Quanta poesia ha riempito il nostro blog e i nostri giorni da quando abbiamo chiuso temporaneamente con il nostro Retino. Ma non è mai tempo di chiudere con la poesia perché è più contagiosa del Covid e delle sue mutazioni, ed è più salvifica di qualsiasi vaccino. Provare per credere. E, allora, ecco che mi piace riproporvi quello che ho scritto parecchio tempo fa sulla poesia:
<L’“INCONTRO” con la POESIA può
avvenire in ogni momento della nostra vita. Occorre soltanto avere occhi
bambini per riconoscerla, la poesia, perché i piccoli sono ancora legati al
luogo misterioso e caldo di luce da cui provengono ed hanno ancora occhi grandi
di stupore, in cui la poesia si annida e pian piano si srotola nei giorni dei
giochi e delle fiabe, nei giorni delle avventure a perdifiato su una scopa che
diventa cavallo o di una palla che si fa mondo e racconta le meraviglie che
quotidianamente va scoprendo. La scoperta del mondo! Quale magia! Dapprima il
bimbo lo fa da solo, con le sue manine e i suoi piedini e la sua voce ad eco.
Poi, con gli altri, nei giochi condivisi, soprattutto giochi di movimento verso
la conquista dell’autonomia e della libertà, in viaggi magici dove ogni filo
d’erba è una scoperta accesa che si anima e si fa invenzione di altri mondi, e
mistero da penetrare in luoghi inesplorati, in cui già vivere è incanto che si
fa poesia. E tutto passa attraverso il corpo e i sensi che percepiscono quanto
i piccoli vedono, ascoltano, toccano, respirano, gustano. Ma con un senso in più, il sesto senso, che dà
loro una marcia diversa con cui intuiscono tutto ciò che gli altri sensi
percepiscono in maniera semplice, concreta e reale. E l’intuizione trasfigura
ogni percezione in emozione che è esaltazione immaginifica e fantastica,
traducendosi in gioia di vivere. Soprattutto se i bambini vivono circondati
dall’amore di quanti se ne prendono cura. È questo, secondo me, il primo
“incontro” con la poesia di un bambino amato e felice. Sì, lo so, non sempre
incontriamo bambini felici, anche a voler andare a ritroso nel tempo.
Anzi! Sicuramente sentiamo il suo
pianto, non appena viene al mondo e guai se non fosse così. Ma appena apre gli
occhi ci regala il suo incanto. Prima di incontrare la sua tristezza, che è
frutto velenoso della cattiveria degli adulti, i quali sono bambini cresciuti
male per una catena atavica di condizionamenti negativi che hanno avuto origine
nella prima razionalizzazione del reale e concettualizzazione del mondo. Nella
prima forma di affermazione di sé a discapito degli altri. Anche in forma
violenta e crudele (Caino che uccide suo fratello Abele).
In realtà, anche gli uomini primitivi hanno guardato il mondo con
occhi di poesia. L’ontogenesi riassume la filogenesi nell’arco della vita di
ciascun essere umano. La razionalità e l’astrazione decretano la fine dello
stupore e quindi della poesia. Tutti gli uomini, tranne i poeti e gli artisti
in genere, se ne sono discostati non appena hanno cominciato a ragionarci su. A
voler indagare per conoscere e sapere il perché e il percome delle cose.
Scomparso il mistero, scompare il volto doppio e triplo della vita in tutte le
sue innumerevoli sfaccettature.
La poesia, invece, condensa in sé un’enorme ricchezza di
sensi, ma li supera in un linguaggio altro che riflette sempre un altrove e
altro da sé. Si può dire, insomma, che “ripetendo una poesia nel linguaggio
comune distruggiamo la poesia”, come afferma
Jurij Michajlovic Lotman.
Una poesia, infatti, nella sua struttura formale è composta di parole
che si legano tra loro secondo diversi sistemi di rapporti ben più complessi di
quelli del discorso comune, e ciò fa sì che uno stesso testo assuma
contemporaneamente più significati.
Il “discorso comune”, come sappiamo, ha carattere di “transitività”
(dalle parole si passa in maniera lineare ai significati), mentre quello
poetico si può definire “autoriflessivo” proprio perché si offre a molteplici
interpretazioni, essendo come avvolto su sé stesso; dunque, è per sua natura
ambiguo: i suoi significati sono soprattutto suggeriti e sottintesi, assumono
strutture complesse, spesso volutamente imprecise, criptiche, oscure e
misteriose. Una poesia non dice, non definisce mai, non dimostra: accenna,
allude, propone, crea suggestioni, concentra in sé molteplici intuizioni.
Inoltre, il discorso comune si svolge generalmente in un’unica
direzione che procede con regolarità dalla prima all’ultima riga (ciò che viene
detto dipende da ciò che precede e condiziona ciò che segue fino all’ultimo
segmento di frase). I significati del discorso comune si organizzano, pertanto,
secondo una progressione che si proietta sempre in avanti.
