martedì 14 gennaio 2025

Martedì 14 gennaio 2025: Siamo in pieno inverno con pioggia battente, gelo e nevischio...

Vorrei trovare un appiglio per sentire meno violenta questa morsa di gelo che stritola persino i pensieri. Unica risorsa: guardare dal mio finestrino aperto al cielo di latte e panna montata una luna piena inesistente, solo pensata. Mi piacerebbe essere su un aereo e volare oltre le nuvole per ritrovare la luna immensa (come dicono) e offriverla come dono del Nuovo Anno. Ma è solo un sogno irrealizzabile e lontano. Più facile parlarvi dei rami spogli dell’albero che ad ogni alba mi saluta con i primi scriccioli intirizziti a salutare per me il cielo. Ebbene, mi incantano i piccoli diamanti (le goccioline che non cadono, intirizzite dal gelo) che li rendono preziosi. Sono solo gocce d’acqua, ma quanta magia mi regalano appena riesco a vederle. Mi parlano di RESISTENZA per ESISTERE ancora. Per ESSERCI, come afferma il filosofo tedesco Heidegger.  

Ma poco fa mi sono imbattuta in due parole meravigliose: TENEREZZA e ANIMA di Raymond Carver ne Il mestiere di scrivere e sto intensamente pensando a quanta tenerezza ci manca nel nostro vissuto quotidiano per un pudore che ci impedisce di esternare i nostri sentimenti più intimi e profondi, per una mancata educazione ai sentimenti, per una forma di assuefazione alla tranquillità dei nostri rapporti in famiglia o, al contrario, agli scontri quotidiani che avvengono tra genitori, tra genitori e figli, tra questi ultimi fra di loro. La tenerezza del tutto assente. Dimenticata. Esclusa. E pensare che basterebbe una carezza, un abbraccio, una domanda semplice per interrompere il silenzio: “hai mangiato?”, come appunto era solita ripetere Elsa Morante, che pure si dice avesse un pessimo carattere per via delle sue esperienze familiari prima di conoscere Moravia. I due scrittori, comunque, ebbero una lunga e tormentata storia d’amore, che non escluse mai la tenerezza e l’anima, essendo entrambi sensibilissimi e amanti della scrittura fino allo spasimo. Del resto, “hai mangiato” mi fa pensare all’amore materno, l’amore oblativo per eccellenza, nell’atto di dare il proprio seno al bambino, atto che è fonte di sopravvivenza e di vita per il figlio. E mi piace concludere queste mie riflessioni, mentre un friccico di sole tra tanto gelo riscalda anche i pensieri, prima rattrappiti e sfiancati dal nevischio, con due mie poesie, in cui ritrovo tutta la Tenerezza della mia Anima:

IMMENSA ROSA BIANCA IL CIELO

 

Immensa rosa bianca il cielo

sfilacciato di petali

in caduta trasognata

e un lento volteggiare nel vento

Ulula la bufera e stride

Bussa impetuosa alle porte

della mia casa stretta nel suo scialle

Nessuno va ad aprire

incatenati gli occhi ai vetri lunari

Bianche piume come di nido

danzano leggere sfogliando

la rosa incantata

che su merletti d’erba frana

stranita

Pigolio affamato di scriccioli

in cerca di ciliegie infreddolite

che di rosa fioriranno a primavera

Spolvera di bianco il giorno

questo gioco di ciglia

dischiuse su strade d’antiche

stagioni

Incontro mi viene

sul cocchio di bianco cristallo

e fiocco di ghiaccio nel cuore

la Regina delle Nevi

Rabbrividisce la vecchia bambina

ai ricordi d’un tempo fioriti

su labbra di parole ora in disuso

Al rosso fuoco del braciere acceso

il cuore di gelo della perfida sovrana

si scioglieva in un lago incantato

che rideva di bianchi cigni

sculture bianche di zucchero filato

Briciole di tenerezza allora

che i fiocchi di neve erano farfalle

da cullare tra mani di geloni

e pane e olive nere sotto la cenere

(noi vincevamo il sonno

al tenero mormorio della sua voce…)

 

mani di vino e di preghiera

 

è un ricordo dorato

l’autunno in un cortile di voci

di rose di gelsi di grappoli d’uva.

I tini danzavano tra piedi nudi

e occhi colmi di sole

(zuccherine le bocche

 dei bimbi rosse di mosto

antico come una favola…

… caldo il pane sfornato

alle quattro del mattino).

Tra ceste e canzoni e una festa di rose

fresche le nostre parole

danzanti tra i muri, sospese sui rami

per conservarne il ricordo

… echi d’infanzia…

Dolceamaro ricordo

del tempo incatenato all’ombra

rossa del gelso maestoso

alla gloria innamorata dei tini

inno alla mia casa.

Sono tutti qui

quelli che ho amato

e perduto.

Sono tutti qui gli assenti

(la tenerezza il sogno e l’allegria

 un rimpianto colmo di foglie).   

 Dita leggere sulla mia pena

dita con mani di fatica e sudore

            (… le manine laboriose

             quante cose sanno fare

             san cucire e ricamare

             san lavare e san stirare

             sanno bene apparecchiare).

Mani che sapevano accarezzare

carezze che sapevano consolare

mani di vino e di preghiera.

E tra le voci d’autunno

una voce d’estate:

voce di mia madre

tra voci d’infanzia.

Le conto ad una ad una…

… pareggiano il conto delle stelle.

                E delle stelle hanno

                un muto richiamo

                un passare lento

                al soffio di un mistero grande

                profondo quanto il silenzio

          (non c’è stato mai il silenzio

                         del cuore)  

E per oggi va bene così. Con tanta tenerezza e con tutta la mia anima. Per un 2025 colmo di carezze e di rinnovata Speranza in un mondo migliore… angela/lina

  

giovedì 2 gennaio 2025

Giovedì 2 gennaio 2025: cambiamo pagina, all'insegna dei buoni propositi per questo Nuovo Anno...

