Molti filosofi,
scienziati, teologi, metafisici, studiosi a vario titolo delle nostre origini e
del fine a cui tendiamo, si sono cimentati nel dimostrare la validità dell’una
o dell’altra tesi. Pensiamo alle prove ontologiche sulla esistenza di Dio, apportate
da Agostino, definito “il massimo pensatore cristiano del primo millennio e uno
dei più grandi geni dell’umanità in assoluto” e a quelle di Nietzsche sulla
“morte di Dio”, nostra grande illusione. Due menti eccelse entrambe. Perché,
dunque, così discordanti? E qui torno all’inizio del mio discorso: dipende dalla
premessa o presupposto, dal nostro iniziale convincimento, dovuto a qualcosa
che ci sfugge: natura, tipo di intelligenza, la personalità individuale (anche
se frutto di miliardi di ascendenze che hanno determinato il nostro DNA)? Non
sono una studiosa di tutte le discipline sottese a questi interrogativi. Sono
semplicemente una persona normale innamorata della vita, della natura,
dell’amore e appassionata ricercatrice di una qualche possibilità di verità,
colorata di sogno e di fantasia. Mettiamola così. E, allora, anch’io noto tutte
le brutture del mondo, tutti i massacri della storia passata e presente e mi
prefiguro anche quelli futuri (l’uomo non cambia mai, altrimenti non sarebbe
ancora oggi quello della fionda e della pietra, come Salvatore Quasimodo
continua a ripeterci).
Né la storia insegna, altrimenti avremmo finalmente
imparato, sia pure “per tentativi ed errori”.
Ma noto anche la bellezza
innocente e luminosa nel sorriso e negli occhi di un bambino, il cielo stellato
che mi fa andare oltre il buio di una notte senza stelle, il sacrificio di un
uomo qualunque che si getta tra le fiamme per salvare la vita di un suo simile,
l’ardore della giovinezza in sé per sé, tutto il bene che si compie e che non
fa notizia perché spesso avviene in silenzio e senza clamore, la misteriosa
attrazione di due sconosciuti a livello fisico e del cuore, che li fa “cadere”
in un sentimento mai provato prima, ma così intenso, assoluto, totalizzante da
far compiere ad entrambi reciproche follie per la persona amata. Tutto questo,
dunque, ci parla d’amore nel mondo. In eterno contrasto con l’odio, che genera
violenza e morte.
Non credo, pertanto,
alla mancanza d'amore nel mondo, e soprattutto non credo al Caso. Non potrei crederci per una
serie di motivi inconfutabili.
Sì, ci sono alcuni fenomeni inconfutabili, perché
nel corso dei millenni non è mai accaduto il contrario. Potrei fare
innumerevoli esempi. Ma mi limito a trascrivere un testo illuminante (di cui purtroppo
manca il nome dell’autore), letto in una delle lettere che compongono il Diario
epistolare “Gelido è l’inverno”
(SECOP edizioni 2018) di Anna Maria De Leo, la mia amatissima sorella.
Disperate lettere d’amore verso il giovanissimo marito, strappatole da un
terribile incidente automobilistico ad appena due anni dal matrimonio. Una persona
amica le inviò una lettera consolatoria dopo la triste notizia, facendo
riferimento al suddetto testo. Condivido quanto l'autore scrive. Io non saprei
fare di meglio. E trascrivo il testo per intero perché contiene molte mie
convinzioni, che non oso definire verità, ma…
“... Per tutti i
millenni gli uomini di ogni latitudine costruirono grandi civiltà intorno ai
loro morti e ai loro dèi, ossia intorno a ciò che oggi sembra inesistente.
Tutte quelle civiltà
affermavano che dietro la realtà corporea ve n'è un'altra, più importante,
fervida di forze e di potenza, di anime e di dèi. Erano pazzi?
Pazzi i costruttori
della grande muraglia di Borobudur, delle Piramidi, ecc.?
Pazzi Mosè, Budda,
Pitagora, Isaia, Gesù?
Se noi siamo savi,
dobbiamo dire che i più grandi uomini furono tutti folli.
Ma il dirlo non
sarebbe una follia?
Forse non vi sono né
savi né pazzi, ma esistono due dimensioni del reale, l'una si raggiunge con la
sola anima, l'altra si raggiunge con i soli sensi.
Per l'una il morto è
vivo, per l'altra è morto.
Non siamo solo un
“corpo”.
Per breve tempo un
corpo tenta di starci vicino.
Legge della vita è la
metamorfosi.
Poco o molto, ogni
creatura cambia; nell'uomo cambia soprattutto l'anima.
La psiche di un uomo
di tre anni è diversa da quella di uno di cinquanta o di settanta anni. La psiche umana si evolve
continuamente, ma a qual fine?
Deve esserci una
continuazione!
Se ci guardiamo
attorno tutto è destinato a morire. La pianta dimostra il segno della sua
morte, il corpo umano
pure, ma la psiche si evolve e non muore assurgendo a dignità universale e
perché?...
