Oggi è il compleanno della mia primogenita, Raffaella. A lei i miei auguri più teneri. È nata il giorno della Madonna delle Grazie, e questo me la rende più cara. Una grazia dolcissima la sua nascita in pieno sole. Fu una bimba precocissima nel parlare. A pochi mesi diceva già “mam-ma” e “bab-bo”. La mia mamma mi rimproverava perché sosteneva che fossi io a sollecitarla, ma non era così e ben presto anche lei se ne rese conto. Era precocissima e basta. Quanti miracoli avvengono nell’infanzia! E tutto questo ben si addice alla sesta domanda che mi rivolse tanti anni fa Alberto Bevilacqua.
D n.6: Il tema ricorrente nei tuoi
versi è l’infanzia, da quello che ho potuto leggere in questi giorni dai pochi
libri che mi hai donato, riesci qualche volta a proiettarti nel futuro?
R: Indubbiamente poesia è
anche “memoria”, ma la memoria, a mio parere, non è solo ricordare i giorni
passati, ma soprattutto ciò che non si può o non si vuole dimenticare. Non
ricordo più chi l’abbia detto o se è solo una reminiscenza filosofica. I giorni
passati non vanno perduti. Soprattutto i giorni vissuti con passione. Ogni
attimo vissuto con amore, per amore, ci restituisce, nel tempo, amore, cioè
ancora la voglia di essere, di vivere. La memoria serve a questo. A non
vanificare/cancellare/annullare neppure un frammento della nostra vita,
restituendoci continuamente la pienezza del nostro essere, del nostro esistere,
della nostra unica, irripetibile, ampia, profonda esperienza esistenziale. Niente,
infatti, è perduto di ciò che è stato perché è servito a renderci come siamo
ora e come saremo in futuro. Da qualche parte ho scritto “il passato è un
futuro capovolto”, per cui la memoria mi serve anche per proiettarmi nel futuro
e per colmarmi di speranza. Spesso, però, anche di nostalgia e rimpianti,
dipende dai ricordi che improvvisamente ci assalgono in un eterno ritorno:
nostos = ritorno e algos = dolore, dunque “il dolore del ritorno” al passato
ritorna a pungere, a farci male. I portoghesi o i brasiliani usano la parola
“Saudade” per indicare la nostalgia mista al dolore e al rimpianto. È il titolo
di una mia poesia. Ma dura poco. Capita quando non scrivo o non posso scrivere,
ma basta poco: uno squarcio di luce, la vista del mare o di un tramonto per
ridarmi le ali…
D n.7: Ultimamente cosa o chi ti ha
ridato le ali?
R: La nascita del mio
nipotino. La vita nella sua esplosione totale. Il ritorno della “grande
Speranza”. Il tuffo salvifico nell’infanzia e nello stupore della scoperta (per
lui) e della riscoperta (per me) del mondo. Una emozione pura. Indicibile.
D n.8: Ci sono stati momenti
altrettanto emozionanti nella tua vita?
R: Certo. Ogni momento vissuto
per amore, con amore. Non importa se dato o ricevuto. Comunque, vissuto. Il
dono di sé è sempre un’emozione bellissima. Mi piace più donare che ricevere.
Non ho grandi attese, per cui quanto mi viene dato per me è sempre un grande
regalo inatteso. Perciò più grande, più bello.
D n.9: Quindi, non conosci delusioni…
R: Non è proprio così. Vivo
con molta sofferenza le delusioni. Basta un nonnulla a ferirmi purtroppo. Anche
i comportamenti normali, quotidiani possono essere vissuti da me come unghiate
lancinanti. Dipende dall’umore del momento, dalla situazione interiore. Mi
ferisce molto, per esempio, la violenza, anche verbale, o la volgarità o anche
la superficialità nei rapporti umani. Tutto ciò che è negativo insomma.
D n.10: Comunque, ti ricordo che non è
possibile cancellare il negativo dalla nostra esistenza. È l’inevitabile
rovescio della medaglia della positività.
