venerdì 25 febbraio 2022

Venerdì 25 febbraio 2022: salviamo il Sorriso di tutti i Bambini con i Coriandoli di Carnevale

 Per carnevale 2022

Gli aquiloni dei bambini precipitano nel mare in burrasca di una guerra annunciata, ma non troppo.

La pace è aquilone che fremita d'azzurro con altri aquiloni. Il nero della sua fine copre ogni colore: perdita di certezze e verità. Dell'illusione. Dell'intesa. Di noi stessi. Lacerata tela. Tentiamo di riprendere i fili della speranza per ripercorrere il delta del grande volo, cui abbiamo creduto con disarmante ingenuità. Ma ci perdiamo nei flutti del mare in tempesta, senza più appiglio di vento...

In questi giorni, però, è anche Carnevale e i bambini, a cui già la pandemia ha tolto l’infanzia e i voli degli aquiloni in giochi di libertà e spensieratezza, hanno diritto a filastrocche, risate, coriandoli, stelle filanti, mascherine sorridenti e non quelle della precauzione e della paura. Per loro, solo per loro queste filastrocche che per gli adulti hanno altro amaro sapore

Semel in anno…

Dopo la parentesi sanremese e un pieno di canzoni (belle brutte così così) è sopraggiunto Carnevale a portarci un’allegria diversa (colorata bizzarra danzante vorticante di mille colori mille suoni mille emozioni). Mi piace festeggiarlo con alcune mie filastrocche, scritte nell’arco dei miei lunghi anni e mai pubblicate. Ora, nel mio blog, è diverso. Posso anch’io per un giorno sbizzarrirmi. Senza togliere alla mia bravissima sorella Anna Maria il primato di questo delizioso genere dedicato soprattutto ai bambini. Lei è padrona della rima e del ritmo. Io, come sempre, sono più “arzigogolata”. Ma spero, in questo caso, di essere altrettanto leggera e divertente… semel in anno con quel che segue… 

 

FILASTROCCHE TONTE E TOCCHE

                           I

FILASTROCCA   DEI PAGLIACCI

Filastrocca del pagliaccio bianco:

rido rido e mai mi stanco.

Filastrocca del pagliaccio rosso:

mi diverto a più non posso.

Filastrocca del pagliaccio verde

Dalle ciglia una lacrima perde.

Filastrocca del pagliaccio giallo

 fa chicchirichì come un gallo.

Filastrocca del pagliaccio blu:

non sono io non sei tu.

Sono in tanti sono a colori.

Belli dentro allegri fuori.

(brutti dentro, brutti fuori?)

Ma se ci aggiungi un pagliaccio vero

rideremo col mondo intero.

                            II

FILASTROCCA DELLA BELLA COMPAGNIA

Amiamo stare in compagnia:

insieme scacciamo la malinconia.

Siamo tanti bambini vestiti a festa,

prendiamo i coriandoli dalla cesta.

Volano in alto con mille e più colori,

sembrano lucciole sembrano fiori.

Sembrano caramelle e meno male

che a Carnevale ogni scherzo vale.

Vale per me vale per te,

vale anche per la figlia del re.

Una volta all’anno per tutti vale

non tutti ridono. Ma è Carnevale!

                     III

FILASTROCCA TONTA E TOCCA

Filastrocca filastrocca

Filastrocca tonta e tocca.

Filastrocca un po’ bambina

ingenua candida piccolina.

E se viene il batticuore

Filastrocca è anche amore.

Con mille giochi colorati

non ci siamo mai annoiati.

Abbiamo gridato a tutto spiano

facendo tutti un gran baccano.

Abbiamo cantato pian pianino

schiacciando pure un sonnellino.

C’era una ninnananna tutta d’oro

per ogni bimbo dolce tesoro.

Abbiamo cantato a più non posso

come mille grilli dentro il fosso.

Sotto a chi tocca, tocca proprio a me,

se siamo uniti vinciamo per tre.

Vieni con noi ci sei anche tu

e la nostra filastrocca vale di più.

                   IV

FILASTROCCA DEL SI’ E DEL NO

Filastrocca del sì e del no

a cantare io più non ci sto,

non ci sto per i bimbi trafitti

dalla guerra e i suoi conflitti.

Filastrocca del no e del sì

per cantare ti dico ni.

Filastrocca del ma e del se

più non ballo ma canto per te

questa nenia con tanto amore

per ogni piccolo grande dolore

che questa guerra già comporta.

Non coriandoli bombe di guerra storta

ma a nessuno proprio poco importa.

Importa a me, vieni presto giù,

non mi diverto se ci manchi tu.

Filastrocca dubbiosa, del se e del ma

il mio triste amico è giunto già.

Ora tocca a noi tutti, tutti quanti

 a pregare, saremo proprio in tanti

Filastrocca non tanto sciocca

se ogni bambino non si tocca,

salviamo di tutti giochi e sorrisi

la guerra non può vederci divisi.

Ci sono cento mille e più morivi

per gridare no alla guerra, restiamo vivi!

Se saremo in tanti ce la possiamo fare

a contrastare le armi da impugnare.

Io mi rifugio tra le braccia del nonno

che mi accarezza anche se ho sonno,

che getta coriandoli contro il cielo nero

e costruisce aquiloni per il mondo intero.

                         V                  

 FILASTROCCA DEL MARTEDI’ GRASSO

È Carnevale e io me la spasso:

mi piace molto questo fracasso.

Vado in giro vestito da Zorro:

faccio una piroetta e poi corro.

Vado a combattere con la mia spada

contro i briganti d’ogni contrada.

Mi viene incontro la Fata Turchina

tutta trafelata e stanca poverina

per Pinocchio ch’è andato al mare:

babbo Geppetto lui vuole trovare.

Bella è la fata con i capelli turchini

ed ora si mescola con noi bambini.

Corriamo di qua spingiamo di là

vogliamo fare tutti un gran varietà.

Perché anche questo Carnevale finisce qui

come ogni anno, sempre sempre di martedì.

lunedì 21 febbraio 2022

Lunedì 21 febbraio 2022: Giornata Internazionale della Lingua Madre...

Il mio amico Marco Zanchi, in risposta al mio Retino, mi ha inviato stamattina una delle sue deliziose filastrocche per adulti e bambini di ogni età, piene di ottimismo e buon umore, e che ora vi propongo: Nel paese di nome IO/ Ci sono nati tutti son nato anch’io/ Ma pur se strano ne sono certo/ Nessun luogo al mondo è più deserto/ Di sentimenti non di persone/ Perché di quelle ne trovi un milione/ Ognuno lì crede di essere re/ Mai una volta che pensi anche a te/ Ma nel paese di nome TU/ Ci viene chi a IO non abita più/ È bello davvero ma è di passaggio/ E chi lo ha visto ha avuto coraggio/ Quello che serve a mollar la corona/ Lasciare IO e una vita beona/ Per arrivare nel paese del NOI/ Il più ricco e gioioso corri se puoi/ Ci vivo io se ci stai tu/ Silenzio è un segreto/ Si vive di più!!!  

