi sottopelle, stemperati da un opportuno quanto struggente intervento musicale. Mi piacerebbe avere da Marino la toccante poesia per poterla postare nel nostro blog. A rendere più leggera l’atmosfera la presenza tra noi della grande poetessa rumena Ela Emilia Iakab, che ha letto due sue poesie, in rumeno e italiano, tratte dalla sua silloge bilinque L’ultimo dono terreno (recentemente pubblicata in Italia dalla SECOP edizioni). Le due poesie sono state molto apprezzate e applaudite dal nostro sempre più coinvolto pubblico. Poi, la testimonianza di un’amica carissima e carissima collega di Anna Maria, Bice Perrini: commossa, trepidante, illuminante su mia sorella insegnante dalle mille capacità educative, didattiche, creative e del grandissimo amore per i suoi alunni, seguiti e amati uno per uno. Ancora stacco musicale prima di passare la parola a Gianni, che ha letto con voce tremante, alcuni passi del suo terzo romanzo che sta scrivendo e che Anna Maria lo incoraggiava a scrivere e a completare, vincendo con la sua forza e la sua dolcezza i momenti di crisi creativa di lui, che aveva continuamente bisogno di lei per continuare. Una dichiarazione di imperituro reciproco amore che dura ancora oltre il tempo e lo spazio. Tantissima commozione e ancora lacrime.  Salvifici sempre i musici nelle prime ombre della sera. Ed ecco una voce nuova, quella di Rossella Piccarreta, che da pochissimo ha pubblicato con noi una Silloge di poesie di toccante bellezza CARNE SACRA. Rossella è una docente di Liceo classico e un’artista a tutto tondo nella sua poliedrica ricerca della Bellezza e dell’Arte nelle sue molteplici espressioni. Ha letto dal suo Libro due poesie sconvolgenti, travolgenti, catturanti. Siamo tutti rimasti incantati. Il nostro carissimo Mario Sicolo, docente, scrittore, giornalista e poeta della migliore razza, amico da molti anni di noi tutti e, naturalmente, di Gianni e Anna Maria, ha stemperato l’emozione con le sue battute nel tentativo di celare la sua commozione che trapelava a fior di pelle e si faceva sempre più coinvolgente man mano che procedeva nei ricordi. Ancora una canzone per darci il tempo di asciugare nuove lacrime, che si sono rinnovate ancora e ancora con Mariella Medea Sivo, di cui ho parlato in precedenza. Mariella ha portato anche (in una coppa dai bordi ampi e colma di erbe e petali di rose, papaveri e altri fiori) l’acqua prodigiosa di San Giovanni, dando un tocco di colore, di gioia e di speranza sul tavolinetto dove l’ha appoggiata. Stanotte occorrerà lasciarla fuori perché la rugiada dell’alba, mandata dagli Dèi, compia il prodigio di renderla salutare e di portare fortuna e amore a chi la utilizzerà lavandosi il viso, come tradizione vuole.

Intanto, tra le sue tante recensioni Mariella ne ha dedicato una al Libro-diario (FOS edizioni) di Anna Maria Gelido è l’inverno, che racconta la storia del suo amore per Nicola, suo primo amatissimo compagno e padre delle sue due figlie: Isabella, la primogenita, e Nicoletta, nata dopo la morte prematura del padre, e, durante la serata, sempre in lacrime. Mariella, emozionatissima, ha letto la sua commossa e appassionata Recensione, che ha toccato il cuore di tutti. Ma era inevitabile, nonostante i nostri iniziali buoni propositi di condividere allegria e aria di festa. E come non piangere dopo la lettura, da parte di Raffaella, di una struggente poesia di Nicoletta dedicata, affranta, a sua madre. Eccola: Non trovo le parole/ se non quelle che galleggiano/ nell’acqua di San Giovanni/ stasera,/ tra i fiori di campo e petali/ per curare le ferite dell’anima/ a celebrare un passaggio/ tra oscurità e luce./ Tu sole della mia vita/ sei passata dall’altra parte/ oltre i confini del tuo corpo.// Spero che il prodigio/ di questa notte/ restituisca la tua energia/ inesauribile,/ la tua voce e il tuo canto./ E vorrei sempre essere/ accanto a te/ come nella foro,/ dove riconosco quella mano/ bambina/ che ti teneva il microfono.// In questa notte magica,/la speranza di un prodigio, che si spenga quel fuoco/ che mi porto dentro,/ diventando rugiada.  E qui le parole hanno sapore di lacrime a profusione. La serata si è conclusa con l’ultima tenera canzone dell’“Antica Barberia del Corso”, capitanata dal bravissimo Pierpaolo Modugno, fra meritatissimi applausi, mescolati alla pioggia del nostro pianto.

