martedì 5 gennaio 2021

La magia delle FINESTRE: martedì 5 gennaio 2021

 Ancora una volta la poesia arriva dove non arriva la ragione. Angela sono stupendi i versi che qui hai riportato, e ne godo. Aggiungo per quel che mi riguarda che il tempo non è cosa che si possa definire razionalmente e chi ha inventato l'orologio lo ha fatto per illudere l'uomo di avere in mano (o al polso o nel taschino o sul comodino) qualcosa di suo, da leggere, guardare, usare o distruggere. A me succede per es. di spostare di notte le lancette in dietro e sono felice perché così penso di avere più ore da dormire prima che spunti il giorno. E davvero al mattino mi alzo più riposata pensando di aver dormito a lungo. Ma sono trucchetti, che non so se potrò sostenere quando sopraggiungerà sorella morte, ahahah!

Così Giulia Basile che, simpaticamente sorniona, mi ricorda che il tempo in fondo è una nostra invenzione, magari per darci tempo. Ne sono convinta anch’io tanto è vero che parlo di tempo vissuto e di tempo percepito, tempo inventato e tempo usato per accendere la memoria appunto e ricordare: tempo individuale e tempo universale. Il tempo vissuto non è mai uguale a quello percepito. Il primo conta le ore e i minuti sul quadrante dell’orologio e si fa misura del nostro tempo reale; il tempo percepito, invece, si accorcia o si dilata a seconda di quello che stiamo vivendo: se siamo in armonia con quello che ci circonda e ci abita dentro, il tempo vola in un attimo, lasciando spesso il rimpianto che tutto sia stato molto breve. Al contrario, il tempo non passa mai se stiamo ascoltando una lezione che non ci interessa; se il relatore in un convegno è noioso, monotono, arrogante, scontato; se il dibattito, a cui stiamo partecipando, non approda a nulla perché gli interlocutori non ascoltano debitamente gli altri e non intervengono pertinentemente ma solo per ribadire il proprio punto di vista, e così via. Il tempo inventato è proprio quella che Giulia si ricava mettendo indietro le lancette del suo orologio creandosi l’illusione benefica di aver maggior tempo per riposare. E il potere della mente è tale da darle un senso di benessere reale al suo risveglio. Poi il suo senso straordinario di autoironia prevale sull’illusione e stempera l’ultima battuta dell’ultimo inganno che vorrebbe/vorremmo perpetrare contro la francescana “sorella morte”, che non si lascerà certamente imbrogliare da noi comuni mortali, ma riuscirà in qualche modo ad imbrigliarci. E neppure il ricorso alla poesia come nostra ultima àncora di salvezza ci darà ragione. Ma, intanto, noi ci proviamo. Almeno con qualcosa che “vince di mille secoli il silenzio” (Foscolo).

E ritorno al mio articolo sul tempo, la memoria, i ricordi.

Parte II: La Memoria

La memoria è un faro che accende di luce il nostro passato: resterebbe buio e indistinto se non conservassimo a tratti squarci di visioni antiche che si nutrono di voci, immagini, suoni, odori, sapori, emozioni, parole… illuminando anche il presente: dalla invisibilità alla visibilità degli oggetti e delle decisioni riguardanti quegli “oggetti”, dalla indecidibilità alla decidibilità delle situazioni, dall’inaspettato prodigio o disastro all’attesa o alla scongiura dell’accadimento, dalla impalpabilità dei sentimenti alla palpabilità del cuore. 

Ecco perché memoria è “tutto ciò che si deve ricordare ma soprattutto quello che non si può dimenticare”, tanto è inciso nella mente e nell’anima.

Segno e senso del nostro brevissimo passaggio esistenziale su questo pianeta.

Guai se quel faro si spegnesse, saremmo tutti naufraghi alla deriva, senza più contezza di noi, del tempo, dei giorni, delle ore; del mare e del suo splendore, delle notti rischiarate dalla luna o ricamate dalle stelle; dei nostri amori e dei nostri rancori, dei sogni e dei desideri; dei passi d’erba e delle orme cancellate sulla sabbia del tempo che dimentica. Del vuoto della mente e del deserto del cuore. Niente di più disumano del perdere la memoria e con essa identità e dignità. Chi restituirà al malato di Alzheimer la memoria dei giorni vissuti, degli affetti radicati nel cuore e smarriti nelle tenebre del non ricordare? E non sapere più di essere madre/padre, figlia/figlio, moglie/marito? Non ESSERE perché essere SENZA. Disperazione, al loro fianco, di quanti sanno e ricordano. Senza attesa. Senza speranza. Senza storia. SENZA. Un senza che apre un baratro, un abisso, il nulla.

La memoria, invece, è una pagina piena di ricordi che la mente traduce in parole per definire una storia al passato. È pienezza, non mancanza. È, paradossalmente, presenza, non assenza.

La memoria di cui parlo, infatti, non si veste del fragile tessuto della nostalgia o non si curva sulle linee esauste di un corpo ripiegato e sconfitto, né si rifugia nei secchielli colmi di mare dell’infanzia, magica e dorata, nei riccioli al vento degli aquiloni che mai più saranno, ma si fonda sul presente e sul futuro perché riscopre in ogni passato il Valore irrinunciabile della sacralità della vita in tutte le sue innumerevoli foglie, che rinascono ad ogni attesa primavera. In ogni stagione vissuta. Da vivere.