Ci siamo finalmente buttati alle spalle un nefasto anno bisestile, che non ha smentito le antiche credenze: “anno bisesto, anno funesto”. Almeno per molti di noi, direi a livello mondiale. Per la mia salute, ancora tra mille interrogativi, è stato sicuramente così. A conferma? Sono reduce da una mattinata nell’ospedale di Altamura, dove sono stata ricoverata a lungo nei mesi scorsi, per un controllo e devo tornarvi tra una ventina di giorni. Gli strascichi dell’anno appena trascorso si fanno ancora sentire. Spero in una gemma fiorita che mi preannunci la primavera, anche se siamo in pieno inverno. E voglio vivere questi giorni all’insegna di nuovi propositi, che definiscano davvero un cambiamento, come è giusto che sia. Non si può rimanere ancorati al passato, anche se ci appartiene e ci ha sempre più definito fino ad oggi, occorre cambiare pagina per potersi immergere nel futuro, guardando alle nuove generazioni. Saranno queste le protagoniste del Terzo Millennio. E, tra i buoni propositi, metto senza ombra di dubbio la “scrittura a mano”, per cui riprendo a parlare dell’  importanza della Grafologia, che vale la pena riproporre, cominciando da ciò che ritenni opportuno scrivere proprio nell’ospedale di Altamura, dove alcuni mesi fa mi hanno salvato la vita:

A volte una degenza in ospedale, soprattutto di sera tardi quando tace anche il dolore, serve per pensare, riflettere, scoprire qualcosa a cui prima non avevamo pensato o dato importanza.

A me è capitato in questi giorni pensano ai miei scritti, alle mie pubblicazioni (tantissime). E, pensando alla scrittura che da oltre 500 anni non può più chiamarsi “grafia”, mi sono davvero spaventata perché solo la scrittura a mano, continuata nel tempo, perpetua la nostra identità.

Persino gli uomini primitivi si sono impadroniti, con i loro graffiti nelle caverne, di una loro identità, una diversa dall’altra, che noi abbiamo perduto per sempre con l’invenzione delle lettere mobili, la macchina da scrivere, e ancor di più con il computer o con i mezzi di comunicazione social di ultima generazione.

Ne ho parlato con l’ultima mia figliola Daniela Leone, dottoressa in Grafologia con specializzazione in Criminologia, e proprio lei mi ha fatto affiorare alla mente il problema dell’identità che solo la scrittura a mano assicura, con tutti i segni della nostra personalità. Siamo ottimisti? Le nostre parole scritte a mano voleranno verso l’alto del foglio. Pessimisti? Si rifugeranno a nascondersi verso il basso. Ma anche il timido, l’insicuro, quello privo di autostima e così via.

Fondamentale è la lettura della firma, come vedremo in seguito con esempi concreti.

In pratica, il segno grafico ci permette di salvaguardare, oggi più che mai, la nostra identità e personalità, compromessa continuamente dalla scrittura computerizzata.

A cominciare dalla Scuola dell’Infanzia con i salutari e catturanti "pre-grafismi” per giungere alle Scuole Superiori e persino all’Università per poter scoprire le individuali potenzialità: i punti deboli e quelli forti da cui partire per ogni altra conquista.

Dovrebbero essere i genitori per primi a insegnare ai propri figli le grandi possibilità di realizzazione personale dovute alla scrittura a mano per le riflessioni che ne conseguono. Poi il compito passa agli insegnanti che, nella Scuola Primaria, possono scoprire meglio la personalità dei loro alunni, aiutandoli a trovare la propria strada prima che si perda troppo tempo nel cercarla.

La scrittura a mano, infatti, offre ai docenti una possibilità di “ascolto” nuovo, diverso, insolito, a più lungo termine per un energico “recupero” di stati d’animo positivi, di energie giovani da incanalare nella giusta direzione e nei tempi giusti perché la loro personalità venga valorizzata, tanto da sollecitare l’autostima che irrompe nella loro vita a dare una marcia in più al processo di autorealizzazione, in cui possano imparare ad ascoltarsi e a riconoscersi. E nel riconoscersi c’è tutta la valorizzazione “di sé”, come viene percepito in prima persona, e “del sé” come viene percepito e vissuto dagli altri.

Tutto questo viene supportato dalla scrittura a mano che offre il tempo per scoprire in sé il coraggio, la determinazione, la creatività: tre sostantivi indispensabili per inseguire i propri sogni e tradurli   quotidianamente in progetti esistenziali da realizzare.

Non si potrebbe fare altrettanto senza la scoperta e lettura della nostra grafia, cioè della nostra scrittura a mano.

Sarebbe opportuno che si tenessero nelle scuole di ogni ordine e grado lezioni di Grafologia, tenute da esperti in materia, perché gli insegnanti e docenti possano far tesoro per i loro interventi nelle proprie classi.

E sento il dovere di aggiungere, al riguardo, l’esperienza, in qualità Grafologa con Specializzazione in Criminologia, di mia figlia Daniela, che, studiando i tratti salienti delle personalità distorte, è riuscita a rilevare e a focalizzare, nelle sue esperienze pregresse in varie Comunità di “riabilitazione psico-fisica, le patologie da cui sono affetti coloro che sono portati al crimine, alla vendetta, alla violenza, alla dispersione di una qualsiasi esperienza identitaria.

Anche questo aspetto va sottolineato e tenuto in debito conto, quando si tengono corsi di Lettura grafologica nelle varie strutture scolastiche (alunni difficili, ribelli, violenti, apatici…), carcerarie (i carcerati assassini, indifferenti a tutto e a tutti, solitari, ribelli a guardie e a quanti nelle carceri svolgono il loro lavoro); nelle famiglie (figli difficili con doppia personalità tra casa e scuola, e comportamenti diversi con docenti diversi, per scoprire cause psicologiche, motivazioni contingenti ai vari ambienti frequentati, vissuti quotidiani, condizionamenti ecc.). Laddove si possano ravvisare rapporti esasperati e reiterati di violenza con conseguenze devastanti, fino al bullismo, al cyberbullismo, al pestaggio di vecchi e bambini, di tutti coloro che non hanno la forza di difendersi, all’assunzione di droghe, o a giungere alla depressione, al mutismo selettivo, femminicidio, suicidio, e così via).

