lunedì 26 luglio 2021

Lunedì, 26 luglio 2021: ancora e sempre POESIA...

Speravo di poter fare tesoro dei vostri interventi, miei carissimi amici di lettura e scrittura, ma ci sono solo “commenti” anche molto gratificanti, ma non “interventi” per dissentire, approvare, integrare, riflettere. Interventi, da cui partire per ulteriori approfondimenti. Io, intanto, continuo a parlarvi di poesia, così come ho fatto la volta scorsa, riportandovi quanto già scritto in passato, in altre sedi e per altre motivazioni e conseguenti scopi, sperando che alla fine ci sia una pioggia benefica dei vostri interventi e commenti. E allora riprendo:

< La poesia è anche “...‘febbre’ di vita, esorcizzazione della morte; bisogno vitale psichico profondo; riparazione ai mali (visibili e invisibili) ricevuti vivendo”, come sostiene Mariella Bettarini: “Siamo diventati poeti perché abbiamo ricevuto, da qualche parte e in qualche tempo, una ferita”.

Per Alda Merini “la poesia è un po’ come dio-Amore che non vuole essere guardato in faccia, ma tu lo fai lo stesso. Prendila, assaporala, ma non chiederti mai a che specie appartenga, da quale albero essa venga, con mani sempre vergini, pulite, prive di preconcetti per essere sempre trionfatrice prima e dopo il peccato della parola...”.

La poesia è, pertanto, innocenza e passione, verginità e peccato, ma è soprattutto luce che purifica, oltre che esaltazione, esorcizzazione, riparazione.

Carlo Ossola scrive: “la poesia è parola essenziale, condensa e offre l’irrinunciabile... Ferma il tempo e racchiude in sé il cosmo”.

Per Mario Luzi “è voce del risveglio... imprendibile… è la vita al suo più alto e intenso grado di partecipazione intima…”.

Ma la poesia non ha, né può avere, definizioni in sé compiute, come già detto.

“Si può solo riconoscerla”, ha detto Croce. Un giudizio categorico: “poesia-non poesia”, che ha condizionato per lunghi anni la critica letteraria. Ma per fortuna il mondo è in continua trasformazione evolutiva. In alcuni casi, però, e soprattutto oggi, ci troviamo di fronte a un processo involutivo che va osservato attentamente per contenerne le nefaste conseguenze culturali, sociali, umane.

Da sempre, comunque, essa si costituisce come “dimora della parola visionaria”, “campo di tensione”, “mondo di sogno”, che esalta, drammatizzandolo, quel senso approssimativo e indefinito del mondo in eterno conflitto con la realtà.

“Arpa che, invece di corde, ha cuori e fiamme” (Garcia Lorca).

Gli oggetti spariscono nel simbolo, nella metafora, nella ossimorica contraddizione, facendosi imprendibili.

Solo la poesia, come tutta l’Arte in genere, restituisce loro una particolare realtà; una realtà che non è “riconoscimento” e, quindi, imitazione ma “visione”, “straniamento”, smemoramento, memoria, simulazione e verità.

Non a caso, Fernando Pessoa sostiene che “il poeta è un fingitore”.

E, per Borges, colui che riscopre “quella che gli antichi chiamavano musa, gli ebrei ruah, lo spirito, e William Butier Yeats [...] la grande memoria”.

Si tratta della “memoria del genere umano”. E qui inevitabile diventa il riferimento al binomio inscindibile di poesia e poeta.

Per Mario Praz, quest’ultimo è colui che vive “il fascino dell’incompleto, dell’ignoto, dell’assurdo”, che è, poi, ciò che “assicura l’immortalità all’opera d’arte”.

L’arte, come la poesia, non ama il “dèja vu”.

     Non importa, dunque, che in poesia si parli di sé o di altro da sé, ciò che importa è che sia “ri-creazione”, interpretazione, universo di verità nelle sue verità approssimative e infinite.

     Per Holderlin e Heidegger poesia-poeta-poetare significa nel suo insieme: “Essere in presenza degli Dei ed essere toccati dalla vicinanza dell’essenza delle cose”.

È, dunque, “prologo del cielo”, “stato di grazia”, “illuminazione”, “veggenza”, “rivelazione”…

Non basta, pertanto, definire poesia l’“espressione in forma d’arte della personale visione della realtà”, perché sarebbe decisamente riduttivo, come opportunamente sostiene Emerico Giachery, noto studioso romano, poeta e critico letterario.

Rainer Maria Rilke, nei Quaderni di Malte, così scrive della poesia: “I versi sono esperienze. Per scriverne anche uno soltanto, occorre aver prima veduto molte città, occorre conoscere a fondo gli animali, sentire il volo degli uccelli; sapere i gesti dei piccoli fiori, quando si schiudono all’alba. Occorre poter pensare ai sentieri dispersi in contrade sconosciute; a incontri inattesi; a partenze da lungo tempo presentite imminenti; a lontani tempi d’infanzia ravvolti tuttora nel mistero; a nostro padre e a nostra madre, che eravamo costretti a ferire, quando ci porgevano una gioia incompresa da noi perché fatta per altri; alle malattie della puerizia, che stranamente si presentavano con tante e così profonde metamorfosi; a giorni trascorsi in stanze silenziose e raccolte, a mattini sulla riva del mare; al mare; a tutti gli oceani; a notti di viaggio che scorrevano altissime via con tutte le stelle. E non basta” (come già detto nei giorni scorsi, ma mi piace che questo stralcio sia qui inserito a ribadire un’affermazione molto importante).

La poesia è, allora, la vita vissuta e sentita profondamente dentro come “bellezza e verità” (John Keats). Ma bellezza e verità non sempre sono chiare, lapalissiane, scontate, sono piuttosto soffuse di mistero, colme di tutti i sensi e tutti i significati possibili.

