<Cosa succederebbe se la poesia entrasse nel mondo ed intervenisse, o incidesse, nel parlato, nel linguaggio tecnico o nel “degrado” della lingua, nobilitandone le dinamiche? A volte succede, la poesia può entrare nel parlato. Come? Direi quando riassume, simboleggia, esprime qualcosa che va oltre il significato delle parole perché la poesia deve dire quello che non dice. No, non si tratta di parlare in versi o di esprimersi per metafore, si tratta di altro. Octavio Paz diceva che la “parolaccia” è la poesia del popolo, di fatto il contenuto della parolaccia (o dell’insulto) è enorme, e ciò che può scatenare nell’uomo va oltre l’ordinaria follia. Andando oltre questa analogia, direi che la poesia ha il compito di far esplodere qualcosa dentro, di scuotere le coscienze, di fomentare dubbi e di accendere la miccia dei sentimenti, e lo fa attraverso un insieme suono-ritmo-silenzio. Ecco: un insieme armonico che significa quello e non altro, un significato che non è nelle parole che lo compongono. Allora, potremmo dire che la poesia è un codice che trasmette significati che vanno oltre le parole? Sì: il potere della poesia è nell’evocazione! La poesia è come l’irrazionale voglia di vivere che emana da un fiore che sboccia tra le crepe dell’asfalto. Certo, non è la regola, ma credo che oggi la poesia debba prendere questa strada al di là della forma che la contiene: la poesia non è abbellimento, non è carezzevole, non è una coccola, semmai è la sveglia dello spirito guida, e di questo oggi c’è tanto bisogno>.
Dopo la vergognosa
arroganza, presunzione, ineducazione, violenza degli inglesi per la imprevista
e imprevedibile, per loro, sconfitta agli Europei, di cui pretendono
stoltamente e pervicacemente la revisione del verdetto finale, mi sembra che
queste parole sulla poesia e sulla sua funzione etica oltre che estetica dello
studioso Claudio Fiorentini ben si addicano alla situazione socio-culturale dei
nostri giorni e alla poetica del nostro Vittorino Curci. E desidero qui
ringraziare sentitamente quanti mi hanno scritto in privato, su FB e sul blog
per dimostrarmi la validità di questo confronto a più voci. Tra tutti, propongo
il commento di uno sconosciuto: “Ringrazio
Angela De Leo che così generosamente ha dato rilievo alle mie parole. Anche le
sue, così appassionate nella ricerca dei segreti della poetica di Vittorino,
hanno catturato cuore e attenzione”.
E onestamente non so se pensare alla poetessa siciliana Francesca Alaimo o al
critico letterario Alessio Poiano, entrambi citati nelle mie pagine sul libro
di Vittorino. Ma poi c’è anche il commento di Mariateresa Bari, che non manca
mai di far sentire la sua voce: “Angela
ho i brividi... Quell'ombra, tanto necessaria quanto la luce... Quello scovare
la presenza nell'assenza, caratterizza la mia quotidiana ricerca! Come sempre
grazie per questi doni!”. Significativi e importanti anche i commenti di
Elina Miticocchio: “Angela cara occorre
soffermarsi, a lungo, sulle tue parole dense e profonde. Grazie per ogni tuo
dono”. Di Maria Pia Latorre: “L’infanzia
del poeta è l’infanzia del mondo, il passato del passato. Con la postura di chi
trapassa il vetro e cerca nel mondo delle ombre, le ombre del tempo. Grazie a
voi!”. E ancora Mariateresa: “Quanti
importanti spunti di riflessione, ci regali, continuamente, Angela… grazie”. Gratificazione
personale a parte, sono voci che arricchiscono i nostri punti di vista, a volte
combacianti, a volte dissonanti ma sempre costruttivi, come è giusto che sia in
un percorso poetico così vasto e frastagliato. Francesca Alaimo, per esempio,
ancora continua: “Non è cosa di poca
importanza annotare come il linguaggio più maturo dell’autore, ubbidendo al
fascino della costruzione geometrica e dei rapporti di contrasto e ripresa dei temi, sui quali si innestano
improvvise variazioni e temi secondari, rimandi in qualche modo al fraseggio
jazzistico, in una sorta di osmosi fra la pratica letteraria e quella musicale”.
