Elina Miticocchio, una delicatissima poetessa che proprio in questi giorni ha avuto la gioia, dopo tanto dolore, di avere tra le mani il palpito della sua ultima silloge di poesia Alle radici dell’erba, pubblicata dalla nostra Casa editrice, così scrive, commentando La magia delle FINESTRE di martedì 29 dicembre 2020": Dal dolore segreto un giorno crescerò partendo dalle ombre dalle paure dai dubbi dal dolore segreto che cova intero custodito. Duole nel silenzio di giorni fragili. Mi innamorerò dei luoghi chiusi che cercano aria nel frastuono di cieche voci. Imparerò forse attraverso l’alba a non smarrirmi a far danzare il corpo al solo ritmo del cuore. Elina Miticocchio - Estemporanea nata leggendo il blog La Poetologa della poetessa Angela De Leo, 29/12/2020. Dolce/amaro commento, ricco di poesia e di buoni propositi (Mi innamorerò… Imparerò…), con la lievità danzante della sua Poesia, ricca di suggestioni immaginifiche che volano trasportate da un vento leggero che porta lontano… E il dolore e la gioia sono un impasto che raggiungono radici di mai dimenticata infanzia per innalzarsi alle foglie di ogni rinascita.
E Vito Di Chio ha commentato su "La magia delle FINESTRE, dicembre 2020": Trascrivo da „Bisogno di Maestri“ questa riflessione. In una sua lirica W. Goethe annota: “Tutto diedero gli dei, gli infiniti, ai loro prediletti - proprio tutto, tutte le gioie, le infinite, tutti i dolori, gli infiniti, proprio tutto”. Commentando nella lettera alla sua amica questi versi, il poeta aggiunge: “Così cantavo recentemente mentre in una stupenda notte lunare uscivo dalla profondità del fiume che scorre davanti al mio giardino: un’emozione intensa, di cui sperimento nella mia persona la verità giorno dopo giorno”. È una descrizione toccante della grande capacità della poesia e dei poeti di sperimentare la felicità e di sentire il dolore nella loro interdipendenza, dono degli dei, eterna sfida spirituale che accompagna ineluttabilmente il corso della loro vita, e, per questo, “prediletti degli dei”. Una predilezione che traduce molto bene il pensiero essenziale di Socrate nella sua Apologia davanti ai giudici di Atene: “Una vita non provata non è degna di essere vissuta”. BUONA SERATA, carissima Angela!
Splendido commento che si commenta da sé: i poeti incarnano felicemente/infelicemente la gioia e il dolore in ugual misura che misura non ha: INFINITAMENTE. E, per questo infinito, che è “l’ineffabile” che “ferisce e risana” (C. Milosz) essi “vivono in eterno” perché sono i “prediletti degli dèi”. A loro l’Olimpo concede di vivere una “vita provata” di quell’INFINITO TUTTO che rende l’umana esperienza “degna di essere vissuta” (Socrate). Infinitamente grazie, Vito carissimo, per averci donato BISOGNO DI MAESTRI, in cui ti riconosco!
E Giulia Basile, una scrittrice/poetessa di forte tempra e di coraggiosa azione in difesa delle Donne e di quanti hanno un sogno da vivere, da realizzare a costo di immani sacrifici, sempre in bilico tra il dolore (che ogni viaggio comporta) e la gioia (che ogni approdo restituisce all’animo provato dal lungo percorso tra mille insidie e tormenti d’anima), così scrive: Bellissima dicotomia: il dolore e la gioia, due parole all’apparenza lontane, ma hanno in comune l’urlo e il silenzio, cioè si può urlare di dolore ma anche di gioia; e si può indossare il silenzio per il troppo dolore così come per la troppa gioia, quando non si trovano le parole per comunicare con gli altri e apriamo la bocca per trasmettere meraviglia.
Un abbinamento al dolore e alla gioia che non avevo considerato: l’urlo e il silenzio. E che ora mi fa riflettere molto. L’urlo del dolore (e mi viene in mente “L’Urlo di Munch” sul volto sgomento dell’immagine in primo piano, nella totale indifferenza della natura!) e quello della gioia che ha una vibrazione tonale completamente diversa. E il silenzio dell’uno e dell’altra. Sul silenzio del dolore credo di aver dato già le mie risposte. Ma ho ignorato quello della gioia che ora mi si dischiude ricco di “muta meraviglia” e rimango affascinata da questo silenzio che è un inno alla creatività che fa fiorire mondi incantati sui rami luminosi della gioia. Grazie!
E, per par condicio, mi sembra giusto citare anche la bellissima raccolta di racconti Naviga la parola e consuma amore, ultimo lavoro di Giulia pubblicato dalla nostra Casa editrice.
E la carissima Maria Pia Latorre mi scrive: Il dolore che affiora. Il nostro dolore è rinchiuso dentro di noi. Ma coloro che lo hanno vissuto e vivono grandi dolori sanno riconoscersi tra loro. Come se il dolore avvertisse una vicinanza affine e si affacciasse all’altro nello sguardo. Una situazione in cui il dolore tende a riaffiorare è proprio nei momenti di gioia, perché queste due emozioni-sentimenti sono strettamente legati, dentro di noi, e si richiamano a vicenda, aggiungerei. Grazie per le belle riflessioni. Sono io che sento la necessità di ringraziarti perché mi hai dischiuso altri orizzonti sulla gioia e il dolore, così interconnessi nel nostro io più profondo da riaffiorare insieme sia che si tratti del dolore sia che avvertiamo un moto di gioia. E mi fai tornare alla mente Ermengarda, ripudiata dal suo sposo e ormai morente per troppo dolore. Ebbene, quel suo dolore è intriso di ricordi bellissimi quando, giovane, bella e amata dal suo sovrano, era l’immagine della gioia e della felicità (Sparsa le trecce morbide/ Sull’affannoso petto,/ Lenta le palme, e rorida/ Di morte il bianco aspetto,/Giace la pia, col tremolo/ Sguardo cercando il ciel… Manzoni, Adelchi, IV Atto).
Ma anche il dolore che riconosce il dolore è un’altra puntualizzazione da me solo appena sfiorata ed è invece piena di ulteriori significati che riportano alla forza intrusiva e pervasiva dello sguardo/occhi dell’anima e delle sue molteplici verità. Anche qui sarebbe utile un dibattito confronto di approfondimento. Vedremo. Anche questa è una Speranza per il Nuovo Anno alle porte! Un abbraccio a tutti.
Angela cara,quanti doni stasera! Dolore e gioia: ordito e trama di quella splendida tela che è la nostra esistenza. Ma se la gioia ha occhi luminosi e voce squillante, il dolore è muto e cieco. E spesso si perde nei vicoli del cuore, senza trovare via d'uscita. A proposito del dolore, intensa la pagina di F. Pessoa nel suo "Libro dell'inquietudine" ! Un abbraccio.
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