Nelle ultime puntate ho presentato e commentato il poemetto CENERE di Gianni Brattoli per avere con tutti voi un confronto su temi molto difficili e controversi legati all’esistenza di un Dio creatore; alla presenza del Male nel mondo; alla possibilità di esercitare il libero arbitrio in presenza di leggi morali che incatenano di fatto la libertà individuale; alla pre-esistenza degli angeli e ai loro compiti presso Dio e presso gli uomini; alla loro gerarchia; all’assenza e l’indifferenza di Dio nelle immani tragedie della nostra esperienza terrena; al nichilismo e alla possibilità di dare un senso alla vita e alle nostre azioni per salvare l’umanità alla deriva. Sono stati temi molto impegnativi che hanno avuto preziose risposte da parte vostra. Ne voglio citare alcune. La puntualizzazione sugli angeli di Caterina De Fusco, per esempio: Angela, gli angeli hanno dei precisi compiti e le schiere angeliche - 9 - sono dei gradini che anche gli angeli in forma incorporea devono salire per essere più vicini a Dio. Il cammino di ciascun uomo è quello di ritornare a fondersi con la Sorgente. Il libero arbitrio esiste ma l’uomo deve imparare a far riferimento alla sola voce della coscienza, che parla animicamente. Quando noi ci incarniamo l’anima spesso dimentica il motivo per cui siam qui discesi… e allora anziché evolvere involve… Il nostro cammino è solo evolutivo per trascendere la materia e dar ascolto allo Spirito che solo parla con la Sorgente… Vita e morte sono interconnesse come Luce e tenebre… Non si deve aver paura della morte, morire è tornare a vivere in forma più evoluta… si può morire molte volte nella vita, ciò significa lasciare andare le molteplici facce dell’Ego che ci imprigiona a “vili piaceri terreni”, the true life… è “oltre”. A cui io ho risposto: Grazieee per queste puntualizzazioni utili per tutti quelli che credono nell’“oltre”, in maniera così serena e spirituale… E Caterina a me: se si raccolgono i tuoi stimoli sei tu che permetti il mio scrivere, credo in un grazie reciproco. E sempre Caterina, in risposta alle mie argomentazioni sugli stessi temi mi ha scritto: Io in qualche modo credo, con Galimberti, che è difficile traghettare i giovani nel futuro, la scuola e la formazione hanno vissuto e vivono un gran colpo d’ascia, e l’esterno è ricco di costanti insidie, che solo con “un severo” potere critico riesce a districare… Tuttavia ciò in cui credo fermamente è nella “libertà interiore”, nella costante ricerca di verità che si cela dietro il reale… I giovani e tutti noi dovremmo farci cercatori d’oro e per “oro” intendo cercare, volere e credere che il mondo, che cerca di fagocitarci, è pura illusione e che ciò che rimane è associare il saper guardar le stelle con il nostro cuore, solo allora l’anima ritroverà “il suo canto”… In qualche modo… se si sa ascoltare nelle puntate di Secop Arte segni di un percorso” non lo scrivo ma lo racconto in maniera affabulatoria… Si può essere d’accordo o meno con le varie teorie sulla metempsicosi delle diverse religioni o filosofie orientali, e sulla reincarnazione, che ha altra matrice e altro significato come Caterina implicitamente ci dice, ma proprio per questo gli argomenti da lei apportati sono in larga misura condivisibili. Soprattutto quando parla di “ricerca interiore”, dove l’anima ritrova “il suo canto”. Ma ci sono altre voci consonanti. Mariateresa Bari, ispirata dagli argomenti trattati nel nostro blog mi manda, come sempre, profonde poesie su cui occorre riflettere molto per scoprire “nodi” indistricati di condizionamenti negativi risalenti perlopiù all’infanzia.
