La Festa
di Ognissanti è particolare, perché prelude alla Commemorazione dei Defunti. Dunque,
è la soglia del dolore da vincere con la condivisione della speranza che il
primo giorno di novembre ci dona, in quanto ci ricorda la gloria e la gioia di
tutti coloro che vivono ormai nella LUCE perché sono stati “uomini di buona
volontà” su questa Terra, operando per il bene comune con amore, carità,
giustizia, fratellanza.
Questo
il senso che io do alla festa di Tutti i Santi, che già ci vede in preghiera
per i “nostri” cari perduti alla “nostra” vista, ma annidati nella “nostra”
anima e amati più che mai perché affrancati dalla quotidianità dei gesti e
delle parole, delle attese spesso disattese e delle intese non sempre vissute
in comunione d’intenti. Equivoci e ambiguità comportamentali che spesso
configurano, tra i vivi, progetti delusi e
sconfitte inevitabili: ferite che,
magari senza volerlo, infliggiamo proprio a chi ci è più caro o che, nostro
malgrado, siamo costretti a subire dalle persone più amate.
E i
rapporti si incrinano, si diluiscono, assumono nuovi significati e nuove
identità. Spesso si risolvono nel silenzio o nella indifferenza.
Diventa,
così, difficile ritrovarsi nello splendore dei sentimenti vissuti nei giorni
pieni del loro stupore e accadimento.
Dopo,
tutto si scarnifica. E rimane un senso di sacralità che ci rende timorosi di
pensieri che non vogliamo più pensare, di colpe che non ci sentiamo più in
cuore di dare, di tempi e luoghi che la memoria sottrae all’oblio, ma anche al
rancore e al rimpianto di ciò che avremmo potuto vivere insieme e che non
abbiamo più vissuto: la parola non detta, la carezza non data, il gesto
affettuoso mai più osato.
Il perdono
non espresso eppure avvertito come esigenza di rappacificazione nell’intimo
della nostra anima offesa e ferita.
Dopo,
tutto ci riesce più facile. Tutto c’intenerisce. E il perdono è un “dono per”
che elargiamo con tutto il nostro cuore, dove è “presenza viva” chi non c’è
più. E tutto si stempera in quel vuoto dei sensi da colmare con l’anima che
ricorda solo il bene ricevuto (e forse dato).
Io non
vado al cimitero. Non prego sulle tombe che mi mettono ansia e non aggiungono
niente al mio dialogo quotidiano con i miei cari che non vedo, ma sento
presenti come non mai nella mia casa, lungo i passi che sempre più a fatica
metto, nei luoghi che ancora abito, laddove continuo ad andare con una sorta di
invincibile determinazione.
Ogni mattina
e ogni sera rivolgo ai miei cari un saluto perché non so più pregare. Mi piacerebbe
saperlo fare con l’innocenza bambina di un tempo. Ma sono passati troppi anni. E
non so più da dove cominciare. Quali parole semplici e vere e talmente leggere usare
perché giungano gradite all’orecchio del buon Dio, che non potrebbe certamente amare i miei fronzoli a buon mercato. E che pure mi sorride divertito e
pieno di comprensione.
Come faccio a saperlo? Per i prodigi che mi concede.
Illusione?
Presunzione? Dabbenaggine? Forse.
Ma, intanto, una cosa è certa e mi capita per
davvero: ogni
volta che avverto intensamente il bisogno di pregare (sia pure a mio modo), o
di ricordare e di riproporre un pensiero, una voce, un qualcosa che mi riporti
ad una persona conosciuta e amata, ma persa nell’infinito, ecco che un prodigio
si compie ed io sento tutta la riconoscenza per Chi permette che il miracolo si
avveri.
Sì, ogni volta mi accade che, mentre cerco un appiglio, un
qualcosa per parlare di… ecco che, dall’oceano di carte che allaga la mia
mansarda, affiora come per incanto un foglio dimenticato che scivola tra le mie
mani, una frase lasciata in una delle innumerevoli agende che cospargono il mio
tavolo, una foto, una canzone, un oggetto. Coincidenze? Prima ne ero sicura. Poi
le coincidenze sono diventate talmente tante da non poterle più etichettare
così. Sarebbe un’offesa a tutti quelli che permettono che questi prodigi accadano.
Ed è giusto che tale magia io sappia riconoscere per sentire dentro di me gioia e
gratitudine per la sua totale gratuità.
Ieri,
per esempio, pensavo ai Santi e ai Defunti e mi rammaricavo come sempre di non
saper più pregare né per gli uni e né per gli altri. Eppure, mi martellava
dentro la parola Preghiera per definire l’uno e l’altro giorno. Con mia grande
sorpresa. Con mio grande dispiacere.
E…
improvvisamente… sento l’urgenza di prendere una cartella/contenitore di
appunti, pagine di giornali, ritagli di notizie, che sono solita conservare. Una
delle tantissime cartelline verdi e rigonfie fino all’inverosimile, impilate su
tutti i ripiani della mia casa. Ed ecco da quella cartellina, presa a caso,
finire tra le mie mani una pagina di un vecchissimo numero della rivista
<Donna Moderna>, a cui un tempo ero abbonata (regalo di inizio anno… di
mio marito, Primo Leone, con l’intento di farsi ricordare di settimana in
settimana per gli anni a venire. E ciò è accaduto fino all’anno della sua
morte, dieci anni fa!).
