“Sul Golgota”
Dove hai
messo in croce
l’amore
è
rimasta inchiodata
la Poesia
(a.d.l.)
Stiamo
vivendo tempi difficilissimi a livello planetario. Abbiamo persino paura del
prossimo futuro, anzi, temiamo, a ragion veduta, che il futuro venga negato,
non tanto a quelli della mia generazione (che hanno vissuto circa un secolo di
trasformazioni rapide e radicali in brevissimo tempo, grazie alle scienze tecnologiche
che hanno accorciato tempi e spazi di conoscenza in maniera vorticosa e
vertiginosa, tanto da non avere avuto e avere il tempo per assimilare e
depositare nella mente ciò che è stato ricercato, scoperto, appreso, attraverso
fonti di documentazioni inesistenti o inaccessibili o ignorate solo fino a
qualche decennio fa), quanto ai nostri nipoti e pronipoti, che si affacciano
oggi agli orizzonti delle loro esperienze esistenziali, molteplici e sempre in
bilico, ormai, tra il reale e il virtuale, tra le “moltitudini” che ci abitano (vedi
“Canto di me stesso” di Walt Whitman)
e le solitudini che ci opprimono nel disagio esistenziale che procurano.
Un’àncora di salvezza
forse ce la offre la poesia. Ho una mente poetica, infatti, che mi fa guardare
ancora oggi, nonostante i miei tanti anni di vita, il mondo con occhi incantati
e visionari e tutto viene vissuto da me con lo stupore di “Alice”, sempre
immersa nel suo “Paese delle Meraviglie”, mentre “attraversa lo specchio” della
realtà più nera, confortata dalla immaginazione e dalla fantasia, che sono di
per sé “creazione” e “ri-creazione” in un fantastico gioco senza fine...
E,
del resto, Platone affermava che “la
poesia è qualsiasi forza che porti una cosa dal non-essere all’Essere”. Dunque,
la poesia è energia, forza, generatività. Ma è anche la dolcezza disperata di Saffo, la tensione lirica di Ibico, l’ossimorico amore/odio di Catullo, la mitezza elegiaca di Tibullo, il travolgente fiume delle terzine dantesche, il malinconico canto
d’amore di Petrarca, l’ironica e
amara invettiva di Cecco Angiolieri,
il polifonico madrigale alla corte del Magnifico
a Firenze, e la superba ottava nell’Ariosto…
Ode, canzone, ballata, canto, idillio, persino sperimentazione criptica o
simbolica, per giungere intatta, fino a noi, imprendibile ma inconfutabile.
Parola essenziale e
allusiva nella poesia orientale; canto di dolore e di liberazione nei versi in
terra d’Africa o degli indiani d’America. Divertissement
musicale di parola ed eleganza per i francesi; impeto e passione per i
tedeschi; rivolta e rabbia e stravolgimento per la beat generation. Straniamento quasi sempre. Il poeta è perlopiù in
un “altrove” di sé stesso e del mondo. La poesia è “febbre di vita” per alcuni,
“esorcizzazione della morte” per altri. È riparazione alle “ferite” che il
tempo e gli uomini ci hanno inferto (Mariella Bettarini) ed è innocenza e
passione, verginità e peccato, ma è soprattutto “luce che purifica” (Alda
Merini). Essa “ferma il tempo e racchiude in sé il cosmo” (Carlo Ossola). Per
Holderlin e Heidegger significa “essere in presenza degli Dèi ed essere toccati
dalla vicinanza dell’essenza delle cose”, e, dunque, “prologo del cielo”,
“stato di grazia”, “illuminazione”, “veggenza”, “rivelazione”…
Il poeta è, dunque, un
visionario, un “fingitore” (Pessoa), è “colui che vive il fascino
dell’incompleto, dell’ignoto, dell’assurdo” (Mario Praz). È Diogene che con la
sua lanterna magica (la luce della poesia) indaga le verità nascoste nella
profondità della nostra anima (Machado). Mago e visionario (Nietzsche). E Luzi
afferma che è colui che “dispone lo spazio intellettuale ed emotivo ad una
esaltante incursione nel molteplice, nel movimento multiforme e contraddittorio
in cui si attua la vita”.