Ma desidero concludere, ricordando anche il rito delle noci acerbe per fare il nocino. La tradizione vuole che il mallo (le noci acerbe appunto) raccolto nella Notte di San Giovanni e immerso nella rugiada del primo mattino abbia proprietà magiche e curative. Si dice, infatti, che la rugiada conferisca al nocino, un vero elisir di lunga vita, proprietà altamente afrodisiache (provare per credere! Purché sia possibile!). Ma anche doti di straordinaria intelligenza e intuito, in quanto il gheriglio della noce ricorda il nostro cervello! Potrei, infine, ancora parlare a lungo dei tantissimi riti magici di questa notte magica in tutte le varie Regioni d’Italia per propiziarsi amore, salute e fortuna, ma non mi sembra più il caso per motivi di spazio e di tempo e di pazienza da parte vostra, miei carissimi lettori. Desidero soltanto sottolineare che nel “cortile dei gelsi e delle rose” la magia più tenera e bella era quella del racconto quotidiano di fiabe e favole, aneddoti di guerra, battute simpatiche, amorevoli, carezzevoli e complici di nonno Mincuccio, che riempiva il suo cortile di meraviglie all’ombra del maestoso gelso rosso, i cui frutti venivano da lui raccolti per quanti venivano nella nostra casa sempre aperta e accogliente a tutti e per tutti. Purtroppo Anna Maria solo d’estate era con noi, con me e con Lizia, e con gli altri nostri fratelli che vivevano con mamma e babbo, ma erano i mesi più belli per via delle tante feste di compleanni e onomastici, di cui soprattutto il mese di luglio era pieno. Purtroppo, però, i riti della notte di San Giovanni, a fine giugno, erano perlopiù a loro estranei perché ci raggiungevano solo in piena estate, anche se il cuore di noi tutti batteva all’unisono sempre. Unico rimpianto non aver mai fisicamente messo la mano sul cuore di ciascuno di noi per sentirne il battito forte e conservarlo nel tempo come dono prezioso della vita per il nostro amarci con infinito amore vincendo lontananza e assenza…

Un abbraccio di vero cuore a tutti. Angela/lina

  

martedì 24 giugno 2025

Lunedì 24 giugno 2025: ROSSELLA PICCARRETA E LA SILLOGE POETICA “CARNE SACRA”…

 

E oggi mi sembra opportuno parlare di Rossella Piccarreta e della sua silloge poetica la CARNE SACRA… che sarà presentata oggi a Trani come vi sarà sicuramente capitato di leggere nelle Pagine dell’Editore Peppino Piacente della SECOP edizioni di Corato-Bari.

Rossella Piccarreta CARNE SACRA (Prefazione di Pierluigi Balducci e Postfazione di Mariella Medea Sivo, SECOP Edizioni, Corato-Bari).

Avverto la necessità di scrivere le mie emozioni nel rileggere le poesie di Rossella Piccarreta. Intanto, un richiamo commosso alla Prefazione del grande musicista Pierluigi Balducci, per la tenerezza che si avverte nel sentire profondamente la musica interiore, promanata dai versi della nostra Autrice, e per la sacralità scoperta nelle sue parole che si velano continuamente di mistero e sembrano danzare “tra gli Opposti” quasi a spiccare il volo verso l’Infinito che le palpita dentro e si spiritualizza nel “divino” che ci appartiene. E rinascono paure e timori, desideri e incanti, sogni e nuove sorgenti di vita e di amore.

Scopriamo tutto questo nella silloge di Rossella, di cui Mariella Medea Sivo ha scritto la Postfazione, con un incipit insolito, colto, stravagante, eccezionale, da cui emergono tutto l’affetto e la sincera ammirazione che nutre per la straordinaria poetessa, sua amica.

Non posso che condividere e cercare i punti di congiunzione, scoperti da entrambi, per entrare con loro in sintonia nei vari testi poetici.

Fondamentale è la sintonia, che ci permette di scoprirci nello stesso suono, di vibrare con la stessa musica. Di assecondare lo stesso movimento che ci rende unici nella nostra identica identità ed eternamente cangianti. Fatti, dunque, di coralità e di individualità insieme.