R: Certo. So benissimo che la
vita si alimenta dei suoi contrari. Di contraddizioni. Simone Weil ne ha fatto una teoria filosofica e psicologica molto
affascinante. Lei che era partita dalla matematica che non ammette il contrario
dei suoi enunciati (due + due = 4 e non può mai dare 5 o 8, e così via). Io
penso, però, che ci sia una negatività inevitabile e, qualche volta, anche
necessaria e, invece, una negatività gratuita, superflua, inutile e, quindi,
davvero pericolosa. È quest’ultima che non accetto e che mi spaventa. Noi
tutti, del resto, siamo angeli e demoni nello stesso tempo; i nostri limiti,
perciò, sono inevitabili. Ma fare del male intenzionalmente vuol dire “usare”
la nostra negatività, metterla in atto ai danni di qualcuno. È questa la
negatività della negatività. In pratica, ritengo che la cattiveria si
estrinsechi con l’esercizio della volontà, dell’intelligenza, o meglio della
furbizia, e di un falso concetto di libertà individuale a discapito di quella
sociale. Occorre, allora, pensare a quanto possa rendere “etiche” le nostre
azioni e reazioni. E, come ben sai, la morale è la regola che piove dall’alto,
il comportamento etico è insito (o dovrebbe esserlo) nella coscienza di ogni
persona. Parlo dell’“imperativo categorico kantiano: “Il cielo stellato sopra
di me, la legge morale dentro di me”.
D n.11: Ci può essere, secondo te, anche
poesia delle o nelle azioni negative o nei pensieri negativi?
R: Probabilmente sì. Ci sono i
“poeti maledetti” francesi come Verlaine, Rimbaud, Baudelaire o quelli della
nostra “Scapigliatura” a confermarlo. Lo stesso Pier Paolo Pasolini viveva
nelle sue opere “l’ossessione del divino” nonostante la sua umanissima umanità
“traviata e disperata” e “l’innocenza creaturale” dei borgatari che
mercificavano il sesso senza alcun senso di colpa. Tradizionalista e
nostalgico, ma anche profeta. Comunista e laico, ma anche di una religiosità
profonda e mistica. È un magma di contraddizioni che ribolle tutto nella sua
poesia. E che dire di Edgard Allan Poe, che ha descritto l’orrido,
immortalandolo?
D n.12: E nella tua poesia c’è posto
per l’orrido? Lo chiedo anche a Primo che se ne sta in disparte quasi annoiato,
di certo disincantato.
R: Difficile che provi
emozioni negative tali da spingermi a scrivere poesie. Il dolore, certo, la
violenza. Ma è difficile, per esempio, che la volgarità si traduca in poesia.
Non è possibile per me coniugare le due cose. Chi è poeta non può essere mai
volgare. Violento sì, fa parte degli eccessi di un artista. Volgare mai. Ma
occorre fare anche qui dei distinguo. È necessario focalizzare cosa si intende
per volgare. Non esiste mai una norma in qualsiasi ambito della esperienza
umana. E qui mi taccio. Ascoltiamo Primo. E Primo sostiene che in quasi tutti i
suoi libri fa i conti con l’orrido della notte, del buio, dei fantasmi che
abitano la sua anima. Amo Poe. E nei miei racconti o nelle mie poesie vibra
anche la sua anima. Non così per i dipinti che sono perlopiù luminosi e
illuminanti. Ricchi di voli e di atmosfere oniriche.
D n.13: A proposito di Poe, Angela, anche tu scrivi
racconti, pochi in verità rispetto alle poesie. È un genere che ami meno?
R: Lo amo di più, invece, ma
dimentichi che ho cominciato a scrivere contemporaneamente poesie e racconti,
novelle, come già ti ho raccontato. Oggi, però, non sempre ho tempi lunghi per
scrivere un racconto o un romanzo, già tutti presenti nella mia testa. Come tu
sai benissimo, la prosa, a differenza della poesia, è più analitica e
descrittiva, più coinvolgente nella sua stesura perché occorre badare ai minimi
particolari per essere credibili. La poesia è sintesi. Ha un respiro più breve.