Bella, vero? Gioiosa, sorridente, entusiasmante. Ed io fino a qualche giorno fa ci credevo fermamente. Ma “soffiano venti di guerra” e purtroppo ho deciso di archiviare l’argomento, forse per sempre, dopo una notte di trepidante e angosciato ascolto di quanto stava accadendo minuto per minuto tra RUSSIA-UCRAINA-USA, con mezzi bellici alle porte pronte ad invadere “il nemico”. “Homo Homini lupus”, come già Hobbes realisticamente più che scetticamente ha decretato già nella metà del ‘600. L’animo umano, dunque, non cambia. Da Caino il feroce fratricida contro l’inerme e pacifico Abele. Al “Nessuno tocchi Caino”, una canzone di Enrico Ruggeri di qualche decennio fa, diventata ben preso una sorta di slogan, io oppongo il mio grido “purché nessuno tocchi Abele”. Ma così non accade mai. Non accade ancora. E i teppistelli dell’ultima ora ne sono un terribile esempio. Siamo ancora quelli “della fionda e della pietra”, come Quasimodo ci ha redarguito dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Ci sarà sempre un “IO” smisurato e feroce ad uccidere un “tu” più debole e inerme senza giungere mai al NOI. Purtroppo. E tutto rimane nelle buone intenzioni di alcuni strenui ottimisti, più per sopravvivenza che per convinzione ormai. La storia ce lo ha insegnato ripetutamente nei corsi dei millenni della esperienza esistenziale dell’intera umanità.

E oggi anch’io realisticamente e col cuore ferito cambio pagina.

E voglio parlare di qualcosa che mi sta a cuore anche se può sembrare controcorrente, data la realtà interplanetaria dei nostri giorni.

Oggi, 21 febbraio, è la Giornata Internazionale della Lingua Madre, istituita più di vent’anni fa dall’UNESCO. Si tratta di una ricorrenza molto importante per l’inclusione nelle nostre scuole degli immigrati stranieri. Una Giornata che mi piace ricordare perché, in questa società globale, appunto, multilinguistica e multiculturale, rischiamo di perdere la nostra identità a tutti i livelli: sia che riceviamo in casa nostra gli stranieri, sia che questi ultimi si affrettino a imporre i loro usi e costumi, la loro lingua. Dobbiamo augurarci che sia un INCONTRO sempre a metà strada per il bene di tutti: per chi entra e per chi accoglie. Il timore è fondato perché molte lingue vanno di anno in anno scomparendo con tutto il prezioso scrigno della propria storia, i modi di dire, le usanze, i costumi, i riti, le sfumature linguistiche che solo quella comunità possiede, storicamente e geograficamente. Le lingue, anche dei più piccoli territori del nostro pianeta, non si possono lasciar morire perché sarebbe come guardare con indifferenza alla morte di un popolo che ha le sue radici in un passato che forse si perde nella notte dei tempi. Ben vengano la multiculturalità e la interculturalità per avvicinare i popoli e creare quella linea sottile, ma sempre più auspicabile, di conoscenza e comprensione, ma cerchiamo di conservare intatta ogni lingua madre, che già di per sé è in continua trasformazione anche a livello grammaticale, sintattico e semantico, per via del cambiamento continuo in atto nella stessa società. Evitiamo, per quanto possibile, lo snaturamento della propria lingua per via delle quotidiane, inarrestabili infiltrazioni delle lingue egemoni. Per esempio, la lingua inglese, che è anche legata a tutto lo sviluppo tecnologico dei computer e di tutti i social di quest’ultima generazione. Certo, è fondamentale oggi conoscere questa lingua per sentirsi cittadini del mondo e comprendersi in tempo reale con i tanti interlocutori stranieri, o per districarsi al meglio tra tablet e altre diavolerie di questo genere, compresa l’intelligenza artificiale e tutte le sue derivazioni e applicazioni, ma è altrettanto fondamentale evitare, per quel che ci riguarda da vicino, l’imbarbarimento della nostra lingua, “dove il sì suona”, e perciò amata da tanti poeti, scrittori, musicisti stranieri per la sua bellezza, musicalità, classicità, derivata dal greco e dal latino. Personalmente amo la nostra lingua, e a malapena conosco il francese e l’inglese, ma so che la padronanza della propria lingua è un ottimo veicolo, avendo la giusta propensione o passione per farlo, per conoscere le altre. A me, come a tanti altri credo, offre la possibilità di fare un buon adattamento alla lingua italiana che i traduttori ufficiali, pur conoscendo bene la nostra lingua, non sono in grado di fare perché non hanno dimestichezza con i modi di dire, le frasi idiomatiche, le atmosfere di particolare musicalità e bellezza insite in ciascuna Lingua Madre e particolarmente nella nostra. Solo chi la pratica, la vive e ne è innamorato riesce a cogliere appieno le differenze, le sottili bellezze e ad applicarle in un testo e contesto linguistico, in cui ha scoperto la sua culla sin da tenerissima età.

Dicono, del resto, che l’italiano sia la lingua più bella ma anche la più difficile del mondo e ciò è vero. Ma proprio perché è così bella e complessa è anche più preziosa e va salvaguardata.

In Italia per il clima mite, per le nostre bellezze naturali e lo splendore delle nostre opere d’Arte (pittura, scultura, teatro, musica, letteratura e quant’altro), moltissimi intellettuali e gente comune straniera sono venuti e vengono da tutte le parti del mondo a visitarla e in tanti sono rimasti e rimangono e prendono fissa dimora per l’accoglienza, la bellezza, il cibo, e anche per la nostra lingua. Da Goethe a Byron, da Dickens a Shelley, da Winckelmann a Mozart, a Litz a Wagner è stato tutto un pullulare di intellettuali, poeti, scrittori, musicisti per le vie d’Italia e qui molti hanno imparato e scritto nella nostra lingua, hanno apprezzato la gioia di vivere per le nostre strade affollate e rumorose, e la “sacralità del silenzio” nelle navate delle grandi Chiese, dei numerosi Musei, degli immensi Giardini. Anche il silenzio ci parla nella nostra lingua, se siamo in ascolto. E il sacro e il profano si mescolano in noi e si fanno nostra carne e nostro sangue, come Paul Valery afferma. È ciò che la nostra Lingua Madre sente, e il nostro cuore sostiene.

E penso sia giusto concludere con alcuni versi presi da Epigrammi. Venezia. di Goethe a testimonianza di tanta bellezza:

5Stavo disteso in gondola e passavo tra i carghi

Pieni di merci all’ancora lungo il Canal Grande.

