Le piogge e i ciliegi di
Angela De Leo (Secop, Corato 2018), come recita il sottotitolo, è La storia di un uomo straordinario,
quella del nonno materno dell’autrice. Si tratta del suo secondo romanzo, anzi
un «quasi romanzo», come si legge nell’introduzione. Perché «quasi romanzo»?
Perché si tratta di un romanzo atipico, un romanzo di formazione sui generis, un romanzo-fiume in prima
persona, un centone di retrospezioni, immagini, riflessioni e ricordi
autobiografici, la cui matassa storica, che va dalla seconda guerra mondiale
inoltrata al cosiddetto “boom economico” italiano, non viene dipanata in
maniera lineare, ma districata a volte andando all’indietro e a volte muovendo
in avanti.
In questo andirivieni memoriale affidato a un
montaggio rapsodico, domina il dialogo a distanza col nonno materno, collocato
in «un Altrove» ultraterreno, dialogo che in realtà è piuttosto monologo
interiore, autoracconto. A cosa è dovuto il titolo Le piogge e i ciliegi? Le piogge si riferiscono al piacere
condiviso da nonno e nipotina nel contemplare l’avvicendarsi di lampi e scrosci
d’acqua durante i temporali. I ciliegi alludono all’abbondanza di cultivar
cerasifere nei poderi del nonno, il quale vide nascere la nipotina in maggio assieme
alle ciliegie.
La figura del nonno, associata alla natura e al mondo
contadino, è fortemente mitizzata e sublimata. Nonno Mincuccio era la persona
più capace di comprensione, protezione e tenerezza nei confronti della diletta
nipotina, mancina contrastata a casa e a scuola a causa dei pregiudizi del
tempo, «bimba ribelle e ciarliera», che solo lui riusciva dolcemente a domare e
rettamente a guidare. In fondo, la capacità di sognare, poetare e raccontare,
che le è propria, la nostra autrice la deve in massima parte all’avo materno,
che definisce «cercatore di sogni e lampionaio di stelle» e «adorato nonno
della pioggia e delle fiabe». Tutti gli altri personaggi (e sono tanti) non
sono altro che satelliti che ruotano intorno al pianeta-nonno.
Nel libro vi sono continui richiami alla cultura
contadina, perciò l’autrice riporta spesso lacerti del vernacolo di Bitonto sia
nel dialetto arcaizzante, sia nel dialetto di tipo civile. Le piogge e i ciliegi, hanno molte pagine di sicuro richiamo,
specialmente dove la prosa è ravvivata a tratti da un diffuso alito di poesia,
che raggiunge il suo culmine nel cuore del libro con il settimo capitolo,
intitolato La lettera, indirizzata a
natale al nonno, da tempo ormai morto, dalla nipote Lina dopo aver subìto un
terzo e assai complesso intervento a un femore, e l’ottavo capitolo, denominato
Giochi e giocattoli, parole e bugie,
“l’uomo del sacco” e la paura, che alle piccole menzogne, ai giganteschi
timori e alle strane fobie infantili riserva pagine di grande finezza e penetrazione
psicologica. In tal modo il lettore, attraverso il labirinto della memoria
dell’autrice, inoltrandosi in una sorta di densa saga patriarcale, è condotto
per mano in un viaggio intrigante nel paradiso perduto dell’adolescenza e
soprattutto nel mondo mitico e fantastico dell’infanzia, con risonanze e
suggestioni che non di rado si riconnettono al proprio vissuto.
Marco Ignazio de Santis
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