Spesso è un’emozione. Vorrei avere più tempo per tentare voli più ampi. Devo
purtroppo fare i conti con i molteplici impegni quotidiani, che ogni donna che
non è solo mamma o moglie deve svolgere e non è facile. Oltre ad essere
insegnante e scrittrice, sono anche preparatrice dei candidati ai vari Concorsi
di reclutamento per le Scuole di ogni ordine e grado e persino per Direttori e
Presidi. Tutto questo comporta un notevole impegno che si protrae di anno in
anno, essendo i concorsi a cadenza biennale. E non sempre riesco a conciliare,
senza stanchezza, tutto quello che devo fare nell’arco di un giorno. A
risentirne sono i miei figli, mia madre e tutte le persone che più amo e che
inevitabilmente trascuro. Mi sforzo di riuscirci e qualche volta accade. Sono
per me i momenti magici, i momenti felici. Dovrei amarmi di più? Volermi più
bene? Ritagliarmi più spazi tutti per me? Ma, forse, per tutto questo, dovrei
nascere di nuovo…
D n.14: Credi nella reincarnazione?
R: Discorso troppo lungo per
liquidarlo con una battuta come fa Primo. Io non escludo nulla. Tutto può
accadere sotto il cielo come tu m’insegni con i tuoi romanzi, con cui hai vinto
innumerevoli prestigiosi premi. Ti manca solo il Nobèl. Non sempre la realtà è
ciò che percepiamo con i nostri sensi. Spesso bisogna andare oltre. Il visibile
contiene l’invisibile, che è più reale e profondo di ciò che tocchiamo con
mano. È la presenza dell’assenza. La voce del silenzio. Il mistero della vita e
della morte. Dell’Oltre. L’ansia di infinito e di eterno che ci portiamo dentro
perché non sopportiamo di essere mortali. Abbiamo bisogno di immortalità.
“Nascemmo dèi e siamo diventati uomini”, mi piace dire e non so se è una
reminiscenza filosofica o meno. La poesia è un’ipotesi di eternità. Un
tentativo. Battito del cuore. Forse scriviamo anche per questo. Chi non ricorda
l’Ode di Orazio “Exegi monumentum aere
perennius”? Mi piacerebbe rinascere se fossi sicura di conservare la mia
identità, la mia poesia. Certo, cambierei molte cose, ma molte altre le vorrei
rivivere così come le ho vissute. Ci sono state esperienze d’amore e di
tenerezza che mi mancano molto. Vorrei poterle riafferrare. Ci sono stati
incontri importanti e rapporti conflittuali ma vivi, momenti preziosi di
creatività, allegria, sintonia, di esaltazione… E abissi…Ho ricevuto dal buon
Dio parecchio, anche se la vita mi ha spesso rapinata. Ma, vorrei rinascere se fossi
certa di ritrovare i miei affetti, i miei figli. Se avessi ancora la
possibilità di andare incontro agli altri senza pregiudizi, diffidenze, difese.
Non amo le barriere. Mi piace incontrare gli altri sul filo della fiducia e dell’abbandono
alle confidenze sincere, che significano intimità, trasparenza, complicità
empatica.
D n.15: Se invece dovessi dare un
addio?
R: Non amo i distacchi. Le fratture.
