Continuo
ancora a parlare del tempo, come è giusto che sia. Anche del tempo atmosferico,
oltre ogni altro tempo.
E di nuovo ricamerà la brina,
e di nuovo mi prenderanno
la tristezza di un anno trascorso
e gli affanni di un altro inverno…
(Boris Pasternak)
È quanto sento in cuore questi giorni e Pasternak mi viene in aiuto con i suoi versi dedicati a Lara nei lunghi giorni dell’assenza e del silenzio. La fine di un anno porta con sé attese e speranze, ma anche la stanchezza di un anno vissuto nel bene e nel male, e la tristezza di qualcosa che muore, di un addio, del tempo che più non ritorna e ci lascia sulla riva di ogni abbandono senza poterci bagnare mai due volte nello stesso fiume (come viene attribuito ad Eraclito). Il futuro è enigma perché quel fiume ha anse imprevedibili a nasconderci altri percorsi, altri orizzonti, altre insidie. E, del resto, qualcosa si oppone alle attese e alle speranze dell’ultima notte dell’anno: il timore di vivere gli stessi “affanni di un altro inverno…”. Il tempo del freddo, delle piogge e della neve, la brina e il vento, il buio più intenso e le notti più lunghe, gli alberi spogli e la natura addormentata, con tanti animali che vanno in letargo, intristiscono il nostro animo che vola verso la luce, mentre tutto il nostro corpo si irrigidisce perché ha bisogno di sole e del suo calore.
E ancora, come logica conseguenza, ritornano nel mio retino la pioggia, le tempeste del cuore, la solitudine devastante sulla “prateria sconfinata” e perciò più desolata dell’animo di un altro grande poeta, Alberto Teodori, vinto dall’assenza della persona amata. E precorre ancora un tempo di vuoto che sicuramente si farà diluvio di lacrime, di paura se “tarderà” l’attesa “presenza… a farsi presente”. Uno splendido poliptoto a rendere più suggestiva e devastante la presenza della pioggia sulla incolmabile assenza.:
Piove sull’asfalto,
piove sul mio cuore,
piove sulla devastante prateria sconfinata del mio animo,
e so che, sino a quando non ti rivedrò,
saranno tempeste che graviteranno a lungo sul luogo d’ombra,
senza che luce possa lenire il vuoto che sopporto.
Di più mi farà paura il diluvio che arriverà
se la tua presenza tarderà a farsi presente…
(Alberto Teodori, stralcio de “La pioggia”)
Per questo è necessario puntualizzare la necessità che la natura rispetti i suoi ritmi naturali perché il cuore si rinfranchi nell’attesa/speranza di una nuova primavera che dovrà pure germogliare:
… è tempo che si sappia!
È tempo che la pietra si degni di fiorire,
che all’affanno cresca un cuore che batte.
È tempo che sia tempo.
È tempo.
(Paul Celan, stralcio della poesia
“Corona”, Poesie, raccolta postuma, 1998)
Ma…
C’è un tempo per capire,
un tempo per scegliere,
un altro per decidere.
C’è un tempo che abbiamo vissuto,
l’altro che abbiamo perso
e un tempo che ci attende.
(Lucio Anneo Seneca)
Sì c’è un tempo per ogni nostra esperienza di vita. Un tempo per insegnare e un tempo per imparare… (se accadesse contemporaneamente, vinceremmo la più grande battaglia contro l’ignoranza e la diffidenza; contro la presunzione di chi crede di sapere e l’umiliazione di chi pensa di non sapere e si rifiuta di imparare, ha paura di imparare perché teme la sconfitta letta negli occhi e nella voce di chi dovrebbe sollecitarlo ad avere fiducia in sé stesso…).
Ce lo ha insegnato proprio Seneca circa duemila anni fa e non abbiamo ancora imparato la sua preziosa lezione:
Recede in te ipse quantum potes; cum his versare qui te meliorem facturi sunt, illos admitte quos tu potes facere meliores. Mutuo ista fiunt, et nomine dum docent discunt.
