lunedì 20 dicembre 2021

20 dicembre 2021: altre testimonianze sull’AMORE che vince il DOLORE…

Forse, la vita è proprio come un mattino qualunque di dicembre. Un solicello fragile e ignaro, un cielo limpido solcato da vecchie nuvole, il gelo assurdo nel cuore. E le vestigia dell'amore da riconoscere sulla pelle di un uomo, ferito per sempre. Non vedevo Carla chissà da quanto, ma qualche volta mi era capitato di incrociare Francesco. Già, perché per me Carla era Francesco e Francesco era Carla. Il consueto saluto amicale, mozziconi di parole che si disperdevano nell'aria, la gracile promessa di risentirci. E, intanto, lo vedevo appassirsi dolorosamente, come capita a quei fiori belli che, cresciuti insieme in un vaso ancora più bello, vedono spegnersi la rosa che svettava accanto, intrecciatasi all'anima, nel tempo, con la tenacia indistruttibile del sentimento. La luce della giovinezza, la leggerezza dell'ironia, la forza delle difficoltà superate insieme, il sogno di una vita condivisa: tutto finito. Inutile. Insensato. Precipitato giù in un botro buio senza fine. Si resta, certo, perché quella rosa nomata Carla - estremo dono d'amore- si sfarinerà per nutrire i fiorellini stupendi che in quel vaso erano nati e, giorno per giorno, cresceranno. Ma quel fiore di nome Francesco, che ha sentito lo stelo adorato sfuggire inesorabilmente dall'abbraccio disperato, ora come farà?


E riprendo con quanto il mio carissimo amico Mario Sicolo (Apulo Scriba) ha postato oggi sulla sua pagina FB. Sorprendentemente sembra la perfetta continuazione della poesia di Antonella Coletti: “l’ultimo bocciolo reciso dal vento di una notte d’inverno”. Metafora dell’ultimo tratto di vita vissuto come rosa, i cui petali vengono sparsi dal vento che non perdona rughe e passi malfermi. Si attaglia in modo ammirabile con la terza età e, cioè, con gli anni che m’appartengono. Quanta reciprocità sul “viale del tramonto” tra Carla e Francesca fino a diventare, per un osservatore sensibile e attento come Mario, interscambiabili. E condivido parola per parola, tanto mi sento parte viva, per fortuna ancora VIVA, delle strade attraversate dal nostro autore e dai protagonisti di questa tenera storia di un tempo non ripercorribile se non al passato quando anche il cielo grigio s’illuminava della “luce della giovinezza, la leggerezza dell’ironia, la forza delle difficoltà superate insieme, il sogno di una vita condivisa: tutto finito…”. E potrei condividere anche la conclusione. Ma, al di là dell’amore per e della “rosa sfiorita” ci sono altri esempi di amori che asciugano il pianto. È bene ascoltare anche queste voci per sentirci ancora in viaggio su strade lastricate di buone possibilità di vincere il male con la forza che proviene dall’essere in due. Rubo dalla pagina di Miryam Procacci su FB una bella riflessione che ignoro di chi sia, ma che avvalora le scelte d’amore di Luciana e Federico, i due carissimi amici, di cui ho parlato la volta scorsa: “Ho capito che amare, nel suo punto più profondo, significa soprattutto fare pace - dentro di sé - con gli aspetti dell’altro che sono più diversi ed estremamente distanti dal proprio modo di essere. Non è affatto difficile apprezzare i lati positivi. È quello che viene più immediato nell’innamoramento. Ma la prova dell’amore è riuscire a percepire come domestici e accettabili proprio quegli aspetti che, agli occhi degli altri, sono “difetti”. Se non siete in grado di trasformare questo esercizio, che inizialmente è pura pratica quotidiana, in uno slancio naturale, vi sconsiglio di immaginare una vita a due.” A tutti coloro che credono. Che credono, anche, nell’amore. E mi piace sottolineare l’importanza dell’inciso “anche”, inserito nelle scarne ma incisive parole di Miryam, perché penso che stiano a sottolineare che sia fondamentale per ogni essere umano credere in qualcuno o qualcosa e che ci si possa incontrare e scegliere di amarsi, nel rispetto reciproco delle diverse identità. Mi piacerebbe che, con Miryam, mi deste una voce su questa mia interpretazione. Poi, m’imbatto per caso in questo meraviglioso racconto di Maria Concetta Giorgi, la cui scrittura è decisamente unica e catturante, rimango commossa e senza parole. Qui si tratta di altra reciprocità e altro amore, ma è quasi Natale e allora ben venga questo canto d’AMORE e di ATTESA. Grazie dal profondo del cuore, mia dolcissima amica: “Natale durante la guerra”.

