Miei carissimi amici (al femminile e al maschile), l’ultima volta abbiamo concluso il percorso poetico fino ai nostri giorni con l’intento di riprendere a parlare, con Simone Cristicchi, con i vostri commenti e con le vostre poesie, della ricerca della felicità, ma mi sono imbattuta in un poemetto, che ritengo molto profondo e “tagliente”, come un’ascia (di cui, come sappiamo, parla Kafka riferendosi a una peculiarità essenziale di un buon libro!). il poemetto è di Gianni Brattoli. Ho ritenuto giusto commentarlo a modo mio prima di sottoporlo alla vostra lettura e alle vostre riflessioni. Solo dopo sarà possibile, credo, riprendere a parlare di una probabile conquista della felicità. Il testo è scritto tutto in stampatello maiuscolo. Ipotizzo, conoscendo molto bene l’Autore, che si tratti di una scrittura intenzionale, dato l’argomento, per evitare maiuscole che non si addicono ai personali convincimenti religiosi. Maiuscole che io, invece, avrei usato per dei pertinenti distinguo. Ma, come sapete, sono per il rispetto incondizionato della persona nella sua unicità-totalità. Non potendo rispettare il maiuscolo sul nostro blog per ovvi motivi di spazio, ho scritto tutto in minuscolo per non fare torto a nessuno. Neppure alla poesia, che oggi si esprime molto spesso nella totale anarchia della punteggiatura. Il risultato è sotto i vostri occhi. Il contenuto spero sia rimasto fedele agli intenti di Gianni. E tutti alla fine siamo liberi di dare una interpretazione del tutto personale.
CENERE
-
gemendo,
l’angelo del Signore,
richiuse le ali e si fermò al
centro dell’universo.
- - si
sentì inutile e impotente,
e un desiderio di morte iniziò
a penetrargli nell’anima.
chiuse gli occhi e strinse
le tempie con le sue grandi
mani (mani di angelo)
- - una
voce gridò in tutto il
creato:
“gli angeli non muoiono,
non nascono, esistono
sempre e esisteranno
per sempre.”
- - il povero angelo sconfortato e
et solo, si abbandonò lasciandosi
spingere dalle correnti,
e, nell’anima, una fiamma
di dolore si accese.
- - invidiò
gli umani. ma gli uomini non
capivano quanto importante
e splendida fosse la loro breve
esistenza; la sua vita invece una dannata
eterna condanna.
- - i
suoi pensieri, bui come
l’intero infinito, mai espressi,
obbligati a comportarsi
con tutto il nulla
possibile.
- - e,
attraverso il nulla possibile,
arrivò a lui una nenia leggera
e dolce; dolcissima nel
suo inatteso avvento.
- - vibrarono
di piacere le sue
membra, e grappoli di
infiniti battiti pulsarono
nel cuore.
- - “la
perla delle perle mi chiama”
urlò felice e, violando tutte le
leggi dell’universo, andò incontro a
quella splendida, luminosa, azzurra
ultima perfezione dell’infinito.
- - ad
accogliere l’angelo del signore,
una legione di uccelli
- felici animali
senz’anima
-
intrecciò di canti e gorgheggi e
petali, di fiori al suo passaggio.
- - volarono
insieme su sentieri
d’erba, dove spuntano fiori
che non feriscono i viandanti.
l’angelo inebriato di profumi
e colori accarezzava fili
d’erba; ronzava sui petali
come ape in cerca di polline.
- - canti
antichi si intrecciarono
ai flauti del vento. l’anima
celeste colmava l’aria e i suoi
sogni. la luna si fermò sulla
sua fronte.
- - fronte
di luna, fulmineo, allargò
le ali, fermò i canti e zittì
tutte le creature.
tra i canti, i suoi sensi avvertirono
il dolore di un pianto.
- - di
là dal fossato
veniva il pianto.
una nuda creatura,
seduta su una balza,
col capo riverso sulle ginocchia,
versava lacrime e
grondava, la sua pelle, sangue.
- - l’angelo
del signore gli fu
vicino; volle alleviare quel dolore
che già sentiva suo
- - la
creatura, con lo sguardo
a terra e il braccio tremante,
indicò un infernale, scuro
orizzonte, che avanzava
distruggendo pianure
arrossate dall’ultimo
raggio di sole.
- - fronte
di luna guardò lontano,
e non trovò alcuna bocca
piangente, avvertì solo la
morte trafiggerlo
per ogni dove.
- - alzando
il capo al cielo urlò:
“perché padre?”
la risposta fu un’eco
senza fine, come grandi
voci dolenti, che toccarono
le braccia della
luna lontana.
- - l’angelo
volò!
le furie non avrebbero potuto
stargli accanto.
- - fermò
il volo!
un vento di fumo e suoni
osceni lo accolse.
una nera umanità
avanzava curva, ebbra
di veleni e di morte,
spegnendo ogni
brama di vita.
- - fronte
di luna, sgomento
e senza speranza,
guardò in alto e
maledisse il cielo
e tutto quello che
in esso era imprigionato.