E prendo subito ispirazione dal “Prologo” che dà un senso a tutta la raccolta perché indica a chiare lettere l’urgenza che avverte la poetessa di “scrivere poesia”: dono che giunge da lontano e che si fa “voce”, che lei segue “muta e rapita” come ferita d’amore incisa sulla pelle, come “graffio o carezza”, che può condividere, sicura di essere compresa e accolta, solo da “chi sa vedere”. Fondamentale è essere “consonanti”.

Anche negli “Smarrimenti”, come suggerisce il primo spazio di liriche o la prima sezione. Rossella Piccarreta è, infatti, una donna che, come tutti gli esseri umani, vive la contraddizione e di contraddizioni, ineludibili in ciascuno di noi, e ancora di più nelle persone particolarmente sensibili, non come sconfitta della propria logica, ma come vittoria sulle fragilità che accompagnano la nostra esperienza esistenziale, in quanto è il cuore che risorge da ogni debolezza e da ogni smarrimento, perché è sempre colmo di “tenerezza”, palpita sempre d’amore dato e ricevuto, anche se, a ben guardare, gli uomini sono purtroppo impastati anche di violenza, invidie, rancori micidiali, che decretano carneficine, guerre, lutti, dolore, senza più un’etica a salvaguardare la nostra uguale umanità. Eppure lontano/ un suono: il mare./ Uguale per te e per me./ Eppure in alto l’azzurro./ Uguale per me e per te (“Snake of war”. Ma anche “snake of war in the soul”, pp. 13-14).

E i versi si inazzurrano come la nostra anima. Solo per poco, perché “stormi neri” incombono e a nulla valgono “urla contro il cielo”. Presagio di morte e distruzione, come già in Giosuè Carducci (in San Martino) o in Paul Celan, in una commovente poesia, in cui descrive la disumanità della Shoah, in lingua tedesca a eterna vergogna della sua terra d’origine.

Forse occorrono preghiere per sventare ogni timore, reso realisticamente vero e spaventoso dalle “ali giganti/ nere e pesanti”. Non a caso, ancora la contraddizione ad allarmare la voglia di vivere e di amare. In eterno contrasto.  Vita e Morte. Eros e Thanatos. Origine e Fine. Odio e Amore. Tutto e Nulla.

Simone Weil ha studiato a fondo l’inevitabilità della contraddizione persino nell’apparente pacifico quotidiano. Ne ha fatto una teoria filosofica, psicologica ed etica, pur essendo partita dalla matematica, da una scienza esatta che non ammette il contrario.

Rossella cerca di vincere le innumerevoli contraddizioni che la abitano e la agitano, tra “lo strazio del niente./ Il soffio del tutto”, alla ricerca di un equilibrio che dia leggerezza ai pensieri e ai giorni come in Italo Calvino. Una leggerezza pensosa, certo, alla ricerca di un maggiore equilibrio, di una serenità mai vissuta prima e che sempre più le sembra una necessità dell’anima, perfettamente consonante con le inevitabili dissonanze della vita, dovute innanzitutto alla nostra natura umana, e alla nostra arroganza nell’affermare senza mezzi termini l’individualismo con il vivere continuamente, tra sincerità e ipocrisia, realtà e finzione, libertà e catene, di cui spesso non si riesce a fare a meno.

La seconda sezione “Eros, Anteros, Himeros” è meraviglia di occhi innamorati, ritorni concentrici di desideri, accesi spenti ritrovati spenti, nel giardino più o meno segreto, in cui Rossella coltiva rose e cerca di occultare le spine in una danza, che è recupero di amore carnale e divino perché sacro è l’amore in tutte le sue espressioni e manifestazioni. È “traccia chiara/ di una segreta divinità”. E di “innocenza”. Ma continuano anche qui smarrimenti e paure, dubbi e contraddizioni, assenze e vuoti di presenze desiderate: attese, rimpiante. Ma rinasce sempre l’amore in ogni luna attraversata. Ed è pacificazione di cose e di anime, unite per sempre. “Malgrado tutto”.

E le contraddizioni, man mano che sono passati gli anni, sono aumentate, spenti i bollenti spiriti della passione, in un crescendo di perdita di sé e dei sogni. Ora tutto sembra inventato, persino l’amore che pure un tempo era stato vero.

