lunedì 11 gennaio 2021

Lunedì 11 febbraio: nel Retino resoconto commenti, riflessioni, poesie (e tanto altro ancora)...

Dopo l’incontro di venerdì 8 gennaio, sto cercando di fare il punto di quante parole, nelle prime dieci puntate, sono state catturate nel retino e analizzate da parte mia e vostra, tra una quasi verità e una quasi fantasia, con dovizia di particolari e tanta leggera profondità. Siamo partiti da RETE e RETINO per analizzare subito dopo le FINESTRE, con le loro molteplici declinazioni, nei libri di Primo Leone (silloge di poesie), Nicola Pice (antologia poetica), Vito Di Chio (saggio critico). Ed ecco la PIOGGIA, tema multiforme di cui si è fatta suggeritrice Francesca Pice con vari apporti poetici. Abbiamo parlato poi di VIGILIA in tutte le sue varie accezioni, suggeriteci da Vito Di Chio, alle cui felici e colte riflessioni e contestualizzazioni si sono aggiunte anche le mie in riferimento alla SOGLIA e, in qualche modo, anche al DAVANZALE. Ed è stata la volta del DOLORE e della GIOIA, con numerosi commenti da parte vostra dando inizio ad una fattiva interazione, che io mi auguro diventi sempre più corale per un arricchimento reciproco e per un continuo arricchente confronto, arricchente per tutti. Inevitabile è stato poi affrontare la parola TEMPO, al passaggio dal vecchio al nuovo anno. E anche il tempo è stato setacciato nelle sue frammentazioni e ricomposizioni tra presente, passato e futuro. Tra MEMORIA e RICORDI, tra ATTESA e SPERANZA. E la VITA, tra il chiarore dell’ALBA e la realtà del GIORNO, con tutti i suoi   LIMITI. Che andremo ancora a puntualizzare.
Ma il Retino si va facendo sempre più pesante di antiche e nuove voci che attendono impazienti di essere protagoniste delle prossime puntate.
In pratica, in soli due mesi e mezzo, abbiamo messo sotto la lente d’ingrandimento della nostra sensibilità poetica circa 18 parole. E a breve si aggiungerà CLESSIDRA, che fa parte ancora del tempo e che, sin da subito, ha suscitato la curiosità culturale di Marisa e Liliana Carabellese, due carissime amiche che seguono il nostro Retino e il Blog.
Piano piano, ma anche abbastanza velocemente, stiamo perseguendo lo scopo principale del mio Retino: la condivisione della bellezza e dei nostri punti di vista in un sereno “incontro” con la POESIA.
 E ora vorrei concludere il discorso di venerdì sul “TEMPO FERMO”, la poesia di Lizia De Leo che voi tutti conoscete, dedicata alla perdita devastante e improvvisa della sua carissima amica Anna Grazia Moretti. Poesia, che contavo di poter commentare durante la diretta ma che, per mancanza di tempo, è rimasta impigliata nelle mie parole affastellate alla meno peggio e senza senso perché ormai in via di fuga. Riprendo con le poesie di Primo sul “tempo di prima, durante e dopo” per poter fermare il mio sguardo su un’altra possibilità di tempo, quella del “tempo fermo” appunto. E la leggo con profonda commozione e immenso rispetto per un dolore, quello di mia sorella e di quanti hanno amato e apprezzato la dottoressa Grazia, che ha interrotto consuetudini, parole, risate, ma certamente non il grande sentimento che continua a sollecitare lo strazio dell’assenza fisica che diventa fortissima presenza nell’anima:
Il tempo è fermo./ Tempo interrotto./ Tempo infranto.// Né prospettive/ né speranze.// Memorie dolorose/ costruiscono/ i legami negati/ che la morte/ non può distruggere.// E la vita divora i giorni/ divora gli affetti.// Solo parole esauste/ nello strazio cristallizzate.// Il tempo è fermo/ nel tuo parlare/ e parlare.// E su noi due che (era vero?)/ ridevamo insieme…  
Ecco un tempo che interrompe la sua fluidità e il suo scorrere indifferente alle vicende umane. È fermo. Per troppo dolore. Tempo interrotto bruscamente. E, proprio per questo, andato in frantumi. Lasciando davanti a sé il vuoto dei giorni futuri. Ma, per fortuna, non le prospettive o le speranze, ma le memorie tessono ancora intrecci di “legami negati” che vincono persino la morte, mentre la vita divora giorni e affetti. E il reiterato “divora” ci crea uno sgomento di tempo vorace che ci assale quotidianamente senza concederci tregua. E, in tanto strazio, la poetessa avverte persino la stanchezza delle sue parole che non le offrono un respiro… In realtà, il tempo è fermo ma dilatato sul profluvio di parole (lo scorrere ininterrotto, in un movimento che è ancora vita!) che connotava Grazia e ancora la connota, come la sua lunga