“Asymptoton” - come direbbero gli antichi greci - “il punto che non coincide” del disperato poeta contemporaneo, che tende ad avvicinarsi a qualcosa che sempre continuamente gli sfugge.

Il poeta è Diogene che esplora, illuminandole, con la sua lanterna magica (la luce della poesia), quelle che Machado definiva le oscure “galerìas del alma”.

Non è vero, dunque, - come alcuni studiosi sostengono (da Mallarmè a Reverdy, a Benny Hinn) - che il testo assorbe in sé ed esaurisce ogni contenuto di verità; è vero, forse, il contrario - come ci ammonisce Hans Magnus Henzensberger - e, cioè, che il testo si appropria di un contenuto che gli proviene da un contesto (interiore ed esteriore), entrambi vissuti come universi fantastici, approssimazioni infinite, interpretazioni incerte, insicure, ricche di ambiguità, di chiaroscuri.

Entrambi attendono la luce dell’ispirazione per farsi visibili e farsi coscienza del mondo.

“La poesia abita in noi. È un particolare modo di sentire e di vedere, un filtro con il quale l’anima colora il suo sguardo sull’universo. La poesia è ri-creare il mondo, un frammento di mondo e di vita, partendo da una emozione, da una vibrazione dell’anima, simile a quella dell’arpa”, così scrive don Giuseppe Colombero.

Essa è un po’ come la “camera oscura” di leopardiana memoria: una sorta di caleidoscopio, che rende fantasmagorici dei semplici pezzettini di carta colorata, grazie agli specchi interni, al movimento esterno che subisce da chi lo agita, e alla luce che sugli specchi si rifrange. Ecco, allora, l’effetto meraviglioso di infinite possibilità altre di una stessa realtà; effetto, che dipende appunto da questi elementi (specchi, movimenti, luce) e non dall’oggetto reale (i pezzettini policromi di carta): “i modi, le forme, le parole, le grazie, le eleganze, gli ardimenti felici, i traslati, le inversioni” (e cito lo Zibaldone), ma anche le passioni, gli ardori, gli amori, le emozioni, i pensieri, le delusioni, le esaltazioni, il dolore o la gioia, il canto dell’anima, quale esso sia. Borges supera la sua teoria degli specchi con quella del “prisma” che è molto simile al caleidoscopio nella infinita molteplicità delle immagini che un oggetto di emozionata osservazione/suggestione può suggerire.

Il poeta, mago e visionario.

“Visione ed enigma” - secondo Nietzsche - sono gli elementi con cui il poeta è in grado di conoscere il mondo (interno ed esterno) nella sua imprendibilità. Forma e sostanza, pertanto, si identificano in una elaborazione, che è un “ri-creare” il mondo attraverso luoghi sconosciuti, chiari solo all’autore, grazie a quella sua prodigiosa lanterna attraverso cui egli li ‘consegna’ al lettore nella loro “intoccabilità”. Di qui gli sconfinati universi, inseguiti e mai raggiunti, dell’oggetto poetico.

Ma “le certezze” sono l’atrofia dell’intelligenza, della volontà, del coraggio di osare.

La creazione poetica, invece, si muove - come afferma Luzi - “in un campo illimitato”, in quanto “dispone Io spazio intellettuale ed emotivo a una esaltante incursione nel molteplice, nel movimento multiforme e contraddittorio in cui si attua la vita”.

“La poesia è limpida meraviglia di un delirante fermento… La parola scavata nella vita come un abisso”. Così Giuseppe Ungaretti.

E anche oggi mi fermo qui. Per non scoraggiarvi di fronte a molte pagine. Per non annoiarvi con una scrittura che prende in prestito da altri autori i numerosi tentativi di dare in qualche modo della poesia e del poeta una definizione abbastanza condivisibile, ma non per questo sempre accettabile in toto. E non si ha certamente questa pretesa. È solo il desiderio di condivisione di quello che potrebbe essere il linguaggio poetico che conosciamo in funzione di quello che possiamo scoprire, conoscere, realizzare, ancora una volta, insieme. Buon incontro delle nostre anime. Con POESIA.

  

1 commento:

  1. Carissima Angela, citi i grandi sacerdoti della poesia e della letteratura e temi di annoiare? Personalmente sono affascinata dal tuo viaggio e dalla pulsante passione del tuo racconto. E non posso che farne tesoro. Il contributo che posso offrire, alla tua pioggia emozionale sulla poesia, è solo la mia piccola, piccolissima testimonianza sul mio vissuto poetico. Perché, dice bene Rilke, non c'è poeta senza esperienza, e quel " e altro ancora..." è programma di caleidoscopici punti di vista. La Merini vedeva la poesia come un grillo che la seguiva ovunque. Per me è piuttosto una farfalla che sbatte alla finestra e m'invita ad aprirla. Una farfalla che ogni giorno viene a ricordarmi che, da qualche parte, ho anch'io un paio d'ali. Stropicciate impolverate dai giorni, ma ali. Ali con cui azzardare un volo. E, nel mio personale volo avviene una magia: guardo le cose, il mondo, da un altro punto di vista che è nuovo quotidiano stupore. Ma l'esperienza non finisce qui... Perché dopo ha inizio il viaggio, il mettersi in cammino, non solo in orizzontale ma anche in verticale. È quindi rischiare di incontrare il buio! Ma non esiste ombra senza luce... È proprio lì, nelle cantine della nostra anima che si sperimenta la sua presenza. Concludo qui Angela, per non togliere spazio ad altri interventi, necessari per qualsiasi confronto. Ma continuerei a scrivere del mio personale viaggio per pagine e pagine, col rischio di essere io ad annoiare... Un abbraccio forte 💓🤗

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