Fugge il tempo, purtroppo, portandosi con sé amori, illusioni, “ardore e tenerezza”. Gli stessi “eterni ritorni” nei “valzer degli addii”.

Rossella conserva, però, nelle sue mani tutte le meraviglie di Alice e testardamente crede nei sogni e nell’amore e a tutto ciò che è stato o non è stato, ma potrebbe ancora essere.

Osa continuamente scendere negli abissi della disperazione e risalire con nuova fioritura di poesie e di preghiere, che fanno bene al cuore esacerbato e stanco, ma sempre pronto a rinascere anche “nel buio di un frammento” per continuare a cantare “all’infinito”. E il poeta è salvo. E con lui anche Rossella perché c’è in lei il respiro della Poesia. Un ritrovarsi sempre e comunque.

Ecco perché la terza sezione tratta di “Ritrovamenti”. E tra questi è sempre il cuore in primo piano. Poi il cielo con il suo azzurro e le sue nuvole, e la carezza forte/dolce delle parole poetiche, che abitano il “Tempio Sacro della Poesia”, mai del tutto perso e in cui è bello e salvifico rifugiarsi. Non importa se, alla fine, rinascere sia un tornare a ridere ancora di un “tutto/ fatto di niente”. E ripercorrere le stagioni: metafora della vita stessa. Sempre ossimorica.

La quarta sezione è fatta di “Notturni” ed è un inno al pensiero femminile che germoglia nella notte perché carica di mistero che solo il buio genera, sa e conosce. Il pensiero maschile, invece, è fatto della chiarezza del giorno, è fatto di cose pratiche e di problemi da risolvere nella comunità di appartenenza, nella società, nel mondo politico. Niente è oscuro, velato, misterioso. Non a caso, Rossella scrive: Epifania del sonno/ è un segreto/ nascosto tra le stelle,/ un rantolo nel buio,/ un’inquietudine lieve/ celata dal lungo frenetico/ frinire del giorno,/ un’apnea sospesa/ nel silenzio nero della notte… (p. 77). Ma anche dalla notte si emerge alle prime luci dell’alba e al bagliore del sole che tutto risana e ci restituisce alla realtà del giorno. E alle sue verità.

La quinta sezione si intitola “Memento mori”, in cui tutto si fa ansia di vivere, sia pure nelle mille contraddizioni che la vita ha insegnato alla poetessa giorno dopo giorno. Disperante è per lei, e probabilmente per tutti, “la vanità”, l’inconsistenza delle cose a cui ci aggrappiamo come incoercibile anelito alla vita. Ma Rossella Piccarreta ha versi d’amore per tutti, segno di grande umiltà e di immensa forza d’animo: per le donne e per ciascuno di noi, facendo appello, con tutte le sue forze, all’ac-cor-darci, cioè a mettere il nostro cuore insieme, per vincere il male che si annida in questo mondo così difficile da vivere ai nostri giorni e sempre, e per fare trionfare il bene e la speranza in un mondo migliore, in una prospettiva salvifica per tutti: siamo fratelli sotto lo stesso cielo che ci vede nascere e morire.

Ho i denti che battono/ e identiche ferite/ e identico sole sul capo./ Riempiamo d’oro le crepe/ facciamo un sogno nuovo./ Restiamo umani.

                                                                   Angela De Leo

lunedì 23 giugno 2025

Lunedì 23 giugno 2025: ANCORA NOI TRA PERCORSI D’ANIMA A FERIRCI A SALVARCI…

 La vittoria delle vittorie

È la perdita di tutto.

Non si possiede in eterno

Ciò che si è perduto?

(Brand di Ibsen)

