mercoledì 23 maggio 2018

Divagazioni tra ragionevoli pensieri

Divagazione n. 1

Vorrei parlare di “ragione”, “razionalità”, “ragionevolezza”. Ritengo che si possa ragionevolmente fare un’analisi dei tre termini per comprendere meglio, forse, torti e ragioni o semplicemente il punto di vista.
Ebbene:
ragione = facoltà intellettiva di pensare, facoltà di giudizio, argomentazione per dimostrare…
razionalità = l’essere razionale, discorso fondato su ragionamento logico, ragione come supremo criterio di conoscenza.
Ragionevolezza = ragionevole, conveniente, giusto, equilibrato, opportuno.
A me sembra (un po’ alla Catalano di felice memoria del tempo che fu) che tra i tre termini quello che più possa rendere l’idea di un giudizio obiettivo, giusto, opportuno sia proprio quello di “ragionevolezza”.
La ragione e la razionalità rimandano a un qualcosa di categorico e di arrogante: avere ragione, essere razionale. Perché non sempre avere ragione significa essere obiettivamente nel giusto. Come essere razionale non sempre significa essere detentore di verità. Perché molte cose sfuggono alla ragione e non tutto può essere spiegato facendo ricorso alla razionalità. Quanto di illogico c’è nell’uomo? Altrimenti sarebbe catalogabile, definito in una categoria una volta per tutte. Così non è.
L’animo umano è così complesso da sfuggire ad ogni contenuto spiegabile con la sola ragione. E i sensi e le sensazioni? E le percezioni spesso anche ingannevoli? E le emozioni? E le illusioni, i sogni, i presentimenti, i “deja vu?” Come spiegarli razionalmente? Come farne oggetto di argomentazioni logiche? Quale sillogismo adottare? “Ragionevolmente”, invece, posso sperare che un fondo di verità mi accompagni in ciò che penso, che dico, che ipotizzo, che suppongo. Ragionevolmente posso mettermi al riparo da prese di posizione presuntive e presuntuose, se non pretestuose, per trovare un punto equidistante che ragionevolmente e opportunamente mi dia la misura delle cose, degli oggetti, dei pensieri.
Ed io ragionevolmente ci provo!


Divagazione n. 2
Il giorno dei miei incontri con la vita

Il giorno che mi venne incontro la fantasia, m’accorsi che un vecchio-bambino, per farmi grandi gli occhi, m’inventava parole. Poi mi portò per mano in un bosco incantato dove le streghe abitavano in castelli di zucchero filato e le fate erano serpi distese al sole. Scoprii più tardi, al tempo delle more, che mai è verità ciò che appare. La verità è solo dono d’amore.
Il giorno che incontrai l’amore, occhi già immensi attraversò un “ti amo”. Su un petalo di rosa il suo richiamo. Fu volo rosso fuoco, in un groviglio di stelle e un segreto di luna, a trafiggermi il cuore.
Il giorno che scoprii il mio cuore era un giorno qualunque di primavera. Un petalo di rosa d’improvviso giocò con la magia di due parole… Sul filo teso, corda di violino, acrobata, saltimbanco il suo sorriso. Con grovigli di risate fece capriole e non s’accorse di forare il cielo.
Il giorno che toccai il cielo con un dito, scoprii l’azzurro cristallo nel suo ordito. Sognai corde d’argento per legarlo ai miei pensieri. Una piuma d’angelo cancellò ogni mio ieri. Si fece ala immensa, m’accarezzò il viso. D’arpa e liuto risuonò il mio paradiso. M’avvolse col suo canto di rugiada. Canto di tenerezza ritrovata. E riscoprii più di mille petali di rosa, moltiplicando i “ti amo” senza posa. Ma vero dono d’amore d’ogni mio mattino è ancora e per sempre il mio vecchio-bambino.
Hanno racconto di perle le sue parole e un sorriso chiaro sui miei domani se potesse costruirli con le sue mani.


