Oggi prendo spunto da un bellissimo commento di Maria Pia Latorre dopo il nostro terzo incontro di martedì 1° dicembre: “Che meraviglia! Al di là di Borges e Pessoa, perché c’è leggerezza di una farfalla!”. Grazie infinite, carissima Maria Pia, perché mi offri la possibilità di puntualizzare, a modo mio, sempre con calviniana leggerezza, il senso/significato dello “specchio” per Borges e della “finestra” per Pessoa. In verità, io preferisco la teoria del prisma che supera e vince quella degli specchi, perché lo specchio diventa la ripetizione e quindi l’imitazione all’infinito di un modello letterario, sia prosa o poesia, e di tanto altro ancora (anche della stessa capacità di procreazione tra gli uomini e della stessa personalità umana, come già detto), il prisma invece offre innumerevoli sfaccettature sia della personalità di ciascun essere umano sia delle metafore e del ritmo che generano poesia (J.L. Borges, Il prisma e lo specchio, Adelphi edizioni 2009). Ma qui ci vorrebbe un Convegno per un confronto e un contraddittorio in grado di illuminarci meglio sulla opportunità delle scelte psicologiche, letterarie, valoriali. Per quanto riguarda il grande poeta portoghese Fernando Pessoa, tutti sappiamo benissimo quanta vita abbia trascorso dietro una finestra (quantomeno il contabile Soares, uno dei suoi tanti eteronomi, nel Libro dell’inquietudine) vedendo il mondo muoversi nel tempo alla vana ricerca della sua anima. Anche i suoi tanti eteronomi (Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Alvaro de Campos, i più noti) utilizzano la finestra per raccontare e raccontarsi, per nascondere e nascondersi, per rivelare e rivelarsi, per spersonalizzarsi e riappropriarsi di una personalità fittizia e mai vera, eppure quanto vera dietro ogni finzione/maschera per avere la libertà di essere e di denunciare. E in ciascuno Pessoa riversa un tratto della propria personalità. Nel primo egli afferma: “tutta la mia forza di spersonalizzazione drammatica”; nel secondo: “tutta la mia disciplina mentale”; nel terzo: “tutta l’emozione che non ho dato né a me né alla mia vita”. E il suo ortonimo, ossia Pessoa stesso, alla fine dice di sé: “Mi sono moltiplicato per sentire, per sentirmi, ho dovuto sentire tutto, sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi, e in ogni angolo della mia anima c’è un altare a un Dio differente” (Cfr. lenottinbianco.altervista.org)
Ritornando al libro di Primo Leone, ritengo che anche per lui le finestre abbiano significato più o meno la stessa cosa, sono state la parcellizzazione della sua personalità. I suoi eteronimi. Senza riuscire mai a dare a sé stesso e agli altri la vera immagine di sé. Come, del resto, avviene per ciascuno di noi. Non ha scritto Pirandello Uno, nessuno e centomila? Niente di più vero. Oltre la maschera c’è un volto? E quante maschere scambiamo per volti e viceversa? il pessimismo diventa inevitabile? Personalmente ho ancora fiducia nell’uomo. Nella parte bella della sua anima. Nella creatività rivolta a creare Bellezza e Armonia. Saranno queste a salvarci. Ancora una volta. Ne sono certa. Altrimenti il mondo si sarebbe estinto nel suo nascere. Già da Caino (il male, colpevole di un feroce delitto) contro Abele (l’innocenza inerme). In ogni essere umano confliggono continuamente il male e il bene, da sempre e forse per sempre. Fino a quando questa umanità ancora bambina non crescerà in sapienza e bontà. Io ci credo ancora. C’è una continua rigenerazione nei multiversi che ci contengono. Perché noi non dovremmo rigenerarci continuamente fino a trovare il punto d’incontro di ogni possibile verità? Noi potremmo cercarla insieme fino a che avremo il piacere di stare insieme in assoluta libertà. E fino a quando nel mio retino verrebbero a confluire le tante parole dei nostri libri e anche le parole dei vostri commenti che potrebbero offrirci motivo di nuove riflessioni, nuovi approfondimenti. Io ne terrò conto, per un ulteriore confronto e possibilità di crescita culturale e spirituale insieme. E, per concludere, vorrei ripartire dal “cuore di carta” che occupa la prima finestra di Primo Leone. Tutto parte dal cuore, ma Primo non scrive “cuore di carta”, ma “di carta il cuore”. Non trovate anche voi la prima definizione banale e la seconda poetica? Importante in poesia è sicuramente la scelta delle parole, ma anche la loro posizione: che è ritmo interiore e canto della propria anima. Ed ecco: fiorire POESIA!
A domani per il nostro incontro alle ore 19. E a sabato per queste note effusive sul mio blog “la poetologa”. A presto. Ciao.
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