Riprendo con Mallarmé: Se tu lo vuoi ci ameremo/ Con le tue labbra lo taceremo/ Questa rosa non la impedire/ Che per un silenzio peggiore// Mai canti pronti fan fluire/ Del sorrider lo splendore/ Se tu lo vuoi ci ameremo/ Con le tue labbra lo taceremo// Muto muto in mezzo alle spire/ Silfo nell’ostro imperatore/ Un bacio si squarcia in ardore/ Fino all’ali nel punto estremo/ Se tu lo vuoi ci ameremo. Verlaine e “Il mio sogno ricorrente”: Vedo sovente in sogno, - rarità sorprendente,/ l’amata sconosciuta - e che mi corrisponde/ e che non è ogni volta - la medesima donna/ né mai del tutto un’altra - ma mi capisce e m’ama.// E poiché mi capisce, - il mio cuore traspare/ per lei sola, davvero!, - prosciolto dagli enigmi;/ persino gli essudati - dalla mia fronte scialba/ lei sola, mentre piange, - lei li sa rinfrescare.// È bruna, bionda o fulva? - Io non lo so, l’ignoro./ Il nome? Mi ricordo - che è sonoro e garbato,/ pari al nome d’amanti - dalla vita esiliati.// Ed il suo sguardo eguaglia - lo sguardo delle statue./ Calma, grave e remote, - la sua voce possiede/ l’accento delle voci - ammutolite e care. E, con lui, Rimbaud in “Sensazione”. Naturalmente, come sappiamo i due s’amarono alla follia, ma si riferivano a donne per non incorrere in sanzioni anche legate al carcere, come avvenne a Oscar Wilde: Le sere turchine d’estate andrò nei sentieri/ Punzecchiato dal grano, calpestando erba fina:/ Sentirò, trasognato, quella frescura ai piedi./ E lascerò che il vento m’inondi il capo nudo.// non dirò niente, non penserò niente: ma/ L’amore infinito mi salirà nell’anima,/ E andrò lontano, più lontano, come uno zingaro,/ Nella Natura, - felice come con una donna. Baudelaire, intanto, mi affascina col suo “Profumo esotico” e con i suoi versi infuocati, insoliti, irriverenti, ma estremamente emozionanti: Quando, a occhi chiusi, una calda sera d’autunno,/respiro il profumo del tuo seno ardente,/ vedo scorrere rive felici che abbagliano/ i fuochi di un sole monotono;/ una pigra isola in cui la natura/ esprime alberi bizzarri e frutti saporosi,/ uomini dal corpo snello e vigoroso/ e donne che meravigliano per la franchezza degli occhi./ Guidato dal tuo profumo verso climi che incantano,/ vedo un porto pieno d’alberi e di vele/ ancora affaticati dall’onda marina,/ mentre il profumo dei verdi tamarindi/ che circola nell’aria e mi gonfia le narici,/ si mescola nella mia anima al canto dei marinai. E, tra gli americani, mi piace viaggiare “on the roud” con Kerouak, che ha scritto anche poesie d’amore, ma quanto amare! Come “Da vecchio”: Quando comincerò a invecchiare/ E forse sentirò il braccio sinistro/ intorpidirsi/ E il cervello resistita speranza;/ Siederò addormentato/ L’energia soffocata esaurita nel mio occhio/ E l’amore fuggito da me/ Quando la peggior notizia/ Mi fu portata/ Ed esultai di essere solo/ Di ormai essere morto/ Ho avuto la visione del santo/ Misconosciuto & troppo stanco/ per spiegare il perché/ E di dolci intenzioni/ un altro giorno -/Persino Stanley Gould/ andrà in cielo. Ed ecco la bellissima e tormentata, ma profondamente vera “Canzone” di Ginsberg. Una poesia d’amore dedicata a Neal Cassady, colui che senza scrivere mai ispirò poesie e romanzi ai poeti maledetti della beat generation: Il peso del mondo/ è amore./ Sotto il fardello/ di solitudine/ sotto il fardello/ dell’insoddisfazione// il peso,/ il peso che portiamo/ è amore.// Chi può negarlo?/ In sogno/ ci tocca/ il corpo,/ nel pensiero/ costruisce/ un miracolo,/ nell’immaginazione/ s’angoscia/ fino a nascer/ nell’umano -// s’affaccia dal cuore/ bruciando di purezza -/ poiché il fardello della vita/ è amore,// ma noi il peso lo portiamo/ stancamente,/ e dobbiamo trovar riposo/ tra le braccia dell’amore/ infine,/ trovar riposo tra le braccia/ dell’amore.