Lì trovi mercanzie per le diverse ricorrenze:

cereali, vino, ortaggi, legna a ciocchi o a fascine.

Mentre sfrecciavamo là in mezzo, un ramo vagante di lauro

mi colpì forte sul viso. Esclamai: Dafne vuoi fermarmi?

E io che m’aspettavo un premio! Sorridendo bisbigliò la ninfa:

le colpe dei poeti non sono gravi. La pena è lieve. Su, avanti!

 

8. Questa gondola la paragono a una culla che dolcemente dondola,

e la sua cassa sopra sembra una bara spaziosa.

Proprio così! Tra culla e bara oscilliamo sospesi

senza darci pensiero lungo il Canal Grande attraverso la vita.

        (traduzione di R. Fertonani, in Goethe,

     Tutte le Poesie, I Meridiani Mondadori, 1989)

E speriamo che l’alba di domani incontri ancora la nostra Speranza e la Bellezza del Creato, di cui prenderci cura con amore, contro le atrocità della guerra, che semina morte e lutti e dolore e, non accada mai, la totale distruzione del nostro pianeta, con probabili catastrofiche conseguenze interplanetarie. E neppure le stelle possono stare più a guardare (Cronin, E le stelle stanno a guardare, il suo famoso romanzo con le conclusioni sulla guerra, forse ci può dare ancora una risposta).

                                                              Angela De Leo 


lunedì 14 febbraio 2022

Lunedì 14 febbraio 2022: San Valentino e l'AMORE come desiderio di ASCOLTO...

San Valentino, il santo degli innamorati, come tradizione vuole. Per me, il giorno del compleanno di mia sorella Lizia, che noi tutti conosciamo e amiamo come persona-scrittrice-poetessa; compleanno di mia suocera Uccia, che nessuno conosce, ma che è parte del mio cuore, essendo la madre di Primo, mio marito, che noi tutti conosciamo e apprezziamo come scrittore-poeta-artista, che non è più tra noi ma è in me, presente più che mai con le sue poesie, la sua pittura, la sua scrittura (non solo poetica). È da loro che voglio partire ed è a loro soprattutto che desidero dedicare San Valentino e poi a noi tutti come possibilità di ASCOLTO che si traduce in capacità di AMORE.

E dedico innanzitutto a quanti si amano una poesia di Kahlil Gibran, raccolta come fiore di febbraio su una pagina FB e di cui ringrazio lo sconosciuto/la sconosciuta che l’ha postata. Per me è davvero una carezza al cuore in ascolto: Farò della mia anima uno scrigno/ per la tua anima,/ del mio cuore una dimora/ per la tua bellezza,/ del mio petto un sepolcro/ per le tue pene./ Ti amerò come le praterie amano/ la primavera,/ e vivrò in te la vita di un fiore/ sotto i raggi del sole./ Canterò il tuo nome come la valle/canta l’eco delle campane;/ ascolterò il linguaggio della tua anima/ come la spiaggia ascolta/ le onde del mare. Dolcissimo buon San Valentino a tutti noi!

Lizia, a mia suocera Uccia e a Primo dedico, invece, un brano meraviglioso di Simone Cristicchi, tratto da un video di Rai Radio2 in onda proprio oggi. In realtà, la trasmissione è dedicata a uno spettacolo “Manuale di volo per uomo” di Simone Cristicchi appunto, e Gabriele Ortenzi. Si tratta di “una fiaba tenera e magica che ha per protagonista un uomo rimasto bambino, capace di cogliere le piccole cose e i particolari preziosi che sfuggono agli adulti. È un gioco poetico, lieve… delicatissimo e struggente… Attore, cantautore, poeta, autore, Cristicchi interpreta… un personaggio unico e strampalato: Raffaello, un pittore quarantene rimasto bambino, che vive in un quartiere periferico di Roma, il Quadraro…. Raffaello ha una dote davvero straordinaria: la sua mente fotografica è una “lente d’ingrandimento” in grado di vedere le minime cose e renderle grandi e preziose a tal punto da essere in grado di crearsi il proprio “manuale di volo”. Forse “volare” significa - dice Cristicchi -  non sentirsi soli, avere il coraggio di buttarsi dentro la vita, mantenendo intatta la purezza del bambino dentro di noi. E soprattutto non lasciarsi sfuggire la bellezza del mondo perché “niente è più grande delle piccole cose” (notizie raccolte da Google e Wikipedia). Ecco il brano: <Credo nello sguardo della Gioconda e nei disegni dei bambini. Nell’odore dei panni stesi, del ciambellone e in quello delle mani di mia madre. Credo che quando la barbarie diventa normalità, la tenerezza è l’unica insurrezione. Credo che la vera gioia è riuscire a sentirsi parte del paesaggio incantevole, pur non essendo altro che un granello di sabbia. Credo che la lingua di Dio è il silenzio, e il suo corpo la natura. Credo che non siano le grandi rivoluzioni o le ideologie, ma i piccoli gesti a cambiare il mondo perché niente è più grande delle piccole cose. Credo alla potenza del soffione. Quel piccolo fiore selvatico che cresce ostinato tra le pieghe dell’asfalto e che, anche tra mille difficoltà, riesce comunque a germogliare e a diventare fiore. Credo che chi non vive il presente sarà sempre imperfetto. Anche da trapassato. Credo che la vera sfida è debuttare ogni giorno. Tutto il resto è repertorio. Credo che chi ha bisogno di nemici, non è in pace con sé stesso. E credo che non sia la bellezza che salverà il mondo, ma siamo noi che dobbiamo salvare la bellezza. Credo che non bisogna cercare la felicità, ma solo proteggerla. Credo che non c’è peggior peccato che non stupirsi più di niente e che tutta l’intelligenza e la cultura del mondo resti muta e s’inchini davanti a questo mistero, al miracolo di questa vita che va avanti, nonostante tutto, che non si ferma e si trasforma ogni secondo. Perché la vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere>. (“Credo”, Simone Cristicchi legge un estratto da “Manuale di volo per uomo”). E tutto il brano è un invito all’ascolto per farci con Simone tre piccole grandi domande: 1. Cosa impedisce di spiccare il volo? 2. Che senso ha la sofferenza? 3. Cosa vuol dire la parola “amore”?  Quanto importanti queste domande! Sapremo mai dare una risposta?

