mercoledì 7 novembre 2018

Il miracolo dell'eternità nel grembo di una donna


La VITA si mantiene in vita grazie alla donna. Il miracolo dell’eternità nel grembo di una donna. E nel cuore che batte di un bimbo, che non sa ancora la luce.
Maternità: un lievitare di cellule vestite di speranza. L’amore che bussa alla vita e chiede di nascere e rinascere. Dal non essere all’essere: questo il miracolo della vita. Deflagrazione di un inizio che prorompe in miliardi di possibilità, in altrettanti possibili percorsi con trame infinite di incontri, di scontri.
Il bene e il male, concentrati nell’attimo in cui si origina una vita. Nello spazio di un agglomerato di cellule, un feto, fragile e indifeso, ma pur determinato a nascere, a vivere, a crescere, a farsi bambino, fanciullo, ragazzo, giovane, uomo. E andare incontro alla vita.
La sua avventura esistenziale è un’ansia negli occhi chiusi si sua madre su un antico sgomento che lei non osa dire: ‘come sarà mio figlio? Cosa ne sarà di lui?’
Endimione sopravvisse alla realtà perché per trent’anni, sul monte Latmos, tenne gli occhi chiusi e continuò a sognare.
La madre sogna che il suo bambino non scopra mai la realtà. E la realtà è solo un pensiero d’amore sgomento negli occhi chiusi di sua madre: ‘nascerà sano mio figlio? Saprò prendermi cura di lui e preservarlo da ogni male? Saprò indicargli la giusta via dell’amore e della tenerezza perché sia un vero uomo nella libertà di piangere, di ridere, d’amare?’
E il piccolo nasce. Prima strilla, poi si acquieta tra le braccia d’amore di sua madre.
E la realtà è solo un sogno/bisogno negli occhi grandi del bambino a cercare il volto di suo madre, l’unico tra tanti volti. Il solo a dargli sicurezza. Nei loro occhi di abbandono condiviso la vita che sa la vita e la vita che ignora la vita. La mamma sa ma preferisce ignorarla. Il bambino la ignora ma desidera scoprirla, giorno dopo giorno, nei giochi di conquista delle sue mani bambine, nei giochi di scoperta dei suoi incerti piedini.
Sogno-realtà: il doppio volto della vita nei suoi incastri tra progetti e ricordi.
Sul ponte del presente: il passato e il futuro intrecciano incontri e sentimenti. Positivi. Negativi. Controversi. Ambigui. Con mille dubbi e poche certezze. E nessuna verità. O forse tantissime verità apparenti e una sola vera Verità. Spesso ignorata.
E il padre? Ha posto in questa diade, “involucro d’amore” (E. H. Erikson), il padre?
Certo, anche la presenza del padre è importante per la tensione che lo sostiene a realizzare per suo figlio una realtà migliore senza troppo indugiare nel sogno. Per proteggerlo e dargli sicurezza. Per difenderlo e incoraggiarlo. Per sollecitarlo ad accettare e a rispettare le regole. Per guidarlo a muovere passi più concreti e fattivi nella giungla del mondo. Con forza e coraggio.
La madre è penombra di mistero con una tenerezza di luce fra le sue carezze. Testimonianza di sorriso che illumina e riscalda il cuore. La dolcezza del canto e dell’incanto.
Il padre è il giorno certo, la via maestra da seguire, l’audacia della scoperta di orizzonti sempre più lontani. Il viaggio senza canto, ma con piedi lesti che vanno e sanno dove andare e quali ostacoli superare, i nemici da affrontare.
Testimonianza di lealtà e dignità nella forza delle braccia e nella chiarezza delle mete.
E la Vita procede con le sue luci e le sue ombre mentre le generazioni passano.
Oltre l’oblio, solo l’AMORE resta a fare spazio alla memoria…  

Sono passati gli anni

Sono passati gli anni
dei profili intensi delle cose
sugli specchi di ingabbiate
dissolvenze della realtà
vissute come sogno
e di sogni creduti realtà
Presi com’eravamo
dall’urgenza
di noi e del nostro
moltiplicarci
persi in sotterranei grovigli
ch’erano strade sterrate
del cuore
sempre pronto in me
a sanguinare
per ogni rosa scoperta di spine
E rimpianti e attese
e nostalgie e desideri
E mai un fermarci a vivere
a rotolare sul prato sotto casa
e sapere di noi
nella realtà del nostro cielo
che poteva compiere il miracolo
di stringerci insieme
in un groviglio di stelle
in cui naufragare
di smemorato splendore
Troppo tardi ho imparato il relativo
il “qui e ora” il canto della rosa
ch’arde di spine altrimenti muore
Troppo tardi un planare di pensieri
a dare senso ai rossi drappi di felicità
fatta di tutto e di niente
e bere nelle coppe colme di sole
la pienezza dell’esistere
liquore di giorni di miele 
un tempo logorati da devastanti perché
Oggi ho ricami di ore
tra le dita
con fili di seta per innamorarmi
ancora della vita
e stupirmi ancora
Per salvarmi dal nero della morte
che per anni mi sfinì di terrore
Troppi coltelli
mi ferirono di pianto
Troppo urlò la mia carne
alla violenza di un mondo
che ebbe mani assassine
lontane dalla mia casa
non dal mio cuore

Alla ferocia dei nuovi misfatti
sulla terra di fango e palude
oppongo fili colorati di parole
legati agli aquiloni che ridono
per le vie del cielo
e sognano
nelle piccole mani dei bambini


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