Il mio amico Marco Zanchi, in risposta al mio
Retino, mi ha inviato stamattina una delle sue deliziose filastrocche per
adulti e bambini di ogni età, piene di ottimismo e buon umore, e che ora vi
propongo: Nel paese di nome IO/ Ci sono nati tutti son nato anch’io/ Ma
pur se strano ne sono certo/ Nessun luogo al mondo è più deserto/ Di sentimenti
non di persone/ Perché di quelle ne trovi un milione/ Ognuno lì crede di essere
re/ Mai una volta che pensi anche a te/ Ma nel paese di nome TU/ Ci viene chi a
IO non abita più/ È bello davvero ma è di passaggio/ E chi lo ha visto ha avuto
coraggio/ Quello che serve a mollar la corona/ Lasciare IO e una vita beona/
Per arrivare nel paese del NOI/ Il più ricco e gioioso corri se puoi/ Ci vivo
io se ci stai tu/ Silenzio è un segreto/ Si vive di più!!!
Bella, vero? Gioiosa, sorridente, entusiasmante. Ed io fino
a qualche giorno fa ci credevo fermamente. Ma “soffiano venti di guerra” e
purtroppo ho deciso di archiviare l’argomento, forse per sempre, dopo una notte
di trepidante e angosciato ascolto di quanto stava accadendo minuto per minuto
tra RUSSIA-UCRAINA-USA, con mezzi bellici alle porte pronte ad
invadere “il nemico”. “Homo Homini lupus”, come già Hobbes realisticamente più
che scetticamente ha decretato già nella metà del ‘600. L’animo umano, dunque,
non cambia. Da Caino il feroce fratricida contro l’inerme e pacifico Abele. Al
“Nessuno tocchi Caino”, una canzone di Enrico Ruggeri di qualche decennio fa,
diventata ben preso una sorta di slogan, io oppongo il mio grido “purché
nessuno tocchi Abele”. Ma così non accade mai. Non accade ancora. E i
teppistelli dell’ultima ora ne sono un terribile esempio. Siamo ancora quelli
“della fionda e della pietra”, come Quasimodo ci ha redarguito dopo gli orrori
della Seconda Guerra Mondiale. Ci sarà sempre un “IO” smisurato e feroce ad
uccidere un “tu” più debole e inerme senza giungere mai al NOI. Purtroppo. E
tutto rimane nelle buone intenzioni di alcuni strenui ottimisti, più per
sopravvivenza che per convinzione ormai. La storia ce lo ha insegnato ripetutamente
nei corsi dei millenni della esperienza esistenziale dell’intera umanità.
E oggi anch’io realisticamente e col cuore ferito cambio
pagina.
E voglio parlare di qualcosa che mi sta a cuore anche se può
sembrare controcorrente, data la realtà interplanetaria dei nostri giorni.
Oggi, 21 febbraio, è la Giornata
Internazionale della Lingua Madre, istituita più di vent’anni fa
dall’UNESCO. Si tratta di una ricorrenza molto importante per l’inclusione
nelle nostre scuole degli immigrati stranieri. Una Giornata che mi piace
ricordare perché, in questa società globale, appunto, multilinguistica e
multiculturale, rischiamo di perdere la nostra identità a tutti i livelli: sia
che riceviamo in casa nostra gli stranieri, sia che questi ultimi si affrettino
a imporre i loro usi e costumi, la loro lingua. Dobbiamo augurarci che sia un
INCONTRO sempre a metà strada per il bene di tutti: per chi entra e per chi accoglie.
Il timore è fondato perché molte lingue vanno di anno in anno scomparendo con
tutto il prezioso scrigno della propria storia, i modi di dire, le usanze, i
costumi, i riti, le sfumature linguistiche che solo quella comunità possiede,
storicamente e geograficamente. Le lingue, anche dei più piccoli territori del
nostro pianeta, non si possono lasciar morire perché sarebbe come guardare con
indifferenza alla morte di un popolo che ha le sue radici in un passato che
forse si perde nella notte dei tempi. Ben vengano la multiculturalità e la
interculturalità per avvicinare i popoli e creare quella linea sottile, ma
sempre più auspicabile, di conoscenza e comprensione, ma cerchiamo di
conservare intatta ogni lingua madre, che già di per sé è in continua trasformazione
anche a livello grammaticale, sintattico e semantico, per via del cambiamento
continuo in atto nella stessa società. Evitiamo, per quanto possibile, lo
snaturamento della propria lingua per via delle quotidiane, inarrestabili
infiltrazioni delle lingue egemoni. Per esempio, la lingua inglese, che è anche
legata a tutto lo sviluppo tecnologico dei computer e di tutti i social di
quest’ultima generazione. Certo, è fondamentale oggi conoscere questa lingua
per sentirsi cittadini del mondo e comprendersi in tempo reale con i tanti
interlocutori stranieri, o per districarsi al meglio tra tablet e altre
diavolerie di questo genere, compresa l’intelligenza artificiale e tutte le sue
derivazioni e applicazioni, ma è altrettanto fondamentale evitare, per quel che
ci riguarda da vicino, l’imbarbarimento della nostra lingua, “dove il sì
suona”, e perciò amata da tanti poeti, scrittori, musicisti stranieri per la
sua bellezza, musicalità, classicità, derivata dal greco e dal latino.
