La
VITA si mantiene in vita grazie alla donna. Il miracolo dell’eternità nel
grembo di una donna. E nel cuore che batte di un bimbo, che non sa ancora la
luce.
Maternità:
un lievitare di cellule vestite di speranza. L’amore che bussa alla vita e
chiede di nascere e rinascere. Dal non essere all’essere: questo il miracolo
della vita. Deflagrazione di un inizio che prorompe in miliardi di possibilità,
in altrettanti possibili percorsi con trame infinite di incontri, di scontri.
Il
bene e il male, concentrati nell’attimo in cui si origina una vita. Nello spazio
di un agglomerato di cellule, un feto, fragile e indifeso, ma pur determinato a
nascere, a vivere, a crescere, a farsi bambino, fanciullo, ragazzo, giovane,
uomo. E andare incontro alla vita.
La sua
avventura esistenziale è un’ansia negli occhi chiusi si sua madre su un antico
sgomento che lei non osa dire: ‘come sarà mio figlio? Cosa ne sarà di lui?’
Endimione
sopravvisse alla realtà perché per trent’anni, sul monte Latmos, tenne gli
occhi chiusi e continuò a sognare.
La madre
sogna che il suo bambino non scopra mai la realtà. E la realtà è solo un
pensiero d’amore sgomento negli occhi chiusi di sua madre: ‘nascerà sano mio
figlio? Saprò prendermi cura di lui e preservarlo da ogni male? Saprò indicargli
la giusta via dell’amore e della tenerezza perché sia un vero uomo nella
libertà di piangere, di ridere, d’amare?’
E il
piccolo nasce. Prima strilla, poi si acquieta tra le braccia d’amore di sua
madre.
E la
realtà è solo un sogno/bisogno negli occhi grandi del bambino a cercare il
volto di suo madre, l’unico tra tanti volti. Il solo a dargli sicurezza. Nei loro
occhi di abbandono condiviso la vita che sa la vita e la vita che ignora la
vita. La mamma sa ma preferisce ignorarla. Il bambino la ignora ma desidera
scoprirla, giorno dopo giorno, nei giochi di conquista delle sue mani bambine,
nei giochi di scoperta dei suoi incerti piedini.
Sogno-realtà:
il doppio volto della vita nei suoi incastri tra progetti e ricordi.
Sul ponte
del presente: il passato e il futuro intrecciano incontri e sentimenti. Positivi.
Negativi. Controversi. Ambigui. Con mille dubbi e poche certezze. E nessuna
verità. O forse tantissime verità apparenti e una sola vera Verità. Spesso
ignorata.
E il
padre? Ha posto in questa diade, “involucro d’amore” (E. H. Erikson), il padre?
Certo,
anche la presenza del padre è importante per la tensione che lo sostiene a
realizzare per suo figlio una realtà migliore senza troppo indugiare nel sogno.
Per proteggerlo e dargli sicurezza. Per difenderlo e incoraggiarlo. Per sollecitarlo
ad accettare e a rispettare le regole. Per guidarlo a muovere passi più
concreti e fattivi nella giungla del mondo. Con forza e coraggio.
La madre
è penombra di mistero con una tenerezza di luce fra le sue carezze. Testimonianza
di sorriso che illumina e riscalda il cuore. La dolcezza del canto e dell’incanto.
Il padre
è il giorno certo, la via maestra da seguire, l’audacia della scoperta di
orizzonti sempre più lontani. Il viaggio senza canto, ma con piedi lesti che
vanno e sanno dove andare e quali ostacoli superare, i nemici da affrontare.
Testimonianza
di lealtà e dignità nella forza delle braccia e nella chiarezza delle mete.
E la
Vita procede con le sue luci e le sue ombre mentre le generazioni passano.
Oltre
l’oblio, solo l’AMORE resta a fare spazio alla memoria…
Sono passati gli anni
Sono
passati gli anni
dei
profili intensi delle cose
sugli
specchi di ingabbiate
dissolvenze
della realtà
vissute
come sogno
e di
sogni creduti realtà
Presi
com’eravamo
dall’urgenza
di
noi e del nostro
moltiplicarci
persi
in sotterranei grovigli
ch’erano
strade sterrate
del
cuore
sempre
pronto in me
a
sanguinare
per
ogni rosa scoperta di spine
E
rimpianti e attese
e
nostalgie e desideri
E mai
un fermarci a vivere
a rotolare
sul prato sotto casa
e
sapere di noi
nella
realtà del nostro cielo
che
poteva compiere il miracolo
di
stringerci insieme
in un
groviglio di stelle
in
cui naufragare
di
smemorato splendore
Troppo
tardi ho imparato il relativo
il
“qui e ora” il canto della rosa
ch’arde
di spine altrimenti muore
Troppo
tardi un planare di pensieri
a
dare senso ai rossi drappi di felicità
fatta
di tutto e di niente
e
bere nelle coppe colme di sole
la
pienezza dell’esistere
liquore
di giorni di miele
un
tempo logorati da devastanti perché
Oggi
ho ricami di ore
tra
le dita
con
fili di seta per innamorarmi
ancora
della vita
e
stupirmi ancora
Per
salvarmi dal nero della morte
che
per anni mi sfinì di terrore
Troppi
coltelli
mi
ferirono di pianto
Troppo
urlò la mia carne
alla
violenza di un mondo
che
ebbe mani assassine
lontane
dalla mia casa
non
dal mio cuore
Alla
ferocia dei nuovi misfatti
sulla
terra di fango e palude
oppongo
fili colorati di parole
legati
agli aquiloni che ridono
per
le vie del cielo
e
sognano
nelle
piccole mani dei bambini
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