Oggi in primo piano
sono le ali degli Angeli Custodi, che identifichiamo con i Nonni: Ali d’Amore e
di Protezione verso i propri nipotini e verso tutti i bambini. L’anziano, non a
caso, veniva un tempo spesso chiamato “nonno”. Oggi forse non più, ma ai giorni
della mia infanzia e adolescenza era l’appellativo che di solito davamo a
quelli che avevano i capelli bianchi, mentre ignoravamo perlopiù le ferite
profonde e le dolorose esperienze che si portavano nel cuore. Da quei capelli
bianchi (e radi) noi ricavavamo quel senso di protezione che faceva da scudo
alle nostre paure. Gli Angeli Custodi servivano a questo. A esorcizzare le
paure palesi dei bambini e quelle inconfessate degli adulti. Ed è bellissimo
quell’aggettivo “custodi”, che ci tranquillizzava e ci tranquillizza perché
significa che vegliano costantemente sulla nostra preziosa anima, che affidiamo
con “fiducia” appunto alla loro cura e premura. Si custodisce un bene prezioso,
infatti. Poi, sono subentrati i Nonni a dare manforte agli Angeli e le ali si sono
raddoppiate perché anche le paure si sono moltiplicate a dismisura in un mondo
di lupi e di avvoltoi, in un deserto di sentimenti e di solidarietà. A chi
abbandonarci con fiducia ormai? Ed ecco i Nonni, che si affiancano agli Angeli
Custodi (e oggi sempre più spesso li sostituiscono, non credendo più nel
soprannaturale).
Ancora uno stralcio,
dunque, del mio romanzo “Le piogge e i ciliegi”, che proprio oggi presento a
Trani, nella Università Popolare di Santa Sofia, alle ore 19 (mi piacerebbe
davvero abbracciarvi in tanti), per festeggiare Nonni e Nipotini (anche quelle
persone anziane che non hanno la gioia di stringere tra le braccia un nipotino,
ma hanno ali grandi di protezione nel cuore), facendo riferimento a un Nonno
meraviglioso e straordinario: Nonno Mincuccio, che con fiabe e tenerezze
scacciava le mie paure e custodiva il candore della mia anima…
(…) Neanche delle mie
paure, comunque, io dicevo niente a te o alla nonna, né a mamma o a Lizia.
Contro quella dei
santi a punirmi recitavo con il cuore in tumulto tutte le preghiere che
conoscevo e mi fermavo a lungo su quella dell'angelo custode:
“Angelo di Dio/
che sei il mio custode/ illumina custodisci/ reggi e governa me/ che ti fui affidata/ dalla pietà celeste. Amen”.
A cui seguiva la mia
personale invocazione: “Gesù, proteggimi Tu”.
E, ancora: “Gesù,
mi metto nelle Tue mani, prendimi Tu, tienimi stretta fino a domani”. Le
preghierine della sera che mamma ci aveva insegnato. Sentivo inconsciamente che
Gesù e la Madonna erano più importanti di tutti i santi e, quindi, era a loro
che dovevo rivolgere le mie preghiere. Certo, il mio Angelo Custode era con me.
Lo toccavo, lo sentivo, ci chiacchieravo. Pure, non mi sentivo per niente
tranquilla. Nel mio letto avevo accanto Lizia, ma non mi sentivo tranquilla,
non conoscevo i suoi pensieri. Non ce li scambiavamo.
Gesù doveva prendere
tra le Sue mani tutte e due e non ero sicura che ce la potesse fare.
‘E se Lizia aveva
detto prima di me la stessa preghiera? E se Gesù aveva già le mani occupate, io
che fine facevo? E se l’angioletto non riusciva a proteggermi perché era anche
lui piccolo e bisognoso della protezione di angeli dalle ali molto più grandi,
io che fine ma che brutta fine facevo?’, questi, invece, i miei pensieri che
conoscevo benissimo.
Di Lizia io non
sapevo proprio nulla. Lei probabilmente sapeva molte più cose di me. E, così,
mi rivolgevo soprattutto a te che sicuramente c’eri più di Gesù e di Sua Madre,
che non vedevo, e dell’angioletto che veniva chiacchierare con me ma era troppo
piccolo perché mi potessi fidare di lui. Certo, le preghierine le dicevo, ma
per lasciarmi una possibilita: “non si sa mai”.
Solo da te mi sentivo realmente protetta e al sicuro
e il sonno mi vinceva
Di giorno, invece, la
casa s'illuminava di sole, di voci, di persone e io non avevo più paura. Facevo
piroette di felicità.
(Ma più volte in
questi anni mi sono chiesta: quanto sono ingombranti le paure dei bambini,
quanto sono pericolosi i loro lunghi silenzi, intrisi di paure? A volte noi
adulti non vi facciamo caso, eppure anche i bambini si fermano a pensare le
proprie paure e lo fanno in silenzio. Non si può pensare se non si fa silenzio,
che è l'attimo del buio più profondo che prelude all'aurora, alla luce. Il
pensiero è luce? Sì, ne sono convinta. È la luce che nasce dal buio. È come per
le chiese. Le cattedrali. Soprattutto quelle gotiche. Buie e silenziose. È
nella penombra che fiorisce la preghiera. La meditazione. Che è pensiero
profondo. Il silenzio ha bisogno del buio, perché i pensieri fioriscano poi
come esplosione di luce: vita che si veste di parole, di gesti, movimenti,
stupori. Sono solo di paura i pensieri dei piccoli nel silenzio? Perché gli
adulti non sanno leggere nei loro pensieri? Persino tu, così attento alla
nostra infanzia da proteggere e coccolare, non ti accorgevi dei miei pensieri
di paura. E io, che amo tanto penetrare nell’animo umano, anche io non ho mai
avuto il tempo di ascoltare il silenzio dei miei bambini. Non me lo sono mai
dato, mai concesso il tempo prezioso per leggere nel silenzio dei miei figli.
Per sapere delle loro paure.
C’è sempre qualcosa che mina
l’armonia del nostro essere al mondo, del nostro vivere insieme. Ecco, io so dai
ricordi della mia infanzia, sempre molto nitidi e presenti, che i bambini
pensano la paura: temono di essere abbandonati. La paura dell'abbandono o
“complesso di Pollicino” rimane sempre presente, anche se latente, in ogni
essere umano: bambino o adulto che sia. Anche se quest'ultimo difficilmente
avrà il coraggio di ammetterlo.
Ricordo
che persino il momento di puro divertimento sulle giostrine era
carico
di paura. Tu o mamma, o tutti e due insieme mi mettevate nella carrozza della
principessa, magari anche con Lizia, ma io vi seguivo con lo sguardo per non
perdevi di vista per la paura che spariste al controllo attento dei miei occhi.
E la gioia si trasformava in ansia di non vederti, di non vedere mamma, di non
vedervi più. Di
essere abbandonata, appunto. Di un distacco forzato.
È come se i piccoli anticipassero
in sé il pensiero della morte senza averne contezza. Difficilmente un bambino
pensa la gioia perché è egli stesso essenzialmente esplosione di gioia. La
gioia la vive. Non la pensa. È la paura che gli si attacca addosso e lo insegue
fino a che non riuscirà a superarla nei vari stadi della sua crescita. Spesso
da solo. Altre volte con l’aiuto delle persone care. Ma ci sono paure che lo
accompagneranno per tutta la vita. Vissute in silenzio. A chi o a cosa dobbiamo
la loro persistenza?).
E siamo tutti
invitati a darci delle risposte…
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