E riprendo da Luzi e dalla sua affermazione sulla creazione poetica che si muove “in un campo illimitato”, in quanto “dispone Io spazio intellettuale ed emotivo a una esaltante incursione nel molteplice, nel movimento multiforme e contraddittorio in cui si attua la vita”.
<La poesia è essa stessa movimento e metamorfosi, ma anche
sospensione e stupore. Incantamento. Scopre “il volto doppio delle cose”
(Giuseppe Lasala) o il “sublime possibile” (ancora Leopardi); la
meravigliosa/dolorosa contraddizione della vita, perché una cosa è quella cosa,
ma può essere un’altra e un’altra ancora. Purché ci sia la LUCE.
La poetessa polacca W. S. Szimborska, premio Nobel per la Letteratura
nel 1996, nella sua poesia parla della incoercibile ricerca della luce, così
come fa Montale in “Non rifugiarti nell’ombra”, in cui l’unica certezza per il
poeta è la luce. Anche Federico Garcia Lorca vuole essere trafitto dalle
“invisibili spade dell’azzurro cielo” per ubriacarsi di luce, per morire di
luce. Per Desanka Maximovic, la grande
poetessa serba, conosciuta personalmente e tanto cara al mio cuore, la luce è
sinonimo di felicità, è la gioia che i poeti e gli scrittori dovrebbero
comunicare al mondo per sconfiggere il pianto e il male del nostro pianeta. La
luce come esplosione di stelle. La luce come vita.
“È spasmodica ansia di felicità
oltre la notte dell’anima e il tormento esistenziale dell’uomo” (vedi Giorni felici di Samuel Beckett). Non a
caso, E. Drewermann sostiene che “dovremmo
avere la sfrontatezza di guardare in avanti, attraverso l’oscurità, per credere
più nelle stelle che nella notte”.
“La qualità della luce -
sosteneva ancora il buon Leopardi - è
necessaria alla parola poetica, nonostante il procedimento della forma oscura
(le ombre, l’altrove, l’ambiguità, lo smemoramento, l’infinito senso delle
cose)...”. L’unità nella molteplicità e viceversa. Di qui “l’intelligenza infinita e insicura del mondo”,
la certezza (l’unica certezza possibile, forse) del “non adempimento” (ancora
Giuseppe Lasala). Erri De Luca, in Alzaia,
riferendosi alla frase di Thomas Eliot: “La
poesia non è un libero dispiegarsi dell’emozione, ma una fuga dall’emozione,
non l’espressione della personalità, ma una fuga dalla personalità”,
conclude che “La vocazione irrompe nella
vita di una persona spesso non adatta e schiva, come per esempio il profeta
Giona, e la trascina lontano, mettendole in bocca parole non sue. (…) Il poeta, il profeta, non si esprime, ma si
imprime in esseri umani remoti e sconosciuti. È spinto da un impulso che non
coltiva la sua personalità, ma la cancella. Al suo posto s’insedia una parola
più antica che lo espone allo sbaraglio, all’incomprensione. Attraverso di lui
qualcuno in ascolto può acquistare felicità, salvezza. Il poeta, il profeta,
può solo obbedire. Questo è il suo azzardo sicuro: assecondare la deriva di una
chiamata a escludersi, rinunciare a un magro sé stesso per essere un riassunto
di altre volontà”. Praticare,
allora, la disgiunzione potrebbe essere la salvezza perché diventa l’unica
congiunzione possibile: l’esistenza dell’invisibile e il sentirsene “tatuati” -
come poeti - con segni indelebili che non tutti sanno decifrare, anche se il
poeta “anima il linguaggio di tutti”,
in quanto “la poesia, sia che dica il
reale, sia che inventi un’altra realtà, non conosce - come scriveva Maria
Grazia Lenisa - sensi vietati. Si attesta
come diario raro e come remotamente distante dall’esistenza, eppure dà vita alle
esistenze possibili”. E Quasimodo: “Resta
il pudore di scrivere versi di diario o di gettare un urlo al vuoto o nel cuore
incredibile che lotta ancora con il suo tempo scosceso”. Così, come abbiamo
visto, anche Ungaretti. Così anche il nostro cuore, il nostro tempo. E il cuore
ci riporta al sentimento. Il tempo al nostro esserci al mondo. Un mondo, che ha
fatto oggi dell’opulenza materiale e della vacuità esistenziale il credo
dominante. Ed è in questo oceano di contraddizioni che il poeta contemporaneo
naviga e s’inabissa (“febbre o ali
perdute” dice Pablo Neruda), incagliandosi negli infidi fondali di una
memoria ancestrale, che lo riporta ai primordi poco rassicuranti della sua
storia e della storia dell’umanità intera, mentre il tempo - il suo e il nostro
tempo - gli penetra dentro e si fa “parola”, carne della sua carne, in cui si
smarrisce, come un dio disperso e disperato (vedi Paul Valery), per ritrovarsi