“Ritirati in te stesso per quanto puoi; frequenta le persone che possono renderti migliore e accogli quelli che puoi rendere migliori. Il vantaggio è reciproco perché gli uomini, mentre insegnano, imparano”).
C’è un tempo per vincere e un tempo per perdere; un tempo per ricominciare, per incontrare gli altri e per incontrare sé stessi. Un tempo per amare ed essere folli d’amore oltre ogni dire. E un tempo in cui quei ricordi sono sorgente di vita più che di rimpianti.
E desidero concludere con una mia poesia che parla del tempo vissuto, dell’ardore degli anni dello “splendore nell’erba”, dei ricordi…
Incendio di vene la primavera che ricordo
ai giorni dell’amore nei bicchieri
braccia di fuoco a stringere il sogno
e l’allegria.
Erano i nostri anni cesti di garofani accesi.
Tu mi portavi la tua ironia agli assalti del cuore,
io rossore di ciliegi sul candore delle guance
in fiore.
Giganti noi a forare cieli striati d’azzurro.
Dischiuso all’alba il canto delle allodole.
Tra mani incerte di splendore e fili d’erba
il giorno.
Passò il tempo dei gerani ai balconi.
Sventolio di bandiere arrese il ricordo.
Follia di giovinezza ebbe occhi d’ardore
e di papaveri.
(“Incendio di vene”
da Il vento il fuoco e le azzurre acque,
silloge edita in Serbia e ancora inedita in Italia)
E ora vorrei dedicare qualche mio commento a quelli che mi avete inviato dall’inizio di questo nuovo anno e che sono molto stimolanti oltre che gratificanti. E comincio con Mariateresa Bari:
"E la memoria come mamma amorevole nutre i ricordi come fossero bambini suoi" ... quanta poesia...Sempre grazie per il tuo generosissimo dono, Angela! A domani.
E qui non ci sono commenti, solo gratitudine per aver colto profondamente la metafora della memoria/madre amorevole dei ricordi che nutre quasi fossero suoi bambini. In realtà, è un dono reciproco, a mio parere, perché anche i ricordi danno linfa vitale alla memoria. Ma non voglio ripetermi. Vi rimando a quanto già scritto. Se ne potrebbe riparlare con altri vostri commenti per un confronto.
Ed ecco un altro messaggio che fa bene al cuore:
Cara Angela non dico nulla perché mi hai inondata di pensieri belli e profondi e tanto intrecciati da esserne sazia. Mi rivedrò tutto e rileggerò lentamente, sicura di averne beneficio. Grazie (Giulia Basile). Anche con Giulia, che ringrazio sentitamente, potremmo riparlarne. A me gli intrecci piaccioni molto. Sono matasse da districare per trovare il bandolo di ciascuna e venire a capo di una o più idee.
Poi, Elina Miticocchio:
Ho una casa foglia che sta sulla faccia/ Accedo naufraga/ dall’acqua di mia madre/ Natante/ Al rosso del cosmo… (…) Bella pagina intera/ intera è la memoria/ quando si eleva al cielo/ e canta la sua azzurrità… (…) La memoria e un/ quaderno da sfogliare./ Mai logoro, mai scritto/ abbastanza./ Il sogno è il corpo/ tracciato molto prima che/ nessun occhio può/ vedere.
(Elina Miticocchio, privatamente su Messanger).