contagiosa risata. Il dolore per l’assenza fisica fa sorgere anche il dubbio, nell’Autrice, che tutto ora sia una invenzione della mente per non naufragare del tutto. Ma quelle coinvolgenti risate erano vere. E il tempo, ora pietoso, si ferma a dilatarne la gioia della condivisione. Ed è questa condizione di un tempo che rinnova amore e ancora amore a restituire a Lizia parole vive e pulsanti di mai spenta vita, mai spenta poesia. Serve solo spostare il punto di osservazione per scoprire che niente muore del tutto se è radicato nel nostro cuore. (Così alitando sul vetro, si/ tracciano / le iniziali di coloro alla cui/ assenza / non ci si può rassegnare (I. A. Brodskij)
Ed ora, ecco una poesia di Leonardo Sciascia, che Francesca Pice si è premurata di inviarmi, nel giorno del centenario della nascita dello scrittore/poeta. Grata del dono ricevuto, sono felice di riportare qui quanto Francesca ha scritto: … in occasione del centenario di Leonardo Sciascia, mi piace soffermarmi su un’immagine quasi inedita, eclissata, dello scrittore siciliano che fu anche poeta e autore della bellissima raccolta di versi “LA Sicilia, il suo cuore”, pubblicata nel 1952 in un’edizione di pregio di 111 copie numerate accompagnate dai disegni dello scultore catanese Emilio Greco. Lo faccio con la lettura “virtuale” di una poesia dall’andamento prosastico che ricorrendo a lucide immagini disegna “una raggiera di nostalgie” sulle quali si spande l’odore acre della campagna e “la strabica pupilla del sole” che si fa sempre luce di vita
“Pioggia di settembre”: Le gru rigano lente il cielo,/ più avido è il grido dei corvi;/ e il primo tuono rotola improvviso/ tra gli scogli lividi delle nuvole,/ spaurisce tra gli alberi il vento./ La pioggia avanza come nebbia,/ urlante incalza il volo dei passeri./ Ora scroscia sulla vigna, tra gli ulivi;/ per la rabbia dei lampi preghiere/ cercano le vecchie contadine./ Ma ecco un umido sguardo d’azzurro/ aprirsi nel chiuso volto del cielo;/ lentamente si allarga fino a trovare/ la strabica pupilla del sole./ Una luce radente fa nitido/ il solco dell’aratro, le siepi s’ingemmano;/ tra le foglie sempre più rade/ splende il grappolo niveo dei pistacchi. Un caro abbraccio F.
Ed ecco la mia risposta: Mia carissima Francesca, che gioia risentirti. E che bello quello che mi scrivi. Amo molto Sciascia e mi ha emozionato molto la bellissima poesia che mi hai trascritto col tuo sintetico ma ottimo commento. Lo riporterò sul blog nei prossimi giorni. Oggi temo di non poter fare neppure un piccolo riferimento. Hai colto perfettamente lo spirito del mio Retino e te ne sono grata. Quanto alla poesia “Pioggia di settembre” è la testimonianza che Sciascia non è solo, il grande scrittore della denuncia politico-sociale de Il giorno della civetta e del suo impegno contro la mafia, ma anche un grande poeta. Bella la tua brevissima analisi, e oggi è proprio il giorno adatto per sentirla fin dentro le ossa: piove a dirotto e fa molto freddo. Ma appena possibile mi piacerà, durante il Retino, aggiungere un mio commento. E da fb catturo un’altra bellissima poesia di Leonardo Sciascia, riportata alla memoria da Marino Pagano, altro poeta e cultore della Poesia, oltre che giornalista, studioso di storia locale e tanto altro ancora. A lui, ignaro di questa mia "cattura", va il mio grazie:
“AD UN PAESE LASCIATO”: Mi è riposo il ricordo dei tuoi giorni grigi,/ delle tue vecchie case che strozzano strade,/ della piazza grande piena di silenziosi uomini neri./ Tra questi uomini ho appreso grevi leggende/ di terra e di zolfo, oscure storie squarciate/ dalla tragica luce bianca dell’acetilene./ È l’acetilene della luna nelle notti calme,/ nella piazza le chiese ingramagliate d’ombra;/ e cupo il passo degli zolfatari, come se le strade/ coprissero cavi sepolcri, profondi luoghi di morte./ Nell’alba, il cielo come freddo timpano d’argento/ a lungo vibrante delle prime voci; la case assiderate;/ in ogni luogo la pena di una festa disfatta./ E i tramonti tra i salici, il fischio lungo dei treni;/ il giorno che appassiva come un rosso geranio/ nelle donne affacciate alla prora aerea del viale./ Una nave di malinconia apriva per me vele d’oro,/ pietà ed amore trovano antiche parole.
