sabato 24 novembre 2018

Rita D'Amelio e il suo "atterraggio morbido"


Ieri, 23 novembre, è stata per me una giornata particolare. Sono andata di mattina a presentare il mio romanzo ai tantissimi studenti di Pedagogia Sociale, riuniti nell’aula V del terzo piano dell’Ateneo (Università degli studi) di Bari. Invitata dalla docente, titolare di Cattedra, la professoressa Valeria Rossini, mia alunna circa trent’anni fa. E accompagnata, per dialogare insieme sul mio libro, dal mio carissimo amico, poeta e scrittore di grandissimo impatto emotivo, Nico Mori.
È stata una mattinata fantastica. Ricca davvero di magia.
Ma, subito dopo mezzogiorno, all’uscita su via Crisanzio, ho notato un necrologio, affisso mestamente sul massiccio portone dell’Università. Annunciava la morte della prof.ssa Rita D’Amelio, docente di Storia della Letteratura dell’Infanzia nella Facoltà di Pedagogia e di Materie Letterarie (anni Sessanta-Novanta) dell’Ateneo barese. Studiosa appassionata e infaticabile, scrittrice colta e raffinata, docente attenta e didatticamente ineccepibile per circa un trentennio.
Ho provato un grande dolore. Perché le ero/sono molto affezionata.
Condivisi con lei, Daniele Giancane, erede della sua Cattedra, e Angela Danisi, per un paio d’anni, il piacere di esserle accanto, per quel minimo che potessi fare come volontaria, nella sua infaticabile opera didattica con i suoi numerosi studenti.
Rigorosa con i laureandi, era amabile e tenera con tutti noi. Desiderava che la chiamassimo “zia Rita”, creando nell’Istituto un clima affettuoso e accogliente.
Alcune volte si faceva da me accompagnare in giro per Bari, per delle compere, e persino in banca per alcune delicate operazioni. Dandole il braccio, mi sentivo orgogliosa per la sua stima e fiducia. Sì, si era instaurato un bellissimo rapporto di dolce complicità tra noi. Ci sentivamo spesso anche per telefono, soprattutto quando andò in pensione. Sentivo la sua gioia appena era certa della mia voce.
“Tesoro”, mi salutava, “sei tu?”.
Poi, per via di una incipiente ipoacusia, di cui si rammaricava e si lamentava, divenne diffidente. Chiudeva il telefono senza ascoltare. Persi la sua voce e il suo tenerissimo affetto. Non ebbi più il coraggio di chiamarla, avvertendo l’inutilità del gesto, che ormai le procurava solo ansia. Ne ero certa. E di lei non seppi più nulla.
Da lei e attraverso i suoi libri, però, ho imparato molto. E per questo le sono grata.
Ho letto più volte, in particolar modo, “La lettura come esperienza”, uno dei suoi scritti più illuminanti sulla scelta dei libri da proporre, durante l’intero arco dell’età evolutiva, ai bambini, fanciulli, ragazzi, adolescenti, fino alla prima giovinezza.
Affermava che la fiaba era per i bambini “un atterraggio morbido” nel mondo della realtà. Ed io trovavo efficacissima e bellissima questa metafora che ho fatto un po’ mia, nei tanti anni di “incontri didattici” (e anche amicali) con le mie numerosissime “allieve” (con qualche “allievo”), essendo io “preparatrice” per i Concorsi di reclutamento nella Scuola di ogni ordine e grado per oltre trentacinque anni.
Oggi, mi piace pensare, non senza malinconia e con grande dolore, al suo “atterraggio morbido” tra le stelle.
Che la loro luce possa illuminare il tuo nuovo cammino, zia Rita carissima!
Ed è con questa certezza che mi rimani nel cuore…    

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