Non v'è uomo senza
sensibilità estetica, dal semplice “è bello”, “è brutto” fino alla perfezione
di Wagner e Michelangelo.
Non v'è uomo senza
capacità matematica dal semplice “Uno più uno” fino all'altezza di Newton
e di Einstein.
Non v'è uomo senza
giudizio etico del semplice “è bene”, “è male”.
Queste facoltà
immateriali fanno parte della nostra grandezza; ma non servono per trovare
cibo, per accoppiarci, per riprodurci: sarebbero inutili se il nostro destino
fosse soltanto terreno, come nel bozzolo sarebbero inesistenti le ali se la farfalla non fosse
destinata al volo.
E di conseguenza dico
che le facoltà dell'anima sono sproporzionate alla terra, in quanto preparano
la metamorfosi.
Più ci avviciniamo
all'anima più incontriamo leggi elevate e complesse.
I nostri muscoli sono
retti da semplici leggi meccaniche; i nostri visceri da complicate leggi
chimiche; i nostri nervi da ineffabili leggi elettriche (l'elettricità è una
forza misteriosa di cui ci appaiono soltanto gli effetti diversissimi tra loro).
Patrik dice che se la
corrente attraversa un filo sottile diventa luce; se il filo è grosso diventa
calore.
In noi la corrente
neuro- elettrica, passando per un nervo uditivo, diventa musica, per un nervo
olfattivo, diventa profumo...
L'uomo è diverso da
tutte le creature, perché la vita gli ha rivelato un segreto che nessun altro
conosce: solo l'uomo sa di dover morire.
Lo ignora il mondo
vegetale: l'alga non sa di dover perire; lo ignora il mondo animale: non lo sa
né il mollusco né il pesce né l'uccello.
Tutti lo ignorano e
vivono come se non dovessero morire mai.
È per questo che la
flora e la fauna sono sempre più belle, più pure, più maestose, affascinanti,
misteriose. Hai mai osservato un bosco?
Quanta pace, quanta
serenità vi regna e vi regna inoltre il senso dell'eternità, della
continuazione.
Invece l'uomo sa che
alberi, piante, animaletti... tutti moriranno.
L'uomo solo si accorge
che tutto finisce; solo l'uomo sa d'essere condannato a morte!
La vita ha dato agli
altri esseri solo impulsi precisi e comprensioni necessarie; la vita ha
affidato, invece, all'uomo il segreto della morte.
L'uomo può dare una
risposta a mille perché, ma la morte è l'enigma che la vita gli pone. A lui
solo. Affinché non se ne
distragga, il pensiero della morte è sempre accompagnato dalla paura. Se l'uomo non avesse paura non
penserebbe alla morte e sarebbe stato inutile rivelargli il segreto.
La vita affida a
qualsiasi essere una propria funzione.
Affida alla farfalla
la funzione riproduttiva, all'ape quella lavorativa: nasce già pronta per
lavorare e, appena ne diventa incapace, muore.
All'uomo la vita ha
affidato la più importante delle funzioni: la funzione conoscitiva.
L'uomo conosce il
globo e l'universo; conoscere è il suo destino.
L'uomo si matura
conoscendo e non si stanca mai di cercare la risposta ai perché della vita.
Appena la risposta è giusta,
cessa la paura di morire.
Vi è chi crede la vita
senza ragione, retta dal caso. Per alcuni il proprio dio è il caso.
Ma qual è la
differenza fra il Caso, meraviglioso creatore, e Dio, creatore meraviglioso?
Se veramente esistesse
il mondo del caso, si avrebbe un mondo anarchico.
Le leggi andrebbero a
dritta e a manca e si vedrebbe un bimbo diventare adulto e poi vecchio e si
vedrebbe un vecchio ridiventare adulto e poi bambino.
Invece le leggi del
mondo hanno la loro direzione precisa e intenzionale.
Vi è una legge che
vuole l'uomo successivamente bambino, giovane, adulto, maturo, vecchio: è una legge
che ha la sua ragione, perciò non si torna indietro.
La nostra vita
terrestre è quella di un'anima che scende nel corpo, e che infine dal corpo si
svincola. Più l'uomo è
vicino all'anima, più la sua morte è facile.
I giovani che muoiono
avvinti al corpo hanno agonie lunghissime.
I centenari diventano
quasi incorporei, Spesso si spengono nel sonno.
L'ora della morte è
l'ora della verità.
V'è una verità celata
in ogni esistenza umana ed essa ci appare soltanto dopo la morte.
E se tu hai visto
qualcuno morire avrai notato che la figura del morente si trasforma.
Non è più un
frammentario motivo di buono o cattivo umore: la sua immagine, sino ad allora
incompiuta, si delinea dinanzi definitiva e ne notiamo i valori che prima ci
sfuggivano.”
(Mi piacerebbe
scoprire l’autore che per ignoranza mi sfugge. E pregherei chiunque ne avesse
notizia di comunicarmela. Ritengo davvero che sia un testo altamente
convincente, per la conoscenza scientifica che evidenzia e per la “sapientia cordis” che la
sostiene!).
(fine seconda parte)
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