venerdì 4 maggio 2018

“Il vento il fuoco e le azzurre acque" - parte terza


Amo i camini accesi

Amo i camini accesi
Minuscoli fuochi d’artificio
le scintille che esplodono
e si fanno voli beneaugurali
di coccinelle dalle sette punte
di rossa allegria tra i pensieri
Rumore di porte controvento
l’inverno cattivo urla di gelo
Con passi felpati la neve
fa bianca la sera
e racconta storie di uomini
senza tetto e senza vesti
senza il tepore di una mano
di uno sguardo di un sorriso
Il televisore acceso mi parla
d’altro fuoco minaccia dal cielo
a bruciare il sorriso dei bambini
non a riscaldare culle e piedini
Mi attanaglia il cuore questo tempo
di madri infelici senza mai befana
neppure un solo carbone
per i bimbi buoni da cullare
Vuota la comoda poltrona
il camino spento non ha più
la luce dei miei occhi
(spento anche lo stupore)

Allora il braciere

Segnava l’inizio dell’inverno
il braciere acceso con i panni
da asciugare
E noi dietro i vetri
a recitare preghiere a dirci
storie di morti per le vie
S’alzava il vento e portava fantasmi
di santi in processione e
nella notte sognavamo campane
Sui carboni ardenti delle lunghe sere
castagne olive e taralli di pane
profumavano di buono
la cena condita di parole
Era semplice la vita allora
sapeva di ore insieme nella casa
di mistero lungo le strade deserte
e intirizzite per non perdere
l’abitudine al sogno e alla fantasia
(lontano nel tempo il mondo senza poesia)

È un sorriso acceso

È un sorriso acceso più di mille soli
più di mille fuochi più di mille stelle
il nostro incontrarci in questo ottobre
che s’infiamma di rossi tramonti
e lascia una scia di lungo incanto
nell’abbraccio che sa di noi
di noi soltanto
tra bicchieri di vino novello
per brindare a questo giorno
così chiaro e nuovo e bello
che s’adagia tra le cose da dire
E piano ci raggiunge la sera
avvolta tra i rami pigolanti
di questi alberi in festa
(le nostre risate a cancellare
     la lunga attesa)

Dicembre e i falò

S’accendono per le strade
i falò di santa Lucia
in gara con i lampioni
e le lontane stelle
Scintille s’innalzano al cielo
e fiamme simili a pennelli
di rosso le facciate delle case
dipingono
L’aria rosseggia sui volti
di stupore di adulti e bambini
Nuvole sono gli occhi di fumo
e di sogni accesi tra le ciglia
Calore di fascine che cantano
Corpi vicini si scaldano
Vinto è il freddo inverno
Tornano i morti a sedere con i vivi
e a raccontare dei falò antichi
che porte spalancavano ai santi
del paradiso per far torto all’inferno
(sorride la strada lastricata
     di buone intenzioni
il fuoco piano piano si spegne)

erano i papaveri la nostra allegria

accendono i prati con bocche di baci
i papaveri svettanti nei mattini
di verde allegria
Sciamavamo a raccoglierli
per farne dono all’amore sognato
e non ancora vissuto
Io gonna a campana vitino di vespa
e un sorriso ch’era incendio di cieli
Tu dimentico di rose e di spine
ardenti sogni bruciavi
in vene ribollenti
e finti bicchieri di vino
a riscaldare il giorno perfetto
Rane e rospi urlavano folli canti d’amore
Era il tre maggio assolato e innocente
quando tra dita di litanie e rosari
una sigaretta scintillava
nei distorti pensieri d’intense sere
e canti altalenanti di preghiere
Brulichio di sogni
l firmamento da accendere piano…
Per non farli volare via
ne mettevamo una manciata
             sotto il cuscino
(attesa frenetica d’ogni domani
   la luna tra i palmi delle mani)

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