Sarebbe opportuno prevenire piuttosto che curare e la Grafologia offre un importante supporto professionale anche se non in termini di “diagnosi” (per non collidere con altre sensibili categorie professionali) ma di “tracciare “profili di personalità”, studio aperto a 360°…

Ma non è tutto. Tantissimo altro si potrebbe dire e fare ancora.

Ritengo opportuno e necessario, per esempio, continuare a parlare della urgenza di insegnare alle persone di tutte le età a scrivere a mano per riappropriarsi della propria identità che rischiano di perdere per sempre.

E, per farlo, infatti, mi sembra giusto partire da un mio mini-saggio di un paio di anni fa “Caro Don Gaetano” della collana “Storiaè/e Memoria” diretta da Marino Pagano, studioso di Storia locale, giornalista e docente.

Il mio mini-saggio si intitola “ Voci in andata e ritorno ferme nel tempo - Carteggio tra G. Salvemini e L. Gadaleta - “.

Perché mi sembra giusto proporvi questo mio scritto, fortemente voluto dal mio prezioso amico Valentino Romano, Scrittore, Saggista, Archivista, uno dei massimi Studiosi del Brigantaggio postunitario e di tutta la Questione Meridionale non ancora del tutto risolta?

Andiamo per gradi. Il mini-saggio, che fa parte di altri quattro, per il momento, è stato progettato e realizzato da Valentino Romano per festeggiare i centocinquant’anni dalla nascita del noto politico socialista molfettese, Docente universitario e Parlamentare di sinistra Gaetano Salvemini, che non ha bisogno di ulteriori notizie sul suo conto.

Ebbene, perché tutto questo preambolo?

Perché io ho avuto la fortuna di imbattermi, grazie a Valentino Romano, nella scrittura a mano di quest’uomo d’altri tempi che fa parte ancora del nostro tempo, grazie anche alla ultranovantenne Liliana Gadaleta Minervini che è stata sua discepola nei lontani anni Cinquanta dello scorso secolo.

Ebbene, la fluida scrittura a mano di Gaetano Salvemini è in grado di parlarci dell’uomo, della sua persona e personalità come nessun libro battuto a macchina potrebbe fare. Quest’ultimo, infatti, cancella la sua identità, come purtroppo l’ha velata la macchina da scrivere della Signora Gadaleta, che la utilizzò per capire meglio la minuscola e di difficilissima grafia di Don Gaetano, che corresse la sua tesi, diventando sempre più paterno e premuroso amico della sua allieva.

La sua grafia, infatti, ci rivela l’uomo, la sua personalità perlopiù equilibrata, attenta a sottolineare tutto ciò che riteneva più importante, tendente ad un moderato ottimismo con i tratti ascensionali delle righe.

Molto particolare la sua firma: la prima volta alla G di Gaetano segue per intero il cognome, scritto in maniera molto originale ma illeggibile, sostituito subito dopo dalla sigla G.S. a denotare una personalità ricca di autentica umiltà e con tanta concretezza per evitare “i clamori della ribalta” a lui mai congeniali per via di una innata e lungimirante discrezione…

Ma la scrittura a mano serve anche per evitare che l’analfabetismo di ritorno prenda il sopravvento sulla personalità di fondo di chi deve continuare a combattere per l’affermazione di sé nel processo di autoaffermazione.

E che dire dell’opportunità che ci offre la ricerca a sempre più largo raggio, nei secoli precedenti la computerizzazione, per scoprire le vere intenzioni dei protagonisti delle nostre storie e sapere finalmente che Dante, il “ghibellin fuggiasco” amava la sua Firenze a tal punto da desiderare di essere sepolto in Santa Croce e non nella detestata Ravenna?

E studi particolari vengono riservati al cervello dei grandi dittatori della Storia per scoprire somiglianze o divergenze nei loro comportamenti, e il grado di umanità nel loro essere “disumani”, e così via. Hitler amava la musica classica, Mussolini suonava il violino, e così via.

Altri studi di grande rilevanza psicologica sono quelli svolti da Daniela in una Comunità di trans, di cui è stata per alcuni anni consulente grafologa per rilevare il grado di sofferenza dei vari “soggetti” prima di accettarsi e di farsi accettare in famiglia, che di contro non sempre era disposta ad accettarli. Storie diversificate e uguali, su cui si dovrebbe riflettere molto, con umiltà e coraggio, partendo dalle loro singole grafie, alla base di ogni altra conoscenza. A volte è la nostra arroganza che crea pregiudizi, giudizi negativi, indifferenza al problema. Quante vittime facciamo con la nostra scarsa conoscenza, col rifiuto, l’indifferenza…

Il campo degli studi delle “grafie” diventa così indispensabile e illimitato, se vogliamo salvarci dall’anonimato e persino da noi stessi. E che il 2025 sia anno di ri-nascita davvero, rendendoci migliori, per noi e per gli altri!

 

domenica 29 dicembre 2024

Dicembre 2024- gennaio 2025: DICEMBRE mese di Luce e di Ri-nascita per TUTTI...