Bellissima la “casa foglia” dell’utero materno nell’attimo in cui l’autrice si
affaccia alla soglia, nuotando ancora sicura nel liquido amniotico che la
protegge, ma è splendore di luce, dopo tanto buio, “accedere al rosso del cosmo”:
rosso come il sangue, come la a vita che esplode, come l’amore che accoglie e
rassicura in una nuova realtà tutta da percorrere. Dalle radici alle foglie,
appunto. Ed è già volo…
Angela cara, grazie... infinitamente! Per il Tuo commento inaspettato ma tanto, tanto apprezzato! Il tuo dire è una carezza gentile, ed ossigeno puro, per me... Ma un infinito grazie anche per il tuo viaggio seducente nel pianeta Tempo. Il tuo racconto ne svela i panorami mozzafiato e i borghi incantevoli come pure le sue ombre nascoste. Un abbraccio a te. Forte! (M. Bari, lunedì 4 gennaio) Ancora Mariateresa Bari, che giorno dopo giorno, mi rende felice con una sua tenerissima nota poetica. Versi che, mentre rispondono ai miei commenti, si fanno grappoli di fasci luminosi che illuminano altri paesaggi in ombra, che hanno solo bisogno di luce per rivelarsi e svelarsi e sorprendermi/ci. E il Tempo suggerisce a Mariateresa una poesia incredibilmente insolita, originale, ardita per metafore che capovolgono il mondo, mentre i sogni si fanno preghiere, “rammendate da un filo di voce” (verso di una bellezza incredibile). E i desideri continuano a fiorire tra il sussurro di labbra devote che dimenticano quelle preghiere antiche “sui marciapiedi delle ore” fatte, queste ultime, di assenze e lontananze, ma anche di sogni più veri della stessa realtà, accarezzata dal “velluto delle parole” che con pennellate d’artista riscattano bellezza e speranza sul davanzale del pensiero che pensa la propria esistenza. E il “cogito ergo sum” di cartesiana memoria si ribalta come ogni altra realtà per farsi inno del sapersi ESISTERE… Sul pianeta Tempo// C'è un pianeta/ dove nascono sogni a mani giunte/ e un filo di voce rammenda preghiere/ dimenticate sui marciapiedi delle ore.// Dove ci tocca il velluto di parole/ nelle carezze di un pennello/ a punta fine sul davanzale del pensare.// Dove si fa corpo/ il verbo dell'essere. (M. Bari Appena nata!, 4 gennaio).
E, infine, ecco due poesie che ho
letto su fb e che mi hanno catturata a tal punto da inserirle nel mio blog per
una riflessione: Mi hai presa sul cuore/
col dolore sgretolato/ sui muri scrostati/ Mi hai afferrata e tenuta/ per un
braccio/ sporta su un dirupo/ e hai creduto di/ potermi sollevare/ quando
invece precipitavo/ Hai creduto sì/ hai creduto in me/ sotto la pioggia
battente/ di lacrime in frenata/ e i fari dell’auto che/ ribollivano goccia a/
goccia/ la mia rabbia impotente/ e il tuo Sorriso/ carico di certezze che mi ha
salvato. (Maria Pia Latorre, “A te”, pubblicata su fb e da me “rubata” per
farne possibilità di incontro).
Quando i suoni di una stella/ ti giungono inaspettati e paiono/ serafici come flauti ai confini/ dell’umano sentire,/ sono palpabili i colori del disincanto/ come vecchie foglie accartocciate/ dall’arsura/ e tu intaschi il tempo e parti. (Mariateresa Bari, “Epifania”, pubblicata su fb e da me “catturata” per scoprire insieme la profondità di questi versi).
