sabato 27 ottobre 2018

"Il secondo romanzo di Angela De Leo": analitica e colta relazione di Marco I. de Santis


Le piogge e i ciliegi di Angela De Leo (Secop, Corato 2018), come recita il sottotitolo, è La storia di un uomo straordinario, quella del nonno materno dell’autrice. Si tratta del suo secondo romanzo, anzi un «quasi romanzo», come si legge nell’introduzione. Perché «quasi romanzo»? Perché si tratta di un romanzo atipico, un romanzo di formazione sui generis, un romanzo-fiume in prima persona, un centone di retrospezioni, immagini, riflessioni e ricordi autobiografici, la cui matassa storica, che va dalla seconda guerra mondiale inoltrata al cosiddetto “boom economico” italiano, non viene dipanata in maniera lineare, ma districata a volte andando all’indietro e a volte muovendo in avanti.
In questo andirivieni memoriale affidato a un montaggio rapsodico, domina il dialogo a distanza col nonno materno, collocato in «un Altrove» ultraterreno, dialogo che in realtà è piuttosto monologo interiore, autoracconto. A cosa è dovuto il titolo Le piogge e i ciliegi? Le piogge si riferiscono al piacere condiviso da nonno e nipotina nel contemplare l’avvicendarsi di lampi e scrosci d’acqua durante i temporali. I ciliegi alludono all’abbondanza di cultivar cerasifere nei poderi del nonno, il quale vide nascere la nipotina in maggio assieme alle ciliegie.
La figura del nonno, associata alla natura e al mondo contadino, è fortemente mitizzata e sublimata. Nonno Mincuccio era la persona più capace di comprensione, protezione e tenerezza nei confronti della diletta nipotina, mancina contrastata a casa e a scuola a causa dei pregiudizi del tempo, «bimba ribelle e ciarliera», che solo lui riusciva dolcemente a domare e rettamente a guidare. In fondo, la capacità di sognare, poetare e raccontare, che le è propria, la nostra autrice la deve in massima parte all’avo materno, che definisce «cercatore di sogni e lampionaio di stelle» e «adorato nonno della pioggia e delle fiabe». Tutti gli altri personaggi (e sono tanti) non sono altro che satelliti che ruotano intorno al pianeta-nonno.
Nel libro vi sono continui richiami alla cultura contadina, perciò l’autrice riporta spesso lacerti del vernacolo di Bitonto sia nel dialetto arcaizzante, sia nel dialetto di tipo civile. Le piogge e i ciliegi, hanno molte pagine di sicuro richiamo, specialmente dove la prosa è ravvivata a tratti da un diffuso alito di poesia, che raggiunge il suo culmine nel cuore del libro con il settimo capitolo, intitolato La lettera, indirizzata a natale al nonno, da tempo ormai morto, dalla nipote Lina dopo aver subìto un terzo e assai complesso intervento a un femore, e l’ottavo capitolo, denominato Giochi e giocattoli, parole e bugie, “l’uomo del sacco” e la paura, che alle piccole menzogne, ai giganteschi timori e alle strane fobie infantili riserva pagine di grande finezza e penetrazione psicologica. In tal modo il lettore, attraverso il labirinto della memoria dell’autrice, inoltrandosi in una sorta di densa saga patriarcale, è condotto per mano in un viaggio intrigante nel paradiso perduto dell’adolescenza e soprattutto nel mondo mitico e fantastico dell’infanzia, con risonanze e suggestioni che non di rado si riconnettono al proprio vissuto.
Marco Ignazio de Santis

 Il mio carissimo amico Marco, studioso di lunghissimo corso di dialettologia e demologia, oltre che ottimo poeta e raffinato scrittore, ha sintetizzato al massimo il suo Intervento, tenuto nella serata di Presentazione del mio romanzo presso il Salone del prestigioso Palazzo vescovile di Molfetta (presentazione, di cui ho parlato ieri), per non "annoiare i lettori". 
Ho accettato, mio malgrado, questa sua "mutilazione" alla lunga e illuminante sua Relazione, ma senza molta convinzione, certa come sono che i lettori avrebbero gradito molto le sue attente e puntuali riflessioni sul dialetto bitontino, confrontato con quelli degli altri paesi del nord-barese, oppure le puntualizzazioni, dovute alla conoscenza profonda della nostra storia inserita nella più ampia Storia del nostro Paese e degli altri Paesi europei. 
Sono del parere, magari sbagliando, che, se un argomento è interessante ed è scritto in forma scorrevole e catturante, non bisogna auto censurarsi perché invoglia anche lo svogliato lettore di oggi a leggere e ad approfondire per un arricchimento personale. Anche questa, secondo me, può essere una nuova modalità di educazione alla lettura. Se riduciamo, infatti, sempre più i nostri scritti per il timore che nessuno li legga, finiremo col non avere più la possibilità di argomentare in maniera più analitica e profonda su argomenti che potrebbero aiutarci a riflettere meglio per fare delle scelte più oculate nei vari settori della vita e della nostra esperienza quotidiana. Ma è giusto che ci sia il più ampio rispetto per le altrui opinioni. Quando sono espresse, poi, da un amico di lunghissima data a cui sono legata da tanta stima e tanto affetto, allora non c'è ma che tenga. Buona lettura, dunque! e... a domani. Senza impegno, ma sul filo dell'empatia che ci unisce...  

Nessun commento:

Posta un commento