Amici cari e carissimi lettori del nostro blog da tempo abbandonato per via dei miei numerosi ricoveri in varie strutture ospedaliere, a cui fra non molto farò ritorno per altri esami, altre cure necessarie per questa mia salute sempre più malandata e fragile. Non mi lamento più di tanto, anzi! Quotidianamente dico GRAZIE al buon Dio per i doni immensi che mi ha dato, a partire da una famiglia che mi ama oltre il dovuto e che mi circonda di ogni premura, ogni carezza di cui la mia anima avverte urgenza e necessità, a causa anche delle tante perdite che ho dovuto registrare, mio malgrado e con immenso dolore, in questi ultimi anni. E così, siamo giunti alla fine di questo 2024 difficile da vivere non soltanto per me, ne ho consapevolezza, ma per quanti stanno vivendo a livello mondiale giorni bui e devastanti per tutti i motivi che è superfluo elencare. Li conosciamo tutti e tutti ci auguriamo Pace e Speranza in tempi migliori, soprattutto per le nuove generazioni che non hanno colpa degli errori e orrori di quelle precedenti. Non lo ha affermato con vigore Papa Francesco per questo Anno Giubilare che terrà aperta la porta del Perdono per tutto il 2025? Ebbene, facciamo nostra la sua SPERANZA. Nessuno escluso. L’oceano è fatto di gocce di mare, a cui confluiscono fiumi che hanno una sorgente e una foce…

Dicembre è uno dei mesi invernali che amo: il mese del “solstizio d’inverno” con la notte più lunga che prelude alla prima alba che ricomincia ad allungare il giorno. Una fine che è anche un inizio, un anticipo di desiderata primavera come annuncio della nuova stagione: la prima dell’anno solare. Dicembre è allora, per me, sinonimo di Luce. Non a caso, il 13 si festeggia Santa Lucia, la Santa che porta la Luce per sconfiggere il buio che ci attraversa. Quasi una ri-nascita. Non a caso, il mio dicembre conta molte culle e poche urne: mamma è nata il 3 dicembre del 1919. Mia nipote Isabella, figlia della mia amatissima Anna Maria, che è volata nel Cielo tra gli Angeli solo alcuni mesi fa, è nata il 2 dicembre del ’73. Il 10 è nato Mimmo, il mio carissimo amico da oltre quarant’anni, e il 20, Biagio, della prima giovinezza, il 23 il per sempre rimpianto Nico, e il 27 il grande e indimenticabile Giovanni Gastel, di cui non smetterò mai di parlare e di scrivere.

Ma, il 3 dicembre di due anni fa ho perso la mia Gazza adorata, Selvaggia C Serini, e il 14 dicembre di solo alcuni anni fa, il mio amato Cris Chiapperini, sempre presente nel mio cuore. E tra due giorni festeggeremo il Nuovo Anno con tutti: gli amatissimi figli e nipoti e tutti gli assenti, presenti più che mai nel cuore.

Di tutti riprenderò a scrivere ma, intanto, sento il bisogno di augurarvi un Nuovo Anno colmo di Fede (quanto meno nella nostra Umanità), Speranza (come impegno a vivere quotidianamente nella pienezza della nuova alba per sé e per gli altri), e di Carità (che è soprattutto Amore verso sé stessi e verso il mondo che ci circonda e ci rende un “insieme di anime in cammino”… Angela/lina

martedì 17 dicembre 2024

Riflessioni su "Se mi conosci..." di Vincenzo Mastropirro


Vincenzo Mastropirro Se mi conosci, Opera poetica vincitrice al Faraexcelsior (FaraEditore 2024, Rimini)       

Motivazione della Giuria

Questa raccolta si è classificata seconda ex aequo al concorso Faraexcelsior 2024, ricevendo il seguente giudizio da Doris Bellomusto:

Si apprezza l’originalità dello stile e del contenuto, la vivacità espressiva ottenuta attraverso la sapiente mescolanza delle lingue madri, italiano e dialetto. La silloge è strutturata con delicata attenzione in modo da consentire a chi legge di ricostruire il senso profondo di un viscerale legame con la madre e con la morte.

Introduzione dell’autore

“Se mi conosci” è considerata un’espressione tipicamente autoreferenziale che rimanda all’interlocutore in termini della sfida e dell’aspettativa. Quel condizionale che non può prescindere dal rapporto intimo con l’altro, trascinando con sé ogni sfumatura relazionale per invitarlo a compiere un gesto, un’azione o, comunque sentirsi parte attiva in un determinato contesto.

In questa mia interpretazione invece, l’espressione riflette una valenza diversa, sono io che mi chiedo: se mi conosco. Se mi ri-conosco davvero. Riflessioni a cielo aperto che principalmente appartengono alla relazione madre-figlio, ma anche a tutti gli altri legami che la vita ha avuto il compito di tessere e intrecciare durante la mia esistenza.

Anna (mia madre Ninetta) ma anche la mamma di Maria, di conseguenza la Mamma di ciascun cristiano credente, io compreso - in quanto figlio - benché poco credente. Forse si tratta di un figlio qualunque, forse di un figlio ribelle, forse compreso, forse disatteso, forse programmato, forse “improvvisato”.

Comunque un figlio che ha un rapporto direi simbiotico con la propria madre tanto che non valgono le parole per capirsi e quelle che il figlio dice anche se a lei estranee valgono oro colato. L’intesa madre-figlio è perfetta, nonostante il figlio da bambino sia stato uno scavezzacollo, ribelle alle regole, amante del gioco in libertà, come ogni bambino, ma con una musica magica nel cuore - il flauto - che solo lei sa, conosce e riconosce. E la magia del cuore si estende ad entrambi. Vincenzo è un generoso ad oltranza, prima di sé stesso mette gli altri. Cita i poeti e i musicisti, gli artisti in genere, propone i loro versi, la loro musica. E lo fa anche in questo Libro, dedicato alla madre, senza dimenticare il fratello Antonio e la sorella Mimma perché ogni “separazione” gli procura dolore, rivelando una straordinaria sensibilità che non è facile scoprire sotto la maschera ironica e aspra, con cui si difende dalla quotidianità senza sogni della maggioranza delle persone che quotidianamente incontriamo e non sanno sognare, prive come sono di creatività e di fantasia. Chi se non un’anima ricca di particolare sensibilità avrebbe potuto dedicare a sua madre la poesia a p. 15: “U chjande de la chjande” (“Il pianto della pianta”) in memoria di sua madre agonizzante, oppure quella a p. 17 che parla di sua madre e di sua nonna, sovrapponendone i volti, “resi immortali per i loro capelli al vento”: preziosa immagine di una gioventù d’altri tempi che Vincenzo ripropone nello splendore dell’immaginazione che è più di un ricordo. A p. 20, ecco una perla: “Se un giorno sarò mai vecchio” e i figli dovranno accompagnarlo oltre l’Oltre sentiranno forse la stessa ninnananna che lui fece in una carezza a sua madre e forse la canteranno con lui, che, con rammarico avvertirà lo sbilancio generazionale che eviterà loro di poterla capire, condividere.

