Ieri, 23 novembre, è
stata per me una giornata particolare. Sono andata di mattina a presentare il
mio romanzo ai tantissimi studenti di Pedagogia Sociale, riuniti nell’aula V
del terzo piano dell’Ateneo (Università degli studi) di Bari. Invitata dalla
docente, titolare di Cattedra, la professoressa Valeria Rossini, mia alunna
circa trent’anni fa. E accompagnata, per dialogare insieme sul mio libro, dal
mio carissimo amico, poeta e scrittore di grandissimo impatto emotivo, Nico
Mori.
È stata una
mattinata fantastica. Ricca davvero di magia.
Ma, subito dopo
mezzogiorno, all’uscita su via Crisanzio, ho notato un necrologio, affisso
mestamente sul massiccio portone dell’Università. Annunciava la morte della prof.ssa
Rita D’Amelio, docente di Storia della Letteratura dell’Infanzia nella Facoltà
di Pedagogia e di Materie Letterarie (anni Sessanta-Novanta) dell’Ateneo barese.
Studiosa appassionata e infaticabile, scrittrice colta e raffinata, docente
attenta e didatticamente ineccepibile per circa un trentennio.
Ho provato un grande
dolore. Perché le ero/sono molto affezionata.
Condivisi con lei,
Daniele Giancane, erede della sua Cattedra, e Angela Danisi, per un paio d’anni,
il piacere di esserle accanto, per quel minimo che potessi fare come
volontaria, nella sua infaticabile opera didattica con i suoi numerosi studenti.
Rigorosa con i
laureandi, era amabile e tenera con tutti noi. Desiderava che la chiamassimo “zia
Rita”, creando nell’Istituto un clima affettuoso e accogliente.
Alcune volte si
faceva da me accompagnare in giro per Bari, per delle compere, e persino in
banca per alcune delicate operazioni. Dandole il braccio, mi sentivo orgogliosa
per la sua stima e fiducia. Sì, si era instaurato un bellissimo rapporto di
dolce complicità tra noi. Ci sentivamo spesso anche per telefono, soprattutto quando
andò in pensione. Sentivo la sua gioia appena era certa della mia voce.
“Tesoro”, mi
salutava, “sei tu?”.
Poi, per via di una
incipiente ipoacusia, di cui si rammaricava e si lamentava, divenne diffidente.
Chiudeva il telefono senza ascoltare. Persi la sua voce e il suo tenerissimo
affetto. Non ebbi più il coraggio di chiamarla, avvertendo l’inutilità del
gesto, che ormai le procurava solo ansia. Ne ero certa. E di lei non seppi più
nulla.
Da lei e attraverso
i suoi libri, però, ho imparato molto. E per questo le sono grata.
Ho letto più volte,
in particolar modo, “La lettura come esperienza”, uno dei suoi scritti più
illuminanti sulla scelta dei libri da proporre, durante l’intero arco dell’età
evolutiva, ai bambini, fanciulli, ragazzi, adolescenti, fino alla prima giovinezza.
Affermava che la
fiaba era per i bambini “un atterraggio morbido” nel mondo della realtà. Ed io
trovavo efficacissima e bellissima questa metafora che ho fatto un po’ mia, nei
tanti anni di “incontri didattici” (e anche amicali) con le mie numerosissime “allieve”
(con qualche “allievo”), essendo io “preparatrice” per i Concorsi di
reclutamento nella Scuola di ogni ordine e grado per oltre trentacinque anni.
Oggi, mi piace
pensare, non senza malinconia e con grande dolore, al suo “atterraggio morbido”
tra le stelle.
Che la loro luce
possa illuminare il tuo nuovo cammino, zia Rita carissima!
Ed è con questa
certezza che mi rimani nel cuore…
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