domenica 20 maggio 2018

“Il vento il fuoco e le azzurre acque” - parte quinta


L’urlo del nostro canto

Ci divise l’urlo
furia che devasta e uccide
L’urlo estraneo al nostro cielo
di poesia
S’interruppe un andare insieme
sodali di sogni di carta e di segni
il giorno che indifeso offeso
divenne sordo ottuso blasfemo
Vomitato rancore di quasi estate
per anni celato agli occhi e alla mente
mistificato d’apparente armonia
Esplose fungo di morte
sul finire delle nostre stanche primavere
e si era appena a giugno
Perso l’oro della verità abbacinata
di menzogne
come foglie d’estivo uragano
ci disperdemmo al vento di sconfitta
(sconfitti noi sconfitta la poesia)
Non è dato agli umani un incontro
lungo
annodato di tempo e sintonie
Pugno pulsante involontario il cuore
l’altro accoglie e respinge
e senza ragione lo domina con le sue ragioni
Nelle maglie delle onde d’urto
muore nei giorni urlati il sentimento
d’amicizia che credevo sincero
preso ora al laccio di un risentimento
ostile e senza senso che strangola parole

(di conchiglie di perle e d’albe chiare
vorrei sentire ancora il canto del mare)



Mare 2015

il mare è sentiero meridiano
che brulica di stelle
e si racchiude a conchiglia con la valva del cielo
sul tufo bianco di basse case del Salento
tra erba asfalto e incubo di cemento.
S’inginocchia il mare
alla fedeltà di torri sentinelle a coste aspre
un tempo violate da turchi e saraceni.
In questa rosa d’azzurro
di onde increspate
ho inabissato il cuore ferito
dall’assalto feroce d’improvvisi corsari
amici di lungo corso e d’antiche intese.
Ho un cuore svuotato
colmo d’inasprito stupore
e mille domande di frantumata rabbia
roccia devastata da tempeste d’acque
spaventate di vento e urlo di saette
a sbriciolarsi in millenaria sabbia.
Rumore di risacca annulla orme
di tempo condiviso
ignaro di violenza che ha suono di follia.

(ora mi culla una nenia di barche solitarie
uncinate all’unica stella cadente
che ha ancora respiro di cielo)

Puglia

Alla mia terra antica mi somiglio.
Ha sete di rugiada tra l’erba verde
e tanto mare a circondarle i fianchi.
Ulivi con tronchi millenari
che del tempo vissuto
urlano il dolore
e chiome sempreverdi
stillanti sorrisi di luce
in gara con il sole e le cicale.
Ha l’allegria dorata del grano maturo
monili d’oro alle braccia alle dita
delle stoppie bruciate la tristezza e l’ardore.
Ha case bianche a cono e vesti di fata.
Tramonti di fuoco e albe assonnate
con fili di perle al collo d’alabastro.
Un capriccio di vento danza tra gli alberi
e il suo ciurlìo canta da onda a onda
vestite d’azzurro vele contromano
in un presagio di tempeste
che mai saranno al verde canto delle colline.
Percorre tutte le età la mia terra
sintesi d’ogni stagione
dove d’annidano sogno mistero incanto,
dove tutto cambia tra rughe d’aratri
e ciliegi e melograni in fiore
(dove l’azzurro rimane sempre uguale)

Il canto del mare

Era un canto di barche e di marinai
quell’anno che con chitarre
solcammo il mare per scoprire la libertà
oltre la riva.
C’erano i miei diciotto anni
e i tuoi baci,
un brulichio di stelle in gara
con i sogni e le azzurre acque
ad inventare l’amore
(avresti voluto offrirmene
            il brevetto…)
Voglio tornare al mare

Richiamo d’azzurro in questa tregua
di giorni di pioggia e di vento
presenti alla collina.
M’invita il mare ad ogni squarcio
di nubi radenti e una briciola di sole.
Portami dove la sabbia è d’oro fino
dove mi viene incontro
il tuo cuore bambino
che sogna sulla battigia l’antico
castello della festa
e un volo d’aquiloni a ridere di cielo.
Tra il frinire di cicale e siepi di ligustro
ai miei fragili sogni offri riparo
e una vela bianca a portarmi
                       dove finisce il giorno.

Quando andrai al mare

non dimenticare i miei occhi
a riempire panieri di onde
fiorite di lapislazzuli e stelle marine
per gl’inverni che verranno.
L’abbraccio di sale sulla pelle di sole.
Il tempo che rimane
e quello che sogni di conchiglie
ed echi di mare ha trascinato
con la sua rete di frodo.
La nenia delle barche il rombo dei motori.
Le mani a nido sul volto levigato
 e gambe a falce tra spruzzi di panna
a navigare allegria.
Oggi abisso di rimpianto è il mare
di piedi nudi disuguali e una scia
d’azzurro senza più la libertà di osare
eppure gli occhi sono ancora
approdi d’oceani alla sconfitta dei giorni
su passi dimentichi della riva
(faro e conchiglia per rinascere schiuma)


Nutrimi di mare

Portami nel secchiello ancora il mare
perché possa sentirne la carezza l’odore
Raccogli per me bianche conchiglie
addormentate nella sabbia dorata
sognanti fanciulle in attesa di un castello
e del principe azzurro e il primo bacio
Nutrimi di mare
Dissetami di onde e di alte maree
(da qualche parte ha pensieri di perle
e conchiglie canto notturno la luna)
Se oggi sogno un porto sicuro
non dirmi che sono stanca di navigare
Nel guscio di noce che mi finsi barchetta
bianca vela di carta leggera incollai
per non andare lontano in cerca
di facili approdi al riparo di un faro
Persa nei miei sogni di bambina
che attraversava tutti gli oceani
ad un passo dalla riva
C’è stato un tempo che il mare
era suono di chitarre nenie di sirene
 e verdi vele a osare il cielo di lacca
o delle rinate stelle ad ogni buio
cielo incantato dalla mia risata
tintinnio di mille forzieri e un solo soldino
per tentare a testa o croce la sorte
tra fondali di corallo e una sfida di baci
E la riva guardata da lontano
e il puntino nero l’ansia di mia madre
all’orizzonte rovesciato di ombrelloni
a spicchi di sole su giochi bambini
con fiabe colorate da ascoltare
Oggi più non m’appartiene il mare
ma sussulto d’acque e d’antichi richiami
è il nastro azzurro oltre i campi e le case
che i miei occhi a festa cinge con sventolio
di mani nei giorni vestiti di silenzio
sulla terrazza assolata della mia casa
(sì è ancora lì a sorridermi il mare…)

Nessun commento:

Posta un commento