La “madre” è il punto focale della poesia di Vincenzo Mastropirro a cui subito dopo si affianca la “morte”: è un binomio inscindibile, dato che Vincenzo ha visto morire sua madre tra le sue braccia. L’ha cullata, l’ha stretta a sé in un abbraccio senza fine. Ma con la madre convergono tutti i riti che lei era solita perpetuare della sua fede, delle sue devozioni, delle sue lacrime nascoste per sopravvivere alle inevitabili delusioni che la vita riserva sempre ai puri di cuore, pur avendo mano ferma e una strategia di sopravvivenza: l’ironia, che tanto accomuna madre e figlio, e in cui si sono sempre riconosciuti. Ma c’è in Vincenzo molto di più: il gusto del paradosso, della contraddizione, della ribellione: Nessuno abbraccia più nessuno/ i padri non abbracciano i figli/ i figli non abbracciano i padri./ Nessun petto contro petto/nessun abbraccio nell’arido greto./ Solo l’amore per l’amore illumina/ quello che abbaglia come luce/ che scala vette impervie e scure/ confidenze che solo Dio conosce.

C’è anche un apparentamento strano con la fede, la religione, Dio. In Vincenzo prevale un atteggiamento agnostico con sospensione di giudizio, che lo mette in una strana posizione, che è più sofferenza che libertà dai “lacci” della fede. Anche qui prevalgono la sua sensibilità e l’influenza materna. Molto profonde e intense le pagine dedicate alla sua bellissima moglie Gina, ai suoi figli (vedi a p. 36 i versi stupendi dedicati a sua moglie e a suo figlio Michele, che sta per nascere). Praticamente, Vincenzo è un uomo che vive tutti i sentimenti in maniera sofferta e sincera, con la musica di sempre a fargli compagnia e una lacrima nascosta tra i pensieri. (vedi a p. 76 la conferma di quanto da me evidenziato e per chi volesse leggere quanto da me scritto in “L’inno alle madri” è a pp. 79-81). Un abbraccio grande a Vincenzo e a tutta la sua meravigliosa famiglia.

Lina 


 

lunedì 18 novembre 2024

Lunedì 18 novembre 2024: ancora silenzi per problemi di salute, familiari, editoriali...

Ancora una volta scrivo con notevole ritardo e mi dispiace molto perché è come se venissi meno alla necessità di comunicare reciprocamente. La verità è che dopo la terribile batosta del COVID non mi sono ripresa completamente. Sono debilitata e depressa perché so che devo risolvere ancora parecchi problemi di salute, che mi porteranno a breve di nuovo in ospedale per debellare i calcoli renali con il laser, presenti in buona quantità in entrambi i reni, procurandomi ancora notevoli problemi e dolori. Insomma, non sono serena. E questo mio stato d’animo coinvolge, come è facile immaginare, tutta la famiglia, anche i figli che vivono a Roma e sono sempre in ansia per me e per il mio ben-essere psicofisico. Anche per via del dolore sempre vivo e urlante della perdita di Anna Maria, sorella amatissima, che per un’intera vita mi ha protetta, date le mie tante fragilità, con lo scudo della sua forza d’animo, del suo coraggio, del suo amore per la vita.

A tutto questo occorre aggiungere i problemi di conduzione familiare che in questo lungo momento difficile si sono stratificati, moltiplicando gli sforzi di tutti quelli di casa che si prendono cura delle cose pratico-amministrative della famiglia.

Ci sono, infine, i tantissimi problemi di ordine editoriale che pare si vadano moltiplicando all’infinito. Certo, una Casa editrice, ha centomila rivoli di impegni per far fronte alle molteplici opportunità in Italia e all’estero per ricavarsi i suoi spazi di gemellaggi vari, con frequenti viaggi in Italia e in terra straniera per nuove pubblicazioni, nuovi incontri, presentazioni, e così via. L'Editore Peppino Piacente, per esempio, è continuamente in viaggio in Italia e in terra straniera. Nicola Piacente, presente a Francoforte, Peppino Piacente, inoltre, è andato più volte in Serbia, in Romania. Abbiamo ospitato più volte da noi Amici, Professori universitari, Poeti, Studiosi. 

Ci siamo affrettati a concludere il penultimo numero della nostra bella Rivista cartacea bimestrale CORRELAZIONI UNIVERSALI, questa volta dedicata ad ANNA MARIA DE LEO, a cui ha dato voce anche Mariella Medea Sivo, con la sua bellissima, puntuale, attenta, coinvolgente Recensione al Libro di Anna Maria "Gelido è l'inverno".  

E le nostre presenze: Presenti a metà ottobre presso Didactica - Fiera del Levante -  Puglia con “La scuola che ci piace”. Grande affluenza di pubblico, soprattutto Docenti, Insegnanti, Studenti.

Presenti ad una lunga e ottima intervista, fatta a Raffaella Leone in qualità di PR della SECOP e di scrittrice dalla bravissima intervistatrice Damiana Dorotea Sgaramella nella trasmissione “Quello che le Donne Dicono” - “Una maestra ma non troppo”, ultima amorevole fatica letteraria di Raffaella. L’intervista è stata trasmessa in diretta su Tele Dehon, martedì 12 novembre - ore 21,15 - Canale 19. Insomma, vorrei potervene parlare più a lungo, ma sono stanca e ho bisogno di riposare. Spero di essere con voi nei prossimi giorni. E di fare meglio. Un grande abbraccio a tutti. Angela/lina

  

martedì 5 novembre 2024

Martedì 5 novembre 2024: Ancora tanto SILENZIO tra noi, vissuto tra vecchie sofferenze e nuove gioie...

