Oggi, con questo cielo grigio e con la pioggia che ha danzato per tutta la notte e ancora non è stanca di battere con i suoi sandali d’argento sui lucernari piangenti e sui tetti rossi della mia mansarda, ho voglia di tuffarmi nella poesia. Compagna della mia vita più della pioggia. E mi piace farlo con i versi di tre poeti non molto conosciuti, ma da conoscere perché mi hanno regalato l’incanto delle “cose” vere, la pienezza della parola che dice, il respiro di un cielo che sa essere di tanti colori nello spazio infinito che tutti ci comprende…
A RUBARMI IL RESPIRO
Oltre il fiume
lontano
sul punto dell'alba
lasciai le pazze corse
in discesa.
Vaghi riflessi
di rondine
e il cuore scoppiava...
L'ala sulla pelle
bruciava le tempie.
Non c'era, in quei giorni,
tra l'erba,
profumo di fiori
ma caldi capelli
a rubarmi il respiro.
(Gianni Brattoli)
Splendido questo titolo che sa di emozione non solo a fior di pelle ma profonda come la vita che ci manca se ci viene meno il respiro. Non a caso, la poesia comincia con “Oltre” che è già uno spazio dell’anima a conquistare un’“alba” che rammemora al poeta “le pazze corse in discesa” nella primavera dei suoi frementi anni, quando “il cuore scoppiava…” e l’ala della rondine (meravigliosa metafora degli adolescenziali voli) nello sfiorare la pelle, in una sensualità appena scoperta, “bruciava le tempie”. Una sensualità avvolgente e frenetica, che non si accontentava della bellezza di prati fioriti, ma si esaltava tra “caldi capelli” di fanciulla o di donna a… “rubargli il respiro”, lasciandolo senza fiato e come in sospensione tra terra e cielo, tra vivere e morire. Accade, sì accade, con le emozioni che ci penetrano profondamente ed è la prima volta e ci lasciano un segno indelebile per sempre…
(Gianni Brattoli, autore dai molteplici interessi culturali, ha esordito nel dicembre 2012 con il romanzo TERRA ALLA TERRA (SECOP edizioni), che ha ricevuto uno straordinario consenso da parte della critica. Il secondo romanzo “A metà della notte” (sempre della SECOP edizioni) è stato pubblicato nel 2016, con rinnovato successo. Ora sta scrivendo il terzo romanzo che costituirà la trilogia “noir” sulla “violenza”.
Autore di saggi e poesie non ancora pubblicati, è impegnato con l’Associazione culturale FOS in iniziative tendenti ad avvicinare i giovani alla lettura ed al recupero della memoria storica.
GUARDAMI
Guardami
dove gli occhi non hanno punto di fuga,
dove la prospettiva insegue il vento
e si perde nei nidi d'aquila,
sulle cime,
dove tu sei stato.
Guardami
nelle iridi di bosco
e rosmarino,
rifugio di farfalle della luce.
Iridi mai sfuggenti
anche se si specchiano
in pozzanghere immonde
di dolore.
Guardami negli occhi
sorriso e pianto dei pensieri,
fuoco del dire e del tacere
e - se sono chiusi -
agognato sollievo per i baci.
(Rita Vecchi)
Invocazione tenera e intensa all’uomo amato, con anaforico ritmo dolente e accorato, perché s’immerga con lo sguardo nei suoi occhi che “non hanno punti di fuga”, tanto sono sinceri e cristallini, offrendosi in tutto il loro volo di aquila, che guadagna l’azzurro, verso le alte cime dei nidi, non sconosciute ai passi/occhi del loro amore. La reiterata invocazione è invito ad abbandonarsi con fiducia nel suo sguardo che sa di bosco e profuma di rosmarino e dà rifugio a “farfalle di luce”. Meravigliosa metafora che è tutta rivolta al fremito del luminoso candore che vibra nell’anima e si riverbera negli occhi della poetessa, che pure avverte tutta l’atrocità del mondo nel fango che non riesce a vincere. Pure, ad occhi chiusi è più facile, come Endimione sul monte Latmos. Per trent’anni dormì, ignorando le brutture del suo tempo ingrato, conservando così intatta la sua giovinezza.
Rita chiede soltanto un “agognato sollievo per i baci”.
E tutto diventa più chiaro, più semplice, più vivibile. Oltre il dolore e il pianto.
Rita Vecchi è nata a Novara il 27.02.1962.
Dopo la maturità scientifica, conseguita nel 1981, s’iscrive alla Facoltà di Scienze Biologiche dell’Università degli Studi di Pavia, dove consegue la Laurea nel 1985.
Dal 1987, anno del suo matrimonio, vive a Druogno, in Valle Vigezzo.
Dallo stesso anno, insegna Biologia presso vari Istituti Superiori di Domodossola.
È madre di un figlio, Giovanni, nato nel 1988.
Scrive per passione da quando aveva tredici anni (1975).
Non ha all’attivo alcuna pubblicazione, ma alcuni suoi scritti sono stati pubblicati su varie riviste culturali.
PRIMA DI OGNI COSA
Le mie braccia tra i rami di ulivo
sorprendono un battito d’ali:
e risuona l’azzurro.
Le incertezze del mio essere
trovano misericordia
nel profumo dei campi.