Carissima Angela, (…). Erano gli anni 70 e la
pedagogia non era ancora una scienza diffusa. I bambini erano per lo più adulti
parcheggiati in attesa di diventare grandi. Questo è successo a me. Io, tra
l'altro, avevo sviluppato un forte senso di responsabilità che mi portava a
sentire sulle mie spalle il peso di piccoli e grandi "drammi". Questi
versi sono nati oggi, e sono frutto di questo sguardo indietro. Un abbraccio forte,
e grazie sempre! ❤️😘💖 “Arrossire” è il titolo: Mi hanno chiesto di non arrossire/ recidere
i fogli/ e sogni e lacrime tacere/ ché del plenilunio non potevo capire./ Mi
hanno chiesto di fare spazio/ di sgomberare ogni piccolo zampillo/ ché era
sconveniente della fine/ l'orrore e il mio timore di rotolare./ Ed io,
ubbidiente, ho ubbidito. Ubbidito ai sermoni sul sorriso da lucidare,/ sulle
ciglia in disordine / sul velo di polvere alle pupille /dimenticate in tasca./
Mi hanno chiesto di non arrossire/ ma tocchi i tuoi occhi / sono fremito di
luce sulla pelle ed io/ essere nell'etere / una vertigine avverto / a
scongelare il petto./ Quanti danni, spesso irreversibili, fanno i
condizionamenti negativi alla nostra psiche. Questa dolente poesia ne è l’esempio
lampante. Quante lacrime nascoste da sorrisi imposti fino ad “imporsi” il gelo
del cuore, da parte dell’autrice, per non soccombere e morire alla vita, ai
sentimenti. Ma rimane la “vertigine” ogni volta che occorre “scongelare il
petto”, oltre il “tacere/ ché del
plenilunio non potevo capire (…) e il
mio timore di rotolare”. Le metafore fioriscono come stelle comete a
lasciare una scia di sconforto più che di rinascita. E il ritorno a “CENERE” è
immediato. Lo stesso avviene con la poesia di Mattia Cattaneo: senza luce/ la bocca riempita di cotone/
sostenuta/ da due asciugamani arrotolati// chiusi gli occhi/ lago dissolto/ -
non è niente, si dice -/ ma il tutto/ va oltre le cose lievi// e la poesia/ non
fa fracasso/ anche se le scoppiano i denti. Ancora un ritorno al passato,
ancora un dolore, dal quale non si può prescindere. La stessa poesia “non fa fracasso/ anche se le scoppiano i
denti”. Si tratta di un ricordo vivido come fosse appena attraversato, e che
procura troppo dolore per tentare una resurrezione. E poi rubo una poesia di
Maria Pia Latorre per raccontare ancora il dolore del mondo che non lascia
tregua alla nostra disumana realtà e viene rivissuto in prima persona dall’autrice
per sentirsene penetrata in una ribellione alla omertà e all’altrui
indifferenza: Io sono Sardegna che
brucia/ il cane pastore arso/ accanto alle sue pecore/ anch’esse arse nel
nulla/ sono pianto di fuoco che/ non si estingue/ sono vento che/ ha smarrito
la via/ sono rimbombo del bosco/ che geme/ che ha perso il silenzio Non c’è
titolo in questa poesia che pone sotto
gli occhi dei disattenti e degli indifferenti e ciechi e muti la realtà di un
misfatto ai danni della natura e degli animali nella loro infinita umanità. Disumani
rimangono gli uomini. Non così il fuoco col suo pianto, il vento che ha perso
la direzione, il gemito del bosco “che ha perso il suo silenzio”: condizione di
serenità e di benessere quasi di preghiera, infranta dal rimbombo accecante dei
rami che bruciano e incendiano il cielo. La stessa combustione di “CENERE”, a
lasciare vuoto e distruzione e non un solo filo d’erba a riaccendere la
speranza. Ma sarebbe giusto dopo questo inferno, che trova infelice riscontro
in molti altri Paesi di questo esausto mondo, cercare un appiglio per
riemergere dal nulla e scoprire la luce a
renderci ancora vivi. Ieri è stata la festa delle stelle cadenti, la notte di
San Lorenzo, che pure fu arso vivo, come sant’Ambrogio testimoniò, e che
recentissimi studi sul suo martirio hanno confermato, dopo la puntualizzazione
di alcuni studiosi che lo hanno ritenuto solo una leggenda da sfatare. Sta di
fatto che le lacrime del Santo, pare raggiungessero il cielo con le faville del
suo corpo “arso sulla graticola” per ricadere sulla terra nella notte del suo
volo tra le stelle. Scientificamente sono le perseidi, come stiamo leggendo sui
social, a frantumarsi in piogge di schegge stellari per alcuni giorni dopo la
notte di San Lorenzo. Peccato che il cielo sia nuvoloso e che la pioggia di
stelle sia solo nei nostri occhi e nel nostro cuore. Ma… “l’essenziale è
invisibile agli occhi” (A. de Saint-Exupéry). E dunque? Godiamoci le nostre
stelle invisibili agli occhi, ma scintillanti più che mai nella nostra anima e
facciamone dono a chi ha bisogno di un sorriso, di una mano, di una parola, di
una poesia per rinascere, come ben sa Elina Miticocchio: Poche cose parlano di me/ La luna che mi vide nascere/ La farfalla del
cuore/ In partenza// Un silenzio serbato in ogni parola/ un fiore
ritagliato con le mani di colla/ un tessuto custodito/ si colora di segni di
infinito/ splendore rubato alla mente/ sradicato dalla propria pianta// un
giardino di versi/ nel profumo tenero dell’edera/ la carezza che porta/ al disgelo
delle palpebre (“Di me”, in Alle radici
dell’erba, SECOP edizioni, Corato-Bari 2021). Mi fermo qui.
Alla prossima con un friccico di stelle per ritrovare il
sentiero della felicità da conquistare…
Quanto fascino esercitano su di questi argomenti, Angela! E ti ringrazio di fartene portavoce. Così come ti ringrazio di avermi fatto dono del tuo commento ( prezioso per me) ai miei versi. Ti abbraccio forte!
RispondiElimina