C’era una volta un re che, stanco di essere
infelice perché aveva tutto e non sapeva cos’altro chiedere alla vita, comandò
ai suoi soldati di andare in giro per il mondo a cercare la camicia dell’uomo
felice perché voleva indossarla sotto i suoi regali vestiti per scoprire il
segreto dell’eterna felicità. Solo con quella camicia pensava che sarebbe stato
davvero felice. I suoi soldati, anche se poco convinti dei capricci del loro
signore, girarono per tutta la terra, ma non trovarono mai un uomo felice. Ma
non si arresero per paura di tornare a mani vuote e della reazione del re.
Continuarono a girare senza tregua, per monti e per valli, e per tutte le
contrade della Terra. Passarono gli anni e le stagioni. Passò l’estate ed anche
l’autunno. Poi sopraggiunse il triste inverno e giunse infine una nuova
primavera, ma dell’uomo felice neppure l’ombra. Stanchi e desolati, e con mille
timori, gli uomini del re stavano per tornare dal loro signore quando, in
lontananza, sentirono un canto allegro e appassionato di un uomo nei campi. Si
rallegrarono. Solo un uomo felice poteva cantare così. E corsero a cercarlo per
chiedergli la camicia da portare al loro re e padrone. Ma quale fu la loro
grande sorpresa quando lo trovarono su un albero di rosse e allegre ciliegie? Forse
nel nostro campo di Lamangelica? Forse in un campo in cima alla montagna più alta
del mondo? Forse in terreno di pianura e in riva al mare? Sulle rive di un
fiume o su quelle di un lago misterioso e circondato da tanti alberi da potare?
Nessuno è venuto a me a raccontarlo. Ma so per certo che quei soldati si
precipitarono verso quel canto lontano e così vicino da rallegrare le loro
orecchie abituate ai comandi e ai lamenti del re nella reggia.
Ma, secondo voi quale fu questa sorpresa? Non
potete mai indovinare. L’uomo era talmente povero… da non possedere neppure la
camicia.
La felicità era solo nel suo cuore…
(molto, molto più
tardi scoprii che era una fiaba scritta da Lev Tolstoj e poi rielaborata da
Italo Calvino, come “La camicia dell’uomo contento”. Ma il tuo racconto per me
ha conservato sempre, nel tempo, sapore di casa, di cortile, di ciliegie, di
felicità raggiunta, che le tue parole e l’intonazione e le pause, e le domande
con il loro mistero, e le sospensioni di meraviglia tra i tuoi occhi grigi ci
regalavano…)
C’era una volta un uomo che viveva con sua
moglie da tanti anni e nessuno dei due si ricordava degli occhi dell’altro.
Avevano perso anche i sogni e non credevano più a niente. Neppure che per ogni
uomo c’è un Angelo che si prende cura di lui da quando nasce fino a quando
muore, come avevano saputo da bambini. Ma l’uomo e sua moglie non si
ricordavano più di essere stati bambini. Erano diventati delusi e tristi. Non
avevano mai visto il loro Angelo. E ormai non ci credevano più.
Ma una notte l’Angelo di lui, ormai vecchio e
malandato, lo chiamò facendosi vedere.
“Sono qui, mi vedi ora? E ora ci credi che
esisto e ti sono sempre vicino? C’è qualcuno che prega per te? Vieni ti voglio
mostrare una cosa”.
E, in men che non si dica, lo portò con sé in
una specie di salone sotterraneo, grande e silenzioso come una chiesa. Fate
conto, come la nostra chiesa, ma molto molto più grande. Era illuminato da
tantissime candele. Alcune erano lunghe e appena accese, altre erano un po’ più
corte, altre lo erano ancora di più con la fiammella che faceva fumo, fino a
quelle che avevano appena appena un lumicino tremolante su un mozzichino
minuscolo di candela e rischiava di spegnersi da un momento all’altro.
L’uomo, stupito, chiese il perché di tutte
quelle candele accese. E perché erano di diversa altezza. E qual era il loro
significato. Lui non sapeva e non capiva.
“È la vita di ciascuno di voi. Man mano che
passano gli anni, la candela si accorcia fino a spegnersi”.
“Qual è la mia?”, chiese l’uomo con un filo
di voce. “E quella di mia moglie?”, disse dopo un po’, pensieroso e titubante,
come se il pensiero della moglie lo aveva sfiorato all’ultimo secondo.
L’Angelo gli mostrò due candele vicine: una
un po’ più lunga e una cortissima.
“La tua è quella più corta, ma se c’è
qualcuno che ti ama e prega per te, la fiammella può resistere ancora”.
“Mia moglie forse mi ama. Voglio chiedere a
lei di pregare per me”, disse l’uomo sempre pensieroso e titubante, e ora anche
pieno di paura. Tremava come la piccola luce di quel mozzicone a cui si era
ridotta la sua candela.
In quel momento la fiammella riprese vigore e
smise di tremolare.
“Vedi? Senza chiederglielo, lei l’ha già
fatto! Ti ha forse pensato in questo momento e il solo pensiero ha reso più
vivo il lumicino della tua candela. Forse, pensandoti, ha forse scoperto che ti
ama ancora. Ora tocca a te pregare per lei. Se vi penserete con reciproco
amore, fino a quando vi amerete le candele resteranno accese”.
“Ma perché allora si muore?”, chiese l’uomo
con un dubbio negli occhi e nella voce.
“Perché piano piano si perde ogni gioia, ogni
piacere, ogni speranza. Si perde a poco a poco il senso della vita. Non si è
più curiosi di niente, sopravvengono dispiaceri e malanni. Ci si stanca di
vivere. Ci si stanca di amarsi e di amare. E allora si muore.
È l’amore il senso della vita. Mai vivere una
vita senza amore. Si pensa di vivere e invece si è già morti. Una morte senza
senso”, disse l’Angelo mentre volava via…
L’uomo voleva fare altre domande sulla vita e
sulla morte.
‘Perché, allora, si muore anche da bambini o
da giovani? Perché si muore a tutte le età, anche quando si è molto amati?
Anche se sono in tanti a pregare?’.
Ma l’Angelo non c’era più.
E l’uomo pensò che non è dato a noi “fərməchéddə” (formichine) sopra la faccia della terra di capire il mistero di Dio...
Ma una cosa ora gli era chiara: sua moglie lo
amava ancora.
Il salone era sparito con tutte le sue
candele accese: alte, medie, piccole, piccolissime. “Quandə a nu cècərə” (quanto un cece).
‘La sua era ancora accesa. Poteva sperare.
Poteva ancora dare un senso alla sua vita. Riscoprire l’amore’.
Accese la luce. Fece una carezza al volto di
sua moglie che dormiva, e si accorse che stava muovendo le labbra come se stava
pregando.
E a quella carezza sulle sue guance spente si
riaccese anche un tenero sorriso…
(penso che questo
racconto avesse un solo autore. Tu. Non l’ho mai letto da nessuna parte. O chissà!
Ma è esclusivamente tuo l’amore che ci hai insegnato!).
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