domenica 17 gennaio 2021

Domenica 17 gennaio 2021: ancora sul tempo di inizio e fine e un "tra" di mezzo...

Ieri ho ricevuto dal cielo un bellissimo buongiorno. Ha inventato i primi fiocchi di neve di un inverno di mezzo: né caldo e né freddo per una stagione che di solito, tra dicembre-gennaio-febbraio, ci lascia sconfitti dal freddo e dal gelo, spingendoci ad accendere caminetti e termosifoni e a indossare indumenti caldi e pantofole per restare in casa in attesa della primavera che sempre ci attende con i primi tepori di marzo, le prime mimose, colore/profumo/simbolo di donna, le prime timide pratoline sull’erba tenera dei prati. E io, come per incanto, sono tornata a guardare quel prodigio con gli occhi di bambina, ricordando il mio stupore nel notare come la lieve neve bianca, invece di volare verso l’alto, con i suoi soffici fiocchi di piume e il suo candore, scendesse dal cielo per insudiciarsi di fango, mentre le rosse scintille guizzanti dai pesanti pezzi di legno, ridotti dalla combustione in cenere e carboni, volassero verso l’alto, quasi una sorta di preghiera al cielo per espiare colpe mai commesse. E, in questo gioco di incrocio a ritroso tra scintille e fiocchi di neve, il mio sguardo si perdeva con i miei pensieri in fuga verso impossibili aggiustamenti di direzioni e intenzioni. La neve! Sogno che si scioglie al primo sole sugli acquitrini. Scintille! Incanto che si spegne al primo soffio di cielo. Nel “tra” i miei pensieri senza soluzione di continuità. Ed è continuità anche il proporre la poesia inviatami da Mariateresa Bari due giorni fa: “Come fiorisce una fine”. Troppo bella e profonda per bypassarla sotto silenzio.
L'ultimo anelito assiste informe/ al suo principio che è fine./ Chiassosa come il mare spettinato dal vento/ come il tumulto di un cuore/ che ripudia l'inverno/ come un calcio al vuoto/ che inscatola luoghi e non luoghi./ Fiorire cui sempre la sera assiste./ Come il morire/ Si gioca al risparmio arginando i prati verdi del cielo./ Morsi di fiele a svezzare il mare/ appena nato in culle di miele./ Sul fondo di sguardi prosciugati/ strizzo ciottoli cerei di vita./ In punta di piedi varco la soglia/ di una parola che non oso./ Per me è ancora, nel varcarla, sfiorare l'abisso. Un abbraccio, Angela!
Mia carissima Mariateresa, è una poesia che mi lascia senza parole, tanto s’inabissa nella mia anima che in questi giorni va in cerca di luce. Spero di trovare le parole giuste. Solo una raccomandazione che vale per tutti voi che mi inviate poesie: per favore, mettete bene in evidenza la scansione dei versi. Sapete benissimo quanto importante essa sia per una possibile giusta interpretazione: una parola che apre il verso ha un significato diverso dalla stessa parola se quest’ultima lo chiude. Gli spazi a volte risultano fondamentali per dare profondità, ampiezza, libertà e volo ad una parola. Paul Èluard (l’accento è acuto e non grave, ma non so utilizzare a dovere tutti i simboli grafici, pardon!) scrive dei “margini bianchi” che parlano più di ogni altro silenzio… E io prima di azzardare un commento ho bisogno di tutte queste “garanzie” (ricordare le premesse fondamentali: la “nominazione, la “derivazione” o “ricerca-azione” o indagine, la “significazione”, e quanto detto in questa sede). Mi ci provo, nella speranza di aver suddiviso bene i versi:
Già nel titolo la “fine” diventa un fiore che germoglia e si schiude su sé stesso. Anche l’anelito, che è il respiro affannoso e incerto, tremulo, insicuro e stentato del moribondo, “assiste”, come visione di un film, senza alcuna definizione di sé, al suo inizio che contiene in sé già la fine. Ogni nascita, in un essere mortale, si risolve in un conto alla rovescia verso l’epilogo (banalmente, nasciamo per morire). Segue un lungo verso, che ritengo davvero splendido nella sua insolita asserzione: la fine è “chiassosa” come: “il mare spettinato dal vento” (e mi riporta a Dylan Thomas: nessuna onda può pettinare il mare, ma il vento può spettinare le sue onde!). Similitudine che è preludio ad altre originali e anaforiche sue consorelle: “come il tumulto del cuore che ripudia l’inverno” (l’inverno metafora di morte, gelo, silenzio, immobilità); “come un calcio al vuoto che inscatola luoghi e non luoghi” (in continuità dei non luoghi di cui si è parlato in precedenza). E gli altri due versi ne sono la conferma: “Fiorire cui sempre la sera assiste./ Come il morire”: inizio e fine sempre. Il verso seguente, poi, rivela una punta di scetticismo nei riguardi dell’animo umano che “gioca al risparmio” persino “arginando i prati verdi del cielo”: e gli “argini” al cielo, che pure dovrebbe avere “prati verdi” sconfinati, indicano la nostra umana imperfezione, così chiusi come siamo nelle nostre esperienze terrene, fatte di delusioni e tormenti tanto da avvelenare (e il verbo “svezzare” è un valore aggiunto) tutto l’azzurro e la vastità del mare, “appena nato in culle di miele”, in cui lo stesso cielo si specchia capovolto: due versi superbi per costrutto interno e per le coraggiose metafore a mettere a nudo la nostra incapacità di conservare il “miele” dell’inizio della nostra alba (le culle) per trasformarlo via via nel “fiele” di ogni risentimento, di ogni aspettativa delusa. Il sogno in frantumi. Nonostante i doni iniziali. Troppo crudele l’inciampo sui “lividi ciottoli” della vita. Eppure all’inizio fu il Verbum, fu la Parola a connotarci come esseri umani, dotati di pensiero “sapiente” (homo sapiens sapiens), ma pronunciarla significa ancora per l’autrice avvertire il timore di “osare varcare” la “soglia” del coraggio per la paura di “sfiorare l’abisso”. Tanto è sacra per lei la Parola. Non a caso ci rende simili agli dèi…
E per oggi mi fermo qui. Non ho promesso di imparare ad essere più breve? Ci sto provando. E anche le altre poesie inviatemi o catturate col mio Retino via via troveranno spazio sul mio blog. Serena domenica “di sereno” a tutti. A martedì con nuove parole e nuovi commenti. Ciao. Angela

3 commenti:

  1. Angela ancora tanta commozione...! Il mio cuore non regge! Grazie, grazie, grazie!

    RispondiElimina
  2. Grazie, Angela! Straordinario questo atteggiamento dei poeti di fronte alla parola. Essi sanno bene che la parola è contemporaneamente il tramite per il salto al sovraumano e il fine di una precisa e connotata esperienza poetica, il suo hic et nunc.
    Allo stesso modo essa è significante di realtà ma significato di contemplazione poetica. Questa ambivalenza è la croce e la delizia del poeta.
    Grazie sempre! Buona domenica!

    RispondiElimina
  3. A sintesi eccelsa del mio precedente commento"... Dalla tua testa dalla tua carne
    dal tuo cuore
    mi sono giunte le tue parole
    le tue parole cariche di te
    le tue parole, madre
    le tue parole, amore
    le tue parole, amica.
    Erano tristi, amare
    erano allegre, piene di speranza
    erano coraggiose, eroiche
    le tue parole
    erano uomini." (Nazim Hikmet)

    RispondiElimina