Prima di noi, prima di ogni cosa,
lo sa il sole, lo sa la rosa,
lo sa il vento che mi scompiglia,
lo sa il vento che mi somiglia,
lo sa l’angoscia che mi incalza,
lo sa la luna che lenta s’alza;
solo io non so e mi distendo
come antiche lenzuola, sull’erba.
(Alessandro Lunare)
Una via di mezzo questa poesia di Alessandro Lunare tra quella di Gianni Brattoli e i versi di Rita Vecchi. Una via di mezzo tra terra e cielo, tra natura e sentimento, tra un dinamismo d’ali e una profondità di sguardi che penetra l’anima e si fa sentiero verticale alla ricerca di Dio. In tutte e tre la natura regna sovrana e si fa misura del tempo e misura della nostra umanità, spesso dimentica della bellezza del Creato e del mistero che ci avvolge e ci rende mortali e fallibili in quanto uomini.
La poetica dello sguardo ha un fervido sapore di scoperta della primavera nei campi e nella vita in Gianni Brattoli, il poeta con più anni, che si nutre di ricordi per riconoscersi in quella giovinezza che nel cuore tarda a morire e che si immortala d’amore, appassionato e vitale.
In Rita Vecchi è uno sguardo più scoperto, fisico e psicologico, persino metafisico. Uno sguardo invocato, che salva e protegge nel riflesso di due occhi che la guardano con amore, quasi fosse l’origine del mondo e dell’innocenza nell’anima che nel mondo attuale non riesce più a riconoscersi.
Nei versi di Alessandro Lunare è meno scoperto, ma c’è nella materica presenza dell’ulivo che le sue braccia serrano tra rami d’ali a raggiungere l’azzurro incanto del cielo.
Splendidi i versi “Le incertezze del mio essere/ trovano misericordia/ nel profumo dei campi”. Tutti i sensi sono acuiti dalla poesia del dubbio e dell’assenza di senso che per un attimo il poeta percepisce in sé. Ma la natura gli va incontro con la sua bellezza e la sua millenaria sapienza. È nell’uomo, che non sa, il mistero. Perché non ricorda l’ancestrale eden di ogni perfezione. Niente è nascosto alla rosa né al vento o alla luna. Persino alla sua angoscia di essere pensante non sfugge la verità del creato che, però, si piega alle elucubrazioni sottili del pensiero. Mentre basta arrendersi alla semplicità dell’Essere per scoprirsi parte del Creato nella contemplazione, distesa “come antiche lenzuola, sull’erba”. Altro verso che conclude il canto con una metafora bellissima su una intimità che sa d’antiche stagioni della mente e del cuore distese sull’erba che rinasce ad ogni primavera senza chiedersi il perché. Lo sa!
Ma purtroppo anch’io so di non sapere!
Per fortuna il cielo! Con un accenno di luminoso arcobaleno che fiorisce di speranza sull’arco dei nostri giorni sempre/mai uguali.
Alessandro Lunare è nato nel ’66 ed è laureato in Giurisprudenza. Vive a Bari in Puglia. Coltiva da sempre l’amore per la poesia, pubblicando di volta in volta i suoi versi, i suoi racconti e articoli su riviste letterarie, antologie e quotidiani. È risultato vincitore in vari Concorsi di poesia. Ha pubblicato raccolte di poesie e racconti.
E il saggio Una metamorfosi.
Nei versi di Alessandro Lunare è meno scoperto, ma c’è nella materica presenza dell’ulivo che le sue braccia serrano tra rami d’ali a raggiungere l’azzurro incanto del cielo.
Splendidi i versi “Le incertezze del mio essere/ trovano misericordia/ nel profumo dei campi”. Tutti i sensi sono acuiti dalla poesia del dubbio e dell’assenza di senso che per un attimo il poeta percepisce in sé. Ma la natura gli va incontro con la sua bellezza e la sua millenaria sapienza. È nell’uomo, che non sa, il mistero. Perché non ricorda l’ancestrale eden di ogni perfezione. Niente è nascosto alla rosa né al vento o alla luna. Persino alla sua angoscia di essere pensante non sfugge la verità del creato che, però, si piega alle elucubrazioni sottili del pensiero. Mentre basta arrendersi alla semplicità dell’Essere per scoprirsi parte del Creato nella contemplazione, distesa “come antiche lenzuola, sull’erba”. Altro verso che conclude il canto con una metafora bellissima su una intimità che sa d’antiche stagioni della mente e del cuore distese sull’erba che rinasce ad ogni primavera senza chiedersi il perché. Lo sa!
Ma purtroppo anch’io so di non sapere!
Per fortuna il cielo! Con un accenno di luminoso arcobaleno che fiorisce di speranza sull’arco dei nostri giorni sempre/mai uguali.
Alessandro Lunare è nato nel ’66 ed è laureato in Giurisprudenza. Vive a Bari in Puglia. Coltiva da sempre l’amore per la poesia, pubblicando di volta in volta i suoi versi, i suoi racconti e articoli su riviste letterarie, antologie e quotidiani. È risultato vincitore in vari Concorsi di poesia. Ha pubblicato raccolte di poesie e racconti.
E il saggio Una metamorfosi.
Grazie infinite! Sono onorata e commossa...
RispondiElimina(Rita Vecchi)