Ritengo
banale scrivere: “splendida foto per una splendida donna”.
Scontato.
Mi piace, in
realtà, incantarmi a guardare questa Galleria superba della
Femminilità, filtrata attraverso l'anima di Giovanni Gastel e la sua
macchina fotografica. Meraviglioso strumento che tale rimarrebbe se
non prendesse respiro palpitante nelle mani dell'Artista. Mi chiedo:
ma una donna è sempre la stessa donna se viene raccontata da un
uomo? Credo di no. Anzi, ne sono convinta. Siamo due universi
distanti, anche se forse complementari. L'intuito femminile è
diverso dalla razionalità maschile. E, se una donna nota
maggiormente nella luce degli occhi o nella piega delle labbra di
un'altra donna il suo mondo interiore e i suoi misteri, un uomo nota
quel volto nel suo insieme di bellezza fisica o di seduttività. Se,
però, quell'uomo è impastato di sensibilità creativa e poetica,
allora quel volto di donna si fa poesia: ha in sé la luce del divino
che dimora nell'opera d'Arte.
Non tutte le
donne fotografate possono vantare questo soffio, sul loro volto, che
è accadimento e prodigio. A quante sono stati negati la certezza del
volto, lo stupore dell'accadimento? Quante hanno potuto emozionarsi
specchiandosi in una foto ed emozionare lo sguardo di chi le ha
sfiorate oppure osservate?
Con Giovanni
Gastel accade.
E quel volto
o quella figura femminile si trasfigura e diventa altro e altro
ancora: si fa ricciolo di oscuro desiderio, di velluto e sogno, o
cascata di grano nel campo di nessuno; sorriso d'anguria o ombra di
occhi che temono la luce e luce di sguardo che percorre vallate e
sale sui monti e si veste di cielo per riflettersi nel mare e
guadagnare orizzonti mai esplorati. Oppure è corpo che si fa volo e
ali di farfalla, gomitolo di lana o fiore che si dischiude alla vita.
Spavalderia di gambe incrociate, esibite, in attesa, oppure
coraggiose gazzelle, frementi d'avventura nell'andare; e seni
nascosti, svelati, timidi, audaci che invitano mani e occhi e una
passione che pulsa di un attimo appena e poi si spegne come cerino
troppo breve per durare.
Ed è come
scoprirsi in una Galleria buia che a tratti s'illumina di un
bagliore: un lampo, uno squarcio. Un occhio divino su cornici vuote
che le animano. Che si animano. Ed ecco il Volto. Di Donna. Ha due
occhi che feriscono. Buio. Luce. Un altro Volto. Ha labbra-papavero
che accendono il cielo di un sorriso. Buio. Lampo: quella donna non
ha né labbra né occhi, solo un mistero che vuole celare. O svelare
a chi sa leggere e vuole leggere in quel mistero. Buio. Squarcio. E
il nero si fa ala di corvo, notte di rimpianto, urlo di due lacrime
non piante sul pallore del viso. Luna sorpresa di solitudine e
d'abbandono. Poi ecco l'oro di un volto sontuoso nella sua altera
fissità bizantina di icona lontana che veste di preziosa antichità
i monasteri del Kosovo e quello serbo di Kilandari.
Buio. Luce.
Per Donne donne fiore donne erba donne prato donne sogno donne nuvola
donne volo donne mare e maree. Donne svettanti come vittorie a lungo
sognate e rincorse e afferrate. Donne protagoniste di una storia, di
mille storie. E Donne che hanno scritto la storia della Moda,
dell'Arte, del Cinema e del Teatro. Donne integrate nel loro tempo e
spazio vitale o sbalzate come un bassorilievo oltre il tempo e lo
spazio.
Rese
immortali da quel lampo di luce che è talento più che tecnica,
genialità più che immagine, sensibilità più che angolazione di
ombre, amore più che posa o inquadratura.
Giovanni
Gastel, con la sua macchina fotografica, le guarda le donne per
ascoltarle. Le ascolta per conoscerle. Per riconoscerle e
raccontarle. Entrando nella loro anima per vivificarle di una
ineffabilità che solo l'anima possiede.
E le Donne
della sua meravigliosa Galleria si accendono di mille atmosfere, di
luminose essenze, misteriose eppure vicine, in tutte le loro
sfaccettature, quasi fossero in un prisma in cui sanno esse stesse
conoscersi e riconoscersi per colmarsi di pienezza di sé, di
autenticità, di LUCE...
E,
immortalando, Giovanni Gastel si immortala.
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