La prima mi ha
piantato un coltello nel cuore perché molto drammatica nella forza della
rappresentazione scenica di brutale aggressione da parte della persona amata. Aggressione
crudele che io ravviso nella reiterazione dei “sul”, “sui” (“sul cuore”… “sui
muri scrostati”…) in una sgretolazione del dolore che è un tutt’uno con quei
muri scrostati in quel franante rapporto asimmetrico per intensità di amore e
di prevaricazione. La forza bruta sta tutta in quel braccio metaforico che
protende la vittima sul precipizio del dirupo, sotto una pioggia battente che
filtra il mondo e lo allontana da quel misfatto da strangolare l’anima. in
realtà si rivela più forte la vittima che coglie in quella forza disumana l’umanità
di credere nel coraggio di lei più forte del suo stesso istinto di
sopravvivenza. Forza dettata dalla rabbia per la propria impotenza. E mi torna
in mente che, molti anni fa, verso la fine degli anni Settanta, in pieno
Terrorismo, l’allora Direttore de <La Gazzetta del Mezzogiorno> (se non
ricordo male) Giuseppe Giacovazzo scrisse un libro molto significativo per quei
momenti di violenta ribellione: Dietro la
rabbia. La rabbia, dunque, diventa salvifica nel moto di riscatto che
sollecita. Proprio come accade all’autrice di questi versi. La propria rabbia e
il “Sorriso/ carico di certezze” di chi la sollecitava alla fine diventano
salvifiche. E, ancora una volta, tutto si capovolge “sotto la pioggia battente/
di lacrime frenata”. Ora non più i coltelli della sopraffazione arrogante dall’alto,
ma la rinascita dal basso (“sotto”), che è comunque un “sopra” di dignità
recuperata, titanica, vincente. Una poesia di grande intensità e pregnanza su
cui riflettere molto, proprio in questo inizio di anno, lastricato di buoni propositi.
La seconda mi conferma quanto sia “capovolto” il mondo degli adulti del nostro tempo: la perdita, negli anni, dello stupore che si accende nella innocenza degli occhi bambini all’arrivo della Befana contro il disincanto che subentra nel cuore desertificato degli adulti, che neppure “i suoni di una stella” simili a flauti “ai confini dell’umano sentire”, ma solo “i colori del disincanto”, simili a “vecchie foglie accartocciate”, finiscono nelle tasche e si fanno misura del tempo, che ci ordina di riprendere il cammino verso un futuro che non ha palpiti né la magia di un sogno ancora da vivere. E mi tornano in mente i versi bellissimi di una canzone di Roberto Vecchioni: “gli uomini son come il mare/ l’azzurro capovolto/ che riflette il cielo;/ credono di navigare,/ ma non è vero… (da “L’ultimo canto di Saffo”). Il Tempo è anche inganno e nostalgia. Ma, in molti casi oggi, è tempo sprecato per il tanto azzurro che gli occhi si perdono, incapaci come sono di guardare il cielo, di pescare a riva le azzurre meraviglie del mare. Non lasciamoci mai sorprendere dal disincanto. Conserviamo intatta la voglia e la capacità di sognare. Per colmarci sempre e comunque di Poesia.
E, infine, Elina Miticocchio mi manda questo messaggio che condivido sul mio blog perché è un bellissimo dono di questa Epifania appena vissuta all’insegna della Speranza per un anno migliore:
Il primo commento al libro di poesie Alle radici dell'erba (collana I Girasoli, Secop Edizioni 2020) giunge oggi inaspettato da Giovanni Romano che ringrazio per sintesi e contenuto. Lo riporto qui di seguito: "Ho letto questo libro nel momento migliore per apprezzarlo: la tranquillità e il silenzio della tarda serata, prima di andare a dormire. Quando gli impegni e gli affanni della giornata sono finiti, o quanto meno si lasciano dietro di sé. Fa bene all'anima leggere questi versi. Fa bene all'anima sapere che esiste chi sa custodire e donare la meraviglia e la bellezza del mondo, la gratitudine per l'affetto che ha ricevuto, i colori e gli spazi immensi per farci volare nella sua fantasia. Non mi stancavo di assorbire questa voce, di seguirla in silenzio nel suo mondo incantato. È la voce di una poetessa sempre più consapevole della propria arte fino a trovare una splendida sintesi per definire che cos'è la propria poesia, e quale effetto opera: "La carezza che porta / al disgelo delle palpebre".
Ringrazio Elina e ringrazio il Prof. Giovanni Romano, raffinatissimo e colto saggista, che fa parte della grande famiglia di Autori della nostra Casa editrice, per questo splendido commento alla raccolta di poesie di Elina Miticocchio, che sa volare con le parole con la carezza della sua azzurra anima bambina.