// Non c’è riposo/ senza amore,/ né sonno/ senza sogni/ d’amore - / sia matto o gelido/ ossesso d’angeli/ o macchine,/ il desiderio finale/ è amore/ - non può essere amaro/ non può negare,/ non può negarsi/ se negato:// il peso è troppo// deve dare/ senza nulla in cambio/ così come il pensiero/ si dà/ in solitudine/ con tutta la bravura/ del suo eccesso.// I corpi caldi/ splendono insieme/ al buio/ la mano si muove/verso il centro/ della carne,/ la pelle trema/ di felicità/ e l’anima viene/ gioiosa fino agli occhi -/ sì, sì,/ questo è quel/che volevo,/ ho sempre voluto,/ ho sempre voluto,/ tornare, al mio corpo/ dove sono nato. Anche a Bukowski. Oltre la meravigliosa poesia che tutti conosciamo e amiamo perché ci fa sognare “Non ho mai smesso di pensarti”, ecco una poesia non precisamente nelle corde bukowskiane, tra il grottesco e il blasfemo, tra la violenza delle descrizioni di sesso e la tenerezza che la parola impregnata d’amore sprigiona in lui. Qui è evidente il gioco del desiderare tra visione, movimento del corpo e musica, che quei movimenti estremizza e dilata. Il titolo è lunghissimo e intensamente descrittivo, come la stessa poesia con una conclusione tutta buskowskiana: “ragazza in minigonna che legge la bibbia davanti alla mia finestra”: domenica, sto mangiando/ un pompelmo. a ovest/ nella chiesa russa ortodossa/ è finita la funzione./ lei è bruna/ d’origine orientale,/ i grandi occhi castani si alzano e si abbassano/ sulla bibbia, una piccola bibbia rossa/ e nera, e mentre legge/ le si muovono le gambe senza posa,/ fa un lento ballo ritmico/ leggendo la sua bibbia…/ lunghi orecchini d’oro;/ 2 braccialetti d’oro su ogni polso,/ ed è, immagino, un minivestito,/ la stoffa le fascia il corpo,/ quella stoffa è la più lieve delle abbronzature,/ si torce di qua e di là,/ giovani gambe lunghe calde al sole…// impossibile sfuggire alla sua esistenza/ impossibile desiderare…/ la mia radio suona musica sinfonica/ che lei non può sentire/ ma i suoi movimenti coincidono esattamente/ con i ritmi/ della sinfonia…// è bruna, è bruna/ e legge la parola di Dio// io sono Dio. E potrei continuare a lungo in questo mio percorso alternativo in compagnia dei “poeti maledetti”, ma non posso assolutamente ignorare quelli che sono “benedetti” dalla parola poetica, che si fa davvero “canto e incanto” quando s’intreccia con la parola AMORE. Shakespeare, per esempio, e i suoi meravigliosi sonetti d’amore, alcuni dei quali sono stati tradotti, con grande padronanza della lingua, maestria e attenzione alla resa poetica dalla nostra amica Anna Mininno. Naturalmente propongo qui un sonetto tra i meno conosciuti (forse): “Devo paragonarti a una giornata estiva?”, in cui il più grande drammaturgo di tutti i tempi evidenzia la consapevolezza che le sue opere rimarranno immortali: Devo paragonarti a una giornata estiva?/ Tu sei più incantevole e mite./ Impetuosi venti scuotono le tenere gemme di maggio/ e il corso dell’estate è fin troppo breve./ Talvolta troppo caldo splende l’occhio del cielo/ e spesso il suo aureo volto è offuscato,/ e ogni bellezza col tempo perde il suo fulgore,/ sciupata dal caso e dal corso mutevole della natura./ Ma la tua eterna estate non sfiorirà,/ né perderai possesso della tua bellezza; né morte si vanterà di coprirti con la sua ombra,/ poiché tu cresci nel tempo in versi eterni./ Finché uomini respirano e occhi vedono,/ vivranno questi miei versi, e daranno a te vita. Lo stesso dicasi di altri grandi poeti, da Hermann Hesse a Goethe, da Salinas a Joyce, da Hikmet a Kavafis… E, allora, proviamo con una bella poesia di Hermann Hesse “Notturno”, in cui all’incanto lunare si affianca la divina musica di Chopin e tutto diventa magia di un sogno: Notturno di Chopin in mi bemolle./ L’arco della finestra colmo di luce./ Ed anche sul tuo volto compassato/ un’aureola in volo si è adagiata./ In nessun’altra notte mi ha toccato/ il silenzioso argento della luna/ così che nel profondo inesprimibile/ dolce ho avvertito un cantico dei cantici.