Convengo con questa riflessione che ha una straordinaria importanza nel
connotare meglio il ritmo interiore e non solo dei versi di Vittorino col suo
essere sassofonista di talento. Si aggiunge un altro importante tassello al
linguaggio poetico curciano. E qui mi
sembra giusto riportare un altro stralcio dello studioso Claudio Fiorentini: <Prendo
come esempio una sinfonia di Beethoven. Provate a tradurla in qualcosa che non
sia quella sinfonia di Beethoven. Non ci si riesce. La musica, in questo caso,
è la compressione dell’immensità, un buco nero che assorbe tutte le sensazioni
dello scibile umano che poi esplodono all’interno di chi si lascia rapire dalla
meraviglia della musica. Questo è il punto: la grandezza dell’artista sta nel
trasmettere qualcosa che può essere trasmessa solo in quel modo. L’infinito di
Leopardi può essere trasmesso solo con l’infinito di Leopardi. Non è possibile
che il contenuto prescinda dal contenitore, proprio perché dice cose che in
altri modi non si possono dire. Quindi è un codice di trasmissione, (…) mentre
leggete queste parole (…) a loro volta si espandono in voi (e, già, la
comunicazione è una incessante sequenza di compressione ed espansione). Ora,
per trasmettere l’infinito, o la quinta, o il Guernica non c’è altro modo oltre
quello che li trasmette. Ma ditemi un po’, che tumulto, che splendore, che
grandezza si accende in voi quando vi lasciate trasportare da queste opere? Ma
veniamo a quello che ci riguarda da vicino, il nostro amico linguaggio. Certo,
la lingua e il linguaggio sono due cose diverse: la lingua è lo strumento, il
linguaggio è la sua più vasta applicazione perché è fatto di ritmo, di silenzi,
di respiro, di gesti, di sequenzialità e di interruzioni, di cose raccolte per
strada e, perché no, anche di parole d’uso che in poesia, di solito, noi
tendiamo a scartare. Ma è inevitabile, il linguaggio evolve e cambia, è un
insieme in costante movimento, è un organo evolutivo, così anche la lingua,
sebbene rimanga lo strumento usato per costruire un linguaggio, almeno nel
nostro caso>. Come non arricchirsi di queste riflessioni? Così come altro importante
tassello Francesca aggiunge alla denuncia sociale che si rileva nel contenitore
dei molteplici contenuti dell’“autoantologia”: “l’esperienza del mondo di Curci, che ‘in questa accademia del dolore’,
nella quale ‘la grazia duratura del mondo/ è scolpita sul viso/ dei bambini’,
ha imparato come sia stato fondamentale ‘ il bene/ di chi credette in noi, le
donne e gli uomini/ che ci tenevano in braccio/ sul treno in corsa
dell’avvenire”. E qui il linguaggio ha venature di dittatura fascista, da cui
prendere le distanze in tutta fretta, ‘per le trame di un potere muto’. E
Francesca Alaimo continua con voce sempre più rigorosa e vigorosa a parlare
della formazione politica di Vittorino anche in funzione della “urgenza etico-espressiva di una poesia, che,
aperta verso ogni esperienza reale, libera da ogni recinto tematico, da ogni
confine tra generi e forme letterarie, si offra quale strumento di totale
testimonianza.”. Splendide sono le “minuzie dei dettagli” che la poetessa
riporta dalle varie descrizioni che il nostro poeta, in maniera
lirico-descrittivo-sensoriale, anche un po’ proustiana, fa di Noci, del
paesaggio pugliese e degli “oggetti” che ci sopravvivono e ci riportano alla
memoria indimenticate, solo sfocate, figure del passato. E attente e puntuali
sono le sue considerazioni sulla epicità della poesia di Curci “in nome di un ardore empatico con la storia
di ogni uomo, ma anche con gli uomini e le vicende della Storia, nella
convinzione che ogni generazione debba lasciare una sua eredità esperienziale a
quella successiva perché operi con necessità e sapienza. Esprimendosi sul
rapporto che intercorre fra concezione poetica e memoria storica, Curci ha
affermato che ‘tutto quello che chiamiamo tradizione è in parte un cimitero e
in parte una miniera d’oro. Nel cimitero lascio una preghiera, nella miniera d’oro
invece scendo sempre volentieri per riveder le stelle - più ricco di prima -‘”.