Il silenzio della neve arrivò a fare rumore, picchiettava una neve fresca sul tetto di casa Zanella.
Un lieve e impercettibile ticchettio.
Maria che ormai aveva tanti anni, uscì per strada per guardare che il tetto non si riempisse troppo.
Era freddissimo, le mani si gelavano dentro alle tasche del cappotto.
Tornò in casa vicino al fuoco del vecchio camino.
Aggiunse un grosso ceppo. Sulla stufa bolliva un po’ di minestra, non c’era tanto in casa, la guerra aveva portato via tutto.
Aveva sulle ginocchia una coperta in lana grezza di colore verde, si sentiva felice perché poteva scaldarsi.
Sentì bussare alla porta.
Un uomo tutto bagnato dalla neve, chiese di entrare, aveva solo un maglione e calzoni molto consumati, le scarpe erano avvolte di stracci perché ormai non avevano più la suola.
Lo fece entrare a scaldarsi, un uomo in casa poteva essere una benedizione…
Attilio aveva solo vent’anni e una tristezza in viso che lo rendeva più vecchio.
Una tenerezza infinita colse Maria che guardando quel giovane pensò a quando aveva conosciuto Augusto, al loro amore e a quel figlio che avevano perduto…
Si misero a tavola in silenzio, la minestra era calda, Attilio mangiò voracemente, era tanto che non aveva avuto un pasto caldo.
Maria lo fece sedere vicino al camino, poi gli accarezzò i capelli ancora bagnati. Le venne in mente che dentro la scatola dei suoi poveri ricordi aveva ancora un sigaro di Augusto e che nella vecchia credenza era rimasto del rosolio.
Era la sera di Natale di un anno di guerra e forse era arrivato il momento di festeggiare.
La neve continuava a cadere, guardando dalla finestra Maria si accorse che in lontananza, in alto, luccicava qualcosa.
Non era facile vedere, la neve schiariva l’oscurità, ma il buio faceva da padrone.
Chiamò Attilio, che con il bicchierino di rosolio in mano, si avvicinò ai vetri.
Sembrava la scia di una stella a brillare.
Ma come poteva essere che sotto un cielo da neve si vedesse una stella?
Immersi nei propri pensieri continuarono a fissare quella cosa luminosa, era la notte di Natale e qualcosa era accaduto.
Attilio mise il capo sulle ginocchia di Maria e si addormentò.
Si addormentarono tutti e due. I dolori erano passati, la guerra per una notte era uscita da quella casa.
Fu una notte di Natale senza paura, al calore di un camino, con una coperta grezza che copriva tutti e due.
Maria aveva ritrovato un figlio, non c’era nient’altro che potesse desiderare.

Con questo piccolo racconto auguro a tutti gli amici un Buon Natale. La storia di quel bimbo che nasce, si ripete ogni qualvolta ci siano persone pronte a donare non l’effimero dello sfarzo, ma la profondità della condivisione. Qualcosa da dividere alla luce di una straordinaria visione, un faro che illumina nel buio di ogni periodo difficile e che afferma con meravigliosa intensità, la nascita di Gesù.
(mcg)


E vorrei concludere con Roberta Lipparini e la sua dolcissima poesia “DONI DI NATALE” che magnificamente completa il racconto di Maria Concetta: In questa notte fredda/ d'un freddo che fa male/ sto incartando per te/ i miei doni di Natale./ Il ritmo quieto
di una marea infinita/ un tratto leggero/ lieve, a matita./ Il perdono/ per ogni tuo errore/ conforto dal buio/ riparo dal dolore./ La certezza/ che ti verrò a cercare/ anche se mi sfuggi/ se ti perderai nel mare./
La fiducia/ che nel tuo volo/ non ti fermerà/ la paura di esser solo./ Incarterò i tuoi doni/ questa notte/ mio amore/ poi verrò da te/ te li poserò nel cuore. 
Quanto amore oblativo nella reciprocità del donarsi in doni/DONO…
E Natale è ormai alle porte. La prossima volta, gli auguri? In reciprocità…

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