lunedì 22 ottobre 2018

"Dio è amore"?: una riflessione (seconda parte)


Molti filosofi, scienziati, teologi, metafisici, studiosi a vario titolo delle nostre origini e del fine a cui tendiamo, si sono cimentati nel dimostrare la validità dell’una o dell’altra tesi. Pensiamo alle prove ontologiche sulla esistenza di Dio, apportate da Agostino, definito “il massimo pensatore cristiano del primo millennio e uno dei più grandi geni dell’umanità in assoluto” e a quelle di Nietzsche sulla “morte di Dio”, nostra grande illusione. Due menti eccelse entrambe. Perché, dunque, così discordanti? E qui torno all’inizio del mio discorso: dipende dalla premessa o presupposto, dal nostro iniziale convincimento, dovuto a qualcosa che ci sfugge: natura, tipo di intelligenza, la personalità individuale (anche se frutto di miliardi di ascendenze che hanno determinato il nostro DNA)? Non sono una studiosa di tutte le discipline sottese a questi interrogativi. Sono semplicemente una persona normale innamorata della vita, della natura, dell’amore e appassionata ricercatrice di una qualche possibilità di verità, colorata di sogno e di fantasia. Mettiamola così. E, allora, anch’io noto tutte le brutture del mondo, tutti i massacri della storia passata e presente e mi prefiguro anche quelli futuri (l’uomo non cambia mai, altrimenti non sarebbe ancora oggi quello della fionda e della pietra, come Salvatore Quasimodo continua a ripeterci). 
Né la storia insegna, altrimenti avremmo finalmente imparato, sia pure “per tentativi ed errori”. 
Ma noto anche la bellezza innocente e luminosa nel sorriso e negli occhi di un bambino, il cielo stellato che mi fa andare oltre il buio di una notte senza stelle, il sacrificio di un uomo qualunque che si getta tra le fiamme per salvare la vita di un suo simile, l’ardore della giovinezza in sé per sé, tutto il bene che si compie e che non fa notizia perché spesso avviene in silenzio e senza clamore, la misteriosa attrazione di due sconosciuti a livello fisico e del cuore, che li fa “cadere” in un sentimento mai provato prima, ma così intenso, assoluto, totalizzante da far compiere ad entrambi reciproche follie per la persona amata. Tutto questo, dunque, ci parla d’amore nel mondo. In eterno contrasto con l’odio, che genera violenza e morte.
Non credo, pertanto, alla mancanza d'amore nel mondo, e soprattutto non credo al Caso. Non potrei crederci per una serie di motivi inconfutabili. 
Sì, ci sono alcuni fenomeni inconfutabili, perché nel corso dei millenni non è mai accaduto il contrario. Potrei fare innumerevoli esempi. Ma mi limito a trascrivere un testo illuminante (di cui purtroppo manca il nome dell’autore), letto in una delle lettere che compongono il Diario epistolare “Gelido è l’inverno” (SECOP edizioni 2018) di Anna Maria De Leo, la mia amatissima sorella. Disperate lettere d’amore verso il giovanissimo marito, strappatole da un terribile incidente automobilistico ad appena due anni dal matrimonio. Una persona amica le inviò una lettera consolatoria dopo la triste notizia, facendo riferimento al suddetto testo. Condivido quanto l'autore scrive. Io non saprei fare di meglio. E trascrivo il testo per intero perché contiene molte mie convinzioni, che non oso definire verità, ma…
“... Per tutti i millenni gli uomini di ogni latitudine costruirono grandi civiltà intorno ai loro morti e ai loro dèi, ossia intorno a ciò che oggi sembra inesistente.
Tutte quelle civiltà affermavano che dietro la realtà corporea ve n'è un'altra, più importante, fervida di forze e di potenza, di anime e di dèi. Erano pazzi?
Pazzi i costruttori della grande muraglia di Borobudur, delle Piramidi, ecc.?
Pazzi Mosè, Budda, Pitagora, Isaia, Gesù?
Se noi siamo savi, dobbiamo dire che i più grandi uomini furono tutti folli.
Ma il dirlo non sarebbe una follia?
Forse non vi sono né savi né pazzi, ma esistono due dimensioni del reale, l'una si raggiunge con la sola anima, l'altra si raggiunge con i soli sensi.
Per l'una il morto è vivo, per l'altra è morto.
Non siamo solo un “corpo”.
Per breve tempo un corpo tenta di starci vicino.
Legge della vita è la metamorfosi.
Poco o molto, ogni creatura cambia; nell'uomo cambia soprattutto l'anima.
La psiche di un uomo di tre anni è diversa da quella di uno di cinquanta o di settanta anni. La psiche umana si evolve continuamente, ma a qual fine?
Deve esserci una continuazione!
Se ci guardiamo attorno tutto è destinato a morire. La pianta dimostra il segno della sua morte, il corpo umano pure, ma la psiche si evolve e non muore assurgendo a dignità universale e perché?...