Personalmente amo la nostra lingua, e a malapena conosco il francese e
l’inglese, ma so che la padronanza della propria lingua è un ottimo veicolo,
avendo la giusta propensione o passione per farlo, per conoscere le altre. A
me, come a tanti altri credo, offre la possibilità di fare un buon adattamento
alla lingua italiana che i traduttori ufficiali, pur conoscendo bene la nostra
lingua, non sono in grado di fare perché non hanno dimestichezza con i modi di
dire, le frasi idiomatiche, le atmosfere di particolare musicalità e bellezza
insite in ciascuna Lingua Madre e particolarmente nella nostra. Solo chi la
pratica, la vive e ne è innamorato riesce a cogliere appieno le differenze, le
sottili bellezze e ad applicarle in un testo e contesto linguistico, in cui ha
scoperto la sua culla sin da tenerissima età.
Dicono, del resto, che l’italiano sia la lingua più bella ma
anche la più difficile del mondo e ciò è vero. Ma proprio perché è così bella e
complessa è anche più preziosa e va salvaguardata.
In Italia per il clima mite, per le nostre bellezze naturali
e lo splendore delle nostre opere d’Arte (pittura, scultura, teatro, musica,
letteratura e quant’altro), moltissimi intellettuali e gente comune straniera
sono venuti e vengono da tutte le parti del mondo a visitarla e in tanti sono
rimasti e rimangono e prendono fissa dimora per l’accoglienza, la bellezza, il
cibo, e anche per la nostra lingua. Da Goethe a Byron, da Dickens a Shelley, da
Winckelmann a Mozart, a Litz a Wagner è stato tutto un pullulare di
intellettuali, poeti, scrittori, musicisti per le vie d’Italia e qui molti
hanno imparato e scritto nella nostra lingua, hanno apprezzato la gioia di
vivere per le nostre strade affollate e rumorose, e la “sacralità del silenzio”
nelle navate delle grandi Chiese, dei numerosi Musei, degli immensi Giardini.
Anche il silenzio ci parla nella nostra lingua, se siamo in ascolto. E il sacro
e il profano si mescolano in noi e si fanno nostra carne e nostro sangue, come
Paul Valery afferma. È ciò che la nostra Lingua Madre sente, e il nostro cuore
sostiene.
E penso sia giusto concludere con alcuni versi presi
da Epigrammi. Venezia. di Goethe a testimonianza di tanta
bellezza:
5. Stavo disteso in gondola e passavo tra i
carghi
Pieni di merci all’ancora lungo il Canal Grande.
Lì trovi mercanzie per le diverse ricorrenze:
cereali, vino, ortaggi, legna a ciocchi o a fascine.
Mentre sfrecciavamo là in mezzo, un ramo vagante di lauro
mi colpì forte sul viso. Esclamai: Dafne vuoi fermarmi?
E io che m’aspettavo un premio! Sorridendo bisbigliò la
ninfa:
le colpe dei poeti non sono gravi. La pena è lieve. Su,
avanti!
8. Questa gondola la paragono a una culla che
dolcemente dondola,
e la sua cassa sopra sembra una bara spaziosa.
Proprio così! Tra culla e bara oscilliamo sospesi
senza darci pensiero lungo il Canal Grande attraverso la
vita.
(traduzione
di R. Fertonani, in Goethe,
Tutte le Poesie, I
Meridiani Mondadori, 1989)
E speriamo che l’alba di domani incontri ancora la nostra Speranza
e la Bellezza del Creato, di cui prenderci cura con amore, contro le atrocità
della guerra, che semina morte e lutti e dolore e, non accada mai, la totale
distruzione del nostro pianeta, con probabili catastrofiche conseguenze
interplanetarie. E neppure le stelle possono stare più a guardare
(Cronin, E le stelle stanno a guardare, il suo famoso romanzo
con le conclusioni sulla guerra, forse ci può dare ancora una
risposta).
Angela De Leo
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