mercoledì 14 luglio 2021

Mercoledì 14 luglio 2021: ancora riflessioni sulla poetica di Vittorino Curci...

<Cosa succederebbe se la poesia entrasse nel mondo ed intervenisse, o incidesse, nel parlato, nel linguaggio tecnico o nel “degrado” della lingua, nobilitandone le dinamiche? A volte succede, la poesia può entrare nel parlato. Come? Direi quando riassume, simboleggia, esprime qualcosa che va oltre il significato delle parole perché la poesia deve dire quello che non dice. No, non si tratta di parlare in versi o di esprimersi per metafore, si tratta di altro. Octavio Paz diceva che la “parolaccia” è la poesia del popolo, di fatto il contenuto della parolaccia (o dell’insulto) è enorme, e ciò che può scatenare nell’uomo va oltre l’ordinaria follia. Andando oltre questa analogia, direi che la poesia ha il compito di far esplodere qualcosa dentro, di scuotere le coscienze, di fomentare dubbi e di accendere la miccia dei sentimenti, e lo fa attraverso un insieme suono-ritmo-silenzio. Ecco: un insieme armonico che significa quello e non altro, un significato che non è nelle parole che lo compongono. Allora, potremmo dire che la poesia è un codice che trasmette significati che vanno oltre le parole? Sì: il potere della poesia è nell’evocazione! La poesia è come l’irrazionale voglia di vivere che emana da un fiore che sboccia tra le crepe dell’asfalto. Certo, non è la regola, ma credo che oggi la poesia debba prendere questa strada al di là della forma che la contiene: la poesia non è abbellimento, non è carezzevole, non è una coccola, semmai è la sveglia dello spirito guida, e di questo oggi c’è tanto bisogno>.