“cuore umano”, sentimento di sé e del sé, che si dilata a comprendere ogni
altro da sé, in cui l’io e il sé si riscoprono, si ritrovano, si ricompongono
in unità. È qui, allora, il punto in cui il mondo esterno combacia con quello
interno e si fa sogno, mito, memoria, verità, poesia. Ed è così che il poeta
contemporaneo oltrepassa la poetica della parola, quale “vuota conchiglia senza suono”, che tanta parte ha avuto nella
poesia sperimentale della seconda metà del Novecento e sino ai nostri giorni,
per ridonarsi al calore dell’emozione e del sentimento, all’autenticità
dell’ispirazione poetica che è frutto di un ritrovato “senso del vivere”, di
una rinnovata attenzione al rousseauiano “sentiment
de l’existence”: gioia di vivere e appagamento ma anche dolore e
sofferenza, dialogo interiore con la vita, con la natura, con gli altri. Il
poeta, pertanto, non è più “un
bell’angelo inefficace che batte invano nel vuoto le sue ali luminose”, -
come sosteneva, nel secolo scorso, Mattew Arnold - ma “antenna della razza”, o - come scriveva Kerouac - “il grande
rimembrante che redime la vita dall’oscurità”. La memoria, infatti, ci
riporta dal buio alla luce, dalla invisibilità alla visibilità degli oggetti,
dalla indecidibilità alla decidibilità delle situazioni, dall’inaspettato
all’attesa dell’accadimento, dalla impalpabilità alla palpabilità dei
sentimenti.>
La memoria, però, non si fonda su un sentimento debole di nostalgia e
di ripiegamento su di sé o esclusivamente verso l’infanzia, la mitica età
dell’oro, ma è forte e possente perché contiene, per me, tutti gli elementi
vitali e propulsivi dell’umana esperienza, individuale e universale. E si fa
chiaroveggenza e speranza. Epopea di epiche risonanze di terre e di universi. Di
volti di uomini incisi nella Storia. Si potrebbe parlare di “nostalgia del
futuro”, ossia dell’ansia di rinascita continua nella riproposizione di nuovi
domani. Ecco perché la memoria è forza catartica, invincibile emozione,
profondo sentimento. È non solo “tutto
ciò che si deve ricordare ma soprattutto quello che non si può dimenticare”
come qualcuno ha giustamente affermato. La forza del sentimento, pertanto,
diventa “musa”, “spirito”, “memoria”. Segno e senso. Valore irrinunciabile che
colma il vuoto di un “pensiero debole”
(vedi Vattimo) per farsi “forza” e “pienezza”, tanto da raggiungere nella
nostra società planetaria, l’altro e l’altro ancora, in una slargantesi e fitta
“correlazione universale”, in un
nuovo e rinnovato “pensiero forte”,
fatto di conoscenza del mondo, di “scienza
e di coscienza”, che si va sempre più facendo “coscienza delle cose” in una esplosiva e corroborante certezza
della “sacralità della vita”, come ha
sempre sostenuto la mia preziosa amica Silvana Folliero fino al suo ultimo
alito di vita.
Anche Franco Buffoni, come sappiamo, uno dei maggiori poeti
contemporanei viventi, nel presentare ultimamente il suo libro Il triangolo immaginario (SECOP
edizioni, 2021), contenente trent’anni di interviste rivoltegli da altri
scrittori, poeti, giornalisti, studiosi dell’Arte contemporanea, così si è
espresso nei riguardi del grido del poeta nel tempo che passa e ci mette di
fronte a sempre nuovi scenari del prossimo futuro, a sempre nuove realtà
contemporanee, che hanno sempre più la forza di spiazzarci e di disperderci
nell’indefinito infinito che ci contiene: “L’Arte
è la capacità di modulare il grido per adattarlo agli interlocutori che mutano
nel tempo”. Anche per Buffoni, del
resto, la poesia si fonda essenzialmente sulla “duttilità” della parola. Sulla
sua “sacralità”. E la sua fede nella Parola rimane intatta col passare del
tempo. Parola che è passione, ritmo interiore, gioissiano respiro epifanico,
musica dell’anima. L’anima che universalizza il nostro sentire, come ho detto
prima, accomunandoci in uno stesso destino, in uno stesso viaggio esistenziale
che dovrebbe avere come metà la realizzazione di un mondo migliore. Sacra è,
allora, la poesia, che ha fede nelle infinite possibilità di rendere, con la
creatività e con l’Arte, l’umanità più umana. Una umanità, che dovrebbe fare
della solidarietà e della speranza i suoi punti di forza; dell’intelligenza e
della scrittura, i solidi ponti di comunicazione e di “interesistenza” tra gli
uomini, perché la “parola” - e qui
cito Zancan - è “il luogo fantastico della rigenerazione”.