Ed ora chiudo perché domani riprendiamo con il Retino alle 19,30, come è consuetudine ormai. Sarà il primo incontro del Nuovo Anno, così tanto atteso per inondarci di nuova luce e di nuovi sogni/progetti di Vita.
Una precisazione doverosa: da domani riprendo con le molteplici attività di scrittura che vanno ben oltre il Retino. Scrivere, per me, è una passione, una necessità, una salvezza. Ma è anche una missione, che mi vede dedicare gran parte del mio tempo agli altri, per un parere sulla loro scrittura, un editing, una prefazione, una recensione e tanto altro ancora. Solo di notte e nei ritagli di tempo penso alla mia scrittura personale. Questa premessa mi serve per dirvi che da domani non avrò più il tempo per scrivere tutti i giorni sul blog. Lo farò ogni volta che mi sarà possibile. Non ne posso fare a meno. Ma non vi taggherò come ho fatto fino ad oggi per non impegnarvi nella lettura. Quando vorrete, saprete dove trovarmi: martedì e venerdì sul Retino in diretta, e di tanto in tanto, ma abbastanza frequentemente sul blog. Avrete sempre notizie su facebook. A domani. Con un grande abbraccio. Angela
E di nuovo ricamerà la brina,
e di nuovo mi prenderanno
la tristezza di un anno trascorso
e gli affanni di un altro inverno…
(Boris Pasternak)
È quanto sento in cuore questi giorni e Pasternak mi viene in aiuto con i suoi versi dedicati a Lara nei lunghi giorni dell’assenza e del silenzio. La fine di un anno porta con sé attese e speranze, ma anche la stanchezza di un anno vissuto nel bene e nel male, e la tristezza di qualcosa che muore, di un addio, del tempo che più non ritorna e ci lascia sulla riva di ogni abbandono senza poterci bagnare mai due volte nello stesso fiume (come viene attribuito ad Eraclito). Il futuro è enigma perché quel fiume ha anse imprevedibili a nasconderci altri percorsi, altri orizzonti, altre insidie. E, del resto, qualcosa si oppone alle attese e alle speranze dell’ultima notte dell’anno: il timore di vivere gli stessi “affanni di un altro inverno…”. Il tempo del freddo, delle piogge e della neve, la brina e il vento, il buio più intenso e le notti più lunghe, gli alberi spogli e la natura addormentata, con tanti animali che vanno in letargo, intristiscono il nostro animo che vola verso la luce, mentre tutto il nostro corpo si irrigidisce perché ha bisogno di sole e del suo calore.
E ancora, come logica conseguenza, ritornano nel mio retino la pioggia, le tempeste del cuore, la solitudine devastante sulla “prateria sconfinata” e perciò più desolata dell’animo di un altro grande poeta, Alberto Teodori, vinto dall’assenza della persona amata. E precorre ancora un tempo di vuoto che sicuramente si farà diluvio di lacrime, di paura se “tarderà” l’attesa “presenza… a farsi presente”. Uno splendido poliptoto a rendere più suggestiva e devastante la presenza della pioggia sulla incolmabile assenza.:
Piove sull’asfalto,
piove sul mio cuore,
piove sulla devastante prateria sconfinata del mio animo,
e so che, sino a quando non ti rivedrò,
saranno tempeste che graviteranno a lungo sul luogo d’ombra,
senza che luce possa lenire il vuoto che sopporto.
Di più mi farà paura il diluvio che arriverà
se la tua presenza tarderà a farsi presente…
(Alberto Teodori, stralcio de “La pioggia”)
Per questo è necessario puntualizzare la necessità che la natura rispetti i suoi ritmi naturali perché il cuore si rinfranchi nell’attesa/speranza di una nuova primavera che dovrà pure germogliare:
… è tempo che si sappia!
È tempo che la pietra si degni di fiorire,
che all’affanno cresca un cuore che batte.
È tempo che sia tempo.
È tempo.
(Paul Celan, stralcio della poesia
“Corona”, Poesie, raccolta postuma, 1998)
Ma…
C’è un tempo per capire,
un tempo per scegliere,
un altro per decidere.