Al contrario, nella poesia, il senso, invece di progredire, ritorna su
sé stesso con una sorta di movimento “oscillatorio”, avanza e ritorna indietro;
i versi si susseguono non secondo un ordine logico, ma creando continue
espansioni semantiche che si dilatano all’indietro in modo da dover/poter
reinterpretare con una diversa angolatura ciò che si riteneva di aver compreso
in una prima lettura.
Nella poesia, dunque, la
progressione dei sensi non è più proiettata in avanti, come nel discorso
comune, ma si orienta ciclicamente con un ripetuto ritorno su sé stesso. (Cfr.
S. Agosti).
Interpretare una poesia,
allora, significa oscillare tra una comprensione globale e la focalizzazione di
un particolare, per ritornare a cogliere qualche struttura trascurata in un
primo approccio, e per rifermarsi di nuovo su altri aspetti particolari in un
ripetuto procedimento ciclico-spirale.
Insomma, l’interpretazione di una poesia richiede di non trascurare
alcun elemento: dalle scelte lessicali (importantissime) al tipo di verso
(regolare, odeporico, scazonte…), alla punteggiatura usata oppure omessa…
Risulta di particolare valore
il fatto che, in questo succedersi di continui “aggiustamenti” interpretativi,
entrano in gioco anche elementi non linguistici: i caratteri, lo spazio
utilizzato, la collocazione del verso all’interno della pagina, e così via.
Anche questi elementi hanno un significato che possono modificare una prima interpretazione
testuale. Si passa, pertanto, dalla “significazione” di base, all’analisi
attenta del valore polisemico di un termine o di una espressione; dal
suono/senso/significato delle parole ordinate in una certa successione, che può
banalizzare o rendere altamente poetico un testo, alle eventuali rime o scelte
ritmiche…
Il risultato è la
“significazione” più profonda della poesia.
Quest’ultima, dunque, è “il regno della polisemia e dell’ambiguità”.
(Cfr. Serafino Ghiselli).
Una poesia, infine, è un particolarissimo atto linguistico che può
considerarsi compiuto in sé stesso e nelle forme che può assumere, senza
finalità pratiche particolari (libera elaborazione di alcuni testi di Lotman,
Ghiselli, Agosti).
Ma, a questo punto, mi sembra giusto chiederci, al di là della sua
struttura formale, cosa è o potrebbe essere la POESIA. Non è possibile
rispondere, come per tutto ciò che riguarda l’anima. E la poesia è in primis la
nostra anima che si fa Anima dell’Universo. Poi è tanto altro ancora nell’infinito
smarginarsi del suo senso-significato-significazione. Scrivere o parlare di
poesia, dunque, non è facile.
“Per farlo, mi accompagno ad Autori famosi, le cui voci sono ben più
autorevoli della mia”, ho scritto qualche anno fa per un Corso di Scrittura Creativa.
E io oso riproporvelo, miei cari lettori, perché ritengo che ne valga la pena
in quanto offro in sintesi non soltanto il mio pensiero in merito, ma anche un
panorama abbastanza ampio di quello che hanno ipotizzato o affermato sulla
poesia altri grandi studiosi, poeti, scrittori, filosofi, psicologi…
E comincio da Platone, cioè dalla Grecia, culla della poesia
occidentale, per poi riportarmi ben presto ai nostri giorni.
Per Platone, “la poesia è qualsiasi forza che porti una cosa dal non-
essere all’Essere”.
Dunque, la poesia è energia, forza, creazione.
Definizione, che ha percorso millenni di storia e che si è alimentata
dei poemi epici d’Omero e della dolcezza disperata di Saffo o della tensione
lirica di Ibico; dell’ossimorico amore/odio di Catullo e della mitezza elegiaca
di Tibullo; si è fatta elegante sonetto
alla corte di Federico e travolgente fiume di terzine nella Commedia di
Dante; malinconico canto d’amore in Petrarca,
ironica e amara invettiva in Cecco Angiolieri; polifonico madrigale alla corte
del Magnifico a Firenze e superba ottava
nell’Ariosto, ode, canzone, ballata, canto, idillio… per giungere intatta,
imprendibile ma inconfutabile fino a noi.
Parola essenziale, simbolica, allusiva nella poesia orientale; canto
di dolore e di liberazione nei versi in terra d’Africa o degli indiani
d’America. È gioco di parole e musica per i francesi; impeto e passione per i
tedeschi; rivolta e rabbia e stravolgimento per la beat generation, straniamento…
La poesia è tutto questo e molto altro ancora.
E mi fermo qui, ma sicuramente continuerò nei prossimi giorni,
confortata dai vostri interventi, commenti, riflessioni, proposte, poesie. Vi aspetto
per arricchire delle vostre preziose voci il nostro blog… felice fine
settimana. Angela
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