E, oggi, è un Valore, che colma l’attuale disagio del “pensiero debole” (Vattimo-Rovatti) per farsi, nel terzo millennio, “forza” e “pienezza”, che irradiano, nella nostra società planetaria, nuovi stati di coscienza individuali nel loro farsi “consapevolezza collettiva” in una sorta di “correlazione universale” (come ci ha suggerito la compianta Silvana Folliero nel sostenerci a realizzare il Sogno/Progetto di aprire una “Casa editrice altra” più di quindici anni fa), attraverso un rinnovato “pensiero forte”, titano della conoscenza del mondo. “Scienza e Coscienza”, dunque, sempre più si dilatano fino a comprendere la “coscienza delle cose” e la “fiducia nella tecnologia e nella comunicazione digitale”, che diventa, utopisticamente forse, fiducia in possibili coinvolgimenti di tutti e di ciascuno per realizzare una umanità migliore. Una umanità, che dovrebbe fare della solidarietà e della speranza i suoi punti di forza; dell’intelligenza e della comunicazione di massa i solidi ponti di “inter-esistenza” tra gli uomini, perché la memoria si faccia possibilità di “rinascita” e di “rigenerazione” (vedi il Protonismo di Gjeke Marinaj).

Ma potrebbe accadere il contrario e sarebbe la distruzione della intera umanità.

Una possibilità che non voglio neppure prendere in considerazione perché ho fiducia nella coscienza dell’uomo, che saprà fare tesoro della scienza, come è sempre accaduto nella storia dell’umanità, altrimenti ci saremmo già estinti da lungo tempo.

Ritengo, però, che la storia non sia “magistra vitae” (Cicerone) perché ancora oggi vale per l’uomo contemporaneo il grido di dolore di Salvatore Quasimodo: “Sei ancora quello della pietra e della fionda,/ uomo del mio tempo…”. Pure, nonostante la sua natura immutabile, l’uomo ha risorse di mente e di cuore per scongiurare di volta in volta, nei millenni, la sua autodistruzione.

La memoria, allora, si fa attimo di ogni presente che vive il possente fulgore dei guizzi di conoscenza del passato e si affaccia al futuro. Nel passato, i germogli del presente, e degli scenari che si potrebbero configurare lungo i passi che il tempo concede ai nostri domani. Ci saranno sempre nuovi viandanti a proseguire il viaggio lungo i sentieri ritrovati della nostra storia oppure cercati e scoperti o, ancora, via via tracciati perché si facciano storia.

La memoria è, dunque, paniere di tutti i fiori e i frutti, vitali e propulsivi, dell’umana esperienza, individuale e universale.

La memoria è anche, o forse soprattutto, forza catartica, invincibile emozione, profondo sentimento. Chiaroveggenza e Speranza. Epopea di epiche risonanze di terre e di universi.

Scultura di Volti di uomini incisi nelle pietre che raccontano innumerevoli storie che, come fiumi aventi sorgenti lontane, si riversano insieme, dopo lunghi viaggi individuali, nel grande oceano della Storia universale.

Di solito, queste innumerevoli storie non ambiscono a ritrovarsi nella grande Storia, si accontentano di poco: fare tenera compagnia alle persone anziane che vivono di ricordi più che di progetti.   

E, del resto, la storia non è mai come viene raccontata, ma come viene vissuta; si ha persino paura di dover fare i conti con una storia dell'umanità mai vera e sempre inventata dal cronista di turno o dal saggista di parte (per ideologia politica o partitica, per formazione culturale, per convinzioni personali…) e dall’archivista che la ricostruisce con pazienza certosina, mai realmente libero di approdare alla “verità storica”, eterna utopia.

Dove la “verità storica”, allora? La storia è o non è fondata sulla memoria? Ma la memoria, come già osservato, non sempre racconta la verità. E, dunque? Quando si può parlare di “verità storica”? Quando si va a cercarla nei racconti dei nonni o quando ci affidiamo a documenti più concreti e oggettivi come graffiti nelle grotte millenarie dei nostri progenitori, scavi e reperti di una certa era storica, monete antiche, iscrizioni, epigrafi, stele funerarie e monumenti che resistono al tempo o alle loro stesse rovine? Cercare costantemente eventi con effetto “domino” di cause e conseguenze e sentirsi autorizzati ad avere certezze sui comportamenti umani che sortiscono sempre gli stessi effetti, se motivati dalle stesse cause, sia pure in tempi e luoghi diversi, oppure nutrirsi di dubbi sulle interpretazioni perlopiù soggettive di eventi raccontati in maniera del tutto arbitraria e spesso con opposte testimonianze e dichiarazioni sui vari accadimenti?

