E continuo dopo aver parlato della magia delle finestre di Primo Leone nella sua Silloge poetica postuma Lontano da ieri (2008). La finestra è un luogo di osservazione straordinario, se non il primo luogo. Basta aprire le imposte la mattina oppure spalancarla per entrare subito in contatto con il mondo esterno: il paesaggio, l’orizzonte, le case, i terrazzi o i tetti, le antenne paraboliche che feriscono il cielo. E la luce entra proprio attraverso quel rettangolo che si affaccia sul cielo: essa varia col passare delle ore durante il giorno (luminosa quando c’è il sole, più grigia e spenta fino a risolversi nel buio della sera). Anche le condizioni atmosferiche incidono sulla luminosità o meno che inonda le stanze e che, via via, forma ombre più o meno morbide o più o meno scolpite negli angoli o sotto i mobili o lungo i volti e le vesti degli abitanti. Tutta la realtà esterna modifica di ora in ora la realtà interna e diventa un film irreale perché tutto muta tra l’essere e il non essere, nell’arco della stessa giornata. Finestra con gli infiniti mondi interni ed esterni che si dischiudono per farci scoprire, nella sua intoccabile staticità apparente, l’unico mondo fino a questo momento da noi abitato. A questo proposito, ritengo illuminante quanto scrive il filosofo Raimon Panikkar (Barcellona 1918-2010) sulla molteplicità delle finestre poste una accanto all’altra “a ferrovia”, come avviene ormai in tanti “palazzi di vetro” delle nostre città: ogni osservatore dietro i vetri vede un pezzo di mondo diverso da quello dell’altro. Queste finestre stanno a significare la necessità di aprirsi al dialogo e al confronto per avere una visione d’insieme della realtà. Panikkar parla di “necessario pluralismo” per mettere insieme il mosaico della nostra visione del mondo oggettiva e della sua percezione soggettiva perché tutto corrisponda a una “quasi realtà”. Anche nelle finestre all’inglese presenti nel libro di Primo Leone abbiamo la visione distinta e molteplice della sua personale realtà, fatta di mistero più che di verità. E tutto diventa più indecifrabile se di sera, accendendo le luci, ci troviamo di fronte ai vetri che, cancellando il mondo esterno, fanno da specchio alla nostra immagine frantumata, restituendoci un “Io” di noi ribaltato e quindi doppiamente ingannevole. La nostra non è più un’immagine reale, ma sicuramente fittizia perché è come la scrittura da decifrare a rovescio. Dunque, noi siamo il nostro rovescio. La nostra destra diventa la sinistra e viceversa. il “di qua” diventa il “di là”. Lewis Carroll ha scritto, dopo Alice nel Paese delle Meraviglie, proprio la sua continuazione Attraverso lo Specchio, come metafora della crescita, del cambiamento, del divenire. È, dunque, un mondo dietro lo specchio, che però non riguarda la mia visione di cosa comporta essere dietro uno specchio. Diciamo che sto elaborando una mia teoria (spero). Prendetela per buona col “beneficio dell’inventario”. Se avrò il tempo, forse ne farò un saggio. Il mistero di ogni persona mi incuriosisce molto. E, in questo caso, il mistero si infittisce. Chi siamo davvero? Quante tessere ci vorranno per costituire il mosaico razionale della nostra personalità? Quante pennellate occorreranno per comporre l’affresco del nostro “Io” più imprendibile nella sua bellezza e armonia? E quante parole potranno mai raccontare realmente un uomo e la sua vera storia? Cercheremo insieme di tentare delle strategie minime per scoprirci nella nostra identità e conoscerci meglio per quanto possibile. Le parole del retino diventano quasi indispensabili, almeno per me che le catturo. Ma ora siamo ancora alle prese con le finestre, che sono esse stesse metafora della nostra personalità e della nostra vita. Finestra è un vocabolo così semplice eppure dal significato così complesso; così intimo da riguardare in primis la nostra casa eppure così vasto da abbracciare il mondo intero in senso sincronico e diacronico. La finestra, infatti, contiene in sé due elementi fondamentali: uno pratico e l’altro estetico, legati alla sua funzione. Pratico, perché la finestra serve a dare luce e a rinnovare l’aria all’interno della casa, ma anche a consentire la vista del mondo esterno, come già detto; estetico, perché è stata pensata per abbellire la facciata dei palazzi, delle chiese, delle torri (si pensi alle bifore e trifore medievali e rinascimentali o a quelle “a cielo aperto” o “a vento”, con valore simbolico di “porte celesti” dell’area lodigiana, come la chiesa di San Francesco a Lodi. Mi danno appunto l’idea del volo. Altra magia). E che dire dei lucernari che si spalancano con tanta voglia di cielo? Per circa vent’anni ho scelto di abitare in mansarda per poter toccare il cielo con un dito. Con un lucernario in ogni stanza e con il letto sotto quell’occhio quadrato a impedirmi di dormire le poche ore vinte dal sonno. Ma lì a portata di mano avevo le stelle o la luna o le albe dorate che mi incantavano e rimanevo con gli occhi spalancati a catturare i miei sogni. E non venivo mai delusa. Chiacchieravo con la luna e le stelle e non avvertivo stanchezza tra un rigo di poesia e una pagina di romanzo. Una notte è venuta a visitarmi una stella cadente, lasciandomi colma di meraviglia e con il retino a portata di pensieri per catturare un sogno da realizzare. Un giorno, appena la pioggia smise di danzare sui vetri spioventi, il cielo si accese sulla mia testa di tutti i colori dell’arcobaleno, rischiando di scivolare sul mio letto. E la rugiada di primo mattino, e la rara neve e le innumerevoli nuvole a darci la sfida del gioco creativo tra me e il mio compagno di vita: ci incantavano la forma, il colore, la loro trasformazione e il loro dissolversi e rinascere… Ora non più. Si è perso l’incanto. Ora ho imparato a portarmi tutti i cieli nel cuore perché ho bisogno ancora di sognare. Duplice è la mia dimensione di anziana/bambina. E non smetterò di stupirmi neppure quando sarà l’ora di andare. Duplice è anche la dimensione della finestra? Certo. Abbiamo un’altezza e una larghezza, definite perlopiù da un rettangolo con la base quasi sempre formata da angoli retti. Ma anche da volte rettangolari o spesso curve ad arco: le prime rispondono a quel criterio di praticità di cui ho parlato, le seconde a criteri di opportunità e di estetica. Ciò sta a significare il nostro bisogno di linee chiare che ci diano un ordine preciso dapprima esteriore e poi interiore, per non disperderci. E noi abbiamo bisogno di ritrovarci dopo ogni nostra dispersione, sia pure sempre in forma imperfetta e mai del tutto vera, mai del tutto falsa. Ma la finestra ha anche una terza dimensione, che viene data dalla sua profondità, costituita dal “vuoto” che si viene a formare e che può essere in qualche modo attraversato, costituendo un dentro/fuori, interno/esterno. Limite e confine tra la nostra pelle e tutto ciò che la circonda e che è altro dal nostro corpo. La finestra è, perciò, anche possibilità di fuga, ma solo psicologica. Proprio come sta accadendo in questo periodo di chiusura agli altri per evitare contagi. E noi sostiamo a lungo dietro i vetri che sono i soli, spesso, a conoscere i nostri pensieri in fuga, i nostri segreti, i nostri sogni che affidiamo, fiduciosi o scettici, a quella fuga, mistificata dai rossi gerani che fioriscono anche d’inverno sui davanzali delle nostre finestre, strappando un sorriso di labbra rosse, eterna primavera della vita.
E anche per oggi chiudo qui. A domani. Spero
di farvi ancora buona compagnia. Con leggerezza e serenità. Con un pizzico di
poesia. Sempre. Ciao. Angela
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