Dopo la vergognosa arroganza, presunzione, ineducazione, violenza degli inglesi per la imprevista e imprevedibile, per loro, sconfitta agli Europei, di cui pretendono stoltamente e pervicacemente la revisione del verdetto finale, mi sembra che queste parole sulla poesia e sulla sua funzione etica oltre che estetica dello studioso Claudio Fiorentini ben si addicano alla situazione socio-culturale dei nostri giorni e alla poetica del nostro Vittorino Curci. E desidero qui ringraziare sentitamente quanti mi hanno scritto in privato, su FB e sul blog per dimostrarmi la validità di questo confronto a più voci. Tra tutti, propongo il commento di uno sconosciuto: “Ringrazio Angela De Leo che così generosamente ha dato rilievo alle mie parole. Anche le sue, così appassionate nella ricerca dei segreti della poetica di Vittorino, hanno catturato cuore e attenzione”. E onestamente non so se pensare alla poetessa siciliana Francesca Alaimo o al critico letterario Alessio Poiano, entrambi citati nelle mie pagine sul libro di Vittorino. Ma poi c’è anche il commento di Mariateresa Bari, che non manca mai di far sentire la sua voce: “Angela ho i brividi... Quell'ombra, tanto necessaria quanto la luce... Quello scovare la presenza nell'assenza, caratterizza la mia quotidiana ricerca! Come sempre grazie per questi doni!”. Significativi e importanti anche i commenti di Elina Miticocchio: “Angela cara occorre soffermarsi, a lungo, sulle tue parole dense e profonde. Grazie per ogni tuo dono”. Di Maria Pia Latorre: “L’infanzia del poeta è l’infanzia del mondo, il passato del passato. Con la postura di chi trapassa il vetro e cerca nel mondo delle ombre, le ombre del tempo. Grazie a voi!”. E ancora Mariateresa: “Quanti importanti spunti di riflessione, ci regali, continuamente, Angela… grazie”. Gratificazione personale a parte, sono voci che arricchiscono i nostri punti di vista, a volte combacianti, a volte dissonanti ma sempre costruttivi, come è giusto che sia in un percorso poetico così vasto e frastagliato. Francesca Alaimo, per esempio, ancora continua: “Non è cosa di poca importanza annotare come il linguaggio più maturo dell’autore, ubbidendo al fascino della costruzione geometrica e dei rapporti di contrasto e   ripresa dei temi, sui quali si innestano improvvise variazioni e temi secondari, rimandi in qualche modo al fraseggio jazzistico, in una sorta di osmosi fra la pratica letteraria e quella musicale”. Convengo con questa riflessione che ha una straordinaria importanza nel connotare meglio il ritmo interiore e non solo dei versi di Vittorino col suo essere sassofonista di talento. Si aggiunge un altro importante tassello al linguaggio poetico curciano. E qui mi sembra giusto riportare un altro stralcio dello studioso Claudio Fiorentini: <Prendo come esempio una sinfonia di Beethoven. Provate a tradurla in qualcosa che non sia quella sinfonia di Beethoven. Non ci si riesce. La musica, in questo caso, è la compressione dell’immensità, un buco nero che assorbe tutte le sensazioni dello scibile umano che poi esplodono all’interno di chi si lascia rapire dalla meraviglia della musica. Questo è il punto: la grandezza dell’artista sta nel trasmettere qualcosa che può essere trasmessa solo in quel modo. L’infinito di Leopardi può essere trasmesso solo con l’infinito di Leopardi. Non è possibile che il contenuto prescinda dal contenitore, proprio perché dice cose che in altri modi non si possono dire. Quindi è un codice di trasmissione, (…) mentre leggete queste parole (…) a loro volta si espandono in voi (e, già, la comunicazione è una incessante sequenza di compressione ed espansione). Ora, per trasmettere l’infinito, o la quinta, o il Guernica non c’è altro modo oltre quello che li trasmette. Ma ditemi un po’, che tumulto, che splendore, che grandezza si accende in voi quando vi lasciate trasportare da queste opere? Ma veniamo a quello che ci riguarda da vicino, il nostro amico linguaggio. Certo, la lingua e il linguaggio sono due cose diverse: la lingua è lo strumento, il linguaggio è la sua più vasta applicazione perché è fatto di ritmo, di silenzi, di respiro, di gesti, di sequenzialità e di interruzioni, di cose raccolte per strada e, perché no, anche di parole d’uso che in poesia, di solito, noi tendiamo a scartare. Ma è inevitabile, il linguaggio evolve e cambia, è un insieme in costante movimento, è un organo evolutivo, così anche la lingua, sebbene rimanga lo strumento usato per costruire un linguaggio, almeno nel nostro caso>. Come non arricchirsi di queste riflessioni? Così come altro importante tassello Francesca aggiunge alla denuncia sociale che si rileva nel contenitore dei molteplici contenuti dell’“autoantologia”: “l’esperienza del mondo di Curci, che ‘in questa accademia del dolore’, nella quale ‘la grazia duratura del mondo/ è scolpita sul viso/ dei bambini’, ha imparato come sia stato fondamentale ‘ il bene/ di chi credette in noi, le donne e gli uomini/ che ci tenevano in braccio/ sul treno in corsa dell’avvenire”. E qui il linguaggio ha venature di dittatura fascista, da cui prendere le distanze in tutta fretta, ‘per le trame di un potere muto’. E Francesca Alaimo continua con voce sempre più rigorosa e vigorosa a parlare della formazione politica di Vittorino anche in funzione della “urgenza etico-espressiva di una poesia, che, aperta verso ogni esperienza reale, libera da ogni recinto tematico, da ogni confine tra generi e forme letterarie, si offra quale strumento di totale testimonianza.”. Splendide sono le “minuzie dei dettagli” che la poetessa riporta dalle varie descrizioni che il nostro poeta, in maniera lirico-descrittivo-sensoriale, anche un po’ proustiana, fa di Noci, del paesaggio pugliese e degli “oggetti” che ci sopravvivono e ci riportano alla memoria indimenticate, solo sfocate, figure del passato. E attente e puntuali sono le sue considerazioni sulla epicità della poesia di Curci “in nome di un ardore empatico con la storia di ogni uomo, ma anche con gli uomini e le vicende della Storia, nella convinzione che ogni generazione debba lasciare una sua eredità esperienziale a quella successiva perché operi con necessità e sapienza. Esprimendosi sul rapporto che intercorre fra concezione poetica e memoria storica, Curci ha affermato che ‘tutto quello che chiamiamo tradizione è in parte un cimitero e in parte una miniera d’oro. Nel cimitero lascio una preghiera, nella miniera d’oro invece scendo sempre volentieri per riveder le stelle - più ricco di prima -‘”. Come non riportare questi stralci del tutto nuovi rispetto alla mia e altrui recensione? Quanta comprensione in più. Quanta empatia in più fra tutti noi! Quanti ancoraggi alle varie sillogi presenti nella grande Silloge, un contenitore vastissimo di ben ventitrè anni di percorso poetico, sostanziato da tante esperienze di vita perché ne occorrono davvero tante per “fare un poeta” come sostiene Rainer Maria Rilke, nei Quaderni di Malte (<I versi sono esperienze. Per scriverne anche uno soltanto, occorre aver prima veduto molte città, occorre conoscere a fondo gli animali, sentire il volo degli uccelli; sapere i gesti dei piccoli fiori, quando si schiudono all’alba. Occorre poter pensare ai sentieri dispersi in contrade sconosciute; a incontri inattesi; a partenze da lungo tempo presentite imminenti; a lontani tempi d’infanzia ravvolti tuttora nel mistero; a nostro padre e a nostra madre, che eravamo costretti a ferire, quando ci porgevano una gioia incompresa da noi perché fatta per altri; alle malattie della puerizia, che stranamente si presentavano con tante e così profonde metamorfosi; a giorni trascorsi in stanze silenziose e raccolte, a mattini sulla riva del mare; al mare; a tutti gli oceani; a notti di viaggio che scorrevano altissime via con tutte le stelle. E non basta>). In queste sacrosante parole rilkiane io ravviso tutta l’esperienza poetica ed esistenziale di Vittorino Curci. E di quanti hanno un percorso altrettanto lungo e impegnato lungo i lunghi sentieri fioriti di spine e di rose della creatività e dell’autentico amore/dolore per la POESIA.

