domenica 28 ottobre 2018

"Poesie per mia madre, Elda Zupo" di Mariella Bettarini


                         “A MO’ DI (MINIMA) INTRODUZIONE
Queste poche, scarne, spero non indegne poesie (poesie? Piuttosto lacerti di esistenza, di memoria, di doloroso amore, di indicibilità, quasi) per tentare di colmare - con la parola - un vuoto,  il  vuoto  che  la  morte  di  mia  madre  Elda  ha lasciato in me”.
Credo sia opportuno partire da questa difficoltà iniziale di Mariella Bettarini di parlare a sua madre dopo il “vuoto” che lei, con la sua morte, sia pure attesa con rassegnata abnegazione e vigile tenerezza, le ha lasciato. Un vuoto che, a stento ora, tenta di colmare con alcune dolenti, sussurrate, rabberciate, ma profondamente belle poesie. Talmente belle da commuovermi e da lasciarmi senza respiro. Riportandomi alla stessa esperienza, da me vissuta (nel 2001) con altrettanto dolore, come sempre accade quando la Perdita di nostra madre diventa la nostra Perdita. E non sappiamo più chi siamo, avvertendo per la prima volta la condizione di “orfana”, la cui radice deriva dal latino “orbus”, ossia “privo”, ed io completerei: “privo di sé”. E chi è privo di sé dimentica il proprio nome, la propria identità, il tempo e il luogo in cui si trova. Dolorosa sensazione quanto la Perdita stessa della persona a noi più cara, perché è perdita della parte essenziale di noi. Sentiamo ancora il suo sangue scorrere nelle nostre arterie e vene, il suo cibo amoroso che ancora ci alimenta, la sua stessa vita che ci attraversa.
“che m’è rimasto? di te
che m’è rimasto? e che è rimasto senza te? ricordo (vago) - pensiero
latente (un cogente - volatile pensiero) -
ostinato dir niente - uno scrivere niente
(affaticato) - un niente fare
di quel che - tu presente - facevo - fabulavo -
dicevo - ero

evi fa ero: 
ora non so - non più - non già: mistero
e non mistero - diroccato pensiero - maniero andato -
faticante sentiero 
e poi tanto silenzio verace - menzognero”
In questi versi, che sembrano singhiozzare e frammentarsi tra le lacrime, ecco l’identità perduta con i verbi all’imperfetto di un passato in sospensione, non finito del tutto perché sempre presente, ma già raccontato come una fiaba triste, nel cui bosco oscuro si sono perse le tracce dello stare insieme e del riconoscersi e ritrovarsi nella quotidianità dei gesti, delle parole, delle faccende domestiche condivise.
E in ogni verso viene fuori la poesia di Mariella Bettarini che, nonostante la perdita di sé, e la difficoltà di articolar parole, non dimentica la sua anima poetica, che affiora superba nelle parole classiche e nuove che la compongono, quasi un richiamo antico mai dimenticato, nella necessità di confermarsi nel proprio tempo e con uno stile del tutto personale.
Ma ecco un’altra poesia a darci l’idea della perdita/non perdita di sua
madre nella sua quotidiana presenza accanto a lei…

“e passano giornate (come passano) - e passano di qua - e                
uguali passano - e lente e svelte come folli fulmini
e tu passi e non passi - non passi mai - non passi più - 
non hai più passi per passare di qua
e tuttavia sapessi come stai - come permani - come non pass
come non finisci mai d’essere - di passare”.
Meravigliosa poesia, in cui Mariella usa il verbo “passare”, in riferimento al tempo che “fugge” in gran fretta, e che tenta di portarsi via la madre con i suoi passi che vanno e che restano, e lo converte (quel verbo, appunto) nel sostantivo ‘passi’ di lei che non passano mai. Perché “non finisci mai d’essere - di passare”: di esistere e di passare con i tuoi passi.
E ci sembra di vederla la signora Elda passeggiare per la stanza, presente più che mai agli occhi di sua figlia e al suo cuore. 
E magicamente, plasticamente presente anche ai nostri occhi.
Elda Zupo, una donna straordinaria nella sua semplicità vocazionale ad amare incondizionatamente, a cui Mariella Bettarini, in seguito alla sua morte, dedica, a fatica, questo canzoniere di grande tenerezza.
“'ricordi quando ridevàmo?' (m’immedésimo) - 
'e quando io piangevo (zitta) per te - per i tuoi/ nostri dolori?' (mi ricordo) - 'e quando
facevi tardi con me a quel minimo
         scrittoio - per aiutarmi (io ragazza di scuola)
         a ripassare - a studiare?' -