Il silenzio mi piace. Paradossalmente perché, come ben sapete, io amo le parole, amo comunicare con le parole, confrontarmi, conoscere… Eppure, c’è silenzio e silenzio: quello dell’alba e quello della casa che dorme, quello delle cose che nel buio scompaiono e si ridestano. Il buio della notte e incontrare il silenzio delle stelle che, in realtà, producono musica, quasi fosse il sussurro del cielo. Il sogno (forse neppure sognato) di Dio. E che dire del silenzio della pioggia sul mare? Una eterna conchiglia da portare all’orecchio per avvertirne il suono, il suo messaggio…

Come non amare, dunque, il silenzio? Come non sentirlo dilatato e pacificato dopo un temporale, uno scroscio d’acqua, dopo il prolungato pianto di un bambino, dopo la caciara di una sagra paesana, dopo il terrore assordante di tutte le guerre? Come non assaporarlo dopo l’inquinamento acustico dei nostri giorni e scoprire che c’è ancora e che, invocato e atteso, benefico ci salva? Come e perché ci salva? Perché nel silenzio noi incontriamo il mistero, lo penetriamo e scopriamo il suo linguaggio misterioso in una società distratta dal chiasso, vuota di senso e ricca di teorizzazioni, ammalata di individualismo e assoggettata a considerazioni astratte che spesso sono solo elucubrazioni virtuosistiche della mente. Il silenzio, invece, riporta il nostro sguardo sulla “cosalità” perduta, sulla materica composizione del mondo come soglia di ogni altro pensiero, di ogni altra conoscenza. Fisica e metafisica. E parto ancora dal silenzio delle cose, per “vederle” oltre che guardarle e scoprirle e valorizzarle. Per ascoltarle.

Silenzio, pertanto, è una parola che mi piace molto, soprattutto se penso al silenzio che fa parlare il cuore. Come diceva mio nonno, quando sorprendevo lui e mia nonna seduti vicini nella penombra della sera, dopo aver recitato il rosario, dietro i vetri di casa, in silenzio, a salutare il buio che annullava le cose e i rumori e le voci del loro piccolo mondo: la strada di casa, allora ancora un po’ in periferia o la semplice via di un amore che li teneva indissolubilmente uniti. Sereni, nonostante gli innumerevoli dolori e dispiaceri da entrambi vissuti. Con tanta fede in Dio e mai una recriminazione per non sciupare il nostro incanto per la vita. Anche a Primo, il mio tempestoso compagno per circa quarant’anni, piaceva il silenzio del nostro raccontarci con gesti d’amore il giorno, lui che aveva come codice preferito di comunicazione l’urlo, e si meravigliava del mio accoglierlo in silenzio, “senza lo scontro”. Se torna il silenzio: era una aspirazione ed una invocazione. Una necessità di vita per riscoprirci insieme.

Ma SILENZIO è anche una parola che mi sgomenta, quando penso al silenzio che crea un vuoto; che separa con fratture e divisioni; che è culla di odio e di rancore; che cova vendetta; che coltiva un equivoco e lo fa ingigantire nella mente; che nasconde un sentimento mai svelato e, quindi, mai conosciuto e riconosciuto, mai vissuto nella pienezza del gesto, oltre che delle parole. Silenzio atteso e temuto, dunque. Silenzio invocato e nutrito. Infranto e chiacchierato. Silenzio raccontato.

Il silenzio è il nulla prima del Big Bang, esplosione del Creato. Che si racconta con le cose. La materia, innanzitutto. Generata dal nulla per un atto di Energia purissima. Come direbbe un mio amico poeta e chimico. È il vuoto tra due rumori, tra due suoni, tra due parole. È attesa e ricordo. Speranza e rimpianto. Il pudore e il timore. L’invocazione muta dell’anima. La preghiera. È la cattedrale gotica che s’innalza con le sue guglie al cielo in una penombra che invita al raccoglimento per ascoltare meglio “le voci di dentro”: quelle che ci parlano dell’invisibile che è in noi e fuori di noi: l’arcano, il mistero, il sogno. L’indicibile perché tanto più grande delle parole per esprimerlo. L’immenso. Lo stupore. Il linguaggio dell’Universo. L’incontro temuto, tormentato agognato con Dio.

Ma, in questi giorni, c’è stato un silenzio nuovo del nuovo giorno: mia nipote Anna Paola ha conseguito la Laurea Magistrale in Chimica Industriale, ed io, nonostante non stessi ancora bene dopo la batosta del COVID, ho avuto la forza di essere in aula con lei: per incoraggiarla, per incoraggiarmi (penombra di canto muto colmo di sorrisi del cuore). E sono stata con tutti i parenti, gli amici, i giovani e giovanissimi cugini, stretti in un abbraccio che sa di “appartenenza”, fino alle due e mezzo del mattino. Potenza dell’amore. Coltivando amore. Che sa di luce anche quando la notte ci ha sfiorati, nella certezza che il suo 110 e lode avrà a breve meritatissimi frutti, dovuti all’impegno, alla passione, alla determinazione con cui Anna Paola ha affrontato gli esperimenti quotidiani di Chimica in Facoltà. Siamo stati, dunque, tutti con lei fino al sussurro dell’inizio del nuovo giorno che non teme il silenzio dei balconi a imbrigliare il cielo. Pure, quante assenze/presenze nel silenzio del cuore per non turbare la felicità della conquista e per festeggiarla insieme. Anna Maria, per esempio, è stata al mio fianco, silenziosa e commossa, condividendo con tutti noi questa gioia immensa. E con noi c’erano anche nonni e bisnonni ad accompagnare il nuovo percorso di vita di Anna Paola, che “ha acceso il suo sogno per illuminare il suo infinito”.

E nel buio scintillante della notte sono fioriti anche i miei versi che fra qualche giorno saluteranno l’arrivo dei figli che vivono a Roma e che per motivi di lavoro hanno dovuto rinunciare a essere presenti tra noi. A presto, allora, per raccontarvi l’atteso incontro. Ciao. Angela/lina   

  

giovedì 10 ottobre 2024

Giovedì 10 ottobre 2024: un ritorno difficile da affrontare con coraggio…

Probabilmente qualcuno di voi, che mi seguite con tanto affetto sul nostro blog, si sarà chiesto il perché di un così lungo silenzio. Ebbene, ho avuto un altro momento drammatico della mia vita: quindici giorni vissuti tra la vita e la morte per via del COVID, che non ha voluto risparmiarmi e, con me, tutta la mia famiglia, con cui vivo a Corato (Bari) da circa 24 anni. Io, la più fragile per età e per altre perdite che hanno segnato profondamente i passati giorni, nonostante tutte le precauzioni, sono andata a finire prima al pronto soccorso del mio paese e poi, per direttissima, di notte, all’ospedale di Altamura, dove mi hanno immediatamente “accolta” nel reparto allestito per i malati di COVID per le prime cure del caso. Ho sottolineato “accolta”, e lo ribadisco, perché, per la prima volta, in una struttura sanitaria pubblica (di ospedali e cliniche private, in Italia e all’estero: Lione, Belgrado ecc. ho fatto, mio malgrado, la mia seconda casa nell’arco della mia lunga vita), mi sono sentita in un ambiente decisamente accogliente e protettivo, grazie soprattutto ad una équipe medico-sanitaria altamente qualificata, e mi riferisco non soltanto ai medici e alle dottoresse, ma anche agli infermieri e infermiere, alle Oss, fino ai semplici inservienti: tutti, dico tutti, ciascuno nel proprio settore e con le specifiche competenze, o mansioni, ha dato il massimo di sé  e molto di più, quasi fosse, il loro, non un semplice servizio, ma una vera e propria missione umanitaria H 24! 

Struttura all’avanguardia, pur nella semplicità delle suppellettili, con monitor e quant’altro, e farmaci di ultima generazione per chi, come me, è allergica a tutto: antibiotici, analgesici, cerottini anallergici, e così via. Se non fosse stato per tutto questo, ora non sarei qui a parlarvene, grata al buon Dio per avermi, ancora una volta, protetta e grazie a una Madonnina col Suo Cuore Grande, acceso d’Amore per l’umanità sofferente, e uno sguardo di benevola consolazione che si slargava in un tenero sorriso. Più in là, minuscolo, forse ricavato da un po’ di legno teak, un crocifisso che mi commuoveva nella sua marginalità, quasi a fare spazio a tutte le altre divinità, a cui ogni essere umano può affidarsi, soprattutto in un luogo di sofferenza e di dolore. 

Ma il mio lato romantico e poetico non può omettere di parlare della grande vetrata che mi permetteva di sera di guardare le stelle enormi sulle Murge incantate e molto probabilmente lontane dall’inquinamento luminoso dei centri abitati tale da comprometterne l’affascinante visione. Io di notte parlavo con le stelle quasi fino all’alba, quando Sirio rimaneva ad attenderla, più luminosa che mai, e le allodole sfidavano il sorgere dell’aurora con i loro voli in libertà verso il sole. E stridii e giravolte come gioia di vivere e di essere al mondo e di allietarlo. 

Alle 6,30, puntuali come silenziose ombre leggere gli infermieri e le infermiere cominciavano il loro turno: febbre, pressione, emogasanalisi arteriosa sistemica per misurare le quantità di ossigeno e di anidrite carbonica presenti nel sangue e provvedere, in caso di bisogno, alla mascherina per l’ossigeno; flaconi di farmaci da immettere nelle vene: magnesio, potassio, calcio, acido folico… Inevitabile il paragone con il garrire frenetico degli uccelli oltre la vetrata e il silenzioso compito quotidiano per supplire a valori nutrizionali ancora piuttosto bassi per stare bene. Tutto questo ha comportato il mio cercare di “sentirmi viva”, scrivendo sul mio cellulare pensieri, poesie, riflessioni. 