Mi
sembra, dunque, che quanto detto sin qui ben si attagli con la ricerca
scientifico-creativa di uno studioso geniale come Matteo Gelardi, che è partito dal microcosmo, studiato attraverso
la lente di un microscopio per giungere al macrocosmo, attraverso la sua
visionaria presa di coscienza dei multiversi che ancora oggi si autorigenerano
e ci riempiono di stupore. Le sue teorie in merito hanno raggiunto il mondo
intero con la nascita di una nuova scienza che, partita dall’osservazione del
muco nasale, è giunta, via via, ad una
insolita scoperta di Bellezza, che ingloba nella scienza medica la Poesia, la
Moda, la Musica, il Teatro e tutte le Arti in genere, traducendosi in uno Spettacolo
favoloso che, partito dal Petruzzelli di Bari, qualche anno fa, sta facendo il
giro del mondo, non in 80 giorni (Giulio Verne docet), ma nell’arco di soli
pochi anni.
E,
allora, ritengo che la Poesia possa dare un ulteriore apporto di Bellezza e di Mistero
al loro già felice abbinamento.
“La poesia e l’arte, nella figura del dono,
non invocano soltanto la loro origine, ma anche la loro destinazione” (Jean Starobinski)
Non
mi resta che cominciare a sperare nella Poesia, partendo dal suo valore
estetico, etico, taumaturgico. E, del resto, non mi stancherò mai di parlare di
poesia. Soprattutto dopo ogni mia salutare e meravigliosa serata, vissuta
all’insegna della Poesia, nella Poesia, per la Poesia. Con Poesia. “Poesia
anima e respiro dell’Universo”, così è stato intitolato, qualche anno fa, il
festival internazionale che ci ha visti coinvolti con entusiasmo e commozione
tra parole straniere e una sola voce: quella dell’anima innamorata del canto
della vita, tra realtà umana e sacralità divina. Il divino che si fa umano e
“s’incarna nella parola” (Paul Valery).
In
un momento storico così difficile, oscuro, problematico, amaro, violento, prevaricatore,
aberrante, quel festival che s’imperniò sulla interculturalità poetica assunse
un significato profondo: “la Poesia unisce i popoli, elimina steccati di ogni
genere, rende l’umanità migliore” (Raffaella
Leone Pr della Casa editrice SECOP, Corato-Bari).
Abitiamo
sotto cieli diversi che è pure lo stesso cielo; abbiamo credi diversi, pure
respiriamo lo stesso respiro divino che avvertiamo in tutto il Creato, noi
uniche creature tra tutti gli esseri viventi a sapere di un Creatore, padrone
della vita e della morte, a cui rivolgiamo la nostra preghiera e il nostro
canto.
Parliamo
lingue diverse, eppure abbiamo una sola voce: quella della mente, del cuore,
dell’anima. Una voce che racchiude in sé Bellezza, Armonia, Compiutezza,
Appagamento perché è Sogno, Passione, Memoria, Amore. Ha occhi d’innocenza
dell’umanità bambina e si macchia della polisemia ambigua della parola. Bugia e
Verità. Straniamento e Appartenenza. Possibilità di perdersi col rischio di mai
più ritrovarsi. Solitudine del volo alto (Baudelaire
e il suo Albatro) e desiderio di arrivare all’altro e all’altro ancora,
fino a ritrovarsi in un “altrove” che è perdita di sé e ritrovamento di tutto
l’altro da sé, che dilata orizzonti e non ha più confini.