Ebbene,
con immensa meraviglia, leggo: “Un balsamo per l’anima”. Si tratta della
risposta di Diego Dalla Palma ad una lettrice, che lo seguiva come me sulla sua
Pagina di consigli per la bellezza del corpo e dell’anima. Nella lettera, una
tale Myriam gli chiedeva cosa ne pensasse della preghiera, visto che il noto
visagista faceva spesso riferimento a questa pratica del cuore, come base per
il benessere psico-fisico di una persona.
Ecco la
risposta di Dalla Palma, per cui conservai la pagina tanti anni fa e che oggi
mi commuove ancora e ancora “sento mia”:
“La preghiera è un balsamo. Non conta a chi è
rivolta: conta quanto ci si crede. Conta l’intensità con cui si prega. Conta il
trasporto dell’anima. Ci si ama un po’ anche attraverso la preghiera. Anche l’ateo,
ne sono convinto, a modo suo crede in certe entità e le cerca quando lo spirito
ha bisogno di nutrirsi. Nulla, a volte, dà più ristoro di una preghiera. Ognuno
può pregare a modo suo. Personalmente, prego sovente. Quasi ogni giorno ricorro
a questa preghiera.
Dio, concedimi la saggezza di mio padre e la
fierezza di mia madre: l’onestà e l’umiltà di lui; il fiuto, l’intuito, il
coraggio e l’energia di lei. Lasciami un po’ di innocenza nell’anima. Dammi la
possibilità di essere chiaro e sincero con il mio prossimo senza, per questo,
ferirlo. Fammi provare le gioie e i godimenti della carnalità coniugandoli con
l’appagamento dello spirito. Concedimi il misticismo gioioso soprattutto quando
sono triste e malinconico. Dammi i giusti segnali per capire chi mi sta accanto
e fa sì che costui sia motivato dall’amore. Evitami, se puoi, tutto ciò che mi
fa apparire ridicolo e meschino. Dammi la forza per sorridere sui miei malanni
e di pensare a chi sta peggio. Fammi amare il prossimo anche quando non sento
di amarlo. Dammi il senso del perdono e fa sì che mi perdonino le tante persone
che, a volte ho, involontariamente, ferito. Anche se gli anni passano
inesorabili, fammi sentire i rumori dell’estate come fosse ieri. Lasciami curiosare
nella vita come ho sempre fatto. Fammi incontrare coloro che m’insegnino
qualcosa di umanamente elevato. Più in là, quando dovrò lasciare questo mondo,
fammi un regalo. Concedimi di essere laggiù, a sud, dove il sole morente tinge
di fuoco i confini e l’effluvio di zagare e rosmarini ti fa sentire vicino all’Olimpo.
Fammi trovare lì, dove le risate dei semplici si confondono con il frinire
delle cicale. Quando la falce si staglierà contro la luna della mia ultima
notte, fa sì che una persona umile veda la mia anima volare verso il cielo. Sorrida.
Chiuda gli occhi. E lo tenga segreto”.
Meravigliosa
preghiera, che avrei voluto scrivere io, tanto mi prese e mi commosse allora,
quando la lessi per la prima volta, tanto mi ha emozionato appena l’ho
ritrovata. Preghiera, che sottoscrivo in toto. Anche per il riferimento al Sud
che mi appartiene con i suoi colori, i suoi odori, i suoi suoni, le sue
preghiere. Umili e vere.
Ho conosciuto
personalmente Diego dalla Palma nel 1992, in una crociera realizzata proprio dalla
rivista <Donna Moderna> per un viaggio nelle isole greche con molti altri
vip: Alberto Bevilacqua, Maria Rita Parsi di Lodrone, Ivan Graziani con la
famiglia, altri cantanti e musicisti, attori e comici televisivi. Fu un’esperienza
unica. Indimenticabile.
Diego
Dalla Palma accompagnava sua madre dappertutto con una tenerezza protettiva
infinita. A Santorini ci facemmo delle foto proprio con lui e sua madre, la
signora Agnese, sempre vivace e sorridente. Bellissimi i suoi consigli sulla
bellezza interiore.
Straordinaria
l’amicizia con Alberto Bevilacqua sempre pronto a chiacchierare in maniera
magica e sorprendente della sua Parma e non solo.
Molto
profonde le risposte di Maria Rita Parsi alle mie domande per l’intervista che
le feci e che in seguito pubblicai.
Semplice,
sincero, alla mano il compianto Ivan Graziani con la moglie Anna e i figli.
Crociera
vissuta da me e Primo con grande entusiasmo e straordinario coinvolgimento con
tutti gli altri prima della mia caduta, da cui non è stato più possibile “rialzarmi”.
Ma molte
persone care dal Cielo mi hanno protetta e continuano a farlo.
Di qui
anche oggi la mia Preghiera. Non nel cimitero, ma nella mia casa. E soprattutto
nel mio cuore. Certo, ho detto che non so più pregare, ma ho preso in prestito
da Diego la sua. Ed è sua perché non ha usato virgolette e perché rispecchia
fedelmente la sua personalità, il suo pensiero.
Una
preghiera speciale, che io dedico ai miei cari, vivi e defunti, in una
Comunione d’amore senza fine.
E a quanti
hanno la bontà e la pazienza di leggere quanto scrivo.
Penso
che sia una preghiera che tutti dovremmo imparare a recitare per non perdere mai
il profumo della Terra e l’azzurro sconfinato del Cielo…
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