La volta scorsa ho fatto riferimento a Sanremo, alle canzoni, al desiderio di ritrovarsi, di rinascere insieme. Tre generazioni a confronto, partendo dall’adolescenza e dalla giovinezza di noi anziani per scoprire una radice di ribellione e di coraggio nelle incertezze di un tempo che ci sfugge ad ogni età. Ebbene, ogni età viene vissuta nella confusione del presente in quanto il passato ci sembra obsoleto e da svecchiare; un presente troppo legato al tempo quotidiano nell’alternarsi del giorno e della notte che ci fa spesso confondere i sogni con la realtà; e il futuro come qualcosa da temere perché non offre appigli cui aggrapparsi per non naufragare nel mare delle incognite. Anche le possibili previsioni naufragano contro scogli imprevisti e mareggiate e perdite improvvise di persone care che frantumano il cuore (pensiamo ai nonni che recidono molto presto, loro malgrado, un legame d’amore intenso e reciproco con i nipoti). Occorre, a mio parere, premunirsi per tempo a vivere le nostre età in “ascolto” di noi e del mondo che ci circonda per scoprire in ogni momento della vita le ancore di salvataggio per poter continuare a navigare… Sanremo mi ha fatto molto riflettere sui giovani cantanti e cantautori con il loro urlo esibito o sussurrato di desiderio di “ascolto”. Tutti ne abbiamo bisogno, ma i giovani di più. I vecchi vivono paradossalmente un tempo che si dilata sempre più ma che sempre più si restringe. Avvertono, pertanto, la necessità di recuperare almeno il tempo perduto, uncinandosi ai ricordi per non scivolare lungo i dirupi che si tingono delle sempre più incombenti ombre della sera che non tarda mai a sopraggiungere per farli ingoiare dal buio. Verso il “GRAN FORSE” (Rabelais). Le persone mature hanno il tempo frammentato in ore di lavoro e di impegni sociali, nei problemi quotidiani, nel rientro in famiglia, nella cura dei figli, e così via, fino a disperdere ogni possibilità di ascolto di sé e degli altri. La stanchezza vince ogni altra buona intenzione di dialogo per ascoltare e farsi ascoltare. Il tentativo e il buon proposito della sera. Il rinvio a miglior tempo dell’alba. Ma gli adulti mettono quotidianamente a fuoco la razionalità per vivere, senza troppe illusioni e confusioni, i compiti da svolgere nella propria comunità perché questa funzioni senza inutile spreco di tempo. I giovani e giovanissimi, invece, sono troppo fragili e inesperti per farcela da soli. Per non perdersi nelle enormi contraddizioni della “età ingrata”, così chiamata proprio per la dispersione dell’identità corporea, psicologica, sociale, etica, spirituale. Di qui l’urgenza di essere “accolti” e “ascoltati” prima che facciano del tutto naufragio, dispersi e disperati come sono nel “gran mar dell’essere”.
E, a questo proposito, faccio tesoro anche
delle semplici ma profondissime parole di Papa
Francesco, intervistato da Fabio Fazio nella sua trasmissione domenicale su
Rai 3. Parole che qui sintetizzo: … l’aumento
dei suicidi da parte dei giovani in questi anni bui e la necessità di ascolto…
di porgere loro una mano e una carezza… far sentire la presenza rassicurante e
accogliente… la “vicinanza” quotidiana degli adulti accanto ai ragazzi e ai
giovani: genitori, insegnanti, educatori, psicologi, sacerdoti e quanti hanno a
cuore le nuove generazioni per un futuro di bellezza, armonia, ben-essere
psicofisico, con “leggerezza e buonumore”,
perché la vita si accenda di “complicità” e di “sorrisi”. Alla base di
tutto questo c’è, dunque, l’ascolto. E ascolto è fermarsi a prestare attenzione
ai più fragili, ai più poveri, ai diseredati, ai migranti per conoscere i loro
problemi e bisogni, e prendersene cura, dapprima con l’accoglienza e poi con
tutto quello di cui hanno bisogno per rinascere e vivere più sereni.