C’è un tempo che abbiamo vissuto,
l’altro che abbiamo perso
e un tempo che ci attende.
(Lucio Anneo Seneca)
Sì c’è un tempo per ogni nostra esperienza di vita. Un tempo per insegnare e un tempo per imparare… (se accadesse contemporaneamente, vinceremmo la più grande battaglia contro l’ignoranza e la diffidenza; contro la presunzione di chi crede di sapere e l’umiliazione di chi pensa di non sapere e si rifiuta di imparare, ha paura di imparare perché teme la sconfitta letta negli occhi e nella voce di chi dovrebbe sollecitarlo ad avere fiducia in sé stesso…).
Ce lo ha insegnato proprio Seneca circa duemila anni fa e non abbiamo ancora imparato la sua preziosa lezione:
Recede in te ipse quantum potes; cum his versare qui te meliorem facturi sunt, illos admitte quos tu potes facere meliores. Mutuo ista fiunt, et nomine dum docent discunt.
“Ritirati in te stesso per quanto puoi; frequenta le persone che possono renderti migliore e accogli quelli che puoi rendere migliori. Il vantaggio è reciproco perché gli uomini, mentre insegnano, imparano”).
C’è un tempo per vincere e un tempo per perdere; un tempo per ricominciare, per incontrare gli altri e per incontrare sé stessi. Un tempo per amare ed essere folli d’amore oltre ogni dire. E un tempo in cui quei ricordi sono sorgente di vita più che di rimpianti.
E desidero concludere con una mia poesia che parla del tempo vissuto, dell’ardore degli anni dello “splendore nell’erba”, dei ricordi…
Incendio di vene la primavera che ricordo
ai giorni dell’amore nei bicchieri
braccia di fuoco a stringere il sogno
e l’allegria.
Erano i nostri anni cesti di garofani accesi.
Tu mi portavi la tua ironia agli assalti del cuore,
io rossore di ciliegi sul candore delle guance
in fiore.
Giganti noi a forare cieli striati d’azzurro.
Dischiuso all’alba il canto delle allodole.
Tra mani incerte di splendore e fili d’erba
il giorno.
Passò il tempo dei gerani ai balconi.
Sventolio di bandiere arrese il ricordo.
Follia di giovinezza ebbe occhi d’ardore
e di papaveri.
(“Incendio di vene”
da Il vento il fuoco e le azzurre acque,
silloge edita in Serbia e ancora inedita in Italia)
E ora vorrei dedicare qualche mio commento a quelli che mi avete inviato dall’inizio di questo nuovo anno e che sono molto stimolanti oltre che gratificanti. E comincio con Mariateresa Bari:
"E la memoria come mamma amorevole nutre i ricordi come fossero bambini suoi" ... quanta poesia...Sempre grazie per il tuo generosissimo dono, Angela! A domani.
E qui non ci sono commenti, solo gratitudine per aver colto profondamente la metafora della memoria/madre amorevole dei ricordi che nutre quasi fossero suoi bambini. In realtà, è un dono reciproco, a mio parere, perché anche i ricordi danno linfa vitale alla memoria. Ma non voglio ripetermi. Vi rimando a quanto già scritto. Se ne potrebbe riparlare con altri vostri commenti per un confronto.
Ed ecco un altro messaggio che fa bene al cuore:
Cara Angela non dico nulla perché mi hai inondata di pensieri belli e profondi e tanto intrecciati da esserne sazia. Mi rivedrò tutto e rileggerò lentamente, sicura di averne beneficio. Grazie (Giulia Basile). Anche con Giulia, che ringrazio sentitamente, potremmo riparlarne. A me gli intrecci piaccioni molto. Sono matasse da districare per trovare il bandolo di ciascuna e venire a capo di una o più idee.