Queste urgenti domande, soprattutto sulla sofferenza e sull’amore, mi riportano alla mia carissima Roberta Lipparini e ad una sua poesia che merita l’ascolto del nostro cuore per metterci in sintonia con il suo che grida, per essere ascoltato, tutte le fragilità insite nella natura, che sono le sue stesse fragilità, le nostre. E ci ritroviamo insieme a lenire ferite: Tanto spesso la durezza nasconde il dolore/ Così frequente l’asprezza, la rabbia/ sono fiori spinosi delle ferite ricevute/ E anche l’abbandono/ il girare le spalle/ così sovente è figlio naturale delle incertezze/ delle paure, degli strazi/ che io… chiedo perdono// Perdono per ogni mia risposta amara/ Per il risentimento/ Il rancore/ l’acredine/ Lo sdegno/ La ruggine// Chiedo perdono alle formiche stanche/ Alle lepri spaventate/ Ai merli sperduti/ contro cui ho alzato parole/ e barriere del cuore// Perché non trovo più peccato/ nell’ape che mi punge/ per l’ombra improvvisa del mio braccio/ per la ruvida scontrosità del mio nome/ per uno sbagliato mio movimento// perché non ho saputo comprendere/ quella fragile piccolezza/ così uguale alla mia  

E, per contrasto, ecco due poesie di Elina Miticocchio in ascolto del suo corpo che si fa ascolto di sé, amore per la vita. Sono due poesie brevi che si accendono del colore dell’amore, della passione, del “sentire” profondo e misterioso che va anche al di là del corpo e dei sensi, per farsi gioia appagante di essere sé: Sono il rosso del cappotto/ e rovescio il capo avanti/ e sento di volermi bene/ non vi è abbraccio/ che tenga al tempo/ come il mio/ per me; e ancora: Ho un sogno corallo/ intrecciato con mani/ pazienti e il tuo nome/ Vita scritto sul foglio su cui mi addormento 

Anche Luciana De Palma ci mette in ascolto dei suoi versi in una poesia che è un riflettere filosofico sui destini dell’intero universo, per ascoltarsi e definirsi meglio e sapere senza ombra di dubbio che, nei compiti affidati a ciascun elemento della natura e persino alla morte, c’è una ineluttabilità immodificabile. E questo avviene anche per l’autrice che, ascoltandosi scientemente, sa, senza ombra di dubbio e con determinazione, che il suo destino, oltrepassando tempo e spazio, e ogni possibile immaginazione, è scrivere, sognare, e soprattutto amare: Alle forme squadrate si addice/ Restare immutabili/ Alle ombre assecondare la luce/ Ai cieli essere intoccabili/ Agli abissi rimanere un oscuro mistero/ E alla morte toccherà per sempre/ Trionfare insopportabilmente/ Sulle zoppicanti logiche/ Delle nostre aspettative// Ma se mi chiedi cosa/ mi spetta fare/ In questa vita o nell’altra/ O nell’altra ancora/ Non oso immaginare/ Cosa sarei senza scrivere/ Senza sognare/ E più di tutto/ Senza amare e ogni apparente negazione, “senza”, è in realtà una potente affermazione che non lasci margini ai dubbi interpretativi.

E di Rita Poesie Ritabù, alias Rita Bonetti, ecco una poesia d’amore, “seconda classificata al contest” (come leggo). Una poesia che è un grido insolito, intenso, originale, per assaporare il poco e il tutto di un amore, che incide profondamente nel corpo come uno “schianto sul mondo” in un grido di piacere che è offerto per essere ascoltato da chi sa vivere con lei la passione, che travalica i sensi per farsi inno luminoso ed esplosivo di libertà, anche perché vissuto in due: Quello che voglio da te/ il calore del tuo corpo/  in fondo è poco  // Il tuo pensiero su ogni cosa/  in fondo è poco  /  e lo voglio da te /   solo da te  /  in fondo è tutto //     Amami   / col desiderio che arrivi il/    giorno   / che si schianti sul mondo/  il grido per il piacere  /   che inventiamo   /    che s’illumini   / della nostra libertà

E un amore in due propone “Battito forte” di Damiano Bove. È una poesia che sa di ascolto reciproco con la donna amata che da quasi venticinque gli è accanto nella condivisione anche poetica di sogni e di speranze. È un inno all’amore ma anche una tenerissima preghiera perché un amore “argentato” riviva sempre nuove primavere del cuore. E tutti ci mettiamo in ascolto dei racconti narrati dai due protagonisti, dei battiti intensi e leggeri del loro cuore: Regalami profumi d’amore/ innocenti come bianchi fiori/ di mandorli fioriti./ Raccontami ancora di progetti folli/ di una casa da costruire/ di un figlio da aspettare/ Attendimi nelle fredde/ sere d’inverno, con fasci d’amore/ tra le tue braccia./ Sussurrami dolci parole/ con la voce del vento/ che da lontano/ ti ha portato a me./ Avvinghiami dolcemente/ in un abbraccio forte/ intorno al cuore/ fino a sentire leggero/ il battito del nostro/ amore

In Angela Aniello, invece, prepotente è il suo bisogno di donare amore al suo uomo con la cura costante, la premura, le parole da dire, da ascoltare. E anche noi ci mettiamo in corale ascolto: Abbi cura di te/ cava la pietra dal cuore/ pelle su pelle/respira/ sulla credenza del tempo/ l’aria intatta della premura./ Scomponi i buchi dell’assenza/ scompaiono rimbalzano/ tu, oltre il tonfo,/ in un silenzio di piume/ proietta la tua voce./ Pesca le parole/ e falle remare/ in direzione contraria/ sulla riga degli occhi/ a puntare l’amore/ senza invecchiare

E, ad un tratto, mi blocca l’incontro con questi versi di Gianni Brattoli che fanno parte di un nuovo poema d’amore. Sono pochi stralci, ma quanto ricchi di reminiscenze classiche in un canto che, ancora una volta, definisce la poetica di questo scrittore, che parla di violenza insita nell’uomo ed esplodente all’improvviso e che poi, improvvisamente, accende di incandescente passione e innocente amore il cielo con la sua poesia “celata” nello scrigno del cuore, non per disincanto, ma per troppo incanto. Ed io non posso fare a meno di farmi inondare da tanto splendore e di mettermi in ascolto di questo sussurro dell’anima: … Non mi accompagnava la luna./ C’era solo ombra sul mio volto./ Quella luna che trasformò una lontana notte,/ in una pazza alba dorata./ D’oro era il suo volto ai raggi,/ e fiammanti, di febbre, i suoi occhi./ (…) La notte cantava, e cantava/ il suo corpo, e tutto il resto/ Passava. Lontano.// Il suo corpo avvolto di seta,/ e i fianchi cinti d’argento, era più luna della luna… Non è possibile non provare il brivido della stessa luna nello scoprire la sua magia di rendere la fanciulla di seta lunare…

E, in questi versi, risento il canto delicato e sognante di Ada De Judicibus, la mia preziosa amica di tanti anni di intese e tenerezze del cuore. I suoi versi contengono parole che sono un invito all’ascolto della natura, ma anche dei ricordi di una giovinezza lontana che ritorna e ritorna in quella fanciulla che aveva sogni d’oro tra le mani e un canto di nuvole negli occhi: Un giovane vento/ gioca a inquietare le gazze,/ le siepi, i miei capelli./ Lo seguo nella primavera/ e lascio tra i fiori di menta/ questo corpo/ che più non appartiene al sogno/ questo nodo di vene/ che quietamente s’impregna di tempo./ Disciplina di tende distese,/ ringhiere:/ nelle mie stanze/ sono in bell’ordine i libri/ i fiori di seta./ Ma fatta di vento va la ragazza sottile,/ quella che a volte mi prende la chiave/ e spalanca i cancelli,/ e intreccia ellissi di spazio/ gioiosa delle nuvole/compagna degli uccelli.

