Divagazione n. 1
Vorrei
parlare di “ragione”, “razionalità”, “ragionevolezza”. Ritengo che si possa
ragionevolmente fare un’analisi dei tre termini per comprendere meglio, forse,
torti e ragioni o semplicemente il punto di vista.
Ebbene:
ragione
= facoltà intellettiva di pensare, facoltà di giudizio, argomentazione per
dimostrare…
razionalità
= l’essere razionale, discorso fondato su ragionamento logico, ragione come
supremo criterio di conoscenza.
Ragionevolezza
= ragionevole, conveniente, giusto, equilibrato, opportuno.
A me
sembra (un po’ alla Catalano di felice memoria del tempo che fu) che tra i tre
termini quello che più possa rendere l’idea di un giudizio obiettivo, giusto,
opportuno sia proprio quello di “ragionevolezza”.
La
ragione e la razionalità rimandano a un qualcosa di categorico e di arrogante:
avere ragione, essere razionale. Perché non sempre avere ragione significa
essere obiettivamente nel giusto. Come essere razionale non sempre significa
essere detentore di verità. Perché molte cose sfuggono alla ragione e non tutto
può essere spiegato facendo ricorso alla razionalità. Quanto di illogico c’è
nell’uomo? Altrimenti sarebbe catalogabile, definito in una categoria una volta
per tutte. Così non è.
L’animo
umano è così complesso da sfuggire ad ogni contenuto spiegabile con la sola
ragione. E i sensi e le sensazioni? E le percezioni spesso anche ingannevoli? E
le emozioni? E le illusioni, i sogni, i presentimenti, i “deja vu?” Come
spiegarli razionalmente? Come farne oggetto di argomentazioni logiche? Quale
sillogismo adottare? “Ragionevolmente”, invece, posso sperare che un fondo di
verità mi accompagni in ciò che penso, che dico, che ipotizzo, che suppongo.
Ragionevolmente posso mettermi al riparo da prese di posizione presuntive e
presuntuose, se non pretestuose, per trovare un punto equidistante che
ragionevolmente e opportunamente mi dia la misura delle cose, degli oggetti,
dei pensieri.
Ed io
ragionevolmente ci provo!
Divagazione
n. 2
Il giorno dei miei incontri con la vita
Il
giorno che mi venne incontro la fantasia, m’accorsi che un vecchio-bambino, per
farmi grandi gli occhi, m’inventava parole. Poi mi portò per mano in un bosco
incantato dove le streghe abitavano in castelli di zucchero filato e le fate
erano serpi distese al sole. Scoprii più tardi, al tempo delle more, che mai è
verità ciò che appare. La verità è solo dono d’amore.
Il
giorno che incontrai l’amore, occhi già immensi attraversò un “ti amo”. Su un
petalo di rosa il suo richiamo. Fu volo rosso fuoco, in un groviglio di stelle
e un segreto di luna, a trafiggermi il cuore.
Il
giorno che scoprii il mio cuore era un giorno qualunque di primavera. Un petalo
di rosa d’improvviso giocò con la magia di due parole… Sul filo teso, corda di
violino, acrobata, saltimbanco il suo sorriso. Con grovigli di risate fece capriole
e non s’accorse di forare il cielo.
Il
giorno che toccai il cielo con un dito, scoprii l’azzurro cristallo nel suo
ordito. Sognai corde d’argento per legarlo ai miei pensieri. Una piuma d’angelo
cancellò ogni mio ieri. Si fece ala immensa, m’accarezzò il viso. D’arpa e
liuto risuonò il mio paradiso. M’avvolse col suo canto di rugiada. Canto di
tenerezza ritrovata. E riscoprii più di mille petali di rosa, moltiplicando i
“ti amo” senza posa. Ma vero dono d’amore d’ogni mio mattino è ancora e per sempre
il mio vecchio-bambino.
Hanno
racconto di perle le sue parole e un sorriso chiaro sui miei domani se potesse
costruirli con le sue mani.
Divagazione n. 3
A primavera anche le pietre cantano
L’alba si svegliò una frazione di secondo prima,
perché ci si avviava verso la primavera. Era di latte e di miele, che il sole
dipinse di sole non appena fece capolino oltre la siepe. Gli uccellini, appena
nati, bisbigliavano sotto i tetti, nel rifugio caldo dei loro nidi,
raccontandosi i sogni della notte e l’urgenza di cibo con i becchi spalancati.
Le pietre della casa da qualche giorno stavano lì ad
ascoltarli, da quando, cioè, il silenzio dell’alba era stato interrotto da quel
festoso parlottio e da quel tripudio di pigolii.
Decisero allora di parlare pure loro. Si fecero
coraggio. Non era facile. Non erano abituate.