- - tornò
alla creatura
piangente, e solo in
quel momento, si accorse
che quella creatura
era un povero arcangelo
che aveva strappato
le sue ali inservibili
- - fu
preso dall’ira, bestemmiò
tanto ancora.
batté le mani su una
roccia, sgorgò il suo
sangue e la terra
tremò.
- - si
aprirono i crateri
di fuoco in ogni angolo
di quella perla morente.
- - le
cime dei monti
oscillarono come
giunchi di pantano,
spinti dalla bora,
e il mare si allontanò
dalla riva.
- - i
grandi alberi (sequoia)
caddero come steli di
grano;
- - una
campana, rovinando
su una pianura di
cristalli spezzati
vibrò il suo ultimo
rintocco e si spense.
- - l’angelo
del signore
abbracciò l’arcangelo,
e i due si trasformarono
in roccia.
- - la
roccia si trasformò
in sabbia;
la sabbia si trasformò in cenere;
la cenere avvolse tutta
la terra come un sudario.
- - il
sudario prese lo stesso
colore dell’inutile
infinito
Gianni Brattoli
E parto dalla forma: da quello che ho definito “poemetto” perché
ha una scansione temporale per ritmi musicali contenuti fra trattini, che ne
definiscono la rappresentazione, direi epica, fra passato, presente e futuro,
sulla falsariga de “I Poemetti” pascoliani, in cui si racconta una storia,
legata ad elementi naturali, sociali, sessuali, con riferimenti all’infanzia e
alla innocenza del bambino e del mondo primigenio. Con strofe di vario genere:
terzine, quartine, pentastiche ed epastiche, sestine. Con un ritmo interno (al
posto della metrica) che predilige il settenario all’endecasillabo con numerosi
enjembement per dare continuità all’azione attraverso una insolita, ma non
rara, sospensione dei versi fatta di articoli e preposizioni semplici. Ciò rende
il componimento molto suggestivo in funzione anche del contenuto e di quanto
sia importante sottolineare nei versi, oppure all’inizio e alla fine di ciascun
verso. Dunque, forma e contenuto. E vorrei
per un attimo fare riferimento anche al libro di Pier Paolo Pasolini e al suo
racconto in versi “Le ceneri di Gramsci”; libro, che mette insieme ben undici
poemetti, già pubblicati su varie Riviste letterarie degli anni Cinquanta del
secolo scorso. Tra questi anche “Le ceneri di Gramsci” che dà il titolo all’intera
opera. Mi piace, allora, introdurre CENERI con i seguenti versi pasoliniani: … Ma io con il cuore/ cosciente// di chi
soltanto nella storia ha vita/ potrò mai più con pura passione/ operare/ se so
che la nostra storia è finita? Pasolini, da spirito eletto, fu precursore e
profeta dei nostri tempi. Anche per questo proprio Pasolini, scontornando però
il suo controverso e difficile rapporto con la sinistra storica. Gianni Brattoli,
scrittore e poeta, militante nel PC da tempo remoto, il tempo incantato della
lotta di classe, finito nel disincanto del tempo contemporaneo, in cui tutte le
illusioni sono spente e al poeta non rimane che la pura follia dei suoi versi,
che risentono, per molti versi, del richiamo proprio de Le ceneri di Gramsci del poeta (per metà friulano - Casarsa il
paese di sua madre - e per metà romano), in visita alla sua tomba nel cimitero
acattolico di Roma. Di qui il titolo del poemetto preso in esame? La struttura
dei versi? Una sorta di riferimento alla distruzione del “sacro” e dell’ardore
che questo promanava da tutte le sue fibre misteriose riecheggianti nell’universo?
Potrebbe essere un’affascinante ipotesi, che non rischiara
però il buio della disperata distruzione del sogno nella devastante realtà. Di qui
l’urgenza delle tante metafore legate all’Angelo del Signore (ed io per
rispetto alla mia fede mi riapproprio delle maiuscole ad essa dovute!) che, “gemendo”…
“richiuse le ali”, cioè: il suo unico mezzo per potersi librare nel cielo
infinito. “E si fermò al centro dell’universo”: nel luogo della massima potenza
e del massimo splendore. E ci troviamo subito di fronte ad un ossimoro
potentissimo nei versi seguenti: “si sentì inutile e impotente” ed è per questo
che cominciò ad odiare la sua condizione di essere immortale, senza tempo e
senza spazio, incorporeo. Di qui il suo “desiderio di morte”. Ma a contrastate
la libertà di decidere della sua sorte, una voce tuonò “in tutto il creato”,
definendo ancora una volta perentoriamente la sua natura immortale.
E per oggi è già tanto. Ho approfittato dello spazio del blog e del vostro tempo di paziente lettura. Riprenderò domani con altre mie interpretazioni, che persino l’Autore, anzi proprio lui in primis, potrebbe confutare. Ma noi sappiamo quanto importante sia il confronto. A voi la parola…
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