venerdì 18 dicembre 2020

La magia delle FINESTRE: venerdì 18 dicembre 2020

Non ho voluto contaminare, con altre mie elucubrazioni sulla pioggia, la grandezza poetica di due Astri della Poesia di tutti i tempi e spazi del nostro Pianeta.

Ora, però, su questa mia nuova pagina desidero focalizzare ancora qualche altro volto inconsueto della parola che stiamo leggendo sotto la luce della nostra lente d’ingrandimento. E allora voglio ricordare che la pioggia, in senso punitivo, la troviamo nel Diluvio Universale, ma anche in senso salvifico quando Dio stringe un patto di alleanza con Noè e gli concede di salvare dalle acque gli animali che dovranno ripopolare la Terra (Bibbia). Poi, come segno di rinnovata Pace fa fiorire nel cielo in un tripudio di colori l’arcobaleno, mentre una colomba torna col ramoscello d’ulivo nel becco (ma non ho tempo di documentarmi e non so se sono solo mie suggestioni di bambina. Può essere un invito a correggermi o a fare una ricerca!). Dante punisce i peccatori, nel sesto canto dell’Inferno, con la pioggia eterna e maledetta, fredda e pesantemente cupa. E forte e greve, con il suo scroscio violento, la ritroviamo nella scena dello sfratto in Uno nessuno e centomila di Pirandello: in questo caso, sollecita bestemmie e tafferugli. In Manzoni, invece, col suo lavacro salvifico, accompagna Renzo sopravvissuto a tante sventure fino a ridonargli nuove forze per rigenerarsi e rinascere a nuova vita, mentre in Salvatore Quasimodo si fa fenomeno atmosferico interiorizzato fino a diventare vera e propria invocazione, in “Preghiera alla pioggia”, come caldo invito a trasformare gli orrori della guerra e di Auschwitz in un tepore nuovo e benefico che solo la casa con la pioggia “di prima sera” può accogliere in un atto di redenzione e perdono. In Flaubert essa è metafora dell’innamoramento privo di passione, ma lento e testardo come l’acqua che cade con monotonia, e penetra nel cuore fragile di Madame Bovary, scavando rigagnoli di insoddisfazioni e di attese deluse. In Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez, ritorna la pioggia violenta, a riportare la città di Macondo allo stato di caos primigenio. In Verga è sempre metafora della solitudine esistenziale dei “vinti”, che non sanno aprirsi al Cielo. Ma staremmo a parlarne all’infinito. E lo spazio/tempo anche sul mio blog mi suona la musichetta dello STOP. Però anche qui non posso ex abrupto lasciarvi così, con tutte le parole, legate alla pioggia, che riempiono il mio retino e di cui, potendo, torneremo a parlare. Come mi piacerebbe parlare dei pittori che hanno eternato la pioggia nei loro dipinti (si pensi a Renoir), o dei fotografi che, in uno scatto improvviso, la rendono eterna e ripetibile. O, ancora, la pioggia in tanti capolavori cinematografici, (Colazione da Tiffany, Il profumo del mosto selvatico?), a Teatro, nell’opera lirica… Spero davvero di poterne parlare.

Ma ora, per tornare a Francesca Pice e al suo “racconto epifanico di acqua e di parole”, vorrei ricordare le espressioni: cade una pioggia di stelle, cade una pioggia di insulti, cade una pioggia di parole, di lacrime, di sorrisi, di grazie, di benedizioni, di maledizioni, e così via. In un profluvio senza fine. La pioggia, tra l’altro, è un pieno-vuoto/pieno-vuoto come la vita che ogni giorno si colma di infiniti attimi di esperienze esistenziali e ad ogni alba ha una pagina bianca da riempire con parole che traducono in racconto pensieri emozioni sentimenti di ogni attimo vissuto. Ricordi individuali e Memoria collettiva o universale. L’acqua portatrice di memoria. Cade e si fa pozzanghera, ma anche rigagnolo fiume torrente cascata mare oceano vapore nuvole. E il suo ciclo vitale ricomincia. In caduta libera. Per risalire al cielo. In un eterno gioco di rinnovamento… E vorrei, con Francesca, e con tutti voi, concludere con un divertissement sulla parola pioggia: P = inizio del primo filo d’acqua che cade dalla nuvola a dividerci dal mondo reale. i = sospensione lieve a metà tra terra e cielo. o = è una goccia bambina che scopre con meraviglia il prodigio della trasformazione. gg = sono nuvole che si aggregano per precipitare con intenso scroscio ed è già temporale. i = un ripensamento amletico (cadere o non cadere?). a = germoglio di arcobaleno che fiorisce nel cielo, facendosi spazio tra le nuvole per darci la gioia di scoprire e riscoprire la luce e il sogno, la speranza di nuovi domani… Con totale aderenza al grafema? Forse.    

E, continuando: che dire delle canzoni ispirate dalla pioggia? Tantissimi i cantautori italiani e stranieri: da Domenico Modugno a Fabrizio De Andrè, da Pino Daniele a Gilbert Bécaud a Liza Minnelli, Gene Kelly… e anche qui devo stopparmi. Vorrei solo accennare alla luce che spesso si accompagna alla pioggia: abbiamo già parlato della rifrazione della luce nelle gocce sospese nell’aria dopo un temporale a regalarci l’arcobaleno. La pioggia che si fa luce tra i rami stillanti di gocce in sospensione. La pioggia che nelle pozzanghere riflette il cielo e raccoglie le stelle dopo una notturna schiarita. Ma le stesse parole poetiche con o senza pioggia sono illuminate dalla luce. M’illumino d’immenso di Ungaretti vale tutto l’Universo in una “Mattina” di sole. La stessa Poesia è Luce. Illuminazione. A gennaio parleremo ancora di PIOGGIA e di LUCE. Si sollecitano commenti integrativi per arricchirci sempre più di altre chiavi di lettura a confronto. Ma stasera parleremo di POESIA. Questa volta facendola volare dalle finestre aperte. Trattenendo a viva forza i POETI che non possono/non devono volare via... Ed ora proprio ciao. A stasera. Ore 19.

 

 

 

 

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