Divagazione n. 3
A primavera anche le pietre cantano

L’alba si svegliò una frazione di secondo prima, perché ci si avviava verso la primavera. Era di latte e di miele, che il sole dipinse di sole non appena fece capolino oltre la siepe. Gli uccellini, appena nati, bisbigliavano sotto i tetti, nel rifugio caldo dei loro nidi, raccontandosi i sogni della notte e l’urgenza di cibo con i becchi spalancati.
Le pietre della casa da qualche giorno stavano lì ad ascoltarli, da quando, cioè, il silenzio dell’alba era stato interrotto da quel festoso parlottio e da quel tripudio di pigolii.
Decisero allora di parlare pure loro. Si fecero coraggio. Non era facile. Non erano abituate.
Avevano sentito dire agli uomini che le pietre cantano.
Avevano sentito dire agli uomini che le pietre raccontano.
Avevano sentito dire agli uomini che le pietre conservano la memoria del tempo. Nel tempo. E alcune di loro erano millenarie.
Dapprima tirarono fuori dei suoni cupi e disarticolati, come provenienti da molto lontano e da lungo silenzio. Gli uccellini si ammutolirono spaventati e, zitti zitti, andarono a rifugiarsi sotto le morbide ali della mamma.
E, in quel nuovo silenzio, le pietre si sentirono confortate a ritentare ancora qualche suono, magari alcune note. E, così, dopo lunghi tentativi, simili ad echi di altri suoni, riuscirono a dire “buongiorno, siamo le pietre di questa casa e vogliamo con voi salutare quest’alba meravigliosa. È primavera e anche noi vogliamo rinascere a nuova vita”.
Le loro parole ebbero voce di tuono e di frana e rimbombarono come nel giorno della Creazione le parole di Dio, e gli uccellini di nuovo si spaventarono nel loro caldo rifugio e con loro si spaventò tutto il Creato. Ci fu un nuovo silenzio quasi fosse la fine del mondo. Poi, si schiarirono la voce e, con suoni più chiari e melodiosi, ripresero a parlare. E, forti della loro millenaria esperienza, raccontarono degli anni e delle stagioni, delle cose e del loro mutamento, del mare e delle sue onde.
Poi parlarono del cielo che si perdeva nell’immenso, e della bellezza inafferrabile e lontana delle stelle. Della follia della luna e della generosità del sole. Del suo donare a tutti luce e calore.
Parlarono delle nuvole dispettose e del vento frettoloso e della pioggia che cantava sui davanzali dei balconi, che dissetava i fiorellini appena sbocciati, e danzava tra gli alberi, o batteva insolente, insistente, sulle loro sorelle più povere, che lastricavano le strade e venivano sempre calpestate dall’indifferenza degli uomini. E finirono col parlare solo degli uomini, e dei loro passi a percorrere anche strade sconosciute per scoprire il mondo e andare lontano. Della loro fretta e della stressante velocità delle loro macchine infernali. E tacquero dispiaciute. Troppo vecchie per essere ascoltate”, si dissero con amarezza. “Troppo disincantate per narrare fiabe e storie di fantasia”, si consultarono mortificate.
Poi, ci ripensarono e ripresero a parlare perché sugli uomini c’era ancora tanto da dire: delle loro città e delle dimore. Dei problemi e dei sogni. Delle cadute e delle rinascite.
E si fermarono a chiedersi del loro cuore. Cuore di pietra o di rose e di spine? Cuore intriso d’amore o grondante odio e dolore? Cuore due volte cuore o cuore senza cuore? Troppo ingarbugliate le vie del cuore per capirci qualcosa.
Le pietre si persero in quel labirinto senza via d’uscita.
Gli uccellini, stanchi di ascoltare storie più grandi dei loro pigolii, si erano riaddormentati.
E le pietre smisero di raccontare. Rispettando il mistero di quell’infanzia di piume e d’innocenza.
Troppo lunga la storia degli uomini per essere capita. Troppo difficile per tutti addentrarsi in quel groviglio di pensieri, di sentimenti, di ambizioni, di potere, di violenza, di tenerezza, di passione, d’indifferenza, di vittorie, di sconfitte. Troppi egoismi per non lacerare intese. Come aiutarli a diventare migliori?
Persino le pietre si sentirono scoraggiate.
Meglio il silenzio. Gli uccellini tra poco avrebbero imparato a volare. Avevano le ali e prima o poi avrebbero spiccato il volo. Guadagnato il cielo.
Spettava a loro farsi sentinelle almeno dei loro nidi. E salvare così ogni nuova primavera.
Sospirarono e tacquero. Piegandosi all’ineluttabilità delle cose del mondo, all’insondabilità dei pensieri degli uomini, all’imponderabilità delle contraddizioni della vita.
Si stava facendo sempre più tardi e l’alba era stata vinta già dal mattino.
Altre voci avrebbero colmato il giorno...
Eppure io, da inguaribile romantica e ottimista, penso che accadrà il miracolo della salvezza di questa umanità alla deriva, qualcosa di buono rinascerà nel nostro cuore per reinventare il mondo e renderlo migliore. Accadrà, ne sono certa, che tra le pietre rifiorisca la rosa…
E, così, anche oggi, in questa primavera ballerina, che si veste di sole e poi si dispera di pioggia, sento i loro racconti... il loro canto…

Angela De Leo

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