Non v'è uomo senza sensibilità estetica, dal semplice “è bello”, “è brutto” fino alla perfezione di Wagner e Michelangelo.
Non v'è uomo senza capacità matematica dal semplice “Uno più uno” fino all'altezza di Newton e di Einstein.
Non v'è uomo senza giudizio etico del semplice “è bene”, “è male”.
Queste facoltà immateriali fanno parte della nostra grandezza; ma non servono per trovare cibo, per accoppiarci, per riprodurci: sarebbero inutili se il nostro destino fosse soltanto terreno, come nel bozzolo sarebbero inesistenti le ali se la farfalla non fosse destinata al volo.
E di conseguenza dico che le facoltà dell'anima sono sproporzionate alla terra, in quanto preparano la metamorfosi.
Più ci avviciniamo all'anima più incontriamo leggi elevate e complesse.
I nostri muscoli sono retti da semplici leggi meccaniche; i nostri visceri da complicate leggi chimiche; i nostri nervi da ineffabili leggi elettriche (l'elettricità è una forza misteriosa di cui ci appaiono soltanto gli effetti diversissimi tra loro).
Patrik dice che se la corrente attraversa un filo sottile diventa luce; se il filo è grosso diventa calore.
In noi la corrente neuro- elettrica, passando per un nervo uditivo, diventa musica, per un nervo olfattivo, diventa profumo...
L'uomo è diverso da tutte le creature, perché la vita gli ha rivelato un segreto che nessun altro conosce: solo l'uomo sa di dover morire.
Lo ignora il mondo vegetale: l'alga non sa di dover perire; lo ignora il mondo animale: non lo sa né il mollusco né il pesce né l'uccello.
Tutti lo ignorano e vivono come se non dovessero morire mai.
È per questo che la flora e la fauna sono sempre più belle, più pure, più maestose, affascinanti, misteriose. Hai mai osservato un bosco?
Quanta pace, quanta serenità vi regna e vi regna inoltre il senso dell'eternità, della continuazione.
Invece l'uomo sa che alberi, piante, animaletti... tutti moriranno.
L'uomo solo si accorge che tutto finisce; solo l'uomo sa d'essere condannato a morte!
La vita ha dato agli altri esseri solo impulsi precisi e comprensioni necessarie; la vita ha affidato, invece, all'uomo il segreto della morte.
L'uomo può dare una risposta a mille perché, ma la morte è l'enigma che la vita gli pone. A lui solo. Affinché non se ne distragga, il pensiero della morte è sempre accompagnato dalla paura. Se l'uomo non avesse paura non penserebbe alla morte e sarebbe stato inutile rivelargli il segreto.
La vita affida a qualsiasi essere una propria funzione.
Affida alla farfalla la funzione riproduttiva, all'ape quella lavorativa: nasce già pronta per lavorare e, appena ne diventa incapace, muore.
All'uomo la vita ha affidato la più importante delle funzioni: la funzione conoscitiva.
L'uomo conosce il globo e l'universo; conoscere è il suo destino.
L'uomo si matura conoscendo e non si stanca mai di cercare la risposta ai perché della vita. Appena la risposta è giusta, cessa la paura di morire.
Vi è chi crede la vita senza ragione, retta dal caso. Per alcuni il proprio dio è il caso.
Ma qual è la differenza fra il Caso, meraviglioso creatore, e Dio, creatore meraviglioso?
Se veramente esistesse il mondo del caso, si avrebbe un mondo anarchico.
Le leggi andrebbero a dritta e a manca e si vedrebbe un bimbo diventare adulto e poi vecchio e si vedrebbe un vecchio ridiventare adulto e poi bambino.
Invece le leggi del mondo hanno la loro direzione precisa e intenzionale.
Vi è una legge che vuole l'uomo successivamente bambino, giovane, adulto, maturo, vecchio: è una legge che ha la sua ragione, perciò non si torna indietro.
La nostra vita terrestre è quella di un'anima che scende nel corpo, e che infine dal corpo si svincola. Più l'uomo è vicino all'anima, più la sua morte è facile.
I giovani che muoiono avvinti al corpo hanno agonie lunghissime.
I centenari diventano quasi incorporei, Spesso si spengono nel sonno.
L'ora della morte è l'ora della verità.
V'è una verità celata in ogni esistenza umana ed essa ci appare soltanto dopo la morte.
E se tu hai visto qualcuno morire avrai notato che la figura del morente si trasforma.
Non è più un frammentario motivo di buono o cattivo umore: la sua immagine, sino ad allora incompiuta, si delinea dinanzi definitiva e ne notiamo i valori che prima ci sfuggivano.”
(Mi piacerebbe scoprire l’autore che per ignoranza mi sfugge. E pregherei chiunque ne avesse notizia di comunicarmela. Ritengo davvero che sia un testo altamente convincente, per la conoscenza scientifica che evidenzia e per la “sapientia cordis” che la sostiene!).
                                                      (fine seconda parte)

Nessun commento:

Posta un commento