Ecco qualche esempio, con un pizzico di follia la “Ballata di fine settembre”: La fine di settembre che incalza/ di piogge e nuvole innevate/ mi fa ciao ciao questo pomeriggio/ dietro la grande vetrata dell’ospedale/ sesto piano di un paese che sembra/ toccare il cielo che cade giù più giù/ e sembrano stringersi la mano/ come quel tale Peppino garibaldino/ che al re galantuomo fece nietemeno/ un inchino a Teano, non al villano./ (che sempliciotto non era perché lui era/ “di scarpa grossa e cervello fino”/ e pioggia non pioggia cade non cade/ a casa lui ritorna come cavalla storna)./ E chi c’era e chi non c’era/ non ebbe mai una statua di cera/ come oggi accade nel Museo/ di ogni metropoli che si rispetti/ con onore e affetto ai propri miti/ ed eroi e donne ardite ne abbiamo/ anche noi e molti non capiranno/ (e, udite udite, sotto la pioggia/ mai stanno e non lo sanno/ e non se ne fa mistero c’ero non c’ero/ vero o non vero, sincero non sincero…)./ Poi si scopre che molti erano e sono/ guerrafondai, assassini, dittatori/ hanno trucidato popoli e fratelli/ sventrato il mare, fatto a fette la luna./ Si sono improvvisati attori e non vanno/ mai un galera, non ne hanno fatto bene/ UNA, poi di colpo perdono la testa./ Mai una guerra come se non avessero/ una Mamma una Figlia, una foto ricordo…/ (Ma i nostri benpensanti scrittori poeti/ giornalisti gli agguerriti della penna/ e dei social imperversano e vomitano/ giudizi e volgarità, sacri malumori/ perché così si scrive)./ Gettando nella disperazione i disperati,/ nel marasma i dispersi, nel vuoto/ i giovani e ragazzi allo sbaraglio/ che non si salvano più manco per sbaglio./ Prendiamo il mare mettiamolo via./ facciamo il cielo a pezzi non serve più,/ fu un inganno di stelle ridicole/ già morte milioni d’anni fa,/ rompiamo il passato quel che è stato è stato./ E le stelle di Vecchioni, il profondo mare di Dalla,/ l’azzurro di Conte e tanto De André/ e tu e io e noi che ancora ci crediamo/ e sotto le stelle facciamo/ casa e nido?/ (ma s’incantano i miei occhi al gioco della fantasia/ che COVID signore/ alla grande acuisce e restituisce:/ e vince le guerre la paura la codardia)./ Non cade la pioggia sale come lo jojo/ della mia infanzia magica e dorata/ con i bimbi che rimbalzano sulle reti/ spaccariccioli che volano più su più su./ C’è persino un cuoricino istoriato/ come sottile vetrata di chiesa cupola/ d’altare e vetri cilestrini di campanile,/ con una coda lunga sinusoidale,/ che sale che sale e non si fa mai male/ (perché porta un messaggio d’Amore/ creato da un folletto innamorato/ che, senza alcun peccato, è volato/ dalla sua bella sempre quella quella)./ Nel silenzio della pioggia il suo segreto/ privo di parole, il segreto non parla/ conserva, racchiude in una sola goccia/ grande come una boccia di biliardo:/ trasparente, non è bugiardo./ È azzurrina la bolla di pioggia/ come bolla di sapone, non sussurra,/ non racconta, tace ridente di mille colori:/ è solo amore immenso amore/ che supera ogni dolore e disperazione./ Salvifica è la danza sotto la pioggia/ che sale con me e siamo in tre:/ danza io e pioggia e noi, sì, noi nell’IMMENSO/ non ci perdiamo, ci teniamo per mano/ e ridiamo./ Il rumore, voce della pioggia/ è la nostra risata, ci credi o non ci credi/ la vedi o non la vedi/ e ridi con tanto cuore/ non più danza delle ore, ma dell’amore/ (intanto il cielo di Dante si è acceso di stelle/ si sono svegliate a mille a mille/ con le loro centomila faville/ hanno spento la pioggia acceso i Sogni)./ Ri-nascita non è solo Amore è FUTURO…    

Poi, ecco una poesia beneaugurale per il compleanno di un mio carissimo amico: Un’alba di mandorla chiara/ e un residuo di stelle mi regala/ Sirio tra le mani che a migliaia/ hanno raccolto stanotte/ per farne dono all’amico geniale,/ che dono mi fa del suo cielo stellato./ E brividi di nostalgia sotto una cupola/ accesa di stelle, che sanno di una notte/ di pura magia e mille ricordi… / E sfrecciano nel cielo dell’alba allodole/ in libertà a portare il oro canto/ e incanto all’amico geniale in dono./ (e sarà il nostro inno all’amicizia/  alla creatività e alla felicità condivisa. Sempre…).

A Matteo per il suo compleanno! Sii felice! Angela 

Ed era il 5 ottobre. Ma il 2 ottobre per la giornata degli Angeli Custodi e per la Festa dei Nonni sono riuscita a scrivere “Quando volano le ali”: Ci sono angeli al nostro fianco…/ dicevate in un racconto di noi/ - Angelo di Dio che sei il mio Custode, illumina,/ custodisci, reggi e governa me,/ che ti fui affidata dalla pietà celeste. Amen -/ Così da bambina i miei nonni. Ed era Luce!/ Così da bambina mamma accanto ai nostri lettini/ di bimbe senza padre,/ volato in guerra e prigioniero./ Ed era protezione./ E volavano ali per vivere un sorriso/ strette tra i nonni in preghiera,/ dolcissima preghiera dell’alba/ e del tramonto, preghiera della sera./ Ed era guida silenziosa di tenerezza antica./ Dietro i vetri contavamo le stelle,/ le più belle, per sentire nel cuore/ una ninnananna di luna e di attesa,/ intesa tra noi e il paradiso,/ vicino,/ lontano, terreno, divino…/ (con le ali toccavamo il cielo con un dito, / toccavamo il mistero e il suo canto)/ - Angioletto del mio Dio che fai tu vicino a me?/ Che fai tu vicino a me? - / - Sono l’Angelo del Signore/ sto vicino al tuo cuore/ quando vegli e quando dormi/ sempre sempre sto con te/ sempre sto vicino a te -/ (e nel canto fiorivano i nostri sogni con le ali…) 

Ai miei nonni. A mia madre…    

Oggi, infine, è 10 ottobre, mio fratello Mimmo compie 74 anni, essendo nato il 1950, a metà secolo. A lui dedico questi brevi versi: appartenersi è miracolo che si rinnova/ ad ogni incontro d’anima/ distanti noi nello spazio/ che più non ci appartiene/ uniti nel ricordo e nella nostalgia:/ bimbo tu di marzapane e zucchero filato,/ a distanza ci riconosciamo/ e sappiamo di esserci l’uno per l’altra/ sempre/ nelle risate mai spente/ nelle lacrime taciute./ Dono immenso è riconoscersi/ nella ruga profonda che ci regalò la fronte/ di nostro padre,/ negli occhi grandi d’immenso amore/ tenerezza mai spenta di nostra madre./ E viverci in famiglia con la stessa attesa/ d’incontrarci ancora/ come da bambini ad ogni estate/ (che mai muore e sempre ci appartiene)  

E da tre giorni sono finalmente a casa: stanca, debilitata, ma pronta a ricominciare. 

Un abbraccio a tutti. Angela/lina