In passato ho parlato della importanza
dell’ascolto, facendo riferimento a una serata di poesia a Bisceglie (Bari), in
cui una ragazza accusò con veemenza e scetticismo noi adulti e anziani della
nostra mancanza di ascolto verso i suoi coetanei, definendoci supponenti,
arroganti, autoreferenziali e distratti. Accusai il colpo. Sentii che aveva
ragione. Mi coinvolse. Le assicurai e promisi ascolto. E così è stato. Ora siamo
buone amiche nel reciproco ascolto. I giovani mi prendono sempre il cuore. Mi schiero
sempre dalla loro parte. Ritengo che siano migliori di noi. Più autentici. Più bisognosi
di comprensione. Ma quest’ultima nasce dalla conoscenza e, quindi, dall’attenzione
e dall’ascolto che prestiamo alle loro storie. Solo dopo possiamo dare loro una
mano per aiutarli a ritrovarsi, a scoprirsi nei loro reali bisogni, in quello
che ciascuno è profondamente e in ciò che desidera essere e realizzare. Altrimenti
anche le nostre buone intenzioni possono risultare inutili e il nostro aiuto
persino dannoso se ci sostituiamo al loro libero percorso di maturazione e di
autorealizzazione, imponendo il nostro punto di vista, le nostre idee, le
nostre scelte. Offrendo loro esempi di discriminazioni, pregiudizi,
incoerenze, banalità. Tutto questo significa che non siamo stati mai in posizione
di ascolto né per noi né per gli altri.
Leggo su FB un post di Nicola Pice, già docente di latino e
greco nel Liceo classico, nonché carissimo amico e parente, sulla Giornata
mondiale della lingua greca. Leggo testualmente, a conclusione di una
imperdibile pagina che riporta in greco il dialogo tra Socrate e Alcibiade
sulla famosa esortazione socratica “conosci te stesso”: … una lingua portatrice di cultura e di storia, una componente
eccezionale della moderna cultura mondiale, un veicolo di diffusione di valori
universali… Nicola, da straordinario cultore di queste due lingue antiche
ma quanto moderne, ha sottolineato l’importanza del greco come “veicolo e
diffusione di valori universali…”. Ha affermando, cioè, il suo valore formativo
nei riguardi delle nuove generazioni. E l’esortazione socratica non è forse un
invito all’“ascolto”? La necessità di ascoltarci e ascoltare per conoscerci e
per conoscere gli altri? Per avere un punto di riferimento valido e sicuro
nella ricerca, scoperta e diffusione dei valori universali, che ci rendono “uomini”?
E non sono forse le due poesie di Mariateresa Bari un invito a sé stessa
ad “ascoltarsi”, nella prima, per poter declinare il verbo amare “all’incondizionale”,
come fa un “neonato”?. Ecco il testo di “Modo incondizionale”: Amare come seme/ come sole fiamma acqua/
come onda luce ed ombra/ come neonato amare// Cerco il centro e mi decentro//
Nel nutrire la mia fame/ declino il verbo amare/ all’incondizionale; ed
ecco il testo della seconda, “Come si
misura un respiro?”, in cui Mariteresa “ascolta” per cogliere i suoni del mondo
che la circonda e che tramuterà in parole per fermare ed eternare l’attimo di
un istante appena: Di fiocchi inamidati/
si agghinda il cielo/ marmo il vento nei capelli// In sottofondo/ voci del
cuore/ che riordina e imbusta parole// S’odono/ nel germoglio di profumi/ nello
scalpiccio di vie deserte/ nel destino della nuvola/ che scavalca l’orizzonte//
S’odono nel respiro di un istante
Anche l’amara e poetica prosa di Mario Sicolo, spesso presente in questo
nostro blog, è un modo sottile, velato, profondo, disincantato e appassionato
insieme di “ascoltare” e “ascoltarsi”: A
quest’ora della sera, mentre il treno sferraglia lento sui binari arrugginiti,
i paesi sono un breve seminio di lucciole, sul lenzuolo buio della terra che s’ama
col cielo. nel vagone deserto, solo una litania che spacciano per musica ed una
voce registrata che annuncia l’arrivo in una stazione. In attesa della fine del
viaggio da tutti nomata destinazione, seduto accanto ai ricordi, aspetti che la
clessidra del tempo cali inesorabile granelli di rena. Ed è in quel silenzio
profondo che riconosci, in quei minuscoli tonfi, i battiti del tuo stesso cuore…
E cosa c’è di più nobile e poetico dell’ascolto del proprio cuore?
E mi fermo qui. Domani sarà Il Giorno del Ricordo. Un invito all’ascolto di una tragica realtà che per decenni si è voluta ignorare per i motivi a noi tutti noti. È tempo, a mio parere, di non fare distinzioni discriminatorie tra gli esseri umani abitanti di uno stesso pianeta: il dolore è dolore per tutti. Le sofferenze, le brutalità subite, le morti atroci e gli infiniti lutti ci riguardano allo stesso modo perché ogni ingiuria ad un solo uomo è un insulto a ciascuno di noi e all’intera umanità. È questo il principio etico che ciascuno deve ascoltare nella propria anima che non muore e rende eterni la nostra dignità, il nostro coraggio, la nostra solidarietà, la nostra speranza. Rende immortale la Vita stessa.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina