domenica 13 dicembre 2020

La magia delle FINESTRE: domenica 13 dicembre 2020

 Come già detto, prima di analizzare la parola COSCIENZA, mi sembra giusto puntualizzare quali, per me, siano i presupposti da tener presenti per mettere a fuoco ogni parola pescata dal retino. Occorre, a mio parere, fare almeno tre operazioni importanti, ma sempre con sorridente leggerezza, come se le parole siano piume da “maneggiare con cura”. E con grande rispetto per l’atto linguistico che andiamo ad operare ogni volta che prendiamo in esame una parola che ha un nome. Per esempio, “coscienza”. Ogni volta il nostro interesse si trasforma in AZIONE di RICERCA per saperne di più.  
-          Partire dalla NOMINAZIONE: secondo la Genesi 1 e 2, Dio delegò Adamo a dare il nome ad ogni cosa, agli animali della terra, ai pesci del mare e agli uccelli del cielo. Il nominare è un atto di una potenza unica. Significa dare identità e valore ad una persona o ad un oggetto… significa ti conosco e riconosco. Mi sei caro e mi prenderò cura di te. Fondamentale per ciascuno di noi è il RICONOSCIMENTO. Ciascuno di noi ama essere riconosciuto nella sua identità e dignità di PERSONA. E, a ben guardare, anche le parole. Perché hanno un’anima ed esigono rispetto, comprensione, amore, cura. Attenzione alla loro pienezza e veridicità. Alla loro polisemia e visionarietà.
La prima nominazione del mondo costituì la perfetta aderenza della parola all’oggetto. Questa aderenza però si è andata sempre più perdendo con il processo di concettualizzazione e di teorizzazione fino ad essere completamente ribaltata, soprattutto verso la fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento. Si pensi alle Avanguardie di inizio secolo e alle Neo-avanguardie di fine secolo. Agli Sperimentalismi vari che hanno sempre più privilegiato il significante al posto del significato, svuotando la parola del suo contenuto.
Ma, tornando alla “nominazione”, al di là del riferimento biblico, a me piace dare un significato psicologico ed empatico a questo termine. Chiamare per nome è, infatti, un atto di particolare attenzione verso la persona a cui ci si rivolge, che immediatamente avverte un legame, un sentimento di gratitudine e di affetto. “Io sono visibile” all’altro, ci vien fatto subito di pensare e sentiamo accrescere in noi una sorta di benevolenza, di appartenenza, di autostima. Sono considerato. Non passo inosservato. C’è chi si ricorda il mio nome, che è la mia prima identità.
Lo si fa anche a scuola, con i bambini ed è bellissimo.
Segue la DERIVAZIONE che ho commutato in RICERCA-AZIONE (in senso etimologico, filologico, semantico,) delle parole. Certo, il termine riguarda la scuola di oggi e soprattutto in riferimento alla pedagogia o alla psicologia, ma a me piace riferirlo alla espansione attiva della ricerca sulle origini, sulla storia, sul significato delle parole. Superando i termini di etimologia, filologia, semantica (ma possiamo includere anche l’ermeneutica, e ignorando quasi del tutto la grammatica e la sintassi, come conoscenze già acquisite), possiamo “fare una indagine”, più o meno approfondita, sulle radici delle parole, usando la metafora dell’albero, per giungere a scoprire il loro tronco che definisce il percorso o la storia delle parole stesse; percorso che si dirama e mette nuove foglie e dà nuovi frutti per affacciarsi al futuro in modo completamente nuovo. Perché la parola è un organismo vivente che fa parte di un lessico (nel suo contesto più ampio) e dell’idioletto (nel nostro contesto familiare, in cui ci ritroviamo per certi modi di esprimerci che sono tutti nostri, appartengono alla nostra famiglia). Essa via via si trasforma e muta nell’arco dei decenni e dei secoli, cambiando volto e senso e significato e coscienza e anima. Nel corso del tempo, infatti, le parole si trasformano, cambiano essenza e funzione, scaturiscono dall’uso e si legano alla cultura del momento, lasciano una traccia e poi si perdono oppure rinascono sotto mentite spoglie: noi non parliamo o scriviamo più come i nostri antenati di cento anni fa, pur conservandone traccia. E qui molto importante diventa risalire alla TRADIZIONE che avviene spesso attraverso la NARRAZIONE. Oltre la stessa “indagine a tavolino”, che di solito naviga tra vocabolari, enciclopedie e, oggi, soprattutto attraverso Internet.
-          La SIGNIFICAZIONE: che è molto di più del significato e del senso messi insieme perché, pur comprendendoli entrambi, si arricchisce del retroterra culturale di chi mette la parola sotto la lente d’ingrandimento, della sua sensibilità letteraria e poetica, del suo ritmo interiore, dei colori della sua fantasia, della danza della sua anima. Della sua capacità visionaria, che può dare a quella parola, apparentemente semplice e concreta, insospettate coloriture fino a farle spiccare insoliti voli: e quella parola può diventare aquilone, palloncino colorato, magica luna, gomitolo di sole o cestino di stelle per ritornare ad essere sé stessa nelle sue radici, nelle sue foglie e nei nuovi germogli. Solo dopo possiamo scoprire la parola nella sua “pienezza” e “bellezza”, nella sua pertinenza e nella sua adeguatezza al testo e al contesto in cui è contenuta. E affermare e confermare, come ci suggerisce Peppe Sblano, “la coscienza” della “parola che ri-crea la coscienza della parola. (…) La coscienza avvolge la parola”, restituendo “la coscienza della parola alla parola. Così la parola ri-creata con la sua coscienza ci riporta alla luce che crea con la parola anche la coscienza della parola. Il Logos illumina tutte le coscienze dalla cellula più piccola del nostro corpo, con la sua particolare coscienza, alla più semplice parola (…). Siamo tutti presenti alla coscienza del Logos che illumina. Ognuno di noi percepisce questa coscienza come luce intensa dorata che illumina, guarisce, o ri-crea, o ri-vive collegandoci al primo istante in cui fu creata la vita. Ogni parola ha la sua coscienza e la poesia la trasmette creando la relazione universale che ri-parte dal poeta ricollegandoci tutti e con tutto il creato”.
Ancora Grazie infinite, carissimo Peppe, per questa sottile e profonda disquisizione altamente filosofica, che va ben oltre le mie stesse parole. E solo ora possiamo finalmente analizzare la parola COSCIENZA alla luce di quanto detto sin qui e sugli altri due versanti, più solidi e concreti: filosofico e psicologico. Il primo riguarda la facoltà, come ci ricorda il vocabolario, di sapere dell’esistenza propria e degli altri, del mondo che ci circonda e delle cose e, dunque, di avvertire, comprendere, valutare i fatti che si verificano nella sfera individuale o si possono prospettare in un futuro più o meno vicino. (Sarebbe opportuno affidarci anche ad una sorta di “predittività” che si ha dalla fusione di “scienza e conoscenza” per avere un margine di credibilità sulle nostre previsioni circa gli scenari culturali, sociali, economici del futuro prossimo o remoto). Ma anche la valutazione morale del proprio agire fa parte della indagine filosofica intorno alla parola di cui ci stiamo occupando e innamorando. La coscienza inoltre è perlopiù individuale. La coscienza collettiva avviene per imitazione e non è mai autentica. Oriana Fallaci definisce “gregge di lana” chi segue la massa senza una vera coscienza di sé. Il secondo versante è quello psicologico, che ci porta a scoprire il termine “CONSAPEVOLEZZA”, ritenuto da alcuni sinonimo del primo. In realtà, le due parole hanno significati molto diversi perché attengono a due diverse discipline: la filosofia e la psicologia. La “consapevolezza” significa essere presente alla propria coscienza e di saperlo perfettamente e poterlo affermare con “Io sono”. (Ma questo ci porta anche a dilatare il discorso alle neuroscienze e allo “stato cosciente”, cioè vigile, contrapposto allo “stato comatoso”. Essere cosciente, del resto, non sempre implica la consapevolezza di esserlo. Solo quando si ha consapevolezza di essere cosciente, si può affermare realmente la propria esistenza, identità e libertà. La propria pienezza di essere che, dal proprio io e dal proprio sé, si riverbera in tutto quello che pensiamo e facciamo, nei comportamenti e negli atteggiamenti che assumiamo verso il mondo, la natura, gli altri. Persino nei riguardi della parola che, se usata con vera consapevolezza, ci soddisfa, ci premia, ci esalta. Psicologicamente ci avvicina agli altri, creando un ulteriore legame empatico con i nostri interlocutori. Una fitta rete di solidarietà, in cui l’“io” scompare per fare spazio al “tu” fino a realizzare il “noi” che prelude alla reciprocità e al ben-essere di tutti e di ciascuno. E qui mi accorgo che da una sola parola sgorgano come da polla sorgiva inesauribile tanti zampilli di nuove parole che sembrano slegate tra loro (infatti ognuna ha vita propria) e invece, a ben guardare, hanno tutte un fil-rouge che le lega, diventando un Tutto, come avviene tra gli uomini e tutti gli esseri viventi e l’intero Creato.
E per oggi va bene così, anche se piove e questa domenica si presenta priva di luce nonostante si festeggi Santa Lucia. Accendiamola dentro la nostra luce. E mi viene in mente che per martedì, 15 dicembre, potremmo parlare di PIOGGIA e di LUCE, due parole a me molto care. La “pioggia” mi è stata richiesta dalla carissima Francesca Pice con un post molto poetico. Mentre la “luce”, pur sembrando lontana anni-luce dalla pioggia, ha tanti punti in comune che scopriremo insieme, mentre le finestre stanno a… guardare! Ciao. A martedì. Angela

1 commento:

  1. Carissima Angela,
    grazie per tutta la saggezza che hai profuso e che continui a immettere nella “Magia delle Finestre”. È proprio vero, il tuo atteggiamento di fondo in questa delicata operazione del “Retino delle parole” continua a rivelarsi “esploratore”, proprio come suggeriva il grande T.S. Eliot: “Gli uomini (le donne incluse! – nota mia!) di età hanno da essere esploratori” (Old men ought to be explorers). È quella che tu chiami “azione di ricerca” e che tu consegni ai giovani, a quanti ti ascoltano e ti leggono. Non è però un semplice “passaggio di consegne”, non un “pacchetto di belle conoscenze” o di “belle parole” da affidare alle nuove generazioni, ma è ciò che io sento come “fuoco interiore della ricerca” fatta assieme a chi si mette in cammino con te e che sa apprezzare questo nostro “essere l’uno con l’altro”. L’io non scompare, ma – come osserva Carlo Ossola – l’io si fa “plurale” con le parole-tenda. E qui si riferisce al nostro grande comune amico e mago della Parola, il poeta Paul Celan, di cui ricorre quest’ammo il centenario della nascita. Nella poesia “Anabasis” egli evoca così questo passaggio dall’io al Noi:
    Visibile, udibile
    liberante
    Parola-tenda:
    insieme
    “Dal momento in cui cominciamo a munirci di ‘parole-tenda’ – commenta Carlo Ossola - immediatamente la realtà disegna in noi un ‘io plurale’, dove l’ego deve far tenda con altri, dove l’io diviene altrui”.
    I tuoi stimoli, le tue motivazioni a confrontarsi con le parole e con il Logos che le anima vanno in questa direzione.
    Grazie. Vito Di Chio

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