Poi, Raffaella Leone, mia figlia adorata, che sempre più spesso mi fa da madre, con infinita pazienza e infinito amore, mi raggiunge con brevi versi, ma quanto profondi e veri, dedicati sicuramente a me e alle mie follie quotidiane, ma (per assolvermi in qualche modo!) anche a   tutti noi di casa, di cui lei è l’angelo protettore, prendendosi cura di tutti, vicini e lontani, con infinita dedizione: L’amore è quando la pazienza è finita da un pezzo, ma ne trovi sempre ancora, ancora e ancora e ancora… E anche questo tipo di amore non bisogna mai sottovalutarlo. Anzi! Mettiamoci tutti in ascolto e meditiamo insieme: quale amore più grande?

Ma poi leggo questi brevi versi di Giovanni Sepe e penso che sia bello arricchirci anche di questi dettagli linguistici preziosi per imparare ad ascoltare il senso, il significato, la musica delle parole: Ecco l’amore/ è questa parola/ con dentro parte del cuore/ con dentro parte di amare./ Amare è una parola/ con la radice di amare nel cuore. E anche qui vale la pena di ascoltare per meditare e scoprire la vera “essenza” dell’amore.

E, parlando di amore, in un giorno come questo, non posso fare a meno di proporre una poesia accorata, realistica, straziata, ma altrettanto e salvifica. È di Giovanni Gastel. E non ci sono commenti. Solo silenzioso ASCOLTO, perché, come Lui ha sempre sostenuto: “Le poesie sono anche macchine per pensare”: Ma se non è più d’amore/ di cui vogliamo parlare/ come andrà il mondo?/ Carta e penna/ e la grazia nei sentimenti/ leggermente sollevati/ su madri alcolizzate/ e buchi nelle vene./ Non voglio sapere come va il mondo./ Oggi cerco amore anche nei cassetti della cucina./ Amore perfetto/ e non m’importa d’altro./ Solo amore sincero e incondizionato/ che voli sulle cose insensate del mondo.  

Quanti poeti presenti e assenti in queste mie pagine! Ma oggi sono tutti qui con noi. Ci sono...

E, per questo, mi piace concludere con questi splendidi versi di Mariateresa Bari per dedicarli, come ascolto di voci lontane eppure presenti, a chi può raggiungerci aggrappandosi a grappoli di stelle cadenti per regalarci ancora il sogno di una carezza amata: Fragore d’acqua/ Una carezza sul sagrato/ di un’alba sonnolenta/ alla fontana degli sguardi/ Il lento movimento/ di un tintinnio di anime/ dove s’intrecciano/ i respiri di fiori e ricordi/ Un refolo di stelle/ che muove parole

Alla prossima. Buon San Valentino 2022!


mercoledì 9 febbraio 2022

Mercoledì 9 febbraio 2022: oltre Sanremo, la necessità di riscoprire l'ASCOLTO...

La volta scorsa ho fatto riferimento a Sanremo, alle canzoni, al desiderio di ritrovarsi, di rinascere insieme. Tre generazioni a confronto, partendo dall’adolescenza e dalla giovinezza di noi anziani per scoprire una radice di ribellione e di coraggio nelle incertezze di un tempo che ci sfugge ad ogni età. Ebbene, ogni età viene vissuta nella confusione del presente in quanto il passato ci sembra obsoleto e da svecchiare; un presente troppo legato al tempo quotidiano nell’alternarsi del giorno e della notte che ci fa spesso confondere i sogni con la realtà; e il futuro come qualcosa da temere perché non offre appigli cui aggrapparsi per non naufragare nel mare delle incognite. Anche le possibili previsioni naufragano contro scogli imprevisti e mareggiate e perdite improvvise di persone care che frantumano il cuore (pensiamo ai nonni che recidono molto presto, loro malgrado, un legame d’amore intenso e reciproco con i nipoti). Occorre, a mio parere, premunirsi per tempo a vivere le nostre età in “ascolto” di noi e del mondo che ci circonda per scoprire in ogni momento della vita le ancore di salvataggio per poter continuare a navigare… Sanremo mi ha fatto molto riflettere sui giovani cantanti e cantautori con il loro urlo esibito o sussurrato di desiderio di “ascolto”. Tutti ne abbiamo bisogno, ma i giovani di più. I vecchi vivono paradossalmente un tempo che si dilata sempre più ma che sempre più si restringe. Avvertono, pertanto, la necessità di recuperare almeno il tempo perduto, uncinandosi ai ricordi per non scivolare lungo i dirupi che si tingono delle sempre più incombenti ombre della sera che non tarda mai a sopraggiungere per farli ingoiare dal buio. Verso il “GRAN FORSE” (Rabelais). Le persone mature hanno il tempo frammentato in ore di lavoro e di impegni sociali, nei problemi quotidiani, nel rientro in famiglia, nella cura dei figli, e così via, fino a disperdere ogni possibilità di ascolto di sé e degli altri. La stanchezza vince ogni altra buona intenzione di dialogo per ascoltare e farsi ascoltare.  Il tentativo e il buon proposito della sera. Il rinvio a miglior tempo dell’alba. Ma gli adulti mettono quotidianamente a fuoco la razionalità per vivere, senza troppe illusioni e confusioni, i compiti da svolgere nella propria comunità perché questa funzioni senza inutile spreco di tempo. I giovani e giovanissimi, invece, sono troppo fragili e inesperti per farcela da soli. Per non perdersi nelle enormi contraddizioni della “età ingrata”, così chiamata proprio per la dispersione dell’identità corporea, psicologica, sociale, etica, spirituale. Di qui l’urgenza di essere “accolti” e “ascoltati” prima che facciano del tutto naufragio, dispersi e disperati come sono nel “gran mar dell’essere”. 

E, a questo proposito, faccio tesoro anche delle semplici ma profondissime parole di Papa Francesco, intervistato da Fabio Fazio nella sua trasmissione domenicale su Rai 3. Parole che qui sintetizzo: … l’aumento dei suicidi da parte dei giovani in questi anni bui e la necessità di ascolto… di porgere loro una mano e una carezza… far sentire la presenza rassicurante e accogliente… la “vicinanza” quotidiana degli adulti accanto ai ragazzi e ai giovani: genitori, insegnanti, educatori, psicologi, sacerdoti e quanti hanno a cuore le nuove generazioni per un futuro di bellezza, armonia, ben-essere psicofisico, con “leggerezza e  buonumore”, perché la vita si accenda di “complicità” e di “sorrisi”. Alla base di tutto questo c’è, dunque, l’ascolto. E ascolto è fermarsi a prestare attenzione ai più fragili, ai più poveri, ai diseredati, ai migranti per conoscere i loro problemi e bisogni, e prendersene cura, dapprima con l’accoglienza e poi con tutto quello di cui hanno bisogno per rinascere e vivere più sereni.