E mi piace concludere questa carrellata di citazioni di grandi autori
e del loro “sentimento poetico” con alcune affermazioni di Vittorino Curci sul
poeta e sulla poesia: “Il poeta accende
piccoli fuochi nell’oscurità della storia… Il poeta cerca il suo tempo e si
trova a camminare nei millenni… Attribuire un senso alle cose: questo fa il
poeta (e, a sua volti, anche il lettore)… Il poeta è colui che per debolezza o
necessità alza lo sguardo, e così facendo si accorge di non avere più le
vertigini… Un poeta non desidera essere poeta. Se lo desiderasse non sarebbe un
poeta. Un poeta è un poeta e basta, indipendentemente dai suoi pensieri e dai
suoi desideri. E anche al prezzo di andare contro i suoi personali interessi… Per
il poeta la bellezza è un valore morale… I poeti si ostinano a cercare ciò che
è per definizione inaccessibile: il non
più e il non ancora… Ed ecco la poesia per Vittorino Curci: La scrittura poetica ha a che fare con la
totalità del nostro essere… La poesia è il luogo dove cerchiamo di rimettere a
posto le parti scombinate del nostro essere… Nella poesia non c’è niente di
relativo. Tutto è assoluto. Anche una preposizione semplice o un articolo… È
impossibile congelare il senso di una poesia. Esso è fluido e mutevole come un
fiume che attraversa il tempo… Bisogna prima sentire la musica di una poesia;
le parole vengono dopo… In poesia al silenzio bisogna dedicare la stessa cura
che si ha con le parole… La poesia è esperienza pura di tutto ciò che resta al
di là della conoscenza… E, infine, … La
poesia è il nucleo indistruttibile di un’epoca, e il poeta, incamminandosi con
i suoi poveri mezzi sul sentiero della verità, colloca la sua azione al di là
di ogni utilità individuale e nutre la speranza di ricevere dalla scrittura, e
attraverso la scrittura, una rivelazione che gli faccia intendere (o
semplicemente intuire) qualcosa del suo essere al mondo. per dirla con parole
più semplici, egli compie coscientemente un atto si fede nell’uomo per trovare,
anche nelle situazioni più disperate, la pienezza del valore umano… Delle due l’una: l’arte o è espressione di
un desiderio spirituale (di conoscenza, verità, destino, ecc.) oppure non è
niente… (dagli originalissimi quaderni di Vittorino Curci, NOTE SULL’ARTE POETICA, primo e secondo
quaderno, Spagine, giugno 2018 - febbraio 2020, Lecce).
Ecco perché La POESIA, indubbiamente, è tempio di “velamento e disvelamento” di ogni
possibile verità in quanto… “a verità
condusse Poesia” (Clemente Rebora).
E anche
oggi mi fermo qui invitandovi, mie carissime amiche e miei carissimi amici, a
farmi sentire le vostre voci per attraversare ancora insieme gli impensabili “luoghi”
della POESIA. La prossima volta, intanto, riprenderò a parlare della conquista della felicità con le altre parole
suggeritemi da Simone Cristicchi e dai vari vostri commenti, interventi, poesie,
che riguardano tutto quanto abbiamo affrontato in questi ultimi incontri sul
nostro blog.
Se poi
siete nelle vicinanze di Corato, vi ricordo che domani sera alle h. 20 in punto
ci sarà qui, nella piazza antistante al Teatro Comunale, il terzo incontro, “in
presenza”, di Fiero del Libro della SECOP edizioni e dell’Associazione
Culturale FOS, su “UN DESIDERIO DI
LIBERTA’”. A tutti i presenti verrà consegnato un foglio su cui si potranno
scrivere testi personali in prosa e/o in poesia sul proprio desiderio di
libertà. Alcuni scritti saranno letti in piazza, ma tutti potrebbero rientrare
nel Progetto di una Antologia dei Desideri
(dieci, declinati nei dieci incontri di Fiero del Libro da luglio a
settembre, come potrete leggere nei vari Comunicati su FB e su varie testate
giornalistiche via web), che la SECOP ha in animo di pubblicare a conclusione
del Festival dei Lettori, Fieri di esserlo. Raggiungete numerosi il Teatro di
Corato, muniti di penna, e non ve ne pentirete. Io non potrò esserci (purtroppo
devo fare ancora la seconda dose del vaccino anti Covid 19!), ma dal 20 agosto
ci sarò, come è mio grande DESIDERIO e finalmente potremo incontrarci “de visu”.
Un abbraccio virtuale a tutti. Angela
Angela cara, sempre grazie per la ricchezza della tua anima che generosamente doni! Un abbraccio 😍🤗
RispondiEliminaTi dono i versi nati nella notte,
RispondiEliminaAngela ringraziandoti per l'ispirazione.
Cercavo un faro
Cercavo il suo sguardo/
sotto il velo diafano della luna/
nella carezza di un riflesso/
faro sul mare della mia pelle. /
Millenni di cammini /
nell'osare il sublime /inafferrabile /
che s'impolvera di stelle e sfugge./
Nell'afono incontro di labbra serrate/
è croce che interroga la poesia./
M. Bari