'e quando e quando… - e quanto son vissuta con te - 
tu con me - materna madre
così naturale come acqua di fonte -

                                       di grande bontà
 come fonte'

questo sentire oggi desueto mi pare - 
questo potere darsi e                
                   dare - questo amare
fluente come mare - e tu n’eri maestra
e non volerlo
proprio senza saperlo -
                                    e non volerlo
proprio per non sapere".
E ancora:
proprio per non sapere
“son qua - son senza suono e voglio raccontarti? ri-partire?
 narrarti? - matta che sono! basterà se riesco (ma riesco?)
 a ri-accennarti - abbozzare la tua effigie - ri- abbracciarti -
ri-trovare minuzzoli di vita - ritentarti (non certo riuscire a darti
la parte pur millesima di quanto hai dato a me)
         nient’altro madre

                                                                 e riposarmi in te
         e dunque ri-posarti - ché sei nel tuo

lungo riposo -                                    e io son stanca -


         nel tuo bianco silenzio -
                                                                       sei
e io tento di lavorare di parole e tu sei ancòra il sole
ed io ti vengo dietro”.
E Mariella visualizza molto bene la fatica di doverle scrivere, ora che non c’è più e il vuoto è troppo vuoto da colmare con le parole che stenta a mettere sul foglio bianco, con i trattini che frantumano i pensieri, già frantumati dentro, e che non danno scampo neppure nei versi. Sono lì. A significare l’inciampo, il punto fermo, il silenzio, la lenta e faticosa ripresa, con un’Arte poetica che non si fa imbrigliare e che vortica, quasi all’insaputa dell’autrice, perché fa parte della sua carne e del suo sangue. 
È la stessa sua anima. 
Mariella, troppo provata dal dolore, non si accorge della sua incoercibile poesia che, come sua madre, e sua seconda madre, non l’abbandona: la prima l’ha generate alla vita, la seconda all’Arte della parola che è Verbum ed “è” all’origine dei tempi e “sarà” fino alla fine.
 “credi: se scrivo non so più che scrivo - se parlo
non so più come farlo - lo faccio (vedo)
 goffamente - come per replicare le parole
                                            per re-plicarmi - 
ma impallidiscono nel sole…”.
Una percezione di sé sbagliata, come si può notare, pur non potendo fare a meno di constatare che continua a vivere e a scrivere, nonostante tutto:
“eppure vado avanti -
e mangio - e vivo - e dormo -
e invecchio - e non guardo allo specchio
(quasi più) la mia faccia…”.
In realtà, Mariella sente che scrivere di sua madre e a sua madre è come scrivere a sé stessa e di sé stessa, perché ora mamma Elda e lei sono una cosa sola. Lei è sopravvissuta al dolore perché sua madre non l’ha mai perduta veramente, in quanto è lì, annidata nel suo cuore:
"m’immedésimo in te - ti porto (e porterò)
sempre con me - ma non facendo alcuna fatica - perché
                             se io sono (in) te - tu