In passato ho parlato della importanza dell’ascolto, facendo riferimento a una serata di poesia a Bisceglie (Bari), in cui una ragazza accusò con veemenza e scetticismo noi adulti e anziani della nostra mancanza di ascolto verso i suoi coetanei, definendoci supponenti, arroganti, autoreferenziali e distratti. Accusai il colpo. Sentii che aveva ragione. Mi coinvolse. Le assicurai e promisi ascolto. E così è stato. Ora siamo buone amiche nel reciproco ascolto. I giovani mi prendono sempre il cuore. Mi schiero sempre dalla loro parte. Ritengo che siano migliori di noi. Più autentici. Più bisognosi di comprensione. Ma quest’ultima nasce dalla conoscenza e, quindi, dall’attenzione e dall’ascolto che prestiamo alle loro storie. Solo dopo possiamo dare loro una mano per aiutarli a ritrovarsi, a scoprirsi nei loro reali bisogni, in quello che ciascuno è profondamente e in ciò che desidera essere e realizzare. Altrimenti anche le nostre buone intenzioni possono risultare inutili e il nostro aiuto persino dannoso se ci sostituiamo al loro libero percorso di maturazione e di autorealizzazione, imponendo il nostro punto di vista, le nostre idee, le nostre scelte. Offrendo loro   esempi di discriminazioni, pregiudizi, incoerenze, banalità. Tutto questo significa che non siamo stati mai in posizione di ascolto né per noi né per gli altri.

Leggo su FB un post di Nicola Pice, già docente di latino e greco nel Liceo classico, nonché carissimo amico e parente, sulla Giornata mondiale della lingua greca. Leggo testualmente, a conclusione di una imperdibile pagina che riporta in greco il dialogo tra Socrate e Alcibiade sulla famosa esortazione socratica “conosci te stesso”: … una lingua portatrice di cultura e di storia, una componente eccezionale della moderna cultura mondiale, un veicolo di diffusione di valori universali… Nicola, da straordinario cultore di queste due lingue antiche ma quanto moderne, ha sottolineato l’importanza del greco come “veicolo e diffusione di valori universali…”. Ha affermando, cioè, il suo valore formativo nei riguardi delle nuove generazioni. E l’esortazione socratica non è forse un invito all’“ascolto”? La necessità di ascoltarci e ascoltare per conoscerci e per conoscere gli altri? Per avere un punto di riferimento valido e sicuro nella ricerca, scoperta e diffusione dei valori universali, che ci rendono “uomini”?

E non sono forse le due poesie di Mariateresa Bari un invito a sé stessa ad “ascoltarsi”, nella prima, per poter declinare il verbo amare “all’incondizionale”, come fa un “neonato”?. Ecco il testo di “Modo incondizionale”: Amare come seme/ come sole fiamma acqua/ come onda luce ed ombra/ come neonato amare// Cerco il centro e mi decentro// Nel nutrire la mia fame/ declino il verbo amare/ all’incondizionale; ed ecco il testo della seconda, “Come si misura un respiro?”, in cui Mariteresa “ascolta” per cogliere i suoni del mondo che la circonda e che tramuterà in parole per fermare ed eternare l’attimo di un istante appena: Di fiocchi inamidati/ si agghinda il cielo/ marmo il vento nei capelli// In sottofondo/ voci del cuore/ che riordina e imbusta parole// S’odono/ nel germoglio di profumi/ nello scalpiccio di vie deserte/ nel destino della nuvola/ che scavalca l’orizzonte// S’odono nel respiro di un istante  

 Anche l’amara e poetica prosa di Mario Sicolo, spesso presente in questo nostro blog, è un modo sottile, velato, profondo, disincantato e appassionato insieme di “ascoltare” e “ascoltarsi”: A quest’ora della sera, mentre il treno sferraglia lento sui binari arrugginiti, i paesi sono un breve seminio di lucciole, sul lenzuolo buio della terra che s’ama col cielo. nel vagone deserto, solo una litania che spacciano per musica ed una voce registrata che annuncia l’arrivo in una stazione. In attesa della fine del viaggio da tutti nomata destinazione, seduto accanto ai ricordi, aspetti che la clessidra del tempo cali inesorabile granelli di rena. Ed è in quel silenzio profondo che riconosci, in quei minuscoli tonfi, i battiti del tuo stesso cuore… E cosa c’è di più nobile e poetico dell’ascolto del proprio cuore?

E mi fermo qui. Domani sarà Il Giorno del Ricordo. Un invito all’ascolto di una tragica realtà che per decenni si è voluta ignorare per i motivi a noi tutti noti. È tempo, a mio parere, di non fare distinzioni discriminatorie tra gli esseri umani abitanti di uno stesso pianeta: il dolore è dolore per tutti. Le sofferenze, le brutalità subite, le morti atroci e gli infiniti lutti ci riguardano allo stesso modo perché ogni ingiuria ad un solo uomo è un insulto a ciascuno di noi e all’intera umanità. È questo il principio etico che ciascuno deve ascoltare nella propria anima che non muore e rende eterni la nostra dignità, il nostro coraggio, la nostra solidarietà, la nostra speranza. Rende immortale la Vita stessa. 

sabato 5 febbraio 2022

Sabato 5 febbraio 2022: SANREMO e LUIGI TENCO...