Le separazioni. Mi piace la continuità, anche nella trasformazione, nell’inevitabile
cambiamento, nel rinnovamento. So facilmente fare a meno delle cose che mi
appartengono, anche di quelle che si è soliti definire “di valore”. Mi piace,
per esempio, cambiare casa o paese. Cambiare mobili. Rinnovare oggetti, anche
semplicemente spostandoli. Ma mi crea una sofferenza indicibile separarmi dalle
persone che amo, forse perché da bambina vivevo frequenti dolorosissimi
distacchi da mia madre e anche dai miei nonni materni, con i quali ho vissuto l’infanzia
e buona parte dell’adolescenza e della prima giovinezza. Ed ogni volta erano
lacrimoni. Il dolore più grande la morte di mio nonno. E con lui la perdita
dell’infanzia, del sogno, della fantasia, della bontà, della generosità, della
complicità, della tenerezza. Il nonno era tutto questo. Ho fatto fatica a
rinascere. Poi… sono rinata migliaia di volte ancora. E sempre grazie a lui. Grazie
alla sua costante presenza salvifica che mi accompagna nella vita. Ecco… se
dovessi dire addio (e prima o poi dovrò pur farlo) mi piacerebbe lasciare una
uguale “eredità di affetti”. Vorrei che tutti gli attimi d’amore vissuti con le
persone che amo e per le persone che amo (ho amato, amerò) siano tanti
sassolini (frammenti di me) da lasciare lungo il percorso della vita per dare la
possibilità a chi volesse incontrarmi di seguire la loro traccia per
ritrovarmi. Sarebbe probabilmente il libro più bello, più vero. Quello che non
ho ancora scritto, ma vissuto sicuramente tra cuore e anima…
L’intervista si chiuse così
con Primo che mi prendeva in giro e Alberto Bevilacqua che si sottopose a
diverse foto ricordo e si lasciò andare a ricordi lontani che riguardavano la
sua amata Parma, sua nonna Amelia Bacchini, che parlava con i morti e aveva
rinforzato, senza saperlo, la sua sensitività e visionarietà; sua madre Lisetta,
affetta da crisi maniaco-depressive che gli avevano impedito di scegliere di
diventare padre per evitare quella brutta eredità ai figli; e suo padre Mario,
spericolato ufficiale dell’aviazione, sempre assente e distante; gli strioni,
che incantavano, con le loro storie assurde
e allegre, gli abitanti della parte bassa del Po, dove abitavano i poveri e i
diseredati. Ci prese in giro bonariamente con la sua “arlìa”, come definiva la
sua benevola ironia. In seguito abbiamo quasi sempre trascorso insieme gli
ultimi giorni sulla nave e nei Paesi che andavamo a visitare e ci faceva da
cicerone con la sua stratosferica cultura anche per quanto riguardava
affreschi, pittura, architettura. Noi eravamo incantati dalla sua affabulazione
magica.
Dopo, per alcuni anni ci raggiungeva
con una telefonata, una foto con dedica col suo pennarello blu. Scherzando mi
chiamava la sua “donna delle meraviglie in seconda” perché ero sensitiva come
lui e piena di misteri che avrebbe voluto conoscere e districare. Poi, piano
piano quel filo luminoso si è allentato fino a spezzarsi (come è accaduto anche
con Ivan Graziani, deceduto solo dopo qualche mese perché già malato senza che
ne facesse parola. Sua moglie Anna gli era sempre teneramente accanto con i
loro due figli, oggi grandi musicisti come lui).
Di
Alberto Bevilacqua, di cui conservo ancora oggi gelosamente tutti i romanzi e
le poesie, sapevamo ormai dai giornali, dalle riviste culturali, ma anche di
gossip, che stava dolorosamente vivendo enormi difficoltà esistenziali, per le
amare vicissitudini in famiglia e con la sua seconda compagna. Ricordo ancora
che scriveva continuamente e con accanimento, perché - diceva - non poteva
farne a meno. Anche in questo, nel mio piccolo, anch’io mi riconosco. Leggevamo
notizie dei suoi tanti premi letterari e cinematografici, accumulati nel tempo.
Abbiamo avuto la fortuna di un incontro trasformatosi in amicizia sincera di
stima, affetto, “affinità elettive”. Prezioso è ancora per me il suo ricordo.
Ancora grazie per aver
condiviso con me questi meravigliosi ricordi. Ancora Buone Vacanze a tutti. Io continuerò
a scrivere di tanto in tanto per chi avrà la voglia e la possibilità di
leggermi. Un abbraccio grande e pieno di sole. Angela/lina
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