Poi, Elina Miticocchio:
Ho una casa foglia che sta sulla faccia/ Accedo naufraga/ dall’acqua di mia madre/ Natante/ Al rosso del cosmo… (…) Bella pagina intera/ intera è la memoria/ quando si eleva al cielo/ e canta la sua azzurrità… (…) La memoria e un/ quaderno da sfogliare./ Mai logoro, mai scritto/ abbastanza./ Il sogno è il corpo/ tracciato molto prima che/ nessun occhio può/ vedere.
Angela cara, grazie... infinitamente! Per il Tuo commento inaspettato ma tanto, tanto apprezzato! Il tuo dire è una carezza gentile, ed ossigeno puro, per me... Ma un infinito grazie anche per il tuo viaggio seducente nel pianeta Tempo. Il tuo racconto ne svela i panorami mozzafiato e i borghi incantevoli come pure le sue ombre nascoste. Un abbraccio a te. Forte! (M. Bari, lunedì 4 gennaio) Ancora Mariateresa Bari, che giorno dopo giorno, mi rende felice con una sua tenerissima nota poetica. Versi che, mentre rispondono ai miei commenti, si fanno grappoli di fasci luminosi che illuminano altri paesaggi in ombra, che hanno solo bisogno di luce per rivelarsi e svelarsi e sorprendermi/ci. E il Tempo suggerisce a Mariateresa una poesia incredibilmente insolita, originale, ardita per metafore che capovolgono il mondo, mentre i sogni si fanno preghiere, “rammendate da un filo di voce” (verso di una bellezza incredibile). E i desideri continuano a fiorire tra il sussurro di labbra devote che dimenticano quelle preghiere antiche “sui marciapiedi delle ore” fatte, queste ultime, di assenze e lontananze, ma anche di sogni più veri della stessa realtà, accarezzata dal “velluto delle parole” che con pennellate d’artista riscattano bellezza e speranza sul davanzale del pensiero che pensa la propria esistenza. E il “cogito ergo sum” di cartesiana memoria si ribalta come ogni altra realtà per farsi inno del sapersi ESISTERE… Sul pianeta Tempo// C'è un pianeta/ dove nascono sogni a mani giunte/ e un filo di voce rammenda preghiere/ dimenticate sui marciapiedi delle ore.// Dove ci tocca il velluto di parole/ nelle carezze di un pennello/ a punta fine sul davanzale del pensare.// Dove si fa corpo/ il verbo dell'essere. (M. Bari Appena nata!, 4 gennaio).
Quando i suoni di una stella/ ti giungono inaspettati e paiono/ serafici come flauti ai confini/ dell’umano sentire,/ sono palpabili i colori del disincanto/ come vecchie foglie accartocciate/ dall’arsura/ e tu intaschi il tempo e parti. (Mariateresa Bari, “Epifania”, pubblicata su fb e da me “catturata” per scoprire insieme la profondità di questi versi).
La seconda mi conferma quanto sia “capovolto” il mondo degli adulti del nostro tempo: la perdita, negli anni, dello stupore che si accende nella innocenza degli occhi bambini all’arrivo della Befana contro il disincanto che subentra nel cuore desertificato degli adulti, che neppure “i suoni di una stella” simili a flauti “ai confini dell’umano sentire”, ma solo “i colori del disincanto”, simili a “vecchie foglie accartocciate”, finiscono nelle tasche e si fanno misura del tempo, che ci ordina di riprendere il cammino verso un futuro che non ha palpiti né la magia di un sogno ancora da vivere. E mi tornano in mente i versi bellissimi di una canzone di Roberto Vecchioni: “gli uomini son come il mare/ l’azzurro capovolto/ che riflette il cielo;/ credono di navigare,/ ma non è vero… (da “L’ultimo canto di Saffo”). Il Tempo è anche inganno e nostalgia. Ma, in molti casi oggi, è tempo sprecato per il tanto azzurro che gli occhi si perdono, incapaci come sono di guardare il cielo, di pescare a riva le azzurre meraviglie del mare. Non lasciamoci mai sorprendere dal disincanto. Conserviamo intatta la voglia e la capacità di sognare. Per colmarci sempre e comunque di Poesia.