Per chi non ha potuto seguire il Retino questa mattina, ecco una sintesi. Spero di fare cosa gradita a chi mi legge o quantomeno di non annoiare nessuno. Vi voglio bene. Captatio benevolentiae? Credo di no. Solo desiderio di essere ancora insieme e di condividere. Possibilmente…
Stasera il festival di Sanremo spegnerà le sue luci, i suoi lustrini, le sue canzoni. La sua allegria. La sua poesia. I suoi monologhi per pensare. I suoi dialoghi per comunicare anche l’importanza di un abbraccio. La voglia di ricominciare. La gioia di stare ancora insieme. Il bisogno d’amore. Sì, incredibilmente, si è respirato tanto bisogno d’amore. Si è scoperta tanta complicità tra generazioni diverse. La necessità di rinascere.
E il mio Retino ha catturato, in queste atmosfere canore sfavillanti, così lontane da quelle di ieri, soprattutto il grido d’amore di tanti giovani e giovanissimi, in cui noi anziani, che abbiamo visto Sanremo nascere, non ci riconosciamo, eppure ci ritroviamo nella stessa ribellione a un mondo lento nel cambiamento; nella stessa determinazione ad osare; nella stessa audacia di un pensiero divergente; nella urlata o sussurrata fame di dare e ricevere ascolto. Nella speranza di poter e saper andare oltre le nostre stesse parole per dare una nuova voce al futuro. Un nuovo canto. Colorato di fiorita creatività e di rinnovato invincibile coraggio.
E in tutto questo nuovo e antico mondo, ecco il ricordo imperioso della voce di un grande cantautore, che ha attraversato tutta la mia giovinezza colmandola di poesia: Luigi Tenco. È di lui che voglio parlare, con le sue indimenticabili canzoni di rottura verso le canzoni del passato. La scuola genovese degli anni Sessanta e la rivoluzione di Tenco, De André, Lauzi, Paoli, e tanti altri cantautori per rinnovare parole e sonorità musicali. Al sud l’immenso Domenico Modugno e alcuni altri. Canzoni che hanno accompagnato la nostra vita, i nostri sogni. Le nostre incertezze, le nostre speranze.
Di Luigi Tenco, tra le tante, ho scelto tre canzoni che hanno fatto il nido nel mio cuore: “Mi sono innamorato di te”, “Ho capito che ti amo”, “Angela”. Perché, tra le tante bellissime canzoni di questo ombroso e sensibilissimo cantautore, proprio queste tre?
Perché gioco facile e persino in casa: fanno parte della mia vita privata e soprattutto perché mi offrono la possibilità di mettere a nudo l’anima di Luigi Tenco e la nostra stessa anima. In un riverbero psicologico che riguarda la natura umana nelle sue innumerevoli sfaccettature e contraddizioni. Nei suoi sogni e nelle sue lacerazioni. Nel prisma cangiante, buio e luminoso, della nostra personalità e della nostra letteratura.
La mia amata amica, gemella di anni e di poesie, Mariella Bettarini, ha detto un giorno che “si è poeti perché da qualche parte abbiamo ricevuto una ferita”. Niente di più vero.
Se interrogassimo i poeti di una vita e non quelli della domenica, ci direbbero tutti di una “pietra d’inciampo”, di “aguzzi cocci di bottiglia” a far sanguinare le mani, i piedi, i pensieri. Di dirupi e abissi o di “stelle imprendibili” come lacrime di cielo a trafiggere occhi e innumerevoli verità, in una sarabanda di sentimenti e di risentimenti. Luigi non ha fatto eccezione, anzi! Infanzia difficile, giovinezza tormentata, fragilità e un grande talento letterario e musicale incompreso, enormi disperazioni e pochi risarcimenti nella sua breve vita. Un predestinato? Forse.
E anche tutto questo ronzio di api nella mia testa mi ha fatto scegliere Lui e le sue tre canzoni. 

Ecco le due parole che ho scelto: Giorno/Notte, parole ossimoriche che si oppongono e si contraddicono e definiscono a specchio le contraddizioni dell’animo umano. Il giorno è, in psicologia, il tempo maschile, razionale, vissuto nella chiarezza della realtà: il mondo percepito con i nostri 5 sensi: la luce ci disvela il mondo nelle sue dimensioni, nei suoi colori, nei suoi oggetti, nelle sue forme tridimensionali, nella sua prendibilità e prevedibilità quotidiana. Tempo vissuto nel sociale e per il sociale. Il tempo degli uomini. Tempo vissuto verso il mondo esterno. Notte, tempo femminile, del sentimento, del buio, del mistero, della introspezione, del sogno, della visionarietà, delle passioni, dei segreti vissuti a mezza voce. Dei silenzi innocenti o colpevoli... Ed è tra queste due parole che prende vita il significato di questa canzone, si dilata e si restringe anche la sua musica. Se, poi, entrambe connotano una sola persona, dalla loro forte commistione, in cui si mescolano tutte le carte di cartomanti diversi e le diverse tessere del puzzle o i fili del mosaico della sua esistenza, nasce quella sensibilità tesa allo spasimo, che è già una ferita in cui fiorisce, come d’incanto, la poesia, coacervo meraviglioso di tutti i sentimenti provati; di tutti i sentieri percorsi, da percorrere; di tutti i mari solcati, da solcare; di tutto l’universo racchiuso nel palmo di una mano e mano che si fa intero universo. Ed ecco il poeta che ha in sé il giorno e la notte, i problemi da risolvere razionalmente alla luce del sole e i sogni da vivere nel silenzio delle notti insonni. Il razionale pentimento del giorno in cui ha altro di più concreto a cui pensare. E l’urgenza di un sentimento più forte di qualsiasi ragione che al buio si acuisce e si strugge...


In “Ho capito che ti amo”, le due parole sono essenzialmente: “Capito” e “indifferenza”. Capire subentra al tormento del cuore tra confusione e desiderio che quel palpito indistinto si traduca in amore. Capire è intuire, penetrare, leggere dentro, avanzare nella conoscenza, comprensione, desiderio di scoprire. L’indifferenza, però, è chiusura, ostacolo alla curiosità, alla ricerca, alla scoperta e conoscenza. All’avvicinarsi con il cuore e con la mente a tutto quanto è altro da sé. E, quindi, coinvolgimento. Ma, superata l’indifferenza, ecco che l’amore esplode in tutta la sua irruenza luminosa e si placa nel “naufragio dolce” del cedimento al sentimento più tenero, forte, profondo che ci sia: ancora una volta e sempre l’AMORE.

In “Angela” le parole sono più di due. Inevitabilmente: “Angela”, “angelo mio”, “Non credevo” “credimi”, “non volevo”, “voglio”. Qui è in gioco la determinazione sadica dell’innamorato che teme di perdere la sua donna e per questo la stritola in una prigione delle cui chiavi vuole essere il padrone assoluto, come dello stesso cuore di Angela, della sua anima. Ma è proprio così che rischia di perdere il suo amore. E amare e splendide sono le contraddizioni di un uomo assetato di amore, e soprattutto di avere accanto a sé un angelo che protegga le sue fragilità, che perdoni le sue intemperanze, che si faccia carico delle sue disperazioni. Ci sarebbe ancora tanto da dire, ma lo spazio e il tempo tiranni me lo impediscono. Desidero solo lasciarvi con il grido di ribellione di Tenco e di quanti come lui che già sessant’anni fa si opponevano con veemenza a tutte le ingiustizie del mondo. Un grido che faccio mio. Perché la giovinezza era è e sarà sempre “impeto” e “assalto”, tensione alla trasgressione a al cambiamento. Il sogno vince di gran lunga l’indifferenza, sorretto sempre dall’AMORE anche per la giustizia, l’uguaglianza, la solidarietà, la libertà, la PACE…

