5 minuti con poesia: II incontro: le finestre. Ho tentato di parlarne venerdì scorso. Ma come si fa a parlare di magiche emozioni, con la voglia di comunicarle e condividerle, in soli cinque minuti? Proprio quando avevo cominciato a farlo il trillino mi ha dato il segnale di STOP, che naturalmente non sono riuscita a rispettare…
Allora continuo a
parlare qui della magia delle mie FINESTRE, magia di cui abbiamo bisogno oggi
più che mai. Per alleggerire il cuore oppresso da tanto dolore, angoscia, paura
per un virus pandemico che sta sconvolgendo tragicamente questo nostro
corrucciato e indifeso pianeta. Come è facile notare, io ho bisogno di tempi
lunghi e di “parole distese” per comunicare i miei pensieri.
Dunque, dicevamo. Le
finestre, così semplicemente quotidiane e necessarie alla nostra vita
conservano il mistero di buona parte della nostra vita: le apriamo di buon
mattino per fare respirare la nostra casa col farvi entrare aria pura (almeno
dovrebbe esserlo!) e luce e il mondo con le sue voci e suoni e rumori di strade
e piazze e case che si risvegliano. Ma per me è quotidiano stupore notare come
la luce penetri nelle nostre casa a illuminarle, dissipando il buio, come neve
al sole. Mentre non una sola ombra vola
verso l’esterno ad oscurare il cielo. La casa conserva, non dissipa; trattiene,
non caccia via. La stessa luce, se l’accendiamo la sera nella nostra casa non
esce dalle finestre, si fermano dietro i vetri e, anche se le spalanchiamo, la
luce rimane dentro, non si espande per le strade. Ditemi se questa non è magia!
Solo noi possiamo entrare e uscire da casa, ma dipende da noi umani (compresi
gli animali): è un atto di libertà e di volontà che appartiene a ciascuno di
noi, a meno che non ci siano delle costrizioni o degli impedimenti a
vietarcelo. Ma per entrare ed uscire abbiamo bisogno di un varco: la porta con
una soglia che facilmente attraversiamo perché i nostri passi possano andare
alla conquista del nostro piccolo mondo quotidiano o molto più lontano, magari
non più a piedi ma con i tantissimi mezzi di locomozione che il secolo scorso
ha conquistato per noi. Persino per farci andare alla conquista dello spazio:
la “casta diva” luna o Marte, il pianeta che rosseggia, e via via sempre più su
fino a sfidare le stelle.
Fuori dalla nostra
casa lo spazio si fa infinito e noi rischiamo di disperderci.
Lo scrittore Antonio
Tabucchi, che amo tanto, scrive: “La vastità del reale è incomprensibile, per
capirlo bisogna chiuderlo in un rettangolo, la geometria si oppone al caos, per
questo gli uomini hanno inventato le finestre”. E Emily Dickinson: “Un vuoto,
la finestra, che può essere metafora dell’infinito”. Non è magia anche questa?
La nostra casa,
dunque, è la risposta rassicurante dell’uomo alla sua ansia d’infinito e alla
sua paura dell’infinito. È il nostro punto di ritorno, il nostro rifugio
sicuro, la nostra protezione. Ma anche, come dicevo venerdì, la nostra
segregazione, che ben presto ci rende insofferenti a quel nostro mondo
asfittico che limita i nostri passi e le nostre esperienze da vivere. Ed ecco
la finestra venire incontro a questo nostro bisogno/desiderio: guardare fuori,
riappropriarci dello spazio, dell’orizzonte oltre le case, dei campi oltre il
paese, del respiro del cielo, stando però nei limiti di quel rettangolo che ci
salva dall’infinito sperdimento. La finestra ha un davanzale a cui appoggiarci
o un balcone da cui affacciarci. E, altra magia, parla di noi e per noi con gli
altri; dei nostri modi di essere. Ci definisce meglio agli occhi di chi è
curioso di conoscerci. Comunica in silenzio le nostre intenzioni: può essere
chiusa, semichiusa, spalancata, aperta, oscurata, serrata, rotta. Per queste
caratteristiche è ambiguamente simbolica: si apre e si chiude, unisce e separa,
permette di vedere e di essere visti, ma anche di nascondere e nascondersi.
Indica dunque un atteggiamento e diventa metafora psicologica della vita stessa.
(Cfr. Monica
Mazzolini, Appunti d’Arte,
blogspot.com, 23 novembre 2020)
Dipende dalla nostra
capacità di comunicare con gli altri o meno. Dall’ottimismo e dalla diffidenza,
dall’indifferenza o dalla curiosità verso il mondo esterno. Dal bisogno di aprirci
o di chiuderci agli altri.
Può fare da sfondo o
essere l’oggetto principale di osservazione.
Eterna dualità della
natura materica e umana.
Ed è su tale dualità
che si gioca appunto la nostra vita: la dialettica costante tra la soggettività
dell’IO e l’oggettività del MONDO. Il vano/davanzale della finestra abbraccia
l’una e l’altra. Ed è in tale abbraccio l’illuminazione poetica! Dovuta, come
sostiene il filosofo Bergson, all’“intelligenza”,
che osserva le cose dall’esterno, e l’“intuizione”, che sente il “reale”
dall’interno, e si identifica con esso.
Ed è questa, secondo
me, la magia più grande a cui non può sottrarsi chi è amante del linguaggio
poetico. Ma non solo. Nelle diverse declinazioni della creatività umana, tutti
gli Artisti sono stati illuminati dalla magia della finestra.
Ma questo altro
respiro d’infinito ve lo racconto domani. Buona domenica.
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