E anche oggi mi fermo qui, ben intenzionata a continuare perché tanti sono gli spunti di riflessione e conoscenza che si possono rilevare in una pagina ben letta, figuriamoci in un libro di ben 154 pagine!


    

 

 

1 commento:

  1. Carissima Angela, l'infanzia del poeta, mi ha fatto ritornare col pensiero,alla mia d'infanzia! Erano gli anni 70 e la pedagogia non era ancora una scienza diffusa. I bambini erano per lo più adulti parcheggiati in attesa di diventare grandi. Questo è successo a me. Io, tra l'altro, avevo sviluppato un forte senso di responsabilità che mi portava a sentire sulle mie spalle il peso di piccoli e grandi "drammi". Questi versi sono nati oggi, e sono frutto di questo sguardo indietro. Un abbraccio forte, e grazie sempre! ❤️😘💖

    Arrossire

    Mi hanno chiesto di non arrossire/
    recidere i fogli/
    e sogni e lacrime tacere/
    ché del plenilunio non potevo capire./

    Mi hanno chiesto di fare spazio/
    di sgomberare ogni piccolo zampillo/
    ché era sconveniente della fine/ l'orrore e il mio timore di rotolare./

    Ed io, ubbidiente, ho ubbidito.

    Ubbidito ai sermoni sul sorriso
    da lucidare,/ sulle ciglia in disordine /
    sul velo di polvere alle pupille /dimenticate in tasca./

    Mi hanno chiesto di non arrossire/
    ma tocchi i tuoi occhi /
    sono fremito di luce sulla pelle ed io/
    essere nell'etere /
    una vertigine avverto /
    a scongelare il petto./


    M. Bari

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