Di
qui, la nostra “Poesia anima e respiro dell’universo”. In quanti modi possiamo
denominarla senza mai poterla definire? Illimitatamente. Perché non è
misurabile, né quantificabile né modellabile, la poesia. Non occupa uno spazio
o un tempo in quanto è spazio e tempo insieme (Carlo Ossola sostiene che la poesia “dimentica il tempo e racchiude
in sé il Cosmo”). Poesia è tutto quello che non è e che poi comincia ad essere,
grazie alla immensa forza della creatività. La poesia è, pertanto, atto di
creazione (Platone). È Spirito che
aleggia in ogni dove (ruah, per gli ebrei). Illuminazione perché è Luce che
mette in fuga le tenebre. È esperienza di vita che s’infiamma di emozione e
trasfigura la realtà in qualcos’altro. È veggenza (Omero era cieco e vedeva mondi meravigliosi con gli occhi della sua
anima fino a raggiungere il futuro perché fosse un eterno presente,
guadagnandosi l’immortalità: quotidiana conquista degli uomini in gara con gli
dèi). È visionarietà. È il segno della disgiunzione perché si ottenga l’unica
congiunzione possibile tra erranza e appartenenza. Andiamo oltre noi stessi
(erranza) per universalizzare il nostro sentire (appartenenza). È brivido che
attraversa il nostro corpo e i suoi cinque sensi per impadronirsi del sesto
senso (la sensibilità), che è lama che trafigge la mente, il cuore, l’anima per
farsi essenza materica (la pienezza significativa della parola) e pura fonte di
senso cristallino e nebuloso nella parola alata. Ecco perché la poesia è atto
creativo e di fede. Ci fa credere in quello che facciamo. Nella parola che
usiamo per rendere testimonianza di ciò che abbiamo guardato, sentito, vissuto
e rivissuto, trasformato, vivificato, nel riso e nel pianto, nella illusione e
nella delusione, nel sogno, credendo che fosse vero, e della realtà vissuta
come sogno. Tutto questo è poesia e molto molto altro ancora. È attimo di
emozione che diventa promessa di eternità. È coraggio di affrontare l’ignoto
che è in noi e fuori di noi e avvertirne la discrepanza che procura ansia,
dolore, smarrimento. E, nello stesso tempo, quanta pienezza e appagamento e
gioia un solo verso ci procura! È la nostra perdizione e la nostra salvezza!
Possiamo
ritenerci dei vinti se l’umanità continua a rinascere grazie alla Creatività,
filo diretto con Dio, che genera l’Arte in tutte le sue meravigliose forme?
E mi piace concludere con due poesie a conferma dell’immenso
valore salvifico della Poesia. La prima è di Primo Leone, di cui ho abbondantemente parlato nei blog precedenti.
Si intitola “Luna privata”: È ancora
possibile scrivere poesie/ chiudere la finestra/ pensare al cielo/ sui pensieri
della gente/ guardare tutte le lune del mondo/ scrivere parole che nessuno
leggerà/ investire in azioni del futuro/ scegliere le banalità più geniali/
inchiodare la tua luna in soffitta…/ È ancora possibile/ credere alla magia
infantile/ indefinibile intrigante/ di questa luna privata/ nostalgica
inquietudine/ di tutti i pensieri impossibili/ che poesia ci restituisce (da
La strategia del clown, 1990)
La seconda è mia. Senza titolo:
Il cielo lacrima di rinviati addii/ sapore di pioggia nello specchio/ di larghe
pozzanghere/ a fingersi lago e fiume e mare/ e oceano di rinnovati velieri/ e
alte bandiere di vittoria/ agli orizzonti inattesi./ Il bianco dei capelli dei
vecchi/ non cede alla fragilità delle nuvole/ in un avanzare di ali/ lungo
sogni d’erba mai dimenticati./ resisto anch’io agli anni/ mai spenta dagli
inciampi/ e le frananti cadute/ col filo testardo della scrittura/ coraggiosa
seta doro la sua tessitura/ che mi canta dentro e sorride/ della mano che
trema/ non più certa e sicura/ protesa alla carezza di un verso/ per accendere
il mio cielo di improvviso splendore/ che colore ha di arcobaleno./ E afferro
gomitoli di sole/ da dipanare piano/ in questo lento tramonto/ che avanza
silenzioso e arcano/ per ridarmi il chiarore delle stelle/ (finché sapranno i
miei occhi/ naufragare nei sogni/ incantarsi di Luce/ vivere di Poesia).
Grazie sempre per la pazienza nel leggere e condividere le mie
gioie, i miei dolori, le mie presunzioni, i miei pentimenti… Quella che sono
nel bene e nel male. Alla prossima. E ancora: buone vacanze!!!
Angela/lina
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