non sei morta - e se tu resti in me…”.
E così:
“con te ragiono senza te - e ancòra
delle tue belle stelle m’incoròno”.
E ancora:
“vedi - madre - che se scrivo di te scrivo di me (e viceversa) -”.
E poi:
“son qua - son senza suono e voglio raccontarti? ri-partire?
narrarti? - matta che sono! basterà se riesco (ma riesco?)
a ri-accennarti - abbozzare la tua effigie - ri- abbracciarti –
ri-trovare minuzzoli di vita - ritentarti (non certo riuscire a darti
la parte pur millesima di quanto hai dato a me)

            nient’altro - madre -

e riposarmi in te     e dunque ri-posarti - 
ché sei nel tuo
lungo riposo - 
                                                            e io son stanca -

nel tuo bianco silenzio - 
ed io tento di lavorare di parole e tu sei ancòra il sole
ed io ti vengo dietro”.
Infine, assodata questa presenza/immedesimazione, ecco affiorare, nella seconda sezione della silloge, i ricordi: “ricordo che raccontavi - raccontavi: di Maria (tua madre - da me mai conosciuta) che…”. 
Oppure:
 “e raccontava - raccontava che il nonno
(suo padre calabrese - Francesco detto “Ciccio”)
da ragazzo scappò con un cugino coetaneo 
dal paese natale (Strongoli: Magna Grecia) per vedere il mare…”
E potrei continuare ancora e ancora a raccontare anch’io, attraverso le poesie di Mariella Bettarini, il suo immenso amore per questa “madre/matrice” di ogni dono che lei avverte in sé e da lei si propaga ai tanti suoi lettori ed estimatori.
Ma rischio di scrivere un trattato, come l’autrice merita indubbiamente. Mi preme, invece, come Mariella desidera, concludere con la biografia di quella straordinaria donna, Elda Zupo, dalla superba voce, offesa nel suo talento più grande.
Una ferita da cui è emersa in tutto il suo splendore di Madre. Onnipresente ed eterna.
            
          "BREVE BIOGRAFIA DI ELDA ZUPO (scritta da Mariella, sua figlia)

Elda Zupo, nata a Voghera (Pavia) il 27/1/1913 - figlia di Francesco, calabrese di Strongoli (Crotone) e di Maria Ottone, lombarda -, era stata cantante lirica e aveva studiato al Conservatorio di Parma e poi al Centro di Avviamento Lirico del Teatro Comunale di Firenze, dove   aveva incontrato il Maestro Luciano Bettarini, suo insegnante. Nel 1940,  proprio  in  quel  teatro,  a  Firenze,  aveva  debuttato nell’opera “Il matrimonio segreto” di Domenico Cimarosa (opera poi interpretata anche alla “Fenice” di Venezia, al “Massimo” di Palermo, e altrove).
Suoi compagni di studio, in quegli anni, furono cantanti poi divenuti celebri, come Ferruccio Tagliavini, Gino Bechi, Fedora Barbieri (con la quale aveva debuttato nellopera suddetta), ecc.
Sposatasi col Maestro Luciano nel 1941, di fatto cessò la sua carriera di soprano divenendo casalinga, moglie e madre (nel 1942 nacqui io, Mariella e nel 1946 mio fratello, Paolo), e cantando sporadicamente solo in casa, accompagnata al pianoforte dal marito.
Trasferitasi con marito e figli a Torino (1951-1952), poi a Roma (1952-1965), da qui tornò a vivere con i figli a Firenze, subendo un doloroso quanto “necessario” divorzio.
Ha avuto la gioia d’essere nonna di tre nipoti, i figli di Paolo e Margherita: Laura, Andrea e Chiara.
È morta a Firenze il 22 novembre 2003."
E a me non resta che stringerti, carissima Mariella, con braccia avvolgenti come nido di poesia e di affetto sororale.
                                                                            Angela De Leo

1 commento:

  1. Angela,un bellissimo pensiero, mia mamma non c'è più da mesi, ho tanta voglia di vederla, io la immagino che entra in camera mia, continuiamo a immaginarla è come se le fossimo ancora vicini

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