Forse sarebbe opportuno, come sosteneva Benedetto Croce, rifarsi alle fonti dirette e indirette degli accadimenti storici, evitando ogni coinvolgimento emotivo in riferimento all’“oggetto studiato” per consegnarlo al lettore come pura “conoscenza dei fatti”, ma questo metodo non mi convince molto. Non amo la cronaca triste ed essenziale della “conoscenza dei fatti” che ne fanno i cronisti sulle pagine di un Quotidiano locale o nazionale, oppure gli studiosi nei loro libri di storia.  Ciò vale soprattutto per la cronaca quotidiana di altri periodi storici alle prese con varie emergenze per la salute e per il pericolo di decimazione dell'umanità: la peste, la lebbra, la spagnola, la malaria,   l'asiatica, la terribile SARS, diffusasi nel 2002, quindi nel XXI secolo, dalla Cina e definita già coronavirus, con le stesse caratteristiche di sofferenza polmonare a chiudere alveoli e cuore, ormai disperatamente note, del Covid 19.

La stessa aridità è riscontrabile anche cercando notizie di guerra, altro flagello per il genere umano. La Prima e la Seconda guerra mondiale, per esempio. Per delimitare la ricerca al "secolo breve" eppure lungo di lutti e di dolore, e arrossato dal sangue di tutte le altre guerre devastanti nei vasti territori del pianeta Terra. Tutte le cronache sono uguali. Narrano i fatti. Che sembrano veri, tanto sono dettagliati con luoghi, vittime, circostanze, indici statistici. Fatti non fanfaluche... E il tempo azzerato, quello che vogliamo non esista per via delle nuove teorie sulla relatività o sulla quantistica, d’improvviso ci assale alle spalle e ci inchioda al nostro tempo o al tempo passato tanto simile al nostro tempi, sia pure tanto diverso.

Tutto sembra chiaro e inoppugnabile. Eppure, in quegli articoli così bene articolati, non è difficile rilevare l'assenza della paura o la mancanza di qualsiasi altro sentimento negativo o positivo che sia.

Quando a scuola studiammo  la storia della Grande Guerra non rilevammo, al di là dei fatti narrati con asettica precisione, la tentazione di una fuga, il fremito di una lacrima, la commozione di un incontro, il sollievo per lo scampato pericolo, lo strazio di sapersi vivo mentre una granata squarciava il cuore del compagno appena a un palmo dai pantaloni alla zuava del soldato in trincea; non il canto nostalgico di chi guardava le stelle e si accendeva una sigaretta per abitudine, subito spenta per precauzione col nemico appena a pochi passi oltre la trincea, e pensava alla sua ragazza lontana "ohi vita ohi vita mia". E i partigiani e la Resistenza "oh bella ciao, bella ciao, bella ciao". E il Vietnam con "c'era un ragazzo che come me" e giù lacrime di solitudine.

Solo numeri, dati, statistiche in quell'apparente verità obbiettiva dei fatti narrati. Senza fremiti, lacrime, sorrisi. Senza. Anche qui il “SENZA” mi spaventa.

Io ho fatto sempre tesoro dei racconti di Guerra di mio nonno: nelle sue parole senza lacrime, ma evocative e sicure, c’era la verità da me sempre cercata invano nei libri di storia, nelle lezioni dei proff. di Storia e Filosofia.

L’unica verità possibile era racchiusa nei suoi racconti che avevano per noi sapore di fiabe antiche per non turbare la festa innocente dei nostri giorni ignari di violenze e lutti e dolore.

Sì, per fortuna, la memoria viene rigenerata continuamente dai ricordi, che fanno parte della storia individuale e riportano al cuore (ri-corda-re) storie vissute in prima persona nel passato.

E la memoria, come mamma amorevole, nutre i ricordi quasi fossero suoi bambini, a cui ogni sera racconta fiabe, cominciando con quel “c’era una volta” che indicava un tempo indeterminato perduto nella notte dei tempi o nel bosco della dimenticanza (tempo sognato più che vissuto). Ma, in reciprocità amorosa, anche i piccoli, i ricordi appunto, offrono alla mamma, sempre più smemorata con gli anni che passano in fretta, il loro sollecito aiuto, sostenendola nel far rifiorire, nel tempo, le tante storie da rivivere perché non muoiano mai del tutto.

E anche per oggi chiudo qui con questo tempo zigzagato, mai vero mai falso, nella speranza che queste apparenti digressioni non vi annoino al punto da percepire il tempo della loro lettura come tempo noioso e dilatato a dismisura. Come una inutile, soporifera “perdita di tempo”. Ma io,   egoisticamente, solo così so riempire il mio tempo, con la felice illusione di donarlo agli altri… Pardon.

A domani. Ciao. Angela

3 commenti:

  1. "E la memoria come mamma amorevole nutre i ricordi come fossero bambini suoi"
    ... quanta poesia...Sempre grazie per il tuo generosissimo dono, Angela! A domani.

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  2. Ho una casa foglia che sta sulla faccia
    Accedo naufraga dall’acqua di mia madre
    Natante
    Al rosso del cosmo

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  3. Cara Angela non dico nulla perché mi hai inondata di pensieri belli e profondi e tanto intrecciati da esserne sazia. Mi rivedrò tutto e rileggerò lentamente, sicura di averne beneficio. Grazie

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