Come non riportare questi stralci del tutto nuovi rispetto alla mia e
altrui recensione? Quanta comprensione in più. Quanta empatia in più fra tutti
noi! Quanti ancoraggi alle varie sillogi presenti nella grande Silloge, un
contenitore vastissimo di ben ventitrè anni di percorso poetico, sostanziato da
tante esperienze di vita perché ne occorrono davvero tante per “fare un poeta”
come sostiene Rainer Maria Rilke, nei Quaderni
di Malte (<I versi sono
esperienze. Per scriverne anche uno soltanto, occorre aver prima veduto molte
città, occorre conoscere a fondo gli animali, sentire il volo degli uccelli;
sapere i gesti dei piccoli fiori, quando si schiudono all’alba. Occorre poter
pensare ai sentieri dispersi in contrade sconosciute; a incontri inattesi; a
partenze da lungo tempo presentite imminenti; a lontani tempi d’infanzia
ravvolti tuttora nel mistero; a nostro padre e a nostra madre, che eravamo
costretti a ferire, quando ci porgevano una gioia incompresa da noi perché
fatta per altri; alle malattie della puerizia, che stranamente si presentavano
con tante e così profonde metamorfosi; a giorni trascorsi in stanze silenziose
e raccolte, a mattini sulla riva del mare; al mare; a tutti gli oceani; a notti
di viaggio che scorrevano altissime via con tutte le stelle. E non basta>).
In queste sacrosante parole rilkiane io ravviso tutta l’esperienza poetica ed
esistenziale di Vittorino Curci. E di quanti hanno un percorso altrettanto
lungo e impegnato lungo i lunghi sentieri fioriti di spine e di rose della
creatività e dell’autentico amore/dolore per la POESIA.
E anche oggi mi fermo qui, ben intenzionata a continuare perché tanti sono gli spunti di riflessione e conoscenza che si possono rilevare in una pagina ben letta, figuriamoci in un libro di ben 154 pagine!
Carissima Angela, l'infanzia del poeta, mi ha fatto ritornare col pensiero,alla mia d'infanzia! Erano gli anni 70 e la pedagogia non era ancora una scienza diffusa. I bambini erano per lo più adulti parcheggiati in attesa di diventare grandi. Questo è successo a me. Io, tra l'altro, avevo sviluppato un forte senso di responsabilità che mi portava a sentire sulle mie spalle il peso di piccoli e grandi "drammi". Questi versi sono nati oggi, e sono frutto di questo sguardo indietro. Un abbraccio forte, e grazie sempre! ❤️😘💖
RispondiEliminaArrossire
Mi hanno chiesto di non arrossire/
recidere i fogli/
e sogni e lacrime tacere/
ché del plenilunio non potevo capire./
Mi hanno chiesto di fare spazio/
di sgomberare ogni piccolo zampillo/
ché era sconveniente della fine/ l'orrore e il mio timore di rotolare./
Ed io, ubbidiente, ho ubbidito.
Ubbidito ai sermoni sul sorriso
da lucidare,/ sulle ciglia in disordine /
sul velo di polvere alle pupille /dimenticate in tasca./
Mi hanno chiesto di non arrossire/
ma tocchi i tuoi occhi /
sono fremito di luce sulla pelle ed io/
essere nell'etere /
una vertigine avverto /
a scongelare il petto./
M. Bari