E, infine, Elina Miticocchio mi manda questo messaggio che condivido sul mio blog perché è un bellissimo dono di questa Epifania appena vissuta all’insegna della Speranza per un anno migliore:
Il primo commento al libro di poesie Alle radici dell'erba (collana I Girasoli, Secop Edizioni 2020) giunge oggi inaspettato da Giovanni Romano che ringrazio per sintesi e contenuto. Lo riporto qui di seguito: "Ho letto questo libro nel momento migliore per apprezzarlo: la tranquillità e il silenzio della tarda serata, prima di andare a dormire. Quando gli impegni e gli affanni della giornata sono finiti, o quanto meno si lasciano dietro di sé. Fa bene all'anima leggere questi versi. Fa bene all'anima sapere che esiste chi sa custodire e donare la meraviglia e la bellezza del mondo, la gratitudine per l'affetto che ha ricevuto, i colori e gli spazi immensi per farci volare nella sua fantasia. Non mi stancavo di assorbire questa voce, di seguirla in silenzio nel suo mondo incantato. È la voce di una poetessa sempre più consapevole della propria arte fino a trovare una splendida sintesi per definire che cos'è la propria poesia, e quale effetto opera: "La carezza che porta / al disgelo delle palpebre".
Ringrazio Elina e ringrazio il Prof. Giovanni Romano, raffinatissimo e colto saggista, che fa parte della grande famiglia di Autori della nostra Casa editrice, per questo splendido commento alla raccolta di poesie di Elina Miticocchio, che sa volare con le parole con la carezza della sua azzurra anima bambina.
Ed ora chiudo perché domani riprendiamo con il Retino alle 19,30, come è consuetudine ormai. Sarà il primo incontro del Nuovo Anno, così tanto atteso per inondarci di nuova luce e di nuovi sogni/progetti di Vita.
Una precisazione doverosa: da domani riprendo con le molteplici attività di scrittura che vanno ben oltre il Retino. Scrivere, per me, è una passione, una necessità, una salvezza. Ma è anche una missione, che mi vede dedicare gran parte del mio tempo agli altri, per un parere sulla loro scrittura, un editing, una prefazione, una recensione e tanto altro ancora. Solo di notte e nei ritagli di tempo penso alla mia scrittura personale. Questa premessa mi serve per dirvi che da domani non avrò più il tempo per scrivere tutti i giorni sul blog. Lo farò ogni volta che mi sarà possibile. Non ne posso fare a meno. Ma non vi taggherò come ho fatto fino ad oggi per non impegnarvi nella lettura. Quando vorrete, saprete dove trovarmi: martedì e venerdì sul Retino in diretta, e di tanto in tanto, ma abbastanza frequentemente sul blog. Avrete sempre notizie su facebook. A domani. Con un grande abbraccio. Angela
Angela davvero non ho più parole per ringraziarti, ma solo lacrime di commozione! Un abbraccio immenso 🙏🙏🙏
RispondiEliminaE a proposito della consapevolezza di un ESISTERE che è inno a ciò che di umano ancora resiste... eccone un'altra!
RispondiEliminaErrare
Eccomi piuma di un'ala
esausta di peso
sottrarsi al greve di un fare disfatto.
Eccomi grafia di un verso
incompiuto sprecato nello spazio
di un rigo troppo stretto.
Eccomi braccia esili
a sorreggere un improvviso
sapere di sé che imbavaglia l'attimo.
Eccomi chiodo, finestra, focolare.
Eccomi errore nell'errare.
Angela sei una fonte di acqua fresca e limpida in un mondo che affoga in acqua stagnante, e tu, invece di adagiarti col passare degli anni in giorni pigri e indolenti, tu fai dei tuoi pensieri un fresco ruscello dissetante per chi sa apprezzare la vita. Grazie per i tuoi stimoli. Bella anche la poesia Errare di Mariateresa.
RispondiElimina