// Tacevi. Anch’io; la muta lontananza/ si dissolveva in luce. Nessun segno/ di vita, se non nel lago una coppia di cigni/ e su di noi il corso delle stelle.// La tua figura si stagliò nell’arco/ della finestra e dalla luna un bordo/ argenteo avvolse l’esile tuo collo/ e la mano distesa. E Goethe e la sua rivelatrice poesia “Vicino all’amato”: Penso a te quando il bagliore del sole/ s’irradia dal mare; / penso a te quando il barlume della luna/ si specchia nelle fonti. // Vedo te quando per via, lontano,/ si solleva la polvere; / di notte, quando sul ponte sottile/ trema il viandante. // Ascolto te dove con cupo scroscio/ l’onda s’innalza; / nel bosco quieto vado spesso e origlio/ quando tutto è silenzio. // Sono vicino a te, pur se tanto lontano/ tu mi sei accanto. / Cala il sole; tra poco brilleranno le stelle./ Se tu fossi qui, adesso! Di Salinas sono tante le poesie d’amore che incontriamo nella splendida raccolta La voce a te dovuta. E proprio da questa raccolta ecco una poesia poco conosciuta, credo, forse meno appassionata delle altre perché si esplicita in sordina nei brevi dialoghi, che sono meno coinvolgenti di quelli che Salinas è solito fare, ma è una lirica sicuramente di grande impatto emotivo nei due versi conclusivi: I cieli sono uguali./ Azzurri, grigi, neri,/ si ripetono sopra/ l’arancio o la pietra:/ guardarli ci avvicina./ Annullano le stelle,/ tanto sono lontane,/ le distanze del mondo./ Se noi vogliamo unirci,/ non guardare mai avanti:/ tutto pieno d’abissi,/ di date e di leghe./ Abbandonati e galleggia/ sopra il mare o sull’erba,/ immobile, il viso al cielo./ Ti sentirai calare/ lenta, verso l’alto,/ nella vita dell’aria./ E ci incontreremo/ oltre le differenze/ invincibili, sabbie,/ rocce, anni, ormai soli,/ nuotatori celesti,/ naufraghi dei cieli. Poi, un insolito Joyce: L’amore mio è vestita di luce/ In mezzo ai meli / Dove i lieti venti più bramano/ Di correre insieme. // Là dove i venti lieti restano un poco/ A corteggiare le giovani foglie, /L’amor mio va lentamente, china/ Alla propria ombra sull’erba; // Là dove il cielo è una coppa azzurrina/ Rovescia sulla terra ridente, / Va l’amor mio luminoso, sostenendo/ Con garbo la veste. Mentre Hikmet è Hikmet e basta: Sei la mia schiavitù sei la mia libertà/ sei la mia carne che brucia / come la nuda carne delle notti d’estate/ sei la mia patria/ tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi/ tu, alta e vittoriosa / sei la mia nostalgia/ di saperti inaccessibile/ nel momento stesso/ in cui ti afferro. Kavafis e il suo ardente e supplice amore in “Torna”: Torna sovente e prendimi,/ palpito amato, allora torna e prendimi,/ che si ridesta viva la memoria/ del corpo, e antiche brame trascorrono nel sangue,/ allora che le labbra ricordano, e le carni,/ e nelle mani un senso tattile si raccende.// Torna sovente e prendimi, la notte,/ allora che le labbra ricordano, e le carni…
E
devo necessariamente stopparmi perché è giunto il tempo di tornare ai poeti
italiani dei nostri giorni. Per giungere anche a noi, che abbiamo pazientato
tanto. Anche noi abbiamo il nostro piccolo/grande miracolo d’amore tradotto in
poesia. Fra un paio di giorni saremo i protagonisti di questo nostro “appassionato”
blog… con tanto tanto AMORE ancora…
Angela, è superfluo dirti quanto ricca di contenuti è stata oggi la tua scelta poetica, ma ciò che mi è rimasto stampato nel cuore e nella mente è e sarà sempre questo (ed è un cerchio che si chiude) "il peso del mondo è amore...il fardello della vita è amore": è questo da anni ormai il mio mantra e il mio bastone d'appoggio. GRAZIEeeeeeeeee.
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