Avevano sentito dire agli uomini che le pietre
cantano.
Avevano sentito dire agli uomini che le pietre
raccontano.
Avevano sentito dire agli uomini che le pietre
conservano la memoria del tempo. Nel tempo. E alcune di loro erano millenarie.
Dapprima tirarono fuori dei suoni cupi e
disarticolati, come provenienti da molto lontano e da lungo silenzio. Gli
uccellini si ammutolirono spaventati e, zitti zitti, andarono a rifugiarsi
sotto le morbide ali della mamma.
E, in quel nuovo silenzio, le pietre si sentirono
confortate a ritentare ancora qualche suono, magari alcune note. E, così, dopo
lunghi tentativi, simili ad echi di altri suoni, riuscirono a dire “buongiorno,
siamo le pietre di questa casa e vogliamo con voi salutare quest’alba
meravigliosa. È primavera e anche noi vogliamo rinascere a nuova vita”.
Le loro parole ebbero voce di tuono e di frana e rimbombarono
come nel giorno della Creazione le parole di Dio, e gli uccellini di nuovo si
spaventarono nel loro caldo rifugio e con loro si spaventò tutto il Creato. Ci fu
un nuovo silenzio quasi fosse la fine del mondo. Poi, si schiarirono la voce e,
con suoni più chiari e melodiosi, ripresero a parlare. E, forti della loro
millenaria esperienza, raccontarono degli anni e delle stagioni, delle cose e
del loro mutamento, del mare e delle sue onde.
Poi parlarono del cielo che si perdeva nell’immenso,
e della bellezza inafferrabile e lontana delle stelle. Della follia della luna
e della generosità del sole. Del suo donare a tutti luce e calore.
Parlarono delle nuvole dispettose e del vento
frettoloso e della pioggia che cantava sui davanzali dei balconi, che dissetava
i fiorellini appena sbocciati, e danzava tra gli alberi, o batteva insolente,
insistente, sulle loro sorelle più povere, che lastricavano le strade e
venivano sempre calpestate dall’indifferenza degli uomini. E finirono col
parlare solo degli uomini, e dei loro passi a percorrere anche strade sconosciute
per scoprire il mondo e andare lontano. Della loro fretta e della stressante
velocità delle loro macchine infernali. E tacquero dispiaciute. “Troppo vecchie per essere ascoltate”, si dissero con
amarezza. “Troppo disincantate per narrare fiabe e storie di fantasia”, si
consultarono mortificate.
Poi,
ci ripensarono e ripresero a parlare perché sugli uomini c’era ancora tanto da
dire: delle loro città e delle dimore.
Dei problemi e dei sogni. Delle cadute e delle rinascite.
E si fermarono a chiedersi del loro cuore. Cuore di
pietra o di rose e di spine? Cuore intriso d’amore o grondante odio e dolore?
Cuore due volte cuore o cuore senza cuore? Troppo ingarbugliate le vie del
cuore per capirci qualcosa.
Le pietre si persero in quel labirinto senza via
d’uscita.
Gli uccellini, stanchi di ascoltare storie più
grandi dei loro pigolii, si erano riaddormentati.
E le pietre smisero di raccontare. Rispettando il
mistero di quell’infanzia di piume e d’innocenza.
Troppo lunga la storia degli uomini per essere
capita. Troppo difficile per tutti addentrarsi in quel groviglio di pensieri,
di sentimenti, di ambizioni, di potere, di violenza, di tenerezza, di passione,
d’indifferenza, di vittorie, di sconfitte. Troppi egoismi per non lacerare
intese. Come aiutarli a diventare migliori?
Persino le pietre si sentirono scoraggiate.
Meglio il silenzio. Gli uccellini tra poco avrebbero
imparato a volare. Avevano le ali e prima o poi avrebbero spiccato il volo.
Guadagnato il cielo.
Spettava a loro farsi sentinelle almeno dei loro
nidi. E salvare così ogni nuova primavera.
Sospirarono e tacquero. Piegandosi
all’ineluttabilità delle cose del mondo, all’insondabilità dei pensieri degli
uomini, all’imponderabilità delle contraddizioni della vita.
Si stava facendo sempre più tardi e l’alba era stata
vinta già dal mattino.
Altre voci avrebbero colmato il giorno...
Eppure io, da inguaribile romantica e ottimista,
penso che accadrà il miracolo della salvezza di questa umanità alla deriva,
qualcosa di buono rinascerà nel nostro cuore per reinventare il mondo e
renderlo migliore. Accadrà, ne sono certa, che tra le pietre rifiorisca la rosa…
E, così, anche oggi, in questa primavera ballerina,
che si veste di sole e poi si dispera di pioggia, sento i loro racconti... il
loro canto…
Angela De Leo
Nessun commento:
Posta un commento