L’urlo del nostro canto
Ci divise
l’urlo
furia che
devasta e uccide
L’urlo
estraneo al nostro cielo
di poesia
S’interruppe
un andare insieme
sodali di
sogni di carta e di segni
il giorno
che indifeso offeso
divenne
sordo ottuso blasfemo
Vomitato
rancore di quasi estate
per anni
celato agli occhi e alla mente
mistificato
d’apparente armonia
Esplose
fungo di morte
sul finire
delle nostre stanche primavere
e si era
appena a giugno
Perso l’oro
della verità abbacinata
di menzogne
come foglie
d’estivo uragano
ci
disperdemmo al vento di sconfitta
(sconfitti
noi sconfitta la poesia)
Non è dato
agli umani un incontro
lungo
annodato di
tempo e sintonie
Pugno
pulsante involontario il cuore
l’altro
accoglie e respinge
e senza
ragione lo domina con le sue ragioni
Nelle
maglie delle onde d’urto
muore nei
giorni urlati il sentimento
d’amicizia
che credevo sincero
preso ora
al laccio di un risentimento
ostile e
senza senso che strangola parole
(di
conchiglie di perle e d’albe chiare
vorrei
sentire ancora il canto del mare)
Mare 2015
il mare è
sentiero meridiano
che brulica
di stelle
e si
racchiude a conchiglia con la valva del cielo
sul tufo
bianco di basse case del Salento
tra erba
asfalto e incubo di cemento.
S’inginocchia
il mare
alla fedeltà
di torri sentinelle a coste aspre
un tempo
violate da turchi e saraceni.
In questa
rosa d’azzurro
di onde
increspate
ho
inabissato il cuore ferito
dall’assalto
feroce d’improvvisi corsari
amici di
lungo corso e d’antiche intese.
Ho un cuore
svuotato
colmo
d’inasprito stupore
e mille
domande di frantumata rabbia
roccia
devastata da tempeste d’acque
spaventate
di vento e urlo di saette
a
sbriciolarsi in millenaria sabbia.
Rumore di
risacca annulla orme
di tempo
condiviso
ignaro di
violenza che ha suono di follia.
(ora mi
culla una nenia di barche solitarie
uncinate
all’unica stella cadente
che ha
ancora respiro di cielo)
Puglia
Alla mia terra antica mi somiglio.
Ha sete di rugiada tra l’erba verde
e tanto mare a circondarle i fianchi.
Ulivi con tronchi millenari
che del tempo vissuto
urlano il dolore
e chiome sempreverdi
stillanti sorrisi di luce
in gara con il sole e le cicale.
Ha l’allegria dorata del grano maturo
monili d’oro alle braccia alle dita
delle stoppie bruciate la tristezza e
l’ardore.
Ha case bianche a cono e vesti di fata.
Tramonti di fuoco e albe assonnate
con fili di perle al collo d’alabastro.
Un capriccio di vento danza tra gli alberi
e il suo ciurlìo canta da onda a onda
vestite d’azzurro vele contromano
in un presagio di tempeste
che mai saranno al verde canto delle colline.
Percorre tutte le età la mia terra
sintesi d’ogni stagione
dove d’annidano sogno mistero incanto,
dove tutto cambia tra rughe d’aratri
e ciliegi e melograni in fiore
(dove l’azzurro rimane sempre uguale)
Il canto del mare
Era un canto di barche e di marinai
quell’anno che con chitarre
solcammo il mare per scoprire la libertà
oltre la riva.
C’erano i miei diciotto anni
e i tuoi baci,
un brulichio di stelle in gara
con i sogni e le azzurre acque
ad inventare l’amore
(avresti voluto offrirmene
il brevetto…)
Voglio
tornare al mare
Richiamo d’azzurro in questa tregua
di giorni di pioggia e di vento
presenti alla collina.
M’invita il mare ad ogni squarcio
di nubi radenti e una briciola di sole.
Portami dove la sabbia è d’oro fino
dove mi viene incontro
il tuo cuore bambino
che sogna sulla battigia l’antico
castello della festa
e un volo d’aquiloni a ridere di cielo.
Tra il frinire di cicale e siepi di ligustro
ai miei fragili sogni offri riparo
e una vela bianca a portarmi
dove finisce il giorno.
Quando andrai al mare
non
dimenticare i miei occhi
a riempire
panieri di onde
fiorite di
lapislazzuli e stelle marine
per
gl’inverni che verranno.
L’abbraccio
di sale sulla pelle di sole.
Il tempo
che rimane
e quello
che sogni di conchiglie
ed echi di
mare ha trascinato
con la sua
rete di frodo.
La nenia
delle barche il rombo dei motori.
Le mani a
nido sul volto levigato
e gambe a falce tra spruzzi di panna
a navigare allegria.
Oggi abisso
di rimpianto è il mare
di piedi
nudi disuguali e una scia
d’azzurro
senza più la libertà di osare
eppure gli occhi
sono ancora
approdi d’oceani
alla sconfitta dei giorni
su passi
dimentichi della riva
(faro e
conchiglia per rinascere schiuma)
Nutrimi di mare
Portami nel
secchiello ancora il mare
perché possa
sentirne la carezza l’odore
Raccogli per
me bianche conchiglie
addormentate
nella sabbia dorata
sognanti
fanciulle in attesa di un castello
e del
principe azzurro e il primo bacio
Nutrimi di
mare
Dissetami di
onde e di alte maree
(da qualche
parte ha pensieri di perle
e
conchiglie canto notturno la luna)
Se oggi sogno
un porto sicuro
non dirmi
che sono stanca di navigare
Nel guscio
di noce che mi finsi barchetta
bianca vela
di carta leggera incollai
per non
andare lontano in cerca
di facili
approdi al riparo di un faro
Persa nei
miei sogni di bambina
che attraversava
tutti gli oceani
ad un passo
dalla riva
C’è stato
un tempo che il mare
era suono
di chitarre nenie di sirene
e verdi vele a osare il cielo di lacca
o delle
rinate stelle ad ogni buio
cielo incantato
dalla mia risata
tintinnio
di mille forzieri e un solo soldino
per tentare
a testa o croce la sorte
tra fondali
di corallo e una sfida di baci
E la riva
guardata da lontano
e il puntino
nero l’ansia di mia madre
all’orizzonte
rovesciato di ombrelloni
a spicchi di
sole su giochi bambini
con fiabe
colorate da ascoltare
Oggi più
non m’appartiene il mare
ma sussulto
d’acque e d’antichi richiami
è il nastro
azzurro oltre i campi e le case
che i miei
occhi a festa cinge con sventolio
di mani nei
giorni vestiti di silenzio
sulla
terrazza assolata della mia casa
(sì è
ancora lì a sorridermi il mare…)
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