Non so se stamattina, nei nostri percorsi d’anima, sia più giusto pensare alle perdite o al possedere in eterno ciò che non si è mai perduto, fare silenzio o gridare per il tuo apparente silenzio che conta un anno, mia amatissima sorella. Ma fai un rumore assordante che è impossibile ignorare. C’è una canzone del cantautore Diodato, che sta vincendo in questi ultimi anni parecchi premi importanti, secondo me meritatissimi, “Fai rumore” (ha vinto al Festival di Sanremo 2020), dal cui testo estrapolo qualche verso che mi rimanda immediatamente a te: Che fai rumore qui/ E non so se mi fa bene/ Se il tuo rumore mi conviene/ Ma fai rumore, sì/ Chè non lo posso sopportare/ Questo silenzio innaturale/ Tra me e te… E la tua assenza è presenza più che mai. E tu lo sai. Non da oggi, ma da sempre. Io e te avevamo urgenza di stare insieme per piangere e ridere insieme. È stato così sempre. Da quando nascesti al mondo e al mio amore. E anche stamattina, adesso sei venuta a salutarmi come una credenza popolare vuole: “se viene una farfalla gialla nel giardino è il saluto di una persona cara che non c’è più”. E la farfalla gialla è una presenza costante nel mio giardino, che guardo dalla finestrella della mia camera da letto e guardo dalla finestrella di fronte alla mia scrivania, dove sono seduta in questo momento. Lo so qualcuno/a scettico/a sorriderà a queste mie fanfaluche, ma non importa, l’importante è crederci e il dolore si stempera, si addolcisce. La stessa cosa mi accade di notte, nelle lunghe ore di dormiveglia che ho sempre vissuto e vivo per una atavica insonnia che vinco guardando e parlando con le stelle. Ebbene, ce n’è una che attendo con ansia perché non manca mai di brillare tra le foglie cuoriformi che vibrano nell’aria e crea giochi di luce luminosi che i giapponesi sintetizzano in una parola “komorebi”. Quella luce mi fa compagnia, mi conforta, mi aiuta a sopravvivere alla solitudine notturna. E, cosa più importante, in quella stellina luminosa abbraccio te, Anna Maria mia, e il tuo primo amatissimo compagno di vita per un tempo molto breve, Nicola, e mamma con babbo, e Primo e le mie due suocere con mio suocero, i nostri nonni materni e paterni… Siete tutti insieme a farmi compagnia. Siete il mio “tempio sacro” degli affetti più cari e tenaci che sopravvivono al tempo e allo spazio. Fate parte di me. Vivete con me. In me.

Poi, ecco anche qualche lucciola vagante, solo qualcuna in verità: altra luce a farmi compagnia. Ho bisogno di luce, sempre. E le lucciole mi hanno sempre incantata come se dal cielo piovessero stelle e andassero ad abitare la siepe, illuminandola anche del mio stupore. E anche le lucciole mi riportano a te. Ti ricordi di quando ogni anno andavamo a Chianciano noi sorelle accompagnate da Gianni e lungo il viale che dal nostro albergo ci portava direttamente alla piazza centrale del paese? C’erano tante lucciole nelle siepi che percorrevano con noi il lungo viale, smentendo quanto Pasolini avesse preconizzato nei primi anni Settanta del secolo scorso, dicendo che per l’inquinamento atmosferico le lucciole a breve sarebbero sparite, e invece erano davvero tante e noi ci fermavamo incantate ad osservarle. Io sistematicamente ne ricavavo simboli e segni, che univano la terra al cielo attraverso la luce stellare delle lucciole. La luce che portano sulla coda non gli serve per illuminare la via che hanno davanti a sé, ma per lasciare una scia perché gli altri possano seguirle e scoprire tutte le bellezze delle siepi e dei boschi e dell’intero Creato con il suo incanto, il sogno, l’armonia di tutta la natura. E Gianni spegneva il mio enfatico entusiasmo poetico con la sua razionalità e le sue conoscenze scientifiche: portano la luce sulla coda per favorire l’accoppiamento d’estate che è per oro la stagione degli amori. Va bene, ribadivo io, purché ci sia di mezzo l’amore. E si rideva del mio romanticismo esagerato e, per lui, esasperante. Si rideva. Ma poi cosa ti vado a scoprire nei cassetti della memoria? Una sua poesia intitolata “Il buio della lucciola”. Eccola: Esposte al vento/ petali di astragole fluttuano/ rincorrendosi tra le braccia/ riarse dei mandorli// - qui c’erano fiori - dice il vento spezzando un ramo.// Ma i petali non ascoltano/ affranti contemplano la lucciola morente/ che ieri illuminò la notte/ offrendo la sua luce/ al buio. Bellissimi versi dal sapore amaro, come è nelle corde di Gianni Brattoli, ma con una chiusa generosa che oggi mi fa pensare a te. E, del resto, la memoria è fatta di ricordi. E il ri-cor-do ha al centro il “cor”, cioè il “cuore”, all’inizio il rafforzativo “ri” e alla fine il “do” che io interpreto come “dono”. Dunque, nella poesia di Gianni ciò che ferisce risana. Ed è una speranza, anche se lui non lo confermerà mai. Io e te, invece, sappiamo o vogliamo che sia così. Vogliamo che oggi sia un giorno di ri-cor-do che ci prenderà tutti per mano perché sia cantata non la fine, ma l’inizio, non il buio della notte, ma la carezza del giorno. E carezze d’anima sono le parole che i tuoi nipoti di Roma, che non potranno essere presenti, ti desiderano darti: C’è un silenzio che fa più chiasso di mille parole di mille persone… È il silenzio del tuo “Ombrettina bella!” quando mi sapevi da mamma e venivi a trovarmi con un regalino, una focaccia o semplicemente con il tuo sorriso più bello che per me era il regalo più prezioso! C’è il silenzio dei tuoi teneri e gioiosi commenti sotto i miei racconti che ti facevano tanto ridere… C’è un silenzio, nel cuore e nell’anima, della tua risata che faceva eco alla mia… delle tue espressioni buffe… del tuo modo di raccontare le cose con ilarità anche quelle più tragiche! Ho sempre pensato di aver ereditato da te questa autoironia che ci caratterizza e che condividevamo, nei nostri incontri, a dispetto delle circostanze e dei nostri anni… “Zia, che volevi scrivermi con il tuo Bszzzmm?” e giù a ridere… “Zia, ma da dove le ricicci tutte le foto dei periodi dove sono più brutta che mai?”… e il tuo “Sei sempre stata bellissima!”… E tu, zia, sei stata e sarai sempre bellissima nella voce di chitarra che tanto amavo… bellissima nelle tue esplosioni di risata… bellissima nei racconti… nelle tue torte dei compleanni… nella tua pazzesca creatività che ti rendeva unica ai miei occhi. Mi manchi… ma sono certa che le nuvole e il tramonto e l’alba la luna la pioggia e l’azzurro del cielo ridono e cantano con te… e questo mi rende felice. (Ombretta).