E ci diranno

E se ci diranno
Che per rifare il mondo
C'è un mucchio di gente
Da mandare a fondo

Noi che abbiamo troppe volte visto ammazzare
Per poi dire troppo tardi che è stato un errore
Noi risponderemo
Noi risponderemo

(No, no, no, no, no, no, no, no)

E se ci diranno
Che nel mondo la gente
O la pensa in un modo
O non vale niente

Noi che non abbiam finito ancora di contare
Quelli che il fanatismo ha fatto eliminare
Noi risponderemo
Noi risponderemo

(No, no, no, no, no, no, no, no)

E se ci diranno
Che è un gran traditore
Chi difende la gente
Di un altro colore

Noi che abbiamo visto gente con la pelle chiara
Fare cose di cui ci dovremmo vergognare
Noi risponderemo
Noi risponderemo

(No, no, no, no, no, no, no, no)

E se ci diranno
Che è un destino della terra
Selezionare i migliori
Attraverso la guerra

Noi che ormai sappiamo bene che i più forti
Sono sempre stati i primi a finir morti
Noi risponderemo
Noi risponderemo

(No, no, no, no, no, no, no, no, no)

Alla prossima, ciao…

martedì 1 febbraio 2022

Martedì 1° febbraio 2022: Ancora "NOI" per saperci ancora INSIEME...

E desidero cominciare con la bellissima testimonianza della mia carissima amica e poetessa Anna Mininno, sempre presente alle mie “imprese” di scrittura e sempre un po’ defilata per naturale ritrosia a occupare vetrine. Ma lei non sa quanto la sua poesia sia preziosa per me e per tanti suoi lettori. “Abbraccio” è il titolo emblematico (che rispecchia anche la sua personalità) dei seguenti versi: Mi stringo   tra le braccia/ - solo io posso farlo -/ e riconquisto parole d’amore/ per me e per te/ che forse vivi nella distrazione// Oggi che il tempo si misura/ in briciole di respiro,/ oggi mi curo di me/ e di riflesso anche di te/ che mi passi accanto// Oggi che non so se/ il sole la luna e le stelle/ ci faranno buona compagnia/ ma so che insieme,/ potremo non aver paura . E tutto viene filtrato da quell’“insieme” che vince ogni paura, dilatando la speranza nel futuro (“potremo”).

Anche di Marco Zanchi, altro carissimo amico, autorevole avvocato di giorno, ma tenerissimo scrittore per bambini di sera, ecco una delicata prosa intitolata, appunto,  “ABBRACCIO”: L’abbraccio è contatto, unione, calore. È consolazione e sostegno. È stretta leggera o trattenuta. È muta espressione di felicità… ma lo si può anche scrivere e inviare lontano, nove lettere solo per dire “ti sono vicino, vicinissimo, ti voglio bene… ti abbraccio”. E se davanti ci poni una L ne seguirà un abbraccio con Labbra, e saranno baci e abbracci, e magari amore dichiarato a braccio… ma con una B in meno, questa volta. E volano cuoricini colorati che danno calore e fanno allegria, alleggerendo il cuore.

Poi, Mariateresa Bari mi sorprende con una bellissima poesia, intitolata “Se mi vieni a trovare”, però non sua. Anche se, in parte, in essa si ritrova. Eccola: Vieni lentamente e con gentilezza/ per non spezzare la fragile/ porcellana/ della mia solitudine./ Aspettandoti/ ho dimenticato di osservare,/ ho dimenticato di osservarmi./ Il sogno mi tiene/ in braccio,/ piegato sulla tua spalla. (Ritzos Sohrab Sepehri). Ancora braccia che accolgono, confortano, allontanano la solitudine. Sì, perché, banalmente ma sicuramente, da soli si è soli. Salvo nei momenti in cui desideriamo rimanere con noi stessi per interrogarci e scoprirci e riscoprirci nella nostra essenza più profonda.

E, sempre su FB, ecco la carissima Angela Aniello, che scrive: Oggi il mio buongiorno è uno stralcio dalla “Lampara” di Don Tonino Bello perché tutti, proprio tutti, abbiamo bisogno di qualcuno che ci accompagni durante il viaggio e condivida la nostra lampara per fare più luce insieme. “Un’ultima implorazione, Signore./ È per i poveri./ Per i malati, i vecchi, gli esclusi./ Per chi ha fame e non ha pane./ Ma anche per chi ha pane e non ha fame./ Per chi si vede sorpassare da tutti./ Per gli sfrattati, gli alcolizzati, le prostitute./ Per chi è solo. Per chi è stanco./ Per chi ha ammainato le vele./ Per chi nasconde sotto il coperchio/ di un sorriso cisterne di dolore./ Libera i credenti, Signore,/ dal pensare che basti un gesto di carità/ a sanare tante sofferenze./ Ma libera anche chi non condivide le speranze cristiane/ dal credere che sia inutile spartire il pane e la tenda,/ e che basterà cambiare le strutture/ perché i poveri non ci siano più./ Essi li avremo sempre con noi./ Sono il segno della nostra povertà di viandanti./ Sono il simbolo delle nostre delusioni./ Sono il coagulo delle nostre stanchezze./ Sono il brandello delle nostre disperazioni./ Li avremo sempre con noi, anzi dentro di noi./ Concedi, o Signore, a questo popolo che cammina/ l’onore di scorgere chi si è fermato lungo la strada/ e di essere pronto a dargli una mano per rimetterlo in viaggio”. E qui c’inginocchiamo dinanzi alla santità di Don Tonino Bello, che tanti di noi hanno conosciuto personalmente, lasciandosi illuminare dalla sua Luce. Anche la sottoscritta. Ma nelle sue parole riecheggiano quelle di David La Mantìa da me riportate la volta scorsa. Basta rileggerle per scoprire la bellezza della condivisione.

Tenerissime anche le parole di Assunta Braì, altra grande amica del cuore: Mi commuovono due giovani che si tengono per mano e progettano il futuro. Mi commuovono ancor di più due vecchi che si sostengono a vicenda nel loro incerto camminare.

E altrettanto tenera l’immagine di un azzurro cielo/mare opera fotografica di Francoise Sallé, altra amica tanto cara, che scrive: Quando cielo e mare si confondono in un abbraccio di pace. E siamo davvero un tutt’uno con la natura. Quando avvertiamo tutto questo un senso di benessere, di calma, di pace ci pervade per tanta bellezza fuori e dentro di noi.

E a conferma e conforto di quanto letto e scritto sin qui, chiudo, almeno per oggi, con “SERENO” di Francesca Petrucci, la mia dolcissima consuocera: La mia fronte sul tuo cuore/ La tua mano nella mia/ Il mio cuore nel tuo cuore.// Azzurro sereno/ Dopo tanta pioggia.// Le nubi fuggono/ Svelando ad una ad una/ pallide stelle.

 Sereno cammino a tutti. Alla prossima.