E, intanto, un altro grande Poeta del Novecento letterario italiano ci ha detto addio. Parlo di Franco Loi e della sua poesia realistica e spirituale insieme, ricca di arcaismi e neologismi, di pregnanza dialettale per raccontare gli oppressi e gli ultimi con grande carità cristiana, non disgiunta da una forte carica polemica, ironica, profetica. Sarebbero molto graditi e interessanti i vostri commenti alle due poesie di Sciascia, tanto diverse eppure tanto simili nella descrizione così rammemorante dei luoghi del cuore. E a qualche poesia più significativa di Loi. Spero di poterne parlare anche nel Retino. Infine, ci sono ancora nuovi vostri commenti che mi fanno molto piacere e mi suggeriscono che stiamo percorrendo insieme “la retta via”. Ecco cosa mi ha scritto oggi Giulia Basile: Angela sei una fonte di acqua fresca e limpida in un mondo che affoga in acqua stagnante, e tu, invece di adagiarti col passare degli anni in giorni pigri e indolenti, tu fai dei tuoi pensieri un fresco ruscello dissetante per chi sa apprezzare la vita. Grazie per i tuoi stimoli. Bella anche la poesia “Errare” di Mariateresa. (Giulia Basile). Non ricordo se già ve l’ho proposta nelle puntate precedenti del mio blog. Nel dubbio, eccola. È davvero molto originale e profonda. Mariateresa mi scrive: E a proposito della consapevolezza di un ESISTERE che è inno a ciò che di umano ancora resiste... eccone un'altra! “Errare”: Eccomi piuma di un'ala esausta di peso sottrarsi al greve di un fare disfatto./ Eccomi grafia di un verso incompiuto sprecato nello spazio di un rigo troppo stretto./ Eccomi braccia esili a sorreggere un improvviso sapere di sé che imbavaglia l'attimo./ Eccomi chiodo, finestra, focolare. /Eccomi errore nell'errare. Da commentare. È un invito a me. È un invito a voi. E sono davvero felice di tutto questo e della stima affettuosa e sincera verso altri poeti e scrittori che partecipano attivamente al nostro Retino. È questo lo spirito giusto: stare insieme per fare insieme un percorso di reciproca conoscenza e di apprezzamento di quanto ci unisca in nome della scrittura e della poesia. Grazie. E, a questo proposito, vorrei concludere citando la “Rete di Indra”, tramandata dalla tradizione buddhista.
L’UNIVERSO è costituito da una immensa RETE che attraversa tutto l’infinito e abbraccia tutte le esistenze passate, presenti e future in un eterno presente e ogni esistenza è parte della rete e si interseca con le altre in nodi che culminano con infinite “gemme” luminose. La immensa rete di fili colorati e lucenti vive di “interesistenza” e di interdipendenza le une con le altre. E sono tutte attraversate dalla stessa luce in ugual misura e splendore. Se appare una, appaiono tutte. Ma, se la luce per una frazione di millesimo di secondo dovesse spegnersi anche tutte le altre si spegnerebbero. È, a mio parere, una metafora molto bella che ho fatto mia da quando per la prima volta mi capitò di “incontrare”, nel saggio di Francesco Bellino Giusti e solidali: fondamenti di etica sociale, nei lontani anni Novanta, la “Rete di Indra”. Saggio davvero illuminante. Il mio minuscolo Retino è partito proprio da quella magica RETE, ma l’emozione del nostro primo incontro della durata di cinque minuti non mi diede il tempo di parlarvi del respiro di infinito ad essa sotteso. Tra l’altro, il monaco buddhista Thich Nhat Hanh, poeta e attivista vietnamita per la pace, ormai ultranovantenne, parla di “inter-essere” tra le diverse creature del Creato. Dunque, di interconnessione della nostra esistenza a quella di tutti gli altri esseri che respirano l’Universo e si nutrono del mistero della vita nell’Infinito. È una teoria filosofico-poetico-spirituale di straordinaria bellezza e saggezza, a cui davvero e bello ispirarsi. Lo faremo insieme. Con AMORE e l’ARMONIA, ricchi della nostra interesistenza, del nostro illuminarci (in tutte le possibili accezioni) a vicenda… Grazie a tutti e a domani. Vi abbraccio. Angela

1 commento:

  1. Tutto molto illuminante! Sempre grazie! Come d'abitudine condivido qui alcuni versi scaturiti dall'ultimo appuntamento con il "Retino".

    Tutto e niente

    Tra tutto e niente leggo il labiale
    nella vita intrauterina che è alba
    di promesse mai pronunciate,
    nuda luce dimentica di sé.

    Nel tra di un passaggio
    si gioca il tutto.

    Il suono ribelle dei musi lunghi,
    gli anni di lune che inciampano
    e ostinate riprendono a innescare sogni, i muri spigolosi di delusioni,
    le mute deflagrazioni.

    Tutto e niente il nostro abitare case
    nel vivere incerto di palude.


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