È già passato un anno da quando ci ha lasciati, eppure il suo sorriso continua a vivere nei nostri cuori come se fosse ieri. Zia Anna Maria, presenza dolce e luminosa, capace di portare serenità anche nei momenti più difficili. La vita non le ha risparmiato il dolore, ma non ha mai smesso di sorridere, di ridere, di incitare a farlo in una esplosione di canto e di allegria. La seconda mamma di tutti noi, i suoi nipoti che trovavamo sempre rifugio sicuro a casa sua… Zia Anna Maria ci ha insegnato che la forza non si misura con il rumore, ma con la capacità di affrontare la sofferenza con grazia e amore. Gentilezza autentica, la sua presenza un dono. Continueremo a portarti con noi, zia cara, in ogni gesto buono, in ogni sorriso donato, proprio come facevi tu. Tuo nipote Giuliano.

Orme d’infanzia mi attraversano il cuore. La tua casa era il nostro rifugio sicuro, tempio di risate a crepapelle, di giochi inventati e profumo di pandispagna sempre ‘appena sfornato’. Conoscevo a memoria tutte le tue canzoni, adoravo il tuo modo raggiante e ruggente di afferrare la chitarra e la vita. La tua la più bella risata mai conosciuta, a contrastare la malinconia e la durezza, a volte spietata, della vita. Grazie per il tuo coraggio, che volava come piuma nonostante fosse armatura. Grazie per essere stata sempre presente nonostante le distanze di tempi e di spazi. Grazie per i tuoi racconti interrotti e risolti in risata dirompente e fragorosamente coinvolgente. Grazie per tutta la leggerezza e la forza e la passione con le quali riempivi le nostre vite. Grazie per essere stata la sorella speciale di mamma, grazie per la vostra meravigliosa complicità. E grazie per aver portato zio Gianni anche nella mia vita, per me un ‘nuovo’ papà. Sei scolpita nel cuore, zia Anna Maria. (manchi tanto, ma questo lo sai già…). Daniela

Piango. Non sono forte come te. Tu mia roccia, mio sostegno, mio faro luminoso in mezzo a flutti e marosi, con la tua generosità con la tua forza e la tua allegria, mi vieni incontro sempre e mi salvi…

E, se stasera, non avete impegni, e volete ricordare con noi Anna Maria a Bitonto nel cortile dei gelsi e delle rose, in via Generale Montemar 25, siete i benvenuti. Sarà una festa più che una commemorazione, e lei